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Notizie sul condominio

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IL CONDOMINIO

1. Parti comuni dell'edificio

II condominio, ai sensi dell'art. 1117 c.c., operando su edifici, affianca alle singole proprietà, distribuite su diversi piani o porzioni di piani, parti che per la loro utilità verso tutti i comproprie­tari devono rimanere comuni. Le parti che il codice vuole comuni sono stabilite nel modo seguente, con l'avvertenza che nei casi concreti pos­sono anche non essere tali per espressa enunciazione nel titolo di acquisto.

1. II suolo sul quale sorge l'edificio, le fondazioni, í muri maestri, í tetti e i lastrici solari, le scale (per i pianerot­toli, si veda Cassazione, 6 maggio 1988, n. 3376, anche per il loro uso), i portoni d'ìngresso, ì vestìboli, gli anditi, i portici, i cortili e in generale tutte le parti dell'edificio strutturate in modo da servire all'uso comune.

2. I locali per la portineria e per l'al­loggio del portiere, per la lavande­ria, il riscaldamento centrale, gli stenditoi e per altri servizi similari.

3. Le opere, le installazioni, i manufat­ti di qualunque genere, rispondenti però sempre all'uso e al godimento di tutti, e così gli ascensori, i pozzi, le cisterne, le canalizzazioni e le conduzioni sino al punto di dirama­zione degli impianti ai locali di pro­prietà esclusiva dei singoli.

II balcone è invece proprietà esclusiva del singola condomino (Cassazione, 10 settembre 1986, n. 5541). La Cassazione, 26 marzo 1974, n. 841, in Mass. Giur. it., 1974, 249, osserva che il suolo e il sottosuolo sono parti comuni soltanto relativamente alle aree occupate e circoscritte dalle fondamenta e dai muri perimetrali dell'edificio; il suolo adiacente o circostante può rien­trare fra le cose comuni soltanto per diverso titolo, potendosi trovare in rap­porto di accessorietà o pertinenza con l'edificio stesso. In pratica, anche l'area (imposta dalla legge) per il par­cheggio delle auto viene ad aggiungersi all'elenco dell'art. 1117 dopo le già citate sentenze nn. 6600-6602 del 1984 della Cassazione, Sezioni Unite. In tema di "posti macchina" un'impor­tante novità interpretativa dell'art. 26, ultimo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e dell'art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, è stata introdotta dalla sentenza 18 luglio 1990, n. 3363, della Cassazione. Secondo la Suprema Corte la definizione di "pertinenza" attribuita agli spazi di parcheggio dalla legge n. 47 serve solo a dare certezza testuale al principio secondo cui detti spazi possono essere oggetto di atti o rapporti separati, fermo restando il vin­colo pertinenziale. In altri termini, non importa se i posti macchina siano 0 meno di proprietà dei singoli condomi­ni, del costruttore, del venditore o di terzi, né importa se abbiano o meno una circolazione indipendente rispetto agli appartamenti condominiali. Ciò che interessa è che l'atto dispositivo non incida sul predetto vincolo di destina­zione del parcheggio a servizio del con­dominio: un terzo, non condomino, può anche acquistare o riservarsi la proprietà del posto macchina o dell'intera area di parcheggio, ma è costretto a permetter­ne l'utilizzazione ai condomini dell'edi­ficio pertinente. Ad avviso della Cassa­zione ne deriva quindi che i condomini di un edificio "la cui costruzione sia stata iniziata dopo il primo settembre del 1967 e che non abbiano la disponi­bilità dei prescritti posti macchina, hanno facoltà di chiedere al costrutto­re-venditore di mettere a loro disposi­zione le aree per parcheggio arbitraria­mente sottratte o, in mancanza, di pre­tendere il risarcimento del danno". Sempre in tema di parcheggi, si deve rilevare come la legge 24 marzo 1989 n. 122 (cosiddetta Legge Tognoli) abbia fissato il rapporto tra superficie da vincolare a parcheggio e cubatura della costruzione in "1 mq per ogni 10 mc di costruzione".

2. Diritti dei partecipanti

II diritto di ciascun condomino sulle cose e parti comuni è proporzionato al valore del piano o della porzione di piano di sua esclusiva proprietà, salvo che il titolo disponga diversamente. II condomino non può sottrarsi al contri­buto per le spese di conservazione delle parti comuni rinunziando a goderne. È da notare che, quando si parla della pro­porzionalità del diritto di uso delle parti comuni, questa espressione, contenuta nell'art. 1118 c.c., pone in evidenza un mero esercizio del diritto di compro­prietà e non già l'esercizio di un diritto su cosa altrui perché tutti, e ciascuno, sono proprietari delle parti che appunto perciò sono dette e riconosciute comuni. Le parti comuni non sono soggette a divisione, a meno che questa possa farsi senza diminuire, anche sotto il solo aspetto della comodità, il godimento da parte di ciascun condomino. I condomini possono disporre con opportuna deliberazione di tutte le innovazíoni dirette al miglioramento, all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. La deliberazione richiede la maggioranza qualificata, ossia il numero dei voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al con­dominio e contemporaneamente rappre­senti i due terzi del valore dell'edificio. Sono peraltro vietate le innovazioni che possano pregiudicare la stabilità, la sicurezza o il decoro architettonico del­l'edificio o rendano talune parti comuni inservibili all'uso oppure al godimento, anche relativamente a un solo condomino. Se la innovazione importa una spesa molto gravosa o abbia comunque carat­tere voluttuario rispetto alla concreta situazione dell'edificio e consista in opere, impianti o simili suscettibili di separata utilizzazione, i condomini che non intendano trarne vantaggio sono liberati da qualsiasi contribuzione a tale spesa. I condomini che abbiano rifiutato di partecipare alla spesa, rinunziando ovviamente ai godimento, possono poi partecipare all'uso comune contribuen­do nelle spese di esecuzione e di manu­tenzione dell'opera. La Cassazione, 18 novembre 1971, n. 3314, in Rep. Gen. Giur. it., 1971, I, 719, 15, in un caso concreto sottoposto al suo esame, ha deciso che l'ascensore, quando non sia installato originariamente nell'edificio all'atto della sua costruzione e vi venga inserito successivamente per iniziativa di parte dei condomini, non costituisce proprietà comune, ma appartiene in pro­prietà a quei condomini che lo hanno impiantato a proprie spese, salva la facoltà degli altri di partecipare succes­sívamente alla innovazione. La Corte d'appello di Milano, 29 mag­gio 1970, in Foro Pad., 1971,1,152, ha stabilito che la modificazione delle vetrine di un edificio, compiuta da un condomino al fine di sfruttare i vuoti esistenti fra le varie luci e ottenere quin­di un'unica grande vetrina, non costitui­sce innovazione vietata, se non implica lesione alcuna del decoro architettonico dell'edificio in questione. Ciascun con­domino non può eseguire, nel piano 0 porzione di piano di sua proprietà, opera alcuna che rechi danno alle parti comu­ni dell'edificio. La Cassazione, 6 luglio 1971, n. 2118, in Mass. Giur. it., 1971, 1298, ha riconosciuto che il condomino, in un cortile comune destinato natural­mente a dare accesso, luce e aria a tutte le costruzioni circostanti, può da una di tali costruzioni, a lui appartenenti in esclusiva proprietà, aprire una finestra prospiciente il cortile medesimo, senza necessità di chiedere previo assenso della maggioranza dei condomini.

3. Ripartizione delle spese

Le spese per la conservazione e il godi­mento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi parimenti comuni e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, sono ripartite fra i condomini proporzionalmente al valore della rispettiva proprietà, salvo espresso patto contrario. Se si tratta di cose desti­nate a servire i condomini non in eguale misura, la ripartizione avviene in ragio­ne proporzionale all'uso che ciascun condomino può farne. Se un edificio ha diversi cortili, lastrici solari, scale, impianti o altre opere destinati a servire parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico soltanto del gruppo di condomini che singolarmente ne trae utilità. Le scale sono mantenute e ricostruite, quando necessario, dai proprietari dei diversi piani a cui servono. La spesa relativa è ripartita fra essi per metà in ragione del valore delle proprietà esclu­sive e per l'altra in misura proporziona­le all'altezza di ciascun piano dal suolo. Per ragioni pratiche si considerano come piani, le cantine, le soffitte o simi­li e i lastrici solari, quando non siano di proprietà comune. Per gli ascensori il regolamento condominiale può prescri­vere la ripartizione per millesimi, inclu­so il piano terreno (Cassazione, 6 novembre 1986, n. 6499). La Cassazio­ne, 26 gennaio 1971, n. 196, in Mass. Giur. it., 1971, 77, ha stabilito che se in un unico complesso condominiale esista una pluralità di servizi di cose comuni, ciascuna delle quali, per obiettiva desti­nazione, serve in modo esclusivo all'u­so e al godimento di una parte soltanto dell'immobile, tale cosa o servizio deve considerarsi comune non già alla totalità dei condomini, bensì soltanto a quella parte di essi al cui uso comune è funzio­nalmente e strutturalmente destinata. Nella specie, trattavasi di un edificio condominiale servito da due scale, cia­scuna delle quali destinata a servire un separato gruppo di appartamenti. La ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai è a carico di ciascun condomi­no? La risposta è negativa a mente del­l'art. 1125 c.c.: tali spese sono sostenute in parti eguali dai proprietari degli ulti­mi due piani, l'uno sovrastante all'altro. Si precisa che sono a carico del proprie­tario del piano superiore le spese per la copertura del pavimento e del proprieta­rio del piano inferiore quelle per l'into­naco, la tinteggiatura e la decorazione del soffitto. A mente dell'art. 1126 c.c., quando l'uso dei lastrici solari o di una loro parte non è comune a tutti i condo­mini, quelli che ne hanno l'uso esclusi­vo sono tenuti a pagare un terzo della spesa delle riparazioni o ricostruzioni relative, essendo gli altri due terzi a carico di tutti i condomini dell'edificio o della parte a cui il lastrico solare serve. II riparto avviene in proporzione del valore del piano o sua porzione.

La Cassazione, 21 maggio 1974, n. 1501, in Mass. Giur. it., 1974, 418, risolve due aspetti pratici in relazione all'articolo in esame, osservando preli­minarmente che tale norma, nel preve­dere la possibilità di uso esclusivo del lastrico solare, non specifica la natura giuridica di tale diritto, il quale può avere carattere reale o personale, ed è comunque quello che risulta dal titolo; ma in mancanza di tale titolo prende vigore la regola generale del regime di comunione, dato che la superficie della terrazza-lastrico solare in ogni caso serve a coprire i vani sottostanti dell'e­dificio condominiale e conseguente­mente questo regime non è escluso dal solo fatto che dal bene in questione uno o più comproprietari possano trarre uti­lità maggiore rispetto agli altri. Inoltre, perché una terrazza a livello, la quale assolva anche alla funzione di copertura dei piani sottostanti, possa ritenersi di proprietà esclusiva del proprietario del­l'appartamento dal quale si accede alla terrazza medesima, è necessario che essa faccia parte integrante, da. un punto di vista strutturale e funzionale, del piano cui è annessa, in modo che la fun­zione di copertura dei piani sottostanti si profili come puramente sussidiaria.

La nota questione della costruzione dei sopralzi è regolata dall'art. 1127 c.c.

1. II proprietario dell'ultimo piano del­l'edificio può elevare nuovi piani o nuove strutture, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare.

2. La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell'edificio non la consentono.

3. I condomini possono anche opporsi alla sopraelevazione per ragioni estetiche o se l'innovazione diminuisce notevolmente l'aria o la luce dei piani sottostanti.

4. Chi fa la sopraelevazione deve corri­spondere agli altri condomini una indennità calcolata pari al valore attuale dell'area da occuparsi con la sopraelevazioné, diviso per il numero dei piani (ivi compreso quello da edi­ficare) e detratto l'importo della quota spettante allo stesso sopraelevante. Egli è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare che tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare. La Cassazione, 8 gennaio 1974, n. 52, in Mass. Giur. it., 1974, 19, rileva che il condomino il quale intenda sopraeleva­re sull'edificio in condominio per l'inte­ra sua superficie ha l'onere di provare di essere proprietario esclusivo dell'intero ultimo piano o del lastrico solare.

4. L'assemblea dei condomini

Le funzioni dell'assemblea, la quale è l'organo deliberante del condominio, sono le seguenti:

a) nomina e conferma dell'amministra­tore ed eventuali decisioni sulla sua retribuzione;

b) approvazione del preventivo e del rendiconto annuale quanto alle spese, anche in ordine alla loro ripar­tizione fra i vari condomini; c),decisioni circa le manutenzioni straordinarie, con l'avvertenza però che l'amministratore può provveder­vi direttamente in caso di assoluta urgenza, pure con l'obbligo di rife­rirne alla prima assemblea dopo l'e­secuzione dei lavori.

L'assemblea è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini pari ai due terzi del valore dell'edìficio, nonché ai due terzi dei partecipanti al condominio. Per la validità delle deli­berazioni è richiesta di norma la mag­ gioranza degli intervenuti in unione alla metà del valore dell'edificio. Se l'assemblea non può costituirsi per mancanza di tale quorum, può essere convocata nuovamente nel giorno suc­cessivo, e in tal caso la deliberazione è valida se riporta un numero di voti rap­presentanti il terzo dei condomini e il terzo del valore dell'edificio. Si tenga presente che da questa possibilità si decade se l'intervallo fra la prima e la seconda convocazione sia superiore a dieci giorni. Tuttavia le deliberazioni per la nomina e la revoca dell'ammini­stratore, o circa le liti attive o passive che eccedano la competenza di costui, richiedono sempre la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio; tale maggioranza qualificata è richiesta anche quando si debba decidere sulle riparazioni straor­dinarie di grande entità o addirittura sulla ricostruzione dell'edificio. Le deliberazioni per innovazioni richiedo­ no un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condo­minio e i due terzi del valore dell'edifi­cio, come già si era detto a proposito di tali provvedimenti. Delle deliberazioni dell'assemblea va redatto un processo verbale, che deve essere trascritto in apposito registro dall'amminístratore. Già si è accennato alle impugnazioni dei provvedimenti assembleari: aggiungiamo che le stesse di regola non sospendono la esecuzione dei provvedimenti. La Cassazione, 21 novembre 1973, n. 3139, in Rep. Gen. Giur. it., 1973, I, 641, 108, precisa che. ciascun condomino può prendere l'ini­ziativa di convocare l'assemblea solo nel caso di mancanza dell'amministra­tore, ma non in quello di impedimento di costui. La deliberazione dell'assem­blea convocata per iniziativa di un con­domino nel caso di impedimento del­l'amministratore è annullabile.

Per le spese di riscaldamento, partecipa all'assemblea, anziché il condomino­locatore, l'inquilino dell'appartamento (si veda, Cassazione, 27 agosto 1986, n. 5238).

5. L'amministratore

L'amministratore deve essere nominato quando i condomini siano più di quattro e, non provvedendovi l'assemblea, la nomina è fatta dall'autorità giudiziaria, a richiesta anche di un solo condomino. L'amministratore dura in carica un anno ed è revocabile in ogni tempo dall'as­semblea, oppure dall'autorità giudiziaria in caso di gravi inadempimenti.

Le sue attribuzioni sono:

a) eseguire le deliberazioni dell'assem­blea e curare l'osservanza del regola­mento condominiale;

b) disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi;

c) curare la riscossione dei contributi ed effettuare i pagamenti;

a) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni;

e) rendere a fine anno il conto della sua gestione.

Per la riscossione indicata sub c), può ottenere decreto ingiuntivo, subito esecutivo se la spesa è già stata deliberata e ripartita dall'assemblea (Cassazione, sentenza n. 1357 del 1977).

Nei limiti delle sue funzioni l'ammini­stratore rappresenta i partecipanti al con­dominio, sia in senso attivo che passivo, sia verso terzi che nei confronti di alcuni dei condomini. È legittimato all'azione giudiziale contro l'appaltatore per rovina o gravi difetti dell'edificio condominiale (Cassazione, 28 ottobre 1986, n. 6326). Un riflesso delle funzioni dell'ammini­stratore è costituito dalla disposizione per cui il condomino dissenziente da una decisione dell'assemblea in materia liti giosa può separare la propria dalle altrui responsabilità con atto notificato appun­to all'amministratore.

I provvedimenti dell'amministratore sono obbligatori nei limiti delle sue fun­zioni per tutti i condomini, i quali però possono ricorrere all'assemblea e all'autorità giudiziaria.

6. Regolamento del condominio

Se un condominio comprende almeno dieci partecipanti è d'obbligo formare il regolamento, che comprende necessa­riamente le seguenti disposizioni:

l. Uso delle parti comuni. 2. Ripartizione delle spese. 3. Tutela del decoro dell'edificio e norme per la tenuta dell'amministra­zione.

II regolamento è approvato dall'assem­blea condominiale con la maggioranza qualificata, e cioè con i voti della maggioranza degli intervenuti che rappresen­tino almeno la metà del valore dell'edifi­cio. II Tribunale di Napoli, 30 marzo 1972, in Dir. e Giur., 1973, 428, osserva che nel caso in cui un regolamento di condominio, accettato dalle parti all'atto dell'acquisto dei singoli appartamenti, stabilisca il divieto di destinare determi­nati locali a certi usi, per l'osservanza di tale regola negativa è legittimato ad agire sia il singolo condomino, quanto lo stes­so amministratore del condominio, per­ché l'uno agisce in nome proprio e l'al­tro invece per il rispetto del regolamento. La Cassazione, 15 luglio 1986; n. 4554, ha precisato che il regolamento può imporre divieti, obblighi e limita­zioni anche maggiori rispetto a quelli previsti da norme di legge; così, per esempio, può vietare rumori, scuoti­menti, immissioni fastidiose ecc. anche oltre i limiti previsti - quando consentiti -dall'art. 844 c.c.