Carlo Molinaro

APPUNTI MOLTO SPARSI PER UN LABORATORIO

DI LETTURA-SCRITTURA DI POESIA

(da presentare-proporre-vedere-valutare-discutere in un incontro l'11 maggio 2001 alla scuola Holden)

Il poetico e la poesia: la necessità della parola.

Spesso si sente dire di un paesaggio, di uno scorcio, ma anche di un personaggio, di una situazione, di una combinazione di cose o di un momento nel tempo, che "è poetico". Quest'uso del termine "poetico" è indicativo di una sensibilità comune a certi temi canonici della poesia, ma è complessivamente fuorviante. La poesia, intesa propriamente come arte di scrivere poesia, non ha tematiche privilegiate. Ciò che caratterizza la poesia non è il che cosa si comunica, ma il come. Sandro Penna, tanto per fare un esempio, fa poesia sugli orinatoi. Ma è probabile che si possa scrivere poesia anche su un ufficio del catasto o sullo studio di un dentista, luoghi ancor meno "poetici" di un orinatoio.

Quindi lo specifico della poesia è un modo di scrittura (e di lettura) verbale. Un modo che si discosta profondamente da quello della prosa: ha regole diverse che derivano da necessità diverse. La poesia non denota (anche quando sembra farlo) ma suggerisce, indica, accompagna. Con una metafora un po' abusata, potremmo dire che la poesia è il dito che indica la luna, solo che in questo caso la luna è invisibile, e dunque per intuirne qualcosa bisogna proprio, come l'imbecille, guardare il dito. Ma questo dito, allora, dev'essere un dito molto speciale: un dito che riesce a ricreare in noi l'immagine (o un'immagine) della luna che non potremmo mai vedere direttamente. Neppure il poeta l'ha vista, essendo un semplice uomo come gli altri, ma l'ha in qualche modo conosciuta attraverso la sua intuizione poetica, essendo appunto poeta. Potremmo perciò anche dire che la poesia comunica un'intuizione, nell'unico modo in cui un'intuizione è comunicabile: cioè ricreandola, ri-facendola. Poesia, poiéin, "fare". (Ma potremmo dire infinite altre cose. non stiamo cercando la frase magica che definisce la poesia, ci stiamo semplicemente muovendo per approssimazioni possibili.)

Rime e ritmi: la metrica è grammatica descrittiva, non prescrittiva.

La poesia nasce come voce, e solo successivamente diventa voce scritta. Storicamente, è probabile che la poesia nasca col teatro: nasca quindi a voce alta, la voce che per-suona nella maschera dell'attore-persona (persona da per-sonare "suonare forte"). Credo che ogni poesia, anche la più "intimista", vada immaginata come detta a voce. E che leggere con la voce le poesie sia un esercizio importante.

Lo specifico della poesia sembra collegato alla presenza di un ritmo. Il ritmo delle parole non è un accompagnamento musicale del contenuto, ma ne fa parte.

Lo studio di questi ritmi, in sostanza la metrica, può dare l'idea che scrivere poesia sia un esercizio certosino di conteggi di sillabe e di accenti, poco compatibile con l'ardente necessità dell'ispirazione. Questo è un errore di valutazione che deriva dal dimenticare che la metrica è una grammatica che non prescrive ma descrive (come del resto ogni altra grammatica: anche la grammatica della lingua italiana, che si studia o studiava a scuola, non è una legge caduta dal cielo a indicare come si deve parlare, ma un'accurata descrizione di come si è parlato finora).

La metrica di un endecasillabo non è dunque una legge che impone di scrivere in un certo modo, ma la descrizione del ritmo che hanno adottato numerosi poeti dagli albori della lingua fino a oggi.

