Professione Shaper

Intervista a Riccardo Zorzit Lapasin

In Italia esistono un numero imprecisato di shapers, perlopiù surfisti che per rimanere ancorati al mondo del surf, hanno preso a costruirsi tavole per sè e per gli amici più intimi. Per molti di questi si tratta di una passione che a volte procura anche qualche soldino in più per un buon surf trip; per altri, una minoranza, è diventato un lavoro serio ed impegnativo con risultati spesso apprezzati anche fuori dei nostri confini. E' il caso del nostro amico RICCARDO ZORZIT LAPASIN (il Lapa). Ecco l'intervista, o meglio la chiaccherata che IlMagna ha avuto la scorsa primavera con questo pezzo di storia del surf italiano:

D Anche tu come molti di noi hai cominciato col windsurf. Quando hai iniziato col surf e dove?

R Nel 1981 naturalmente qua in Versilia dapprima col windsurf e successivamente con la tavoletta ma senza smettere mai definitivamente con la vela. Entrai in contatto con il gruppo storico del surf viareggino, i vari Dini, Farina e Bertacca e da allora non ho più smesso.

D Quando e perché hai iniziato il mestiere dello shaper?

R Poco dopo, più che altro per esigenze di tipo economico. Non avevo molti soldi all’epoca e comprarsi una tavola era quasi impensabile. Cannibalizzando vecchie tavole da windsurf per ottenere l’epoxy e poi addirittura comprando le coibentature dei camion, ho cominciato i miei primi shapes, appassionandomi soprattutto alla possibilità di sperimentare nuovi materiali e nuove linee d’acqua create da me. Il mio garage è stato la prima factory di Costa Ovest, naturalmente mio babbo non ne fu molto contento.

D Cosa significa fare lo shaper in Italia piuttosto che in altre nazioni più evolute surfisticamente? Insomma il nostro surf è maturo o abbiamo ancora molto da imparare?

R Beh, c’è sicuramente da combattere contro un certo provincialismo diffuso. Tutto ciò che non è d’importazione non ha molta considerazione. In molti, che si credono dei ganzi, si permettono spesso di dare giudizi su cose di cui non capiscono niente, non accettando che qualcuno anche in Italia cerca, spesso con ottimi risultati, di fare questo lavoro con serietà e passione. Negli anni ho fatto molte sperimentazioni, cose innovative che col tempo hanno dimostrato la loro validità, eppure all’epoca fui spesso quasi deriso. Quando poi anche americani o francesi le stesse cose le hanno messe sul mercato, sono state accettate con rispetto ed ammirazione. Oltretutto in giro si vedono parecchi surfers nostrani con tavole estere completamente inadatte alle nostre onde, se non addirittura con disegni tecnicamente errati, quando in Italia vengono create tavole studiate appositamente per il nostro mare. Eh sì, purtroppo la tavola americana fa tendenza.

D Nel settore tutti continuano a dire che il surf è sempre in forte crescita. Pensi sia ancora vero o no?

R E’ vero, è in crescita, ma il boom che ci si aspettava qualche anno fa non c’è stato.

D Cosa ne impedisce uno sviluppo più concreto secondo te?

R Manca essenzialmente un’organizzazione seria a livello di federazione. Non voglio fare inutili polemiche ma a mio parere dovrebbe nascere un ente che valorizzi il nostro sport con gare e soprattutto promozione. Qualcosa si muove, vedi gli stage che l’O’Neill ha organizzato a Lido di Camaiore, ma sono ancora episodi troppo isolati. Certo anche le grandi ditte non è che ci stiano dando una mano investendo poco proprio perché non esiste una federazione in grado di garantire eventi di una certa serietà. E poi, diciamoci la verità, noi in Italia abbiamo un limite che obbiettivamente è molto difficile aggirare: il numero dei surfisti ancora troppo limitato e le condizioni che sono quelle che sono, non siamo sull’oceano!

D Pessimista?

R No, direi più che altro realista. Le tavole si vendono comunque, soprattutto ad inizio stagione, ma non vedo abbastanza facce nuove da poter dire che il surf è in forte crescita.

D Quali sono stati i surfers cui ti sei ispirato?

R Nessuno in particolare. Certo quando ho iniziato c’era gente entrata ormai nella leggenda come Tom Carroll, Mark Occhilupo e Gerry Lopez. Per noi erano degli idoli ma ho sempre cercato di dare al mio modo di fare surf una connotazione molto personale come per gli shapes.

D E gli shapers?

R Qualcuno mi ha definito uno shaper molto irriverente. Essenzialmente un autodidatta, ho sempre creduto nelle mie linee d’acqua. Ho lavorato con Takayama, Gary Linden ed altri, ma da tutti ho cercato di apprendere il più possibile mantenendo comunque un certo distacco. L’obiettivo è sempre stato quello di creare cose mie, senza compromessi o influenze d’alcun genere. Odio quando qualcuno arriva da me con una tavola sottobraccio, magari pure brutta, e mi chiede di rifargliela pari pari; che senso ha? Se vuoi che io di faccia una tavola, tu dimmi pure come la vuoi, ma al resto se permetti ci penso io.

D Penso che tu abbia surfato le più belle onde in Italia e nel mondo. Quali sono i tuoi spots preferiti?

R Purtroppo non viaggio molto soprattutto per mancanza di tempo, però devo dire che la Sardegna è un posto dove torno sempre volentieri. Non hai idea di quanti secret spots ci sono, niente affollamento e onde da favola. Oltretutto là ho parecchi amici e il cibo sardo è eccellente. Anche in Liguria ci sono buoni posti, ma che casino in acqua da quelle parti!

D Quante tavole pensi di aver shappato nella tua vita?

R Un calcolo preciso è impossibile. Più o meno direi 5.000.

D Già da qualche tempo si è assistito ad un ritorno del longboard, quali sono le ragioni secondo te?

R Semplice, il tipo di onda che abbiamo in Italia è l’ideale per il Long. Si va in acqua più spesso che con lo shortboard e poi i Long moderni non hanno nulla da invidiare per manovrabilità alle tavolette. Un po’ di nostalgia per l’old style ma essenzialmente la possibilità di non rinunciare quasi mai a surfare anche se con onde minime. Con un buon longboard puoi sfruttare al massimo ogni onda e il divertimento è assicurato.

D Vuoi provare a descrivere il longboard ideale per le nostre onde?

R Il longboard offre una gran facilità in partenza ma non dimentichiamo che è una tavola di una certa stazza, quindi un po’ difficile per un neofita da manovrare. Quindi almeno all’inizio consiglio di usare un mini Malibu, una via di mezzo cioè tra long e short che garantisce facilità in partenza ma anche una certa dose di manovrabilità. Una volta imparati i rudimenti qualsiasi tavola sui 9" va bene per le nostre condizioni. Con le moderne linee d’acqua studiate per ogni tipo di onda e le pinne intercambiabili in modo da poter utilizzare il nostro tavolone sia come thruster che monopinna, non si hanno problemi.

D Puoi spiegare la tua teoria sugli shapes ad alte prestazioni su onde medio/piccole come le nostre?

R Sicuramente la tavola FISH è quella che maggiormente permette di avere grandi performance su onde di media consistenza. Corte, abbastanza larghe e con volume abbondante, questa tipologia di tavole unisce prestazioni da Malibu a modalità di utilizzo tipiche della classica tavola corta. Normalmente comunque col tipo di onda che abbiamo noi, corta e veloce, vanno usate tavolette sui 6.2"/6.3"con volume e linee d’acqua studiati per ottenere subito la maggior velocità, quindi l’accelerazione utile per sfruttare al meglio il frangente. Sta poi alle capacità dello shaper cercare il giusto compromesso, perché è di questo che si tratta, tra velocità e manovrabilità.

D Sponsorizzi qualche surfer professionista?

R Nella categoria Longboard l’amico Francesco Farina che si è classificato secondo agli scorsi campionati italiani e Alice Dubbiosi. Nella Short il massese Alberto Santucci e Ronnie Baldini, anche se quest’ultimo sembra essere da un po’ di tempo in profonda crisi esistenziale. Niente di grave, è il classico passaggio d’età che ha colpito più o meno tutti noi, passerà.

D Parlaci dei materiali che usi abitualmente per i tuoi shape?

R Essenzialmente il Clark Foam, come del resto fanno tutti, ma su richiesta posso utilizzare anche il polistirolo.

D Il polistirolo?

R Anche in questo caso ho dovuto superare la scarsa apertura mentale di molti surfisti e, cosa ancora più fastidiosa, di parecchi operatori del settore. La stragrande maggioranza sospettava che io volessi usare il polistirolo unicamente per risparmiare; niente di più falso. Il costo rispetto al Clark Foam è lo stesso e oltretutto la fase di lavorazione è molto più complessa e delicata. I vantaggi però sono molti: una tavola in polistirolo ha un peso specifico minore rispetto alle classiche, quindi minor volume bagnato e di conseguenza maggior velocità in partenza e soprattutto in fase di manovra. E’ un prodotto molto tecnico e delicato, adatto quindi a surfers esperti e a chi ha della propria tavola una cura molto particolare.

