Torah! Torah! Torah!

La Bibbia, il “Buon Libro” come lo chiamano gli Anglosassoni, riporta un resoconto agghiacciante di guerre di conquista, stragi, torture e crudeltà. Questo articolo riassume quanto risulta da una lettura “a freddo” della Bibbia, scevra da intellettualismi e/o ricerca di significati simbolici.


0. Introduzione

Problemi esegetici

“La Bibbia”, ovvero “Il Libro” per eccellenza (questo il significato del termine “Bibbia”, dal greco byblos). Per Cristiani, Ebrei e Musulmani la parola di Dio; per alcuni, addirittura, la “inerrante” parola di Dio – nel senso che quanto è scritto nella Bibbia è verità pura e semplice, da interpretare alla lettera. Per tutte queste religioni, la Bibbia è comunque, al meno, un codice morale eterno e sempre valido, che ancora oggi fornisce la risposta a qualsiasi domanda sulla morale o sul senso della vita che l'uomo possa porsi.

Ma è proprio così? In realtà, sia gli Ebrei che i Cristiani (a parte i Fondamentalisti ed altre sette analoghe) hanno dovuto affrontare il problema del reale contenuto della Bibbia, soprattutto dell'Antico Testamento, e cercare di risolvere le notevoli contraddizioni che esso presenta nei confronti di ciò che oggi riteniamo buono e giusto (non ho informazioni sul mondo islamico, che pertanto non tratto qui).

Come l'hanno risolto? In due maniera ben differenti. Gli Ebrei (per i quali, ricordiamo, la Bibbia consiste nell'Antico Testamento) ritengono che la vera parola di Dio, benché contenuta nella Bibbia, non sia comprensibile alle limitate risorse umane (in una storiella ebraica, riferita da Moni Ovadia, il Paradiso ebraico è una palude malarica e zanzarosa, dove, in capanne umide, malsane e traballanti, seduti su sgabelli sconquassati, i più grandi saggi dell'Ebraismo continuano a studiare la Torah, la Legge – ma ora capiscono che cosa c'è scritto!): pertanto, la tremenda rigidità del testo originale è stata genialmente convertita in un'elasticità notevole, che dà adito a molte interpretazioni diverse, e solo tramite la discussione ed il confronto si può via via avvicinarsi, più o meno, al reale significato del Verbo Divino. Il Talmud, la raccolta della tradizione orale ebraica, è proprio basato su questo concetto: in pratica, il Talmud raccoglie duecento anni di discussioni rabbiniche sui più diversi argomenti, riportando non solo l'opinione risultata vincente, ma anche tutte le altre emerse. Inoltre, nelle parole di Moni Ovadia, il Talmud è probabilmente l'unico libro sacro che non solo accetti ma che solleciti la propria rimessa in discussione. Ed infatti al Talmud hanno fatto seguito biblioteche intere di commentari, che hanno creato una tradizione molto varia e tollerante, che ha permesso agli Ebrei di vivere gomito a gomito per duemila anni di diaspora litigando di continuo senza mai arrivare a rotture e/o guerre. La galassia ebraica è molto varia, e va da posizioni ultraintegraliste a posizioni che stanno ai confini dell'ateismo, spesso addirittura dalla parte sbagliata del confine – eppure, tutto è ebraismo. Un episodio. In una recente puntata di Sorgente di Vita, rubrica televisiva di vita e cultura ebraica, è stato chiesto ad un rabbino italiano quale fosse la posizione dell'Ebraismo sulla clonazione. Risposta: “Ne stiamo discutendo”. Così, come fosse la cosa più naturale di questo mondo. Nell'Ebraismo, tutto è possibile: le crudeltà dell'Antico Testamento passano quindi in secondo piano.

Molto più ambigua la posizione del Cristianesimo. In primo luogo, le diverse Chiese hanno posizioni molto differenti sulle varie questioni: come già detto, i Fondamentalisti americani ritengono che la Bibbia vada interpretata alla lettera, ed idem i Testimoni di Geova; altri Protestanti sono invece favorevoli ad una interpretazione simbolica, e soprattutto lasciano al singolo fedele la possibilità di interpretare la Bibbia; non ho informazioni sufficienti sulla Chiesa Ortodossa, che pertanto non tratto; la posizione della Chiesa Cattolica, che invece ci riguarda più da vicino, è quella che tratterò più a fondo.

Secondo la Chiesa Cattolica, la Bibbia deve essere interpretata, ma solo la Chiesa di Roma ha l'autorità necessaria per questa interpretazione, essendo stata fondata direttamente su ordine di Gesù. Il fatto che questo racconto sia riportato nel libro stesso (la Bibbia) di cui essa dichiara di essere l'unica interprete non pare metterla in difficoltà. Per quanto riguarda l'Antico Testamento, esso è stato integrato, emendato e portato a compimento da Gesù (Matteo 5, 17-19), ed è pertanto, entro certi limiti, un testo superato. Ma entro quali limiti? San Paolo (che, al di là della propaganda ecclesiastica, è il vero fondatore del Cristianesimo come lo conosciamo oggi), nella Lettera ai Romani, introduce il concetto di “legge naturale”, e fa capire che la Legge ebraica (la Torah) è “solo” un riflesso scritto della legge naturale, comune a tutti gli uomini (Romani 2, 12-16). La Chiesa Cattolica introdusse poi il concetto di “rivelazione progressiva”, per riuscire ad incastrare l'evoluzione nel racconto biblico e, soprattutto, giustificare il fatto che concetti di “aldilà”, “giudizio post mortem”, “paradiso ed inferno” non compaiono fino agli ultimi libri dell'Antico Testamento. In pratica, il popolo di Israele, nato barbaro e selvaggio, si sarebbe evoluto progressivamente, fino ad essere abbastanza cresciuto da ricevere il Messia (ovvero il Gesù dei Vangeli); la rivelazione divina, protrattasi nel tempo, si sarebbe via via adattata al grado di evoluzione morale ed intellettuale del popolo di Israele: pertanto, le parti più antiche della Bibbia rappresenterebbero una ipersemplificazione dei concetti divini. In questo modo, la Chiesa Cattolica risolve il problema: i dettati morali della Torah sono sempre validi ed universali, ma le pene previste non sono più adatte, perché ci siamo evoluti. Elegante scappatoia.

Metodologia

Nell'intraprendere questo lavoro ho voluto dimenticare tutto quanto, in 30 anni, si era accumulato nella mia testa riguardo alla Bibbia: interpretazioni simboliche, giustificazioni ecclesiastiche, retorica sul “buon libro” eccetera. Ho cioè preso la Bibbia dalla libreria, come avrei potuto prendere un qualunque romanzo, e ho cominciato a leggerla, come avrei letto, che so, gli “Annales” di Tacito o il “Libro dei morti” egiziano. Quando utilizzai questo approccio con “I promessi sposi”, dimenticando cioè tutte le masturbazioni intellettuali e le interpretazioni morali che mi avevano insegnato a scuola, ebbi la piacevole sorpresa di trovarmi fra le mani un bellissimo romanzone, pieno di colpi di scena, umanità, bei personaggi a tutto tondo, una storia avvincente, tanto umorismo e tanta ironia. E anche qui non sono rimasto deluso.

Una mia collega di ufficio mi ha recentemente detto al proposito: “Ma non si può leggere la Bibbia come se fosse una storiella!” E perché no? In fin dei conti, essa è la storia del Popolo di Israele, da esso scritta per celebrare le sue glorie e fissare la sua legge. Un misto di racconto “storico” e di codice civile, penale e canonico. Ma quale senso può avere una simile lettura? Cosa ci può portare?

Qui è d'uopo un esempio. Sappiamo tutti che quando un pescatore racconta le sue avventure di pesca, tende immancabilmente ad accrescere numero e dimensione dei pesci che ha preso, e queste quantità aumentano ogni volta che la storia viene ripetuta. Cosa possiamo dedurre da ciò? Ne deduciamo che, per il pescatore, il prendere una carpa da 15 chili piuttosto che da 10 è motivo di vanto e di gloria, un qualcosa che accresce il suo prestigio personale, e, soprattutto, che ritiene automaticamente che il suo interlocutore condivida il suo metro di giudizio. In pratica, dalle storielle ittiche possiamo dedurre parte del sistema di valori del pescatore.