Se un poeta decide di scrivere ancora endecasillabi (io lo faccio spesso) è semplicemente perché sente dentro di sé, come memoria storica, come musica assorbita, come coscienza verbale o come vi pare, questo ritmo, lo possiede e ne è posseduto. Nessun poeta conta le sillabe sulla punta delle dita (se non forse dopo, per curiosità), ma è possibile che se un poeta ha scritto otto versi di cui tutti sono endecasillabi tranne il quinto, quel quinto verso gli stoni, come una nota fuori posto in una musica. Così come è possibile che non gli stoni affatto, e che si tratti di una variatio necessaria, significativa-significante (come l'improvviso alterarsi di un ritmo in una musica, che serve a comunicare qualcosa).

Anche i versi più "liberi" hanno il loro ritmo - personalmente credo che non esista poesia senza ritmo. Talvolta il ritmo sconfigge persino le intenzioni stesse del poeta che vorrebbe proprio mortificarlo per esaltare la singola parola, come in alcune poesie ermetiche. Quando Ungaretti scrive

Si sta come

d'autunno

sugli alberi

le foglie

il suo dividere in quattro versi la breve poesia ha un senso ben preciso, ma non può tuttavia impedire al ritmo interiorizzato dal lettore di poesia di cogliere due classici settenari:

*Si sta come d'autunno

*sugli alberi le foglie.

Endecasillabo e settenario sono forse i due versi più intimi alla poesia in lingua italiana.

Assorbire il ritmo: la lettura che NON vi hanno insegnato a scuola.

Il chiodo fisso di molti insegnanti è far leggere le poesie come fossero prosa: "state attenti a non marcare con la voce la fine del verso". Questa preoccupazione deriva probabilmente dalla necessità di evitare una lettura troppo cantilenata della poesia, ma rischia, se spinta all'estremo, di vanificare l'intenzione del poeta. D'accordo, non dobbiamo leggere le poesie come filastrocche da civette sul comò, ma ci sarà pure una ragione se chi le ha scritte è "andato a capo ogni tanto"…

La lettura migliore è quella che, tenendo ben conto del verso, tende ad assorbirne il ritmo, ad armonizzarsi su di esso.

Se una persona ci legge a voce alta una poesia sballandone completamente il ritmo, noi ci accorgiamo che quella persona fondamentalmente non capisce ciò che sta leggendo.

Ma lo stesso ritmo, senza sballarlo, può essere interpretato diversamente da diversi lettori. In questo senso una poesia è come uno spartito musicale che attende un interprete. Certo, l'interprete può essere teoricamente qualsiasi lettore, ma ascoltare interpretazioni di una poesia può assumere importanza analoga a quella di ascoltare interpretazioni di una musica. Insomma: anche ammettendo che voi sappiate leggere perfettamente le note musicali su uno spartito, forse che leggere quelle note vi dà le stesse emozioni che ascoltarle interpretate da un buon pianista? Non credo proprio…

Penso quindi che sia importante una cosa che in Italia quasi non esiste, e cioè la lettura di poesie. Non quella barbosa e svogliata che si sente talvolta alla presentazione di un libro, ma una vera lettura che sa di essere interpretazione e re-interpretazione, come si ascolta spesso nelle letture di poesia nel mondo anglosassone. Di solito odio usare parole straniere senza necessità, ma qui sembra il caso di dire che avremmo proprio bisogno di (ri)trovare il reading di poesia della scuola anglosassone (un buon posto per farlo? la scuola Holden!). La poesia in Italia è muta, e io personalmente credo che questa sia una causa importante, anche se non l'unica, della sua scarsa diffusione.

Esercitiamo la lettura su ritmo di parola e d'emozione.

Il ritmo della poesia non è un gioco vano. Se la poesia è poesia, e non è l'esercizietto di stile e di retorica del poetucolo da concorso della proloco, il ritmo delle parole accompagna il ritmo dell'emozione (emozione è parola scivolosa, lo so, ma la comunicazione poetica è intrinsecamente comunicazione emotiva, in un senso che andremo precisando a poco a poco).

Non serve essere grandi attori per leggere poesia. Serve capire, stupirsi, amare e abbandonarsi (sono le quattro stesse cose che servono a far bene l'amore, secondo me). La poesia capita e amata canta poi a voce alta anche quando la leggete nella vostra mente. È una sensazione forte. Non tutti quelli che l'hanno provata scrivono poi poesie loro stessi, ma è ragionevolmente certo che chi non l'ha mai provata non scriverà mai poesia.

Come fare l'amore: dunque non pretenderete di farlo con qualsiasi poesia. Vi innamorerete solo di alcune. Le poesie più grandi, come le ragazze più belle, fanno forse innamorare più persone, ma nessuna mai potrà far innamorare tutti.

Una buona esperienza di gruppo è ascoltare la stessa poesia letta da cinque o sei persone diverse, fra cui l'autore se possibile. Non ci servono attori. Bastiamo noi, e due o tre poesie. La cosa deve essere presa come un gioco, ma un gioco serio - come fanno i bambini, che sanno giocare sul serio. Cardarelli scrive che il poeta è un bambino che si duole di essere cresciuto - è solo una frase a effetto, certo, ma contiene frazioni di verità. Partecipare al gioco ci servirà a passare, lentamente e non necessariamente, dalla lettura poetica alla scrittura poetica.

Credo che l'interpretazione della poesia sia un punto di mediazione fra lettura e scrittura. Riprendiamo il paragone con la musica: un compositore di musica, un autore, comincia certamente con l'ascoltare. Poi, impara a suonare uno strumento e quindi a interpretare. Infine, se ha talento e ispirazione, comincia a comporre musica sua.

Anche chi non "diventerà poeta", comunque, nell'interpretazione della poesia compie già un atto creativo. La poesia interpretata appartiene all'autore e al lettore-ricreatore come la musica interpretata appartiene all'autore e al pianista-esecutore.

A ritmo assorbito, la grammatica descrittiva della metrica può diventare una pulsione spontanea. Qualcuno di voi, scrivendo versi, si accorgerà di seguire un ritmo che nasce direttamente all'interno della scrittura.

Un endecasillabo non è una frase di undici sillabe, ovviamente. Occorre che gli accenti cadano nei posti giusti - fra l'altro, le sillabe possono essere dieci o dodici, perché la definizione propria di endecasillabo è "un verso che ha l'ultimo accento tonico sulla decima sillaba" - dopo la quale può non essercene più nessuna (totale 10), se la parola finale è tronca, o una (totale 11), se è piana (ed è il caso più frequente, da cui il nome di endecasillabo), o due se è sdrucciola (totale 12). La metrica è apparentemente molto complessa, ma lo è, come abbiamo detto, perché descrive, non prescrive.

Pensiamo a quanto semplice ci appare un frutto di un albero: ma quanto è complesso descrivere la biochimica del suo formarsi? L'albero però per fare frutti non deve leggere enciclopedie scientifiche, gli basta seguire la sua natura di albero. Per scrivere poesie non è necessario studiare trattati di metrica in cento volumi, basta scoprire la propria natura di poeti, se c'è.

Tuttavia, può essere interessante percorrere una breve storia delle principali metriche della poesia italiana. Se vogliamo, possiamo farlo.

La poesia è un'arte "ardua" come le altre arti

L'apparente facilità di carta e penna è terribilmente ingannevole per molti. Chi va al cinema e vede un bel film appena esce pensa di poterne girare uno simile? Non molti lo pensano, credo. Tutti sanno che occorrerebbe imparare la regia, la sceneggiatura e tutto il resto: non basta avere in mente una storia. Così, per fare poesia non basta provare un'emozione "poetica". Queste emozioni le provano tutti, o quasi tutti (nel mondo attuale in verità temo ci sia anche molto analfabetismo emotivo - ma non è questa la sede per alfabetizzare emotivamente - anche se potrebbe essere un corollario: appunti di alfabetizzazione emotiva - vivere senza scrivere poesie si può benissimo, ma vivere senza ascoltare le proprie emozioni è molto, molto duro).

La differenza del poeta non è nel provare emozioni e nell'avere visioni (benché spesso il poeta abbia visioni più vaste di altri), ma è nel saper esprimere tali cose con l'arte della poesia.

