Nino Schilirò:

ANALISI

Nino Schilirò: ANALISI

PREMESSE PER UN’ANALISI MUSICALE


ANALISI MUSICALE significa “scioglimento” di una struttura musicale nei suoi Elementi Costitutivi, ovvero scioglimento/smembramento/scomposizione di un intero nelle sue parti/elementi/componenti, alla ricerca di fattori normativi/regolativi/sistematizzabili.
Gli Elementi Costitutivi sono Sostanze date, cioè storicamente tramandate e astratte e quindi insegnabili.
Per lo storico della musica l’analisi è uno strumento per la sua indagine. Egli la usa per scoprire ad esempio le relazioni fra stili differenti o all’interno di uno stile e stabilire così una catena di causalità che opera lungo la dimensione del tempo.
Schönberg aveva già osservato che davanti a un’opera musicale le due domande fondamentali che ci si deve porre sono:
1. “
Wie es gemacht ist” [Come è fatta]
2. “
Wa ist es” [Che cosa è]
La prima domanda riguarda gli aspetti tecnico-compositivi la seconda l’interpretazione e quindi il giudizio estetico.
Entrambe sono di pertinenza dell’analisi che a sua volta permette un giudizio estetico razionalmente fondato [Dahlhaus]

1. Gli Elementi Costitutivi di cui consta una struttura musicale sono:
a)
Le articolazioni formali
(inciso, motivo, frase, periodo, tema, battuta ecc...)
b)
L’Aggregazione precostituita di elementi
(L’intervallo di Quinta giusta, l’Accordo di D7, la Serie, le Scale modali, la Scala esatonale, la Scala pentatonica, il Sistema temperato ecc..)
c)
Le tecniche compositive
(L’imitazione contrappuntistica, il Pedale, la Melodia accompagnata, il Basso continuo, lo Stile a-cappella)
d)
Gli altri parametri del Materiale Sonoro
(Dinamica, Timbro, Testura ecc.)

Se un Elemento Costitutivo è un’entità per sé per Senso e Contenuto, se ne può ripercorrere la sua storia nel suo farsi Norma astratta (Es.: la storia della Battuta o dell’Accordo di Settima di Dominante, delle scale modali etcc...).
Quanto più una composizione è tipica dello stile di un’epoca ( per es. il minuetto del Classicismo viennese), tanto più assoluta - a livello di Norme - è la definizione del Materiale.
Nella musica ATONALE ( da Webern) invece la definizione del MATERIALE è tutt’uno con l’impostazione della STRUTTURA, cioè non c’è un materiale pre-dato ( a parte la serie)
Si attua così un processo di riflessione compositiva che tende a definire il materiale in riferimento ad un unico pezzo” [Eggebrecht]

2. I tre Momenti dell’Analisi - secondo Eggebrecht - sono:
Descrivere (das Beschreiben)
Spiegare (das Erklären)
Interpretare (das Deuten)
Questi tre gradi sono inscindibilmente legati fra di loro:
Beschreiben ohne Erklären bleibt blind, so wie bloßes Deuten leer ist” (“La Descrizione senza spiegazione è cieca, così come la pure e semplice interpretazione è vuota”).

Clemens KÜHN nel suo bel libro “Analyse lernen” esprime a proposito dei concetti simili. L’analisi consta di due momenti:
1)“Die Bestandaufnahme [letteralmente
l’inventario] che comprende il momento del descrivere/catalogare e dello spiegare;
2) “Die Deutung” [
l’Interpretazione], ovvero trarre le conseguenze da quello che si è inventariato e spiegato. E questo è il fine ultimo dell’Analisi. Senza di essa l’analisi tecnico-compositiva sarebbe astratta e muta. Viceversa l’Interpretazione è legata a quanto risulta dall’analisi tecnico-compositiva, altrimenti essa rimarrebbe senza alcun appiglio, vuota.