Così per la Bibbia. Quando leggiamo che in una battaglia gli Ebrei uccisero 120.000 nemici, o sterminarono un popolo intero, ci interessa relativamente il fatto che ciò sia vero o falso: ci interessa il fatto che gli autori del Buon Libro consideravano queste stragi motivo di vanto e di gloria, non in senso relativo, ma in senso assoluto: ovvero, dalla Bibbia apprendiamo che sterminare popoli, torturare re nemici, distruggere templi “eretici”, lapidare i peccatori etc. sono “il bene” - e questo discorso “in sottofondo” permea tutto l'Antico Testamento. Non è un problema da poco, alla luce delle letture “cattolica” e “fondamentalista” viste in precedenza.

Il nome di Dio

È risaputo che nella Bibbia non viene mai nominato il vero nome di Dio. Ciò è dovuto all'antica superstizione dei popoli orientali secondo cui il nome è la vera essenza di qualcosa o qualcuno, e conoscere il vero nome di Dio significherebbe poterlo controllare a proprio piacimento con tecniche magiche e simili artifizi. La superstizione era abbastanza diffusa: troviamo spesso, nell'Antico testamento, espressioni come “i Baal di Babilonia” o “i Baal degli Ammoniti” o simili. “Baal” è termine babilonese che significa “signore, padrone”: anche questi popoli non chiamavano i loro dèi per nome, indicandoli solo come “il Signore di questo” o “il Signore di quello” (“il Signore delle mosche”, “Baal-Zabub”, diventerà addirittura, nella cultura occidentale cristiana, il diavolo, Belzebù: tanto per dire l'elevata considerazione che si riscontra nella Bibbia per le altre culture...).

A me dà molto fastidio chiamare “Dio” il dio della Bibbia. “Dio” è nome comune di cosa (inesistente), ed il fatto che la Chiesa Cristiana se ne sia appropriata, trasformandolo in nome proprio, è indicativo di una mentalità estremamente intollerante: il significato dell'operazione è “di dio ce n'è uno solo, quindi è inutile chiamarlo per nome: basta dire 'dio' e si capisce che è solo quello, gli altri sono imitazioni”. Pertanto, ho voluto utilizzare un altro termine, per rifiutare questa appropriazione indebita.

La Bibbia riporta sì il nome di Dio, ma c'è un problema. In Ebraico si scrivono solo le consonanti, lasciando le vocali alla lettura: ma se una parola non viene pronunciata per secoli, la corretta pronuncia fatalmente si perde! Ora, il dio della Bibbia è indicato solo con le quattro lettere YHWH, il cosiddetto “Tetragrammaton”: come pronunciarle?

Ho trovato di recente un'interessante interpretazione di due biblisti “indipendenti” spagnoli, Yahusef e Miryam Benshalom della Asociación La Vía, autori di una traduzione del Nuovo Testamento, le cui parole riporto di seguito:

“Inoltre, per il rispetto dovuto a Dio e con il desiderio di seguire l'esempio di Gesù, che secondo il Vangelo di Giovanni, disse: “Ho dato a conoscere il tuo nome...e lo darò a conoscere”, abbiamo voluto mettere nel testo il nome di Dio, il Tetragrammaton, rifiutando di seguire l'usanza di sostituirlo sistematicamente con le parole Signore e Dio. Pertanto, abbiamo trascritto le quattro consonanti ebraiche del nome di Dio: YHWH, lì dove si trovava in origine nelle Scritture Ebraiche, e lo abbiamo inserito anche nelle Scritture Cristiane, quando in esse si fa riferimento ad esso o si citano passi delle Scritture Ebraiche che lo contengono.

Nel trascriverlo non abbiamo voluto usare letture del tetragrammaton come quella di Geova (YeHoWàH), parola che probabilmente intercala le vocali di 'Elhoà' (Dio) tra le quattro consonanti del Tetragrammaton, o come quella di Yahweh (pron. Yahué), sicuramente basata sulla pronuncia che Teodoreto attribuì ai Samaritani (Quaest. XV), dato che ci sono molte prove a favore del fatto che il Tetragrammaton deve pronunciarsi YAHÙH.

Pertanto è così che lo abbiamo trascritto, basandoci sulla pronuncia che si conserva in antichi nomi teofori (nomi ebraici che contengono il Tetragrammaton), come Yahùhsua, che significa 'Yahùh salva', o Yahùhkino, che significa 'Yahùh dia forza' [l'autore stesso si chiama Yahusef, 'dono di Yahùh']. Questa pronuncia coincide anche con quella che risulta dalla lettura di nomi teofori che si trovano in alcune tavolette assiro-babilonesi, registrati in scrittura cuneiforme con alfabeto sillabico.

D'altra parte, quando nel secondo secolo della nostra era, Clemente Alessandrino tradusse il Tetragrammaton dall'Ebraico al Greco, lo trascrisse IAOU, che si legge Yahùh, perché il dittongo OU si legge U (Stremata V, 6, 34). Ed anche alcuni storici moderni, come il Cardinale Giuseppe Ricciotti ('Storia di Israele'), appoggiandosi alle prove disponibili, concordano con questa pronuncia”.

Non so quanto dare credito ai Benshalom, ma c'è una cosa che mi ha divertito. Se trascriviamo “Yahùh” in inglese, otteniamo “Yahoo”: il che getta tutta un'altra luce su come l'omonimo motore di ricerca riesca ad ottenere così tante informazioni. “Yahoo è onnisciente” acquista un altro significato...Inoltre, bastardo dentro come sono, non riesco a non pensare agli Yahoo della quarta parte dei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. Pertanto, in questo lavoro il dio della Bibbia si chiama “Yahoo”: e se qualcuno non è d'accordo, può sempre scaricarsi queste pagine e correggerle come più gli aggrada. Io firmo il lavoro, io decido cosa metterci, ed io mi prendo la responsabilità.

Quale Bibbia?

Quale Bibbia utilizzare? In primis, questo lavoro si incentra sulle guerre condotte dal popolo di Israele contro i suoi nemici: ne consegue che si limita ad un'analisi dell'Antico Testamento.

Ovviamente, dato che io l'ebraico non lo parlo, ho utilizzato per forza delle traduzioni. Il problema è: quali traduzioni?

La Chiesa Cattolica, nella sua storia, ne ha usate tre. La prima, la Bibbia dei Settanta, fu utilizzata dalle origini fino al quarto secolo. Si trattava di una traduzione dell'Antico Testamento ad uso degli Ebrei di lingua greca del mondo ellenistico: le citazioni bibliche presenti nel Nuovo testamento sono tratte da questa versione. Ed è da questa versione greca che derivano molti termini ancora utilizzati oggi per indicare i libri biblici, tra cui lo stesso termine “Bibbia”, libro:

“Pentateuco” = cinque rotoli, ovvero la Torah, i primi cinque libri della Bibbia
“Genesi” = nascita
“Esodo” = via d'uscita
“Levitico” = (libro) di Levi, ossia dei sacerdoti
“Deuteronomio” = seconda legge
“Ecclesiaste” = colui che partecipa all'assemblea
“Vangelo” = buona notizia

Questa traduzione era però molto imprecisa: pertanto, alla fine del IV secolo fu portata a termine, grazie a Gerolamo, una “nuovissima versione dai testi originali”, in Latino: è la Vulgata, che fu la Bibbia ufficiale fino a circa il Concilio Vaticano II.

Lo scisma luterano però, con il suo concetto di base secondo cui l'interpretazione della Bibbia è lasciata ad ogni singolo fedele, portò alla creazione di una miriade di traduzioni nelle diverse lingue (una fu curata da Erasmo da Rotterdam nel XVI secolo; nel XVII Re Giacomo d'Inghilterra commissionò una apposita traduzione in inglese, la “Standard Version” o “Bibbia di Re Giacomo”, che ancora oggi è utilizzata tal quale dai Fondamentalisti americani, e, nella versione rivista, dagli Anglicani ed affini). L'afflato ecumenico del Vaticano II portò pertanto alla creazione di una apposita commissione interconfessionale, la “Associazione Biblica Universale”, che giunse ad una traduzione nota appunto come “interconfessionale” che è oggi quella più diffusa nel mondo cattolico, e che presenta però il difetto di essere più poetica che esatta.

Per fortuna nostra, nell'atmosfera ingenua che, in seguito al Vaticano II, attraversò per circa quindici anni la Chiesa Cattolica, questa curò la realizzazione di una “nuovissima versione dai testi originali”, pubblicata prima a fascicoli, poi in volume dalle Edizioni Paoline, con tutti i necessari imprimatur. Questa versione “si caratterizza per la sua aderenza al testo originale – anche con le relative asperità, a volte”. Esattamente quello che cercavamo per questo lavoro. Le citazioni riportate nei capitoli successivi, nonché la trama generale e le considerazioni, sono riferite dunque a questa edizione.


Indice
1. Mosè