Esasperatismo
a Napoli.
Dentro e fuori le mura.
di Clementina Gily
Esasperatismo a Napoli
Dentro e fuori le mura è una mostra in cui il commentatore guadagna ad essere
più un professionista di estetica che di storia dellarte, perché Di Franco è un
artista che molto pensa e scrive sul suo lavoro. Tutti gli artisti compongono sulla base
di una poetica, che solo alcuni scrivono - e così facendo aiutano a correggere le teorie
sullarte, che a lungo sono state troppo attente al sentimento ed alla carica
irrazionale. Certo, dal 700 almeno la filosofia riconosce la componente conoscitiva
dellarte, ma limpeto del sapere fantastico, come diceva Vico, sconcerta il
filosofo, lo induce più allentusiasmo che allanalisi, proprio perché tende
ad esagerare pensando al rigore e alla misura della logica. Tuttoggi e lo
mostrano le poetiche di Van Gogh, di Degas, di Klee, le estetiche di Anceschi e di Trione
sono perciò gli artisti le guide più affidabili del cammino dellestetica,
anche se le filosofie dellarte sono il fondamento e linquadramento del
problema e un artista sa che la cornice e il quadro sono la via stessa della luce.
Le poetiche tolgono limpressione più nociva ad intendere
lopera darte, che è lidea dellimmediatezza dellimmagine,
che essa si capisca al primo sguardo. Questa idea sbagliata non è un frainteso che deriva
da quella tanto criticata teoria del genio (che è recente e piuttosto ne deriva) ma
proprio dalla natura dellimmagine. Sembra prodotta di getto, se è riuscita; il suo
scopo è di connettere frammenti non rigorosamente relati, costruendo un ordine
apparentemente casuale che dimostri coerenza. Se il lavoro è andato a segno, ne risulta
una esperienza, e di qui viene limpressione di immediatezza: che è falsa, perché
al primo sguardo lopera darte si riconosce, ma non si capisce. Simile unità
è di tutte le immagini, in parole e in figura dicono la melodia del concetto, la perla di
vetro che agglomera coriandoli Epicuro avrebbe detto che il vaglio indirizza gli
atomi per peso nella stessa direzione costruendo corpi; concretamente, è la
professionalità dellordine fantastico, la sapienza/esercizio della mano a compiere
lopera. Cosi, laboriosamente dotata di forma, solo allora limmagine splende.
Il mistero, cioè il punto dove si ferma la conoscenza e si apre il
silenzio, è appena oltre. Ma quel che è in vista provoca compiacimento, dice Kant. Come
lattimo di Goethe è il - fermati, sei bello che istituisce
lopera per chi la guarda; ma in verità anche per lartista che la fa. Infatti,
quando racconta la sua creazione, sempre lartista sottolinea limportanza del
fare quotidiano, della messa in forma, della ginnastica della mente che è conoscenza
estetica e piacere del riconoscimento. Come una vita, come una scultura, pezzo dopo pezzo,
lopera assembla il puzzle nella luce.
Esasperatismo a Napoli comprende una serie di pittosculture, dette così
per il carattere composito dei colori, che in realtà solo in parte sono tali. Sono anche
materiali assemblati alla stessa chiave armonica di lettura, che si relazionano al resto
donando spessori scultorei. La maggiore ricchezza del colore e della proposizione non
copre la confusione di materiali ma scopre lordine in sordina., la linea unitaria
cui tutti si tengono. Mentre spesso accade che linteresse materico prenda la mano e
linterrogazione dellartista sia dominata dal materiale, qui resta protagonista
la luce; piega materie e colore a dire il paesaggio della mente, sino alla nascita,
segnata dallimposizione del nome quando, cioè, si prende coscienza
dellaccaduto.
Peppe Di Franco è medico e grande lettore; le brochure delle sue mostre sono piene di
riflessioni che portano la discussione su livelli di analisi culturale, più che di
poetica. Molto meditata, molto preparata, rispetta meno di altri artisti la necessaria
inconsapevolezza del percorso; eppure, anche in lui, il nome segue lattività
fabbrile, in quanto trae le conseguenze del lavoro compiuto.
Come medico, si è dedicato allarte nei momenti di pausa; ma
contrariamente ad altri non ha custodito il suo spazio di libertà, ed è diventato
esperto in arteterapia; perciò, ha coniugato cura e conoscenza dellinfinito.
Qui va visto il motivo per cui tanto ragionare non è sfociato nellintellettualismo
di chi non trova la speranza, o la forma, ma invece è confluito nella partecipazione
umana e sociale. La sapienza della mano ha così appreso a seguire la mente, per scrivere
simboli che traducano concetti in immagini. Giordano Bruno, maestro di
questattività, vide la figura ben riuscita eguale al concetto vero: dice un solo
punto, ed è chiave di volta. Passione e sapere sono il conoscere dellarte.
Facile capire così la pronta adesione al movimento dellESASPERATISMO lanciato nel
2000 da Adolfo Giuliani, che ha modellato il suo medium nella realtà di un bidone di
scarto, spostato dai commessi da un negozio allaltro per evitare i parcheggi abusivi
durante i lavori della metropolitana di Napoli. Gli accadde perciò di assurgere a
testimone muto, orgoglioso del suo riuso, partecipe della vita della città, della sua
speranza, della sua inettitudine, della sua operosità. Medium che Giuliani stesso per
primo ha interpretato laccandolo rosso e nero, i colori del vulcano, e da Napoli ha
lanciato limmagine oltre i confini regionali e nazionali, allestendo mostre di
qualità e di ottima partecipazione.
Il bidone è un athanor, dice Di Franco, uno spazio esoterico. Perciò
come molti spazi esoterici sta completamente nascosto nel quotidiano, pur restando carico
del suo mistero oscuro. Lanimismo magico lo carica di voluttà di essere e celarsi,
di sembrare dimenticato e ricco di un intero protagonismo di sensi. In questa sua veste
straordinaria, il medium si è prestato ad ogni versione, solida, pittorica, onirica, di
denuncia, mitica, esistenziale, restando sempre testimonianza di uno strazio.
Avere un bidone non è una cosa gradita. Ci si può mettere la polvere delle stelle,
bidone resta. Ma prendere dalle stelle silenzio e voce è transustanziare: ed ecco
lelegante trasformazione, la nascita del nome che nobilita la rabbia in
indignazione, in pacata pretesa di rispetto, in cocciuta persistenza nellingombro,
in un sit in gandhiano.
Il termine ESASPERATISMO, inesistente, ha il potere magico del Verbo, di trasformare
lesasperazione da traffico con gesticolo in categoria dello spirito. La
sostantivazione dellaggettivo eleva lara al Dio Sconosciuto, pone la giusta
ribellione del napoletano sempre piena di umorismo e poesia - contro la città
ostile. Su di essa occorre immolare il sacrificio per sublimare loffesa in nuova
vita il bidone è un capro, non una vittima ma un simbolo, che proprio perciò nel
tempo ricorda come non vi sia trapasso senza aver toccato il fondo per risalire
digrignando i denti a sbranare la mattina.
Non era alle sue prime esperienze estetiche Di Franco quando nel 2000 nasceva
lESASPERATISMO. Nel suo percorso era già facile vedere prender corpo una matura e
cocciuta partecipazione, che la collana attuale, ora in mostra, indica. Gli elementi
compositivi si sono complicati in successive esperienze; dopo il disegno e la pittura già
con il collage iniziava la frammentazione alchemica, indirizzata al nuovo mondo. Non si
può vivere oggi senza avvertire la rivoluzione epocale del mondo della tecnica, che entra
nelle case, nelle tasche, nella mente. Il futurista ha sentito giusto un secolo fa lo
tsunami sin dal primo apparire. Ma poi tutti gli artisti hanno modulato il
disorientamento, indirizzato il passo alla nuova misura, fatto i conti con la tradizione
risistemandola. Il collage e tutte le esperienze affini meditano la necessità della
decostruzione e deframmentazione, come direbbe Derrida, del nuovo spazio e del nuovo tempo
che ricompone diversamente i testi senza alterarne le parti; ridando al puzzle il
dettaglio ben detto ma senza sintesi perché sia il libero accostamento a indicare un
altro senso. Una lunga stagione dedicata a questo compito, nel collage e nel disegno di
collage, ha portato Di Franco a risultati di armonia, poi complicata dalla
tridimensionalità, dallirruzione della materia nella pittoscultura.
Ma se la modernità è frammento, è anche macchina, come mostra la collana Opus, dove una
serie di macchinari ricordano che se lorganismo si compone sempre di pezzi, così la
macchina; è la funzione che fa unità, sono simili i tempi di apertura e chiusura, di
passaggio fluido, di fine che supera le parti. Nella catena dei dettagli è la chiave
dellintero, ma solo il senso supera i fini particolari e ricompone lo sfondo
connettivo, il fine. Perciò, a fianco alle macchine Di Franco pone simboli; nella
brochure della mostra ne fa un indice, solo parzialmente tradizionale. Macchine
dimitazione, macchine per sapere, per abitare, per vivere; macchine del tempo,
infine, per regolare landare dei momenti della solitudine, delle ore che si dipanano
luna dallaltra e si affastellano raccontando le estasi degli istanti, il tempo
non -tempo delle stagioni che influenzano ogni cellula e ogni sentire e volere. Estasi che
danno forma a simboli scritti con una ventata di attenzione.
In questo percorso il bidone si presenta come il simbolo vivo, forse perché una delle
caratteristiche del simbolo è appunto la condivisione. Il simbolo riconosciuto diventa
fil rouge di successive evoluzioni, tante volte laccato si fa poi disegno che riassorbe la
materia nel colore ma sempre indica lo spazio dove tutto nasce e tutto torna. Sono
diverse le collane di opere presentate, ed hanno una sorta di principio e fine, anche se
le tappe sinanellano come nel gioco delloca, non si va sempre avanti; ma
quando la collana è compiuta, però, si sa che la via è finita e va oltrepassata. Anche
in un artista così propenso allapprofondimento intellettuale, il work in progress
cambia pagina da solo, forse malvolentieri.
In questa mostra, pare sia questa la consapevolezza che emerge. Si prende atto
dellalternarsi delle fasi di presenza e di silenzio in un percorso finito,
dellevoluzione dotata di senso e di decorso; come in ogni labirinto, cè una
via segnata, ma poi ci sono mille intersezioni e nuove creazioni. La coscienza della
collana compone le unità in un intero, e val la pena di chiamarle stazioni perché
il nome è suggestivo, indica come il quadro sia una pausa di meditazione ed un punto di
partenza e di ritorno. È la riflessione dellartista sulla città offesa, questa
Napoli che si fa amare ma che soffre di malanni insanabili. Sinora: la speranza è sempre
dura a morire, quando si ama.
LESASPERATISMO nacque in anni di fermento e speranza, il rinnovamento pareva vicino.
Tante cose poi sono successe. Il bidone può ancora fare da medium, perché nel suo riuso
di simbolo laccato, è assiso con tutti gli onori ad osservare gli eventi. Lathanor
ribolle della speranza in un futuro diverso e inizia il percorso, che così descrive
lautore
Esasperatismo a Napoli è il nome dellopera esposta a Castel dellOvo nel
novembre 2007 per la seconda mostra internazionale dellEsasperatismo: una
pittoscultura su tela che descrive uno spaccato degli agglomerati-palazzi napoletani
antichi e tuttora in uso, edifici dormitorio e degradati. I colori sono il giallo-napoli,
il colore sulfureo del tufo napoletano e delle mura greche e il rosso pompeiano,il cinabro
mercuriale, delle sinopie e della parete pompeiana a indicare lorigine greco-romana
della città. Le finestre a occhio stanno a indicare il sole nero, la nottata
di Eduardo, e il sole giallo simbolo di un possibile riscatto. Lesasperazione è
nelle grondaie e nei panni stesi insanguinati, la speranza è nella canorità dello
strumento musicale a forma di lira inserito nel centro della struttura.
Esasperatismo giallo-napoli e Esasperatismo underground significano rispettivamente le
finestre barocche inginocchiate dei palazzi nobiliari del 600 napoletano coronate da
timpano e sovente incorniciate da decorazioni zoomorfe , e il sottosuolo misterioso e
perturbante della città.
Paesaggio urbano vuole essere una rappresentazione di unarea degradata,un angiporto
della città dove interni ed esterni interagiscono sullo stesso piano e un bidone corroso
dal tempo emerge a sentinella.
Introitus allude alle porte, alle soglie, ai guardiani, limite iniziatico per coloro che
anelano a nuovi saperi.
Edicola, incastonata come la precedente in unantica finestra del settecento
napoletano. rimanda alle edicole votive napoletane, sparse un poco dappertutto nella
città dove convivono sacro e profano, paganesimo e cristianesimo.
Matrice sta per mater a indicare lorigine, lo stampo da cui scaturiscono i bidoni
contenitori della vita.
Interno è lo spazio interiore, teatro della scena pittorica, luogo dellopus dove il
fare alchemico trasmuta il logo in luogo.
Sinopia è il colore dellocra rossa usato dagli antichi per i disegni preparatori di
affreschi, a indicare il sottostante, il supporto di stratificazioni successive sfaldate
dal tempo.
Insegna araldica è ciò che resta delle antiche insegne nobiliari sostituite dal segno
del bidone.
Bidone alla finestra è lapertura destinata a dare nuova luce allinteriorità,
finestra che si apre al sole, a nuova speranza di vita.
Palazzetto giallo e Palazzetto rosso raccontano le vestigia di una città nobilissima, ora
in degrado, in perenne attesa di uno scatto di orgogliosa rinascita.
Si comincia dallimpressione dolente delle finestre insanguinate e della volontà di
canto, la lira di traverso. Entrambe linee guida rosse rosse una speranza ferita
deriva dal panorama: ma le case hanno scale, occhi, sorgenti la speranza cè,
ma forse è più voluta che creduta. Ma è sempre una boccata daria. E allora si
passeggia con un minimo di spensieratezza, si guardano quei particolari che nei paesi
antichi sono sovrapposizioni dere: le balconate panciute, delizia dei bambini e dei
cani che da esse si sporgono su quel che cè sotto; a guardarle di fuori, formano un
caleidoscopio da cui sintravede quel che cè dietro formando figure
improbabili dai colori smorzati: Giallo-napoli e Undergroung, uno giallo, uno rosso, sono
il vagare della mente del flanêur che va nei Passages, ma senza malinconia.
Il nuovo Paesaggio urbano immette di nuovo la sveglia e dissipa limmaginario, mostra
con un rosso vivo, intersecato di scuro, una casa perduta che reca ancora le tracce della
vita. Dalla finestra a telaio trapelano ombre di gioco, dallaltra parte compare il
bidone, il simbolo del rispetto che pretende attenzione. Mentre si camminava così tanto
per fare, si cercavano emozioni nei ricordi delle architetture; dun tratto si sa che
si è già su di un nuovo cammino. Il drammatico rosso riporta alla domanda su una città
che sa mescolare indignazione e memoria perenne daffetto.
Introitus ed Edicola iniziano perciò un discorso pendolare, frutto della coscienza
raggiunta: è quella che
Bruno chiama la magia del due, il ragionare correggendosi e protendendosi. Introitus,
nelle tinte dellocra., ha chiara al centro una sagoma umana - il bidone è il suo
cuore - che si avvia in una grotta che sembra Cuma: va allinterrogazione
delloracolo. Antropomorfe, le rocce sbozzano elementi che accompagnano da presso e
suggellano il cammino delluomo macchina in cerca come per sostenerlo, perché
la trasformazione che si vuole non è quella del questuante, che si fa carico
dellinterrogazione. È la città che preoccupa il pellegrino, e la roccia calda di
terra gli si stringe intorno a tenerlo saldo.
E infatti per laltra stazione, Edicola, ecco spuntare da un rigattiere una antica
porta settecentesca, un legno su cui dipingere con reverenza, il ringraziamento per
laiuto donato, dove le figure che animano il silenzio sono le tante religioni, di
cui parlano le chiese barocche e i monasteri, i cui nomi echeggiano a Natale quando girano
i dolci che ne portano il nome, insieme con i segni arcaici che in tutta Italia si
intrinsecano con semplicità agli altri; al tempio dei Dioscuri nellantico Foro
risponde il complesso di San Lorenzo con le sue chiese cattoliche, lasciandogli le sue
colonne romane. Come distinguere le anime morte delle Fontanelle dalla Trasfigurazione
gloriosa entrambe nella diversità coscienza comune del silenzio e
dellispirazione, della speranza di superare le contrarietà per volare al mare.
Napoli ha potuto moltissimo, contando spesso più sul gancio nel cielo che sul denaro
contante. Nelle due immagini il bidone è giallo, per trasmutare subito nella seguente,
Matrice, che apre il nuovo rintocco del pendolo. Si presenta come una litania urlata per
dare impulso alla determinazione a vedere, cui occorre coraggio, e poi serenità del
riflettere e infatti il bidone è di nuovo giallo in Interno. Dalla volontà di
vedere alla necessità di andare, si compie il pellegrinaggio che si interroga su cosa
può andare oltre le nubi e far tornare il sole che cè. Basta lasciare il tempo,
quando si è compreso un problema, il silenzio fa emergere che la soluzione è la Sinopia,
qualcosa cioè che sappia fare da base di affresco, senza pretendere il protagonismo.
Collegare, tessere, spianare, sono le basi per costruire nuove chiese su quelle perse. La
fretta, la pretesa di alcuni di emergere subito sono queste le tare. La sinopia
crea il fondo, modella il quadro, mescola insieme rosso e giallo senza definire, affida
alla forza di ordine e non ordina solo qui cè la nuova possibilità, nella
solidarietà, nel prendersi cura dellintero. Un colore che domina senza senso, è
una macchia.
La civilizzazione antica si presenta come burla, disprezzo di sé, faciloneria e core;
immagine ormai distrutta da tanti nemici occulti ed emersi, ed anche consunta dal tempo.
Ma sono tante le anime della civiltà, lo dicono le architetture - linnovazione può
anche non essere nuova tecnologia ma liberazione autonoma, presa di coscienza del valore
comune oggi, come lo sentono tutti i napoletani. Di Franco arriva così al centro, al
bisogno di riappropriarsi del sé, soprattutto evitando di diffidare o svalutare il potere
dellimmaginifico. I napoletani criticano i napoletani mettendosi fuori dal mucchio o
espatriando. Il bidone è un medium adeguato anche per questo: la povertà rimproverata
come colpa è una ricchezza ma non è facile capirlo e farlo capire. Sa chi
lintende che è una spinta alla comprensione, una volontà costruttiva che se non
trova le autostrade del potere ne disegna altre.
Bisogna mostrare questa verità, così che chi vuole possa identificarsi in una idea in
cui la fantasia, il mito di Virgilio, la favola con cui si vive il rapporto con la morte e
con i morti, non siano chiacchiere e nemmeno tabacchiere di legno di nessun valore. Sono
una ricchezza ed una risorsa, se solo si impara ad usarle. Si può avere istinto
artistico, ma se non si conoscono i colori non si diventa pittore. Si improvvisa una
caricatura deffetto, uno schizzo, ma le professioni della fantasia si imparano con
difficoltà, non ci sono impiegati, occorre accettare di lavorare per nulla: ma Andy
Wahrol e Umberto Eco dimostrano quanto rende.
Per attuare questa consapevolezza, Di Franco crea un blasone. Insegna araldica ricorda la
nobiltà della città dei Croce, dei Nicola Amore, dei De Nicola, delle tante famiglie
aristocratiche dalle abitazioni regali. Lo stemma echeggia quelli che si vedono sui
portoni. Ridisegna in corpo nuovo lo stile della porta settecentesca, delimita il campo
con precisione, in giallo e rosso disegna simboli, un cuore - grappolo duva e sotto,
a raccogliere il distillato, il bidone. Lo spirito guida del riuso, della decostruzione e
deframmentazione, della fantasia al potere. Quindi esibisce Bidone alla finestra nel suo
trionfo rosso nel giallo e dà finalmente il senso diverso al colore del rosso, che
non è più sangue ma festa e vino. La presenza ed il protagonismo spetta infine al
bidone, assiso nella luce, con la grandezza ritrovata che motiva il coraggio e la lotta
allinvasore. Tanti ne ha seppelliti la città, pur senza mai vincere, divisa tra
troppo grandi e troppo piccoli da un potere che trova più comodo evitare il confronto. Le
due città di Napoli derivano da questo la loro eternità, chi prende il potere si asside
nello stesso errore che si elimina invece solo dallalto. Ma non divaghiamo.
Lartista non dà soluzioni, il suo compito è il simbolo, la musica del concetto.
Lha argomentata nel pellegrinaggio, la illustra nella fine: la coppia di Palazzetto
giallo e Palazzetto rosso non disegna architettura ma colori e musiche: di qui si
comincia. Due piedi uno più avanti dellaltro, ma poi il secondo diventa primo: il
giallo inquadra il bidone dovè una sorta di salamandra, che non brucia nel fuoco,
che arde solo dentro il bidone. Tempra le sue forze, per uscire allo scoperto nel
palazzetto rosso, dove si fa serpente piumato e luminoso, che ha lasciato nel bidone un
fiore con tracce di luce. Grazie al lento arrostimento, è forte, è il segno di vita nel
quadro tutto rosso e configurato come palcoscenico, in cui può infine muoversi bene,
mentre il bidone prepara nuove risorse.
Concludendo, non solo si è raggiunta in questa collana la consapevolezza del processo,
del binario da seguire, già prima di arrivare alla fine. Ma va anche detto che il bidone
ha acquisito ben più del valore di semplice recipiente; Di Franco dice sin
dallinizio che è un athanor, ma solo ora acquista quel ruolo di matrice che
consente il nome, e che porta sempre alla sovrapposizione di questi simboli al femminino
perché solo ora ha davvero avuto in gestazione e partorito una nascita. Si è
svelato nella sua forza di produrre forza, di non essere solo sostrato di altrui
creatività, ha mostrato il suo proprio ruolo.
E allora andiamo un attimo fuor di metafora: lestetica la vince sullimmagine
in chi scrive. Il silenzio, la meditazione, la riflessione, tutte simboleggiate dal
femminino, la grande Madre, lathanor e quantaltro, indicano che la chiave di
volta è la capacità di creare un senso nuovo alla città ed alle sue manie grandi e
piccole; e che la forza di farlo sta nella solidarietà e non nel potere sfrenato, nelle
regole civili da stabilire e rispettare. Come si vede, la verità razionale è secca, poco
poetica, nulla a che vedere col rutilante procedere dei colori e delle materie. Ma questo
è il fascino dellestetica, saper estrarre una melodia pulita da una marea di
arabeschi, di fughe, di affollamenti di note che innalzano il sentimento sempre più su.
Ma sulla cima, è come su di una vetta. Solo pace ed ordine sono intorno. E la parola
chiara fa capire tante cose che solo le immagini imprimono nella mente, facendosi amare.
Clementina Gily, docente di Estetica-Educazione allimmagine. Università
Federico II dir. OSCOM
Dip.Filosofia
|
CENTRO D'ARTE E CULTURA
«IL BIDONE»
Via Salvator Rosa 159
Orario: 16.30 - 19.30
sabato e domenica chiuso
|