A sua volta il musicologo americano Leo TREITLER (“Music analysis in a historical context”) individua quattro scopi che deve perseguire l’Analisi Musicale:
I)
Rivelare le intenzioni del compositore (ovv. stabilire - ove possibile - i fatti che costituiscono la genesi dell’opera)
II
L’Interpretazione dell’opera musicale
III)
La Spiegazione (Explanation) dell’opera
IV)
Stabilire il rapporto tra l’opera musicale e il mondo di cui è un prodotto.
[E con questo l’analisi entra in contatto con la Sociologia della musica].

3. Esistono analisi “corrette” e analisi “errate” (right and wrong)
Il computo delle note in una composizione seriale non lascia margini su quale sia un’analisi corretta e su quale errata, la descrizione degli accordi in una sonatina di Clementi, o l’individuazione delle aree tonali in una sinfonia di Mozart non può generare equivoci in proposito.

Ma vi sono tuttavia molti casi in cui non è facile dimostrare senza ambiguità se un’analisi è corretta o errata. Un caso molto famoso è l’inizio del Preludio del Tristano e Isotta.
Un intera letteratura è stata dedicata all’interpretazione del Tristan Akkord. Alcuni hanno sostenuto che si tratta di un accordo di settima diminuita alterato cromaticamente ( e quindi non appartiene ad alcuna tonalità); altri ne hanno individuato la funzione tonale classificandolo come un II7 alterato o un VI7 anch’esso alterato cromaticamente di La min; altri ancora, più recentemente, propendono per considerarlo non un’entità armonico-funzionale, ma piuttosto il risultato di movimenti lineari di strutture motiviche.
Anche l’ascolto ripetuto non riesce a fare nettamente propendere per una soluzione univoca.

Vi è poi un altro problema: non ogni analisi “corretta” è di per sé “significativa”.
La Rilevanza di un’Analisi si stabilisce nel poter cogliere ciò che è SIGNIFICATIVO.
Ci vuole innanzi tutto una grande sensibilità musicale (oltre che una solida conoscenza delle tecniche compositive e dello stile) per riuscire a cogliere e distinguere ciò che è significativo (bedeutsam) da ciò che non lo è.

ES. 1.: Un’analisi armonica accordo per accordo di una sonata di Mozart o di Beethoven secondo i dettami dell’armonia funzionale ci dice troppo poco del brano in questione; a volte, nel caso di strutture armoniche semplici, è assolutamente superflua.
ES. 2.: Evidenziare l’impiego dell’accordo di sesta francese in determinati passaggi del Lied di Schubert ”Kennst du das Land”, dove esso ha una funzione non solo fraseologica ma anche di interpretazione del testo, è senza dubbio un fatto significativo. Inventariare tali accordi in un brano di Wagner o di Mahler generalmente significa ben poco.

4. Quando dunque si può dire che un’analisi è significativa?
Quando ci aiuta a comprendere la musica che abbiamo davanti.
Naturalmente questa risposta è ancora troppo generica e va meglio precisata.
Comprendere la musica è lo scopo principale, il fine ultimo dell’ANALISI MUSICALE.
L’oggetto del comprendere in ambito musicale, o più esattamente musicologico, è di regola una partitura destinata ad essere tradotta in suoni.

5. Nell’atto del COMPRENDERE vanno distinti due aspetti:
a) La
Musica come Oggetto della comprensione
b) l’
Ascoltatore, il Soggetto che comprende l’Oggetto in questione, cioè la Musica come Struttura dotata di senso.
Il “
SENSO” della musica è legato all’atto del comporre e quindi a un altro soggetto: il Compositore.
Il Compositore compone la musica come Struttura dotata di Senso, dove egli da un lato utilizza il MATERIALE MUSICALE tramandato dalla tradizione, dall’altro conferisce a tale Materiale un nuovo Senso mediante l’uso particolare e specifico che ne fa’ e le innovazioni che introduce.

6. Nella musica tonale-- definita come un sistema gerarchizzato e centripeto di triadi al centro del quale sta la triade di Tonica e in cui La Sottodominante e la Dominante intrattengono un rapporto privilegiato con la Tonica stessa -- la qualità centripeta di un suono o di un aggregato armonico (= accordo) è sia concettualizzabile come logica (appunto in una rete di relazioni gerarchiche) sia percepibile come effetto sensibile.
Detto con altre parole c’è - almeno il più delle volte -
un’identità tra la nostra concettualizzazione della logica che articola il discorso musicale e la percezione di tale articolazione.

