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12 / 28 giugno 2003
Testimonianze in sagome
Personale di Giuseppe Di Franco

 

ROSARIO PINTO
Prospettive artistiche della creatività di Giuseppe Di Franco

L’accostamento al mondo dell’arte è il prodotto di una scelta personale che Giuseppe Di Franco compie in età molto giovane, continuando, via-via nel tempo, a nutrire il proprio processo di formazione ed acquisendo più profonde esperienze specifiche.
A dar conferma a tutto ciò, basterà osservare la datazione delle prime opere ad olio del 1955, la frequenza del Corso di Nudo all’Accademia di Belle Arti di Napoli negli anni Settanta, la pratica dell’Arteterapia che conduce, nella qualità di medico-artista, presso il presidio scolastico-ospedaliero dell’Ospedale Cardarelli di Napoli.

La lunga serie di mostre personali, meglio dettagliata inappendice, giunge a fornire la testimonianza, infine, d’una continuità di impegno cui, tra l’altro, la critica non ha mancato di prestare la sua attenzione. Detto questo, però, rimane ancora da interrogarsi sul senso e sulle ragioni del suo intervento, scandagliandone i nessi logici ed i rapporti esemplaristici nel contesto della produzione artistica del secondo dopoguerra, per cogliere i motivi di continuità o di frattura con alcune linee di ricerca che sembrerebbero formare l’alveo normativo, in punto di discrimine stilistico, cui può essere ragionevole ricondurre, per gli aspetti formali, l’orientamento del Nostro.
C’è chi, in sede di disamina critica, come Pasquale Mancini, ha messo in evidenza una sensibilità surreale in Di Franco, valorizzando l’interesse umanistico del pittore come "ricapitolazione e specchio dell’universo" che si offre ad una creazione "ricca di pulsioni che vanno oltre il rappresentato".

Il giudizio di Mancini è su un’opera particolare di Di Franco, che mostra un interno di metrò, ma può essere allargato all’intera opera dell’artista avvertendo, però, che quell’esigenza proiettiva di andare "oltre il rappresentato" non si limita ad una manifestazione d’una mera disposizione individuale onirica, ma si concentra anche in una apparente contraddittoria selezione espressionistica che va ad analizzare con capacità di sintesi abbruciata non solo ciò che va "oltre" il rappresentato, ma, forse soprattutto, ciò che, attraverso il dato estetico della sua rappresentazione, intende fornire una lettura senza compromessi dell’oggetto storico.

E di questo, per esigenza di profonda moralità creativa, evidentemente, Di Franco non può esimersi di rappresentare il dato stridente, contraddittorio, lacerante, secondo una cadenza metastoricamente espressionistica. Ecco perché, curiosamente, questo artista si presenta apparentemente difficile da ripiegare ordinatamente nel contesto d’una formula: poiché questa convergenza di modi surreali ed espressionistici rimanderebbe più ad una contraddizione in termini che ad una possibilità di sintesi.
La sintesi, in realtà, tuttavia, si manifesta ed è espressa, nell’opera di Di Franco, sostanzialmente da un’esigenza etica, che è quella che sostiene il profilo culturale del Nostro e lo nutre attraverso la progressiva maturazione di importanti esperienze sapienziali che lo accostano alla meditazione trascendentale ed alle dottrine orientali soteriologiche e della conoscenza.

Nell’opera di Di Franco, insomma, è articolata e complessa la lettura del profilo figurativo di cui rimane pendolante l’assetto tra dinamiche simboliche ed approfondimenti segnici.
Sulla scorta di tali convincimenti, l’adesione di Giuseppe Di Franco al movimento dell’ "Esasperatismo", promosso da Adolfo Giuliani, si motiva non solo nelle ragioni logiche ed etiche che lo presiedono, ma anche nelle sensibilità estetiche che trovano nella simbologia del "bidone" – emblema ed icona del tema concettuale dell’esasperazione della vita sociale e delle tensioni intellettuali che si scatenano nel contesto post-industriale – la metafora delle contraddizioni della contemporaneità.

Non si può negare che questo difficile connubio, questa storia impossibile segnico/simbolica rappresentino una avventura artistica intrigante, ove il punto di equilibrio è delicatissimo e la materia sembra sempre a rischio di sfaldarsi o di sfarinarsi in un racconto di cronaca quotidiana.
Ma proprio tale avvertita coscienza di rischio è ciò che affascina l’artista e lo costringe a cercare percorsi sempre più periclitanti ed impervi, e Di Franco non ha mancato, nei tempi più recenti, di dare corpo e sostanza alla sua personale lettura del mondo.
In proposito, ad esempio, potrà essere utile soffermarsi sulle prove pregnanti e convincenti fornite nel contesto della sua mostra "Umanesimo e Tecnologia" tenuta nel maggio del 2002 presso la galleria "Immagine NEA" a cura di Angelo Calabrese, sottolineando, in particolare, la coniugazione operata dall’artista, "sulla scorta di un robusto patrimonio culturale, esoterico, alchemico e scientifico [e di] ragioni estetiche, filosofiche e tecnologiche".

Giova, inoltre, considerare che nella affermazione di un suo profilo unitario, in cui si coagulino le componenti pluriformi d’un sentire articolato e complesso, il Nostro guadagna altri punti mettendo a fuoco una particolare sensibilità nella direzione dell’indagine materica, andando a staccarsi con più avvertita coscienza dalle declinazioni fantastico-surreali ed acquisendo una più marcata prossimità alla cultura ‘informale’, che prende qua e là ad occhieggiare come ulteriore e più avanzata frontiera da esplorare. Né manca, in un contesto di più acuta e vigile attenzione all’oggetto, alla sua datità cosale, un uso diverso, più maturo e convincente, del prelievo di manufatti dalla realtà ambientale che Di Franco suggerisce nell’occasione di impegno dell’esposizione "Esasperatismo in sagome".
Su alcune opere, in particolare, vorremmo soffermarci in chiusura: Esasperatismo, che trasduce ogni ansito simbolico, infine, in traccia materica e Carlo Giuliani-ragazzo, ove i toni d’una apparente esemplarismo rauschenberghiano (il cappello a visiera lunga, la camicia-jeans, la cornice, le scritte) non devono trarre in inganno rispetto a ciò che ci piace immaginare come una sorta di svolta che il Nostro prende ad intavolare, e non certamente verso i territori del "pop" (sia pure in chiave rauschenberghiana e non warholiana), ma verso gli orizzonti dell’analisi timbrico-segnico-materica.

Le opere in esposizione: