SARDO-ILLIRICA

 


ILLIRIA: LA SARDEGNA COME NON L'AVETE MAI LETTA


                                     

 di Alberto Areddu     

                                                                   

 


Anzitutto un Benvenuto a tutti a questo nuovo sito, il cui fine principale è rendere giustizia (un po' tardiva) a una tesi che campeggiò nell'indoeuropeistica della prima metà del passato secolo, e che sfiorò marginalmente il territorio qui invece considerato. La tesi espressa fondamentalmente da due grandi geni degli studi indoeuropeistici del tempo (Julius Pokorny e Hans Krahe) era che i primi indoeuropei a penetrare sul suolo europeo occidentale fondamentalmente anario, erano stati gli Illiri (gli antenati degli odierni Albanesi), che mossisi dalla cultura centreuropea di Halsttatt avrebbero lasciato tracce indelebili del loro passaggio nella toponomastica (e anche nel lessico) di paesi successivamente popolati da altre componenti indoeuropee come Celti e Germani. La tesi poi riveduta e in parte corretta (il Krahe iniziò a parlare di "paleoeuropeo") vide nel caleidoscopio di ricerca preistorico anche, sullo sfondo, l'isola di Sardegna.

In quel periodo tuttavia osteggiò fortemente quella tesi la scuola italiana costituita spesso da grandi baroni del nulla retroattivo: laddove costoro trovassero qualcosa che poco confaceva all'idea di indoeuropeo e sospettosi che molto fosse sopravissuto delle lingue precedenti l'espansione degli Indeuropei nel bacino del Mediterraneo, costoro insorgevano per reclamare  una diversa interpretazione a lessemi e toponimi (almeno del bacino geografico di loro competenza) che rimandavano peraltro a concetti molto vaghi e ripetuti (valanghe di 'pietra', 'monte' 'acqua' ecc.), a una fonetica scialba e monocorde (basata fondamentalmente sulla macroscopica ricorsività della vocale a), a un manicheismo anti-indoeuropeo, basato al fondo sulle idee protorazziste del Sergi secondo cui la "razza mediterranea", sortita dalle brume africane,  sarebbe stata il nucleo fondante della civiltà. Si giunse persino a considerare paradossalmente come anari gli stessi Illiri, o al limite come dei mediterranei parzialmente indogermanizzati. Grandi tenutari di questa idea erano studiosi, tuttora validi per altri meriti e per la loro competenza, quali Carlo Tagliavini, Giovanni Alessio, Carlo Battisti, Vittorio Bertoldi, Francesco Ribezzo: saremmo altrettanto manichei noi, a sostenere che in qualche caso non ci avessero preso, ma in molti casi la loro visuale era distorta dal partito preso e dalla difesa di interessi consolidati (la loro scuola veniva cronologicamente un po' prima di quella "illirista"). Va detto che ci fu anche qualcuno, come Giuliano Bonfante, che in Italia all'idea illirista credette ma, forse per le sue manie grafiche, poco veniva ascoltato...

Oggi la discussione sembra tramontata, come gran parte delle polemiche imperniate sulla linguistica storica, che da qualche decennio pare esser stata messa in soffitta, per un'attenzione alla lingua viva e quindi agli aspetti sintattici del parlato. L'ansia comparativistica si è spostata sui macrosistemi linguistici (come se tutto all'interno dei raggruppamenti tradizionali sia stato ormai chiarito), e a poco paiono servire le grida anti-mediterraneiste della scuola del Prof. Alinei che, mescidando ricerca archeologica e pericolosi husteron proteron etimologici, cerca di ridare nuovo vigore all'idea indoeuropeistica.  La ricerca-se così vogliamo definirla- sulle Origini, nel caso sardo poi, è stata di gran lunga trascurata, perché reputata impossibile (il Wagner l'affrontò di passata), oppure al massimo si è giunti alla recente certificazione del Wolf, secondo cui: il "paleosardo" è solo descrivibile (ovviamente per qualche segmento fono- e morfo- logico), giammai conoscibile nella sua profonda identità semantica e dei "realia", e sicuramente qualora lo si penetrasse, per lo studioso di Düsseldorf, nulla avrebbe a che fare con l'indeuropeo.

Se ci ho scritto invece sopra il saggio su Le origini albanesi della civiltà in Sardegna, è perché ho seguito quella pista novecentesca, che agli inizi lo stesso M.L. Wagner aveva perseguito, captando le istanze "illiriste" del tempo, ma che col proseguire dei suoi studi finì per abbandonare, anche perché in Italia lavorava... Dopo alcuni anni di ricerche credo di aver ottenuto con questo saggio, di cui in tono discorsivo troverete sul sito vari estratti, qualche apprezzabile risultato, ma molto ancora attende me e spero altri (ho la speranza, forse fallace, di poterne convincere alla bontà dell'interpretazione dei due grandi saggi citati all'inizio). Se ho invece preso degli abbagli  ho forse ancora tempo per ricredermi: cert'è che allo stato non ho rubato nulla. E ora su alla odierna copertina.

 

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