Gli oceani stressati dai gas serra

La ricerca dell'acqua sul pianeta rosso dovrebbe ricordare a tutti quanto essa sia fondamentale per il nostro pianeta, la «arancia blu» di Paul Eluard, appunto. E forse non è casuale che sia Nature che Science abbiano dato spazio, la settimana scorsa, ad importanti ricerche sull'oceano. Science (5 marzo) riferisce che «il signor genoma», cioè Craig Venter, ha appena setacciato la superficie del Mar dei Sargassi a caccia di microrganismi. Nei campioni raccolti, analizzati dall'Istituto per l'Energia Biologica Alternativa del Maryland, sono stati identificati più di 1 milione e duecentomila geni ancora sconosciuti. Con questa ricerca senza precedenti, Craig Venter conferma che gli oceani hanno una ricchezza enorme anche dal punto di vista della varietà dei patrimoni genetici.

Nature (4 marzo) dà risalto a una ricerca svolta da Globec, il progetto di ricerca sulle dinamiche dell'ecosistema Oceano, che ha dimostrato che gli ecosistemi marini, specialmente nell'Atlantico del nord, sono molto più sensibili alle fluttuazioni climatiche di quanto si potesse stimare. La ricerca, presentata alla Royal Society, ha dimostrato che le variazioni di quantità, dimensioni e composizione del plancton dipendono dalle variazioni di temperatura dell'acqua e dalla forza dei venti. Dato che nella catena alimentare il fitoplancton è il primo anello, e lo zooplancton il secondo, si spiega la drastica diminuzione di aringhe e merluzzi nel Mar Baltico, a cui neanche l'interruzione dell'attività di pesca ha potuto porre rimedio. La delicata catena alimentare degli oceani è spezzata anche a livello intermedio, data la spiccata tendenza della pesca mondiale a concentrare la sua attenzione sui pesci di medie dimensioni, oggi ridotti sulla soglia dell'estinzione. L'incapacità di conciliare l'attività commerciale con l'ecologia ha contraddistinto per decenni le politiche internazionali di sfruttamento della pesca: ora Globec attende che il suo rapporto, preso in considerazione dal gabinetto del primo ministro britannico, possa essere utilizzato per definire le strategie del settore pesca per i prossimi 15-20 anni. Il dibattito è acceso, e carico di tensioni: l'organizzazione dei produttori di pesce dell'Irlanda del Nord dichiara di avere un comportamento responsabile, e sostiene sia che i pescatori non possono essere incolpati per i cambiamenti ambientali e climatici, sia che non tutti i banchi di pesce sono soggetti a calo numerico. Ma dal Centro governativo britannico per l'ambiente, la pesca e l'acquacoltura rispondono che la mortalità dei pesci, dovuta alla pesca commerciale, indipendentemente dai cambiamenti climatici, è ancora troppo alta e deve essere contenuta. Tant'è: sta di fatto che la pesca intensiva ed industrializzata, l'inquinamento, il riscaldamento globale in corso stanno sottoponendo gli oceani ad una condizione di stress che va presa urgentemente in seria considerazione. Uno studio pubblicato nel maggio 2003 su Nature stimava che i grandi pesci predatori degli oceani, dai grandi marlin dell'Atlantico tropicale ai merluzzi dei mari settentrionali, sono ridotti del 90% rispetto a cinquant'anni fa. Non c'è da stupirsi: rastrellando gli oceani con reti sempre più grandi, comprese quelle a strascico che spazzano i fondali, e utilizzando il sonar e i sistemi di posizionamento satellitari per individuare i banchi di pesce e inseguirli, stiamo causando la desertificazione di uno degli ecosistemi più ricchi e vitali della Terra.

Oggi gli scienziati del Globec lanciano un appello per uno sforzo comune atto a garantire che l'attività di pesca rimanga sul piano della ecosostenibilità e della redditività economica: potrebbe non esserci una prossima occasione, e quindi l'unica possibilità è spingere i governi a onorare la dichiarazione firmata al Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile a Johannesburg, che fa appello a restaurare gli stock di pesce entro il 2015.

GABRIELLA ZIPOLI