Arte che, come abbiamo già un po' visto, richiede talento naturale ed esercizio. Mozart è grande, ma se fosse nato su un'isola senza pianoforti la sua grandezza sarebbe rimasta nascosta o compressa - o forse si sarebbe espressa in altri modi, chi lo sa.

Credo che una pulsione artistica autentica, se non riesce a esprimersi, possa portare alla follia: forse in molti "pazzi" ci sono artisti mancati. La storia abbonda di poeti che nel corso della loro vita hanno conosciuto diagnosi di malattia mentale e anche il manicomio.

Io stesso ho attraversato quindici anni di alcolismo pesante - è una cosa un po' personale, ho smesso dieci anni fa con l'aiuto di Alcolisti Anonimi - ma ve la posso anche raccontare, per meglio comprendere che il discorso non è astratto.

Non si fanno poesiuole in punta di penna per la cenetta buona (con tutto il rispetto per questi giochi di società): l'arte mette in gioco la vita, sempre. Se vi spaventa, potete scendere. Ma forse, se siete artisti, non potete scendere, e la paura dovrete bervela tutta.

La perversione delle scelte antologiche: l'azzeccagarbugli che allontana dalla lettura.

Sento spesso dire da persone anche di buona cultura: "Io la poesia non la capisco". Magari qualcuno è davvero negato a tale comprensione, ma spesso credo si tratti di un equivoco, fomentato anche da alcune scelte perverse degli antologisti (scolastici e non) della poesia contemporanea.

Volendo cominciare a capire la matematica, immaginando di esserne totalmente digiuni, partireste dalle addizioni o dalle equazioni di terzo grado?

Ci sono antologie che sembrano volutamente raccogliere la parte più difficile, ardua, incomprensibile (e a volte poi nemmeno "buona": abbiamo avuto, fra neo-post-iper-avanguardie, anche molti bluff) della produzione poetica contemporanea e non.

Vi garantisco che nel XX secolo ci sono testi poetici ALTI, VERI e LEGGIBILISSIMI, dei quali non credo mi direte "non ci capisco nulla". Certo, esistono poi diversi livelli di lettura, ma è bene cominciare con testi che offrano almeno un primo livello accessibile. Che non ti sbattano subito la porta in faccia.

Fino a qualche decennio fa si sentiva spesso dire che la poesia sublime è semplice, e che la vera poesia la capisce anche il bifolco. Quest'affermazione è semplicistica e fondamentalmente falsa, perché per capire occorrono alcuni strumenti di lettura, certo. Ma può farci riflettere un po', perché qualcosa di vero lo contiene.

Il testo poetico può (solitamente deve) contenere sensi/significati profondi e diversi, allusioni, richiami, ammiccamenti complessi (per arrivare alla comunicazione emotiva, subliminale, che è specifica della poesia: giungere alle viscere senza - quasi - passare dalla corteccia cerebrale), e complesso è il meccanismo che li genera. Però davvero il "prodotto finito" (come il frutto dell'albero) può (deve?) avere una cristallina semplicità.

Una poesia può lasciarvi anche incerti o e smarriti per gli infiniti echi che suscita in voi.

Ma se "non capite le parole", o se la sintassi vi sembra un garbuglio, diffidate. Non è ingarbugliando le carte che si fa poesia. Il poeta non ha nulla da nascondere, ha solo da rivelare quel pochissimo (una fessura, uno spiraglio) che ha visto e che vuol farvi vedere. Può essere che un poeta giochi a nascondino per stile, ma lo scopo è sempre rivelare.

Chi si compiace nell'imbrogliare il garbuglio è di norma un garbuglioso imbroglione. Alcuni di questi finiscono in "buone" antologie, voi li leggete e dite che la poesia non fa per voi, Avreste ragione se la poesia fosse "quella".