D Ho notato che in molte tue vecchie tavole (se non tutte) mancava il longherone, perché?

R Agli inizi come al solito mi presero per visionario. Dove si era mai vista una tavola senza longherone? Eppure già da qualche tempo ci sono ditte estere che hanno attuato proprio questa tecnica. La teoria è quella che io chiamo dello scoop variabile: uno shaper può giostrare lo scoopline quanto vuole ma il risultato sarà sempre come ti dicevo prima, un compromesso tra velocità e manovrabilità. Non riuscirà mai ad ottenere una tavola al contempo molto veloce e molto manovrabile, una cosa esclude l’altra. L’idea è semplice: riuscire a modificare lo scoopline durante l’utilizzo, facendolo flettere più o meno a seconda delle esigenze sfruttando la pressione esercitata dai nostri piedi in fase di manovra. Per far questo ho tolto del tutto il longherone, eliminando quindi l’oggetto che rende rigida la nostra tavola. In ogni caso ho dovuto abbandonare molto presto l’idea, adeguandomi quindi alle leggi del mercato. Finché non ci arrivano le grandi marche qualsiasi innovazione è destinata a fallire. Guarda per esempio le tavole sciancrate, hanno una manovrabilità forse doppia rispetto alle classiche. Ma sono brutte a vedersi o in ogni modo lontane dal nostro stereotipo di tavola da surf e la gente quindi non le comprerà finché una major label non deciderà di metterla sul mercato.

D Ci sono delle differenze tra gli shapes attuali e quelli di 5 o 6 anni fa?

R Beh, parecchie. A parte gli svariati rimescolamenti, la filosofia è stata quella di spostare il più possibile il baricentro verso il piede anteriore, cioè quello che comanda, togliendo spessore a poppa e a prua. Se guardi una tavola attuale, noterai che rispetto ad uno shape di qualche anno fa lo scoop è molto aumentato. Uno scoop più marcato permette un surf molto più radicale, che è quello che si è evoluto di più in questi ultimi anni.

D Pare che tu abbia una certa attenzione all’ecologia, cosa ne fai degli scarti di lavorazione?

R Direi che probabilmente sono uno dei pochi ad aver acquistato un impianto per lo smaltimento delle polveri. E’ un aggeggio che è costato parecchi soldini ma mi permette di lavorare con una certa tranquillità senza rischiare di inquinare il mondo e respirare tonnellate di polveri. Con la cabina di cartatura ad acqua tutto è ridotto in fanghi che sono raccolti e portati allo smaltimento.

D Fai ancora gare?

R Molto di rado anche se mi piacerebbe farne di più. Ho smesso nel ’97 subito dopo i mondiali, tanto per cambiare per problemi con la federazione. Adesso forse le cose stanno migliorando, i vertici sono cambiati e probabilmente qualche contest lo rifarò presto, dopotutto per me sono un po’ un’operazione di marketing, no?

D Hai qualche consiglio da dare a chi vorrebbe intraprendere la carriera di shaper?

R E’ indispensabile avere una gran passione, costanza e soprattutto molta umiltà almeno inizialmente. Rispetto a quando ho iniziato io le cose sono cambiate radicalmente, ora c’è molta più concorrenza mentre il numero dei surfisti è rimasto lo stesso. L’offerta è superiore alla domanda quindi è bene rendersi conto che è dura riuscire a sfondare anche se si possiede quella dose di talento naturale indispensabile per diventare un buon shaper.

D Quelli bravi finiscono sempre le interviste con la classica domanda: progetti per il futuro?

R Ogni tanto penso che sarebbe bello ingrandirsi e allargare il proprio bacino di potenziali clienti, tornare cioè a quando, fino al ’99, ero in società con Roberto Dini. Questo però significherebbe inevitabilmente tornare a lavorare con i surf-shops, fornendogli tavole prodotte in serie e questo non mi va più. Meglio continuare così, su ordinazione, sicuro di poter dare al surfista che viene da me, esperto o beginner che sia, un prodotto di qualità e soprattutto unico.

D Allora ci vediamo in acqua?

R Direi proprio di si!