Così l’individuazione e la descrizione concettualizzata di un moto cadenzale che conduce ad una Cadenza perfetta (T, .....S, sp6, D, T) corrisponde a livello percettivo ad un punto di articolazione, di arrivo, di riposo.
I modelli di analisi iper-formalizzati che tengono in pochissimo o addirittura in nessun conto il fattore percettivo (parliamo di una percezione attenta, consapevole, non dell’abbandonarsi inconsapevole all’ascolto, quello che Eggebrecht chiama “erkennendes Verstehen”), risultano quantomeno inutili se non addirittura fuorvianti.
Un concetto simile lo troviamo espresso in Goldman [Harmony 1965] quando osserva: “When, in music, analysis succeeds in demonstrating something that cannot be heard or justified as a logic of sound rather than of abstract conception, it is useless”.

7. Riguardo alla comprensione della musica attraverso l’analisi Eggebrecht osserva quanto segue:
I)
Una ricetta universale per l’analisi non esiste.
Ogni opera, ogni domanda che ne promana, ogni ricerca che con essa si misuri, esigono un procedimento analitico specifico.
Un sistema analitico omnicomprensivo che pretenda di valere per interi gruppi di opere, stili, epoche, o addirittura per tutta la musica, concepisce l’analisi di una composizione come convalida del sistema stesso, e di conseguenza tende a deformare lo sguardo rivolto alla specificità, all’elemento individuale dell’opera.
C. Kühn riprende questa problematica affermando che per l’Analisi non esiste “la musica” bensì “le musiche”.

II) Base di ogni analisi è il “fanatismo” nei confronti dell’oggetto. Qui sono d’ausilio l’esperienza estetica ed il più vasto orizzonte possibile della formazione scientifica. Ma decisiva è l’intensità dell’esigenza di comprendere l’oggetto come una realtà che ci sta di fronte, e di penetrarne il centro. [La Hingabe come sottolinea Kühn]

III) Il linguaggio che analizza la musica traduce il suono in parola, l’aconcettuale in concetto, l’immediata presenza sensibile [“Dasein”] nella denotazione verbale. La verbalizzazione dell’oggetto sonoro ha forgiato per la comprensione conoscitiva un vocabolario teorico-musicale, sistemi di termini tecnici forniti di significati di volta in volta storicamente determinati [ e quindi relativi a una determinata epoca o con significati diversi in epoche differenti] e lessicalmente afferrabili.

IV) Le domande che si possono porre ad un concreto brano musicale sono inesauribili. Quel che può essere conosciuto e compreso mediante l’analisi non si può né enumerare né ordinare, né classificare sistematicamente.
Ma un’Analisi non può dire TUTTO, non può né deve essere esaustiva. Il problema è quello di porsi una delimitazione ponderata in modo da poter individuare e distinguere livelli gerarchizzati di eventi. Detto con altre parole bisogna saper distinguere l’OVVIO/l’Evidente dall’ESSENZIALE (cfr. ad es. l’inizio della Quinta Sinfonia di Beethoven dove quello che gli conferisce monumentalità e pregnanza è certo non il fatto che si tratti di tre note ribattute e di un intervallo di terza discendente ma l’immediatezza del suo prorsi e soprattutto l’impulso ritmico).

V) L’analisi per l’analisi è un assurdo. Ogni procedura analitica dovrebbe approdare ad una domanda e da una domanda prendere le mosse e ad essa riferirsi durante il corso dell’analisi.

VI) Un’opera musicale risponde solo quando qualcuno che le sta di fronte la interroga. Il tentativo dell’analista di escludersi in quanto soggetto non è solo vano, è errato. L’oggettività assoluta non esiste, è una pura utopia.

VII) La musica intesa come realtà estetica precede sempre qualsiasi approccio verbale. “Punto di partenza e meta dell’analisi non è la partitura ma la realtà estetica da essa intesa, l’opera sonora: non il vedere, bensì l’ascolto; l’intelligenza sensibile con quella concettuale”.

VIII) L’analisi musicale, il riconoscimento delle strutture musicali e l’interpretazione dei contenuti musicali influisce sull’ascolto e sulla comprensione della musica nel senso di favorire l’ascolto corretto, adeguato (“strutturale” direbbe Adorno), nonché sull’esecuzione musicale. Intesa in questo senso l’analisi serve all’ascolto e alla pratica della musica, i quali senza un lavoro analitico restano casuali e per lo più incompiuti.

8. Il problema della Forma inteso come la relazione delle parti con il tutto e delle parti fra di loro, ha valore sia come effetto sensibile (= percettivo o estesico) sia come concettualizzazione logica, ovvero come individuazione di un processo compositivo (il momento poietico nella terminologia di Nattiez).
I due livelli possono essere in alcuni casi self-evident (ad esempio un’aria con da Capo del ‘700 -ABA-, la ripresa in una forma sonata del periodo classico, un Lied strofico); ha bisogno invece di essere illuminato in casi più complessi (la forma sonata di fine ottocento), diventa una sfida nel caso di molta musica di Liszt o di Debussy (la polivalenza di articolazioni formali), è un problema di difficile o perfino di impossibile soluzione in molta musica del Novecento.

9. Da quanto detto nei punti 6, 7, 8, ne consegue che premessa per un’analisi è un ascolto attento e possibilmente ripetuto dell’opera e cominciarsi a porre delle domande che scaturiscono dall’ascolto e darsi delle prime risposte:
*** Qual’è la struttura macroformale che percepisco? [ABA, ABA’ AB etcc..] oppure essa risulta complessa in parte o del tutto non afferrabile all’ascolto?
*** Quale “carattere” ha per me questa musica? o ne racchiude più di uno?
*** Sono distinguibili successioni, nessi tematici, motivici ?
*** Quali elementi armonici sono particolarmente evidenti (una brusca modulazione, un’opposizione diatonica/cromatica etc
*** Vi sono pluralità e/o nette differenziazioni nella testura?
*** Quali caratteristiche cogliamo riguardo la dinamica, l’agogica, il ritmo etcc...
*** Infine: quali elementi emergono in primo piano e quali rimangono sullo sfondo
E’ chiaro che in base al brano che ascoltiamo le domande e quindi le risposte possono essere diverse e anche più numerose.
Solo dopo avere annotato anche sommariamente queste risposte è opportuno cominciare l’analisi della partitura.

10. Al momento di iniziare l’analisi della partitura è opportuno metodologicamente procedere generalmente dal grande verso il piccolo, dal generale verso il particolare, dall’impianto formale all’esame del dettaglio.

11. Nella musica tonale un punto di partenza potrebbe essere “Quando ritorna qualcosa alla lettera oppure più o meno variata ?” Da questa riposta discende l’individuazione dell’impianto formale del brano. Partendo da questo punto si possono poi individuare le sottosezioni di un brano e confrontarle fra di loro.

12. Nell’analizzare la musica post-tonale (il termine è stato introdotto negli anni ‘70 da J. Samson nel volume “Music in transition” ) il rischio più grande è quello contro il quale mette in guardia R. Howat: “....to find whatever one wants by lookink hard enough”.

Un buon punto di partenze può essere l’osservazione seguente:
Si consideri ad esempio che un’armonia post-tonale non ha un valore funzionale intrinseco; ogni ipotesi sulle sue funzioni, ogni aspetto di una sua presunta logica possono essere argomentati solo se non sono incompatibili con ciò che per la nostra comprensione è decisivo quanto ad effetto sensibile. Così se questi dati logici non sono supportati da evidenze di qualche tipo, si perde facilmente il contatto con una verosimile rispondenza ai fatti, e rimane solo una rilevanza ipotetica, tipicamente dimostrabile, in genere, solo con tabelle e grafici che la maggior parte dei lettori a volte non a torto non legge”. [MASTROPASQUA, p.58]

Nino Schilirò - aprile 2004