Corre qui l'obbligo di precisare che tutto quello che vi dico è "secondo me" ("in my humble opinion", come dicono gli Americani abbreviando I.M.H.O. nei messaggi E-mail). Dovrebbe essere una precisazione pleonastica - tutti i discorsi, di chiunque, sono "secondo lui". Ma a volte è bene ripeterlo, soprattutto quando si danno giudizi di gusto. E parlando di poesia, e scegliendo poeti, non si può certo evitarlo - e perché mai si dovrebbe?

Seguendo un percorso di limpidezza, pochi diranno ancora "la poesia non la capisco". Potranno dire "non mi piace", che è diverso e che è meglio.

Pochi la capiscono ma molti la scrivono?

In gioventù, sembra che quasi tutti scrivano qualche poesia. Alcuni poi perseverano, su base del tutto inconsistente, andando a ingrossare le file del "milione di poeti" che fanno dire spesso con giustificato sarcasmo che in Italia ci sono un milione di poeti e dieci lettori di poesia.

Il quadernetto di versi dell'adolescente è l'incarnazione della faciloneria che compromette la scrittura o è il seme che germoglierà? Può essere nessuna delle due cose, può essere solo un diario poetico personale senza pretese e senza presunzioni. Ho letto a volte "poesie" di ragazzine simpaticissime che della "poesia" non avevano all'incirca nulla, ma che non creavano alcun fastidio estetico perché consapevoli di non mirare ad altro che a una comunicazione personale (a sé stessi, a un amico o due).

Ben più grave il caso di un "poeta" segnalato a un piccolo concorso di paese, che udii dichiarare alla premiazione: "Io non ho mai letto nessuna poesia, perché non voglio essere influenzato". Uno che pretende di scrivere senza avere mai letto, o è il più grande genio che la Terra abbia mai partorito, o è un perfetto imbecille. La seconda ipotesi è infinitamente più probabile, ovviamente.

Il fatto che milioni di persone ogni anno scrivano - e tentino di pubblicare, e pubblichino - poesie, mentre non mi risulta che milioni di persone ogni anno propongano sinfonie o progetti di cattedrali, contribuisce a far credere alla "gente" che la poesia sia facile e che il poeta sia un buffone, un tale un po' furbo che vuol farsi notare senza troppa fatica. Scrivesse almeno un romanzo, ma no, vuole avere attenzione per dieci righe, una paginetta, troppo comodo!

Quest'ottica si potrebbe rovesciare facilmente, solo notando che le grandi poesie pubblicate in un anno sono meno delle sinfonie e delle cattedrali.

L'impressione di facilità di carta e penna e della "brevità" di una poesia è quindi, lo ripeto, fuorviante. Una poesia può essere costituita da due versi (abbiamo incontrato tutti a scuola il famoso m'illumino / d'immenso ungarettiano), e a scrivere due versi può bastare materialmente meno di un minuto, ma dietro quel minuto finale c'è un lungo lavoro, c'è una lunga esperienza pratica e interiore che rende possibile, a un certo punto, lo scoccare di quel lampo.

Anche una composizione musicale può essere brevissima, ma pochi la giudicheranno "facile" per questo. Forse un musicista si è misurato per anni con la tastiera di un pianoforte, prima esercitando la mano con semplici pezzi, poi studiando gli autori del passato, poi creando qualche sua piccola sillabazione, e aprendo così la strada alla sua possibilità creativa.

Ecco: aprire la strada è una buona metafora di ciò che accade nel campo dell'arte. Esiste un qualcosa da esprimere che sta chiuso, giace, preme dentro l'animo, e deriva dal pensiero, dalle emozioni, dall'esperienza del soggetto. Esiste poi in qualcuno un talento naturale, diciamo pure una vocazione per sottolinearne la "necessità", a esprimere. Ma occorre aprire la strada, creare gli strumenti che collegano quelle sensazioni, quegli impulsi, alla pagina di poesia scritta. Sono strumenti che definirei "metabolici".

Il metabolismo è quella cosa che trasforma pane, latte e verdura nelle parti del nostro corpo. Gli occhi azzurri di una ragazza sono stati una volta purea di patate, penne all'arrabbiata, carciofi alla giudea. Eppure non ci assomigliano per niente. Il metabolismo della poesia trasforma esperienze, pensieri e sensazioni in qualcosa di completamente diverso. Questo vale per ogni arte, ma qui ci serve sottolinearlo per la poesia, che spesso è un distillato così piccolo, così breve, da sembrare appunto troppo facile.

Ma la sensibilità di un lettore distingue bene quattro versi frutto del metabolismo poetico da quattro righe scritte a caso da un poetastro. Poco e breve non significa facile e leggero. Un fisiologo di qualche secolo fa, di cui ora non ricordo il nome, si domandava come mai l'uomo (maschio) fosse così spossato e stanco dopo avere emesso, nel coito, una quantità così modica di liquido, due o tre centimetri cubi di sperma, che sembra che abbia prodotto roba a chili o litri, tanto ci si è impegnato. La risposta che dava non è corretta scientificamente, ma è interessante: diceva che quelle poche gocce di sperma richiedevano tutto quello sforzo perché, dovendo generare un uomo nuovo, provenivano da tutto il corpo, si spremevano da tutte le membra e da tutti gli organi, per rifarli nel grembo della donna.

La poesia è un po' come lo sperma secondo quel fisiologo: si spreme da tutti gli angoli dell'essere, prende l'uomo intero e lo concentra in poche righe, quando ci riesce.

Il ritmo della parola è dunque il ritmo dell'emozione. Poesia è comunicare per consonanza. Allora anche per leggere poesia occorre avere assorbito corde che consuonino alle parole e alle emozioni. In questo senso non è vero, come dicevamo, che proprio tutti capiscano la poesia, anche se è vero forse che, quanto più la poesia è grande, tanto più riesce a scendere nelle corde più profonde, quelle che non mancano quasi in nessun essere umano capace di pensiero e d'emozione. Dunque l'idea romantica che la grande poesia la capisce anche il bifolco semianalfabeta è un po' eccessiva, ma parimenti diffiderei da quelle poesie per capire le quali è necessario leggere un trattato che le accompagna e le spiega. Una volta assorbita la capacità di consuonare, la poesia deve avere davvero un effetto immediato, perché l'immediatezza è una sua specificità - immediatezza nel senso di non passare per la mediazione di una narrazione razionale, di premesse e sviluppi, di intrecci di storie da interpretare con la mente.

È ovvio che quando dico che la poesia non deve richiedere troppe spiegazioni non parlo delle spiegazioni storiche. Sappiamo bene che non si capisce granché della Commedia di Dante senza un buon commento. Ma un conto è studiare storicamente per collocarci nella posizione e nella cronologia di una poesia del passato (o del presente, ma di un'altra cultura), e un altro conto è dover leggere il commento per emozionarci, per essere presi.

Ci sono versi di poesia lirica greca che ci coinvolgono anche se nessuno ci spiega il contesto in cui sono nati, e questo avviene soprattutto se i riferimenti sono ad esperienze che i secoli non hanno cambiato poi tanto. Quando un Greco del V secolo a. C. parla di vino o di sesso, lo capiamo immediatamente; quando parla di società e politica, facciamo più fatica, perché non viviamo nella pólis greca amministrata da tutti i cittadini che si ritrovano in piazza - la nostra comunicazione politica è diversa.

 

Imparare a leggere

Imparare a leggere è dunque lo scopo primo di ciò che vorremmo fare qui. Scrivere è un passo successivo eventuale. Ciò non toglie che potremo anche esercitarci a scrivere, come il pianista si esercita sulla tastiera a creare sue piccole sequenze di note.

Una buona idea è provare a scrivere qualcosa dopo una full immersion in una poesia o in una serie di poesie di quelle che leggiamo. Lasciamoci stimolare dal fascino di qualcosa che leggiamo, e proviamo a sintonizzarci su quel ritmo, su quell'andamento.

Che cosa leggiamo? Quello che ci pare, è ovvio. Ma qui tratteremo soprattutto poesia italiana del Novecento, con le sