The Bowl 1958 |
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"Remammo verso il largo superando alcune onde, poi una meraviglia verde incredibilmente grande si profilò all'orizzonte con una cresta quasi perfetta. Era davvero grande, intorno ai 6 mt. "Andiamo Buzzy!" dissi e tutti e due cominciammo a remare. Quello che realmente mi piaceva di quest'onda era la sua forma appuntita, sembrava una buona occasione per divertirsi senza correre il rischio di cadere e fare una brutta nuotata. Remavo come un matto ma ancora non riuscivo a sentire la forza della presa. Buzzy era fuori dalla parte della spalla ispetto a me e non riusciva a montare sulla groppa. Capii che stavo per entrare in questa meraviglia, mi alzai in piedi e feci un paio di passi in avanti per spingere la punta della tavola giù, sopra quello che ora era un enorme cordolo d'acqua. L'onda procedeva veloce e quando cominciai a scendere pedalai indietro per riprendere la posizione e corsi giù lungo il fronte di un' autentica grande onda. |
Non mi ero guardato intorno durante gli ultimi istanti in cui avevo remato e rimasi sbalordito nel vedere che la cresta si era incurvata sul davanti e che stavo correndo dentro un'incredibile muraglia che una quarantina di metri più avanti già ricadeva nel vuoto. Era questo il famoso (e pericoloso) Makaha Bowl. L'uomo pensa in fretta nel momento del pericolo e la mia mente stava già lavorando. I riflessi del sole sulla superficie trasparente e blu la facevano assomigliare in modo impressionante alla famosa foto di Makaha di Jim Fisher, solo grande due volte tanto. "Se mi raddrizzo il tubo mi colpisce, allora posso solo approfittare della mia velocità e fare un tuffo di punta dentro la muraglia cercando di passare sotto e forse attraverso il dorso...". Fu quello che feci circa mezzo secondo dopo. Non balzai fuori in superficie ma mi infilai dentro l'onda. Non ricordo una particolare spinta dell'acqua, ricordo solo di aver colpito il fondo con i piedi come se fossi saltato giù da una finestra del secondo piano. Ero stato trascinato sopra la cresta dell'onda, sul labbro, e precipitai con lui per 9 mt e quasi non sentii nessuna resistenza dell'acqua e adesso ero spiaccicato sul fondo dell'oceano ma ancora vivo. Dovevo solo aspettare alcuni secondi che la schiuma si dissolvesse, poi mi sarei spinto fuori ed avrei nuotato verso la superficie. "Che fortuna non essere caduto di testa!". Dopo poco decisi di spingermi fuori e ci provai ma mi resi conto che non riuscivo a muovermi. Resistetti finchè potei e poi mi detti ancora una spinta ma fui ricacciato di nuovo verso il fondo. La situazione era critica ma non ero in preda al panico. Stavo perdendo i sensi ma non mi sarei lasciato andare boccheggiando. Intorno a me tutto spumeggiava e cominciai davvero a temere l'arrivo della prossima onda. Se fosse arrivata prima di riuscire a raggiungere la superficie ero spacciato! "beh, cose che capitano...". Fui preso dall'euforia, in un attimo mi passò davanti tutta la mia esistenza rendendomi conto che stavo pagando con la vita questa avventura su l'onda più grande che avessi mai cavalcato. Mi sembrò uno scambio equo. Lentamente però stavo risalendo, l'acqua si fece più leggera ma le mie braccia erano pesanti come piombo. Riuscivo appena a muovermi ma ce la feci e con gesti come al rallentatore raggiunsi la superficie: "Aria!". Il mio respiro fece trasalire Buzzy che stava poco più al largo. "Severson che ci fai qui? Ti credevo già sulla spiaggia!". Erano passati due interminabili minuti e quasi non riuscivo a parlare. Brutta caduta.... sono vivo. Mi facevano male le costole e un piede mi sanguinava. Mi avviai lentamente verso riva mentre le onde continuavano possenti. Quanto sarà stata grande quell'onda? Più di 9 mt ne sono sicuro. Anche se per poco non mi toglieva di mezzo per sempre, mi ha dato nuova vita, una sorta di indennizzo. Dopo quel giorno non mi sono sentito più a mio agio su di un frangente sopra i 6 mt, ma ho sempre goduto il momento successivo". John Severson, Makaha 13 gennaio 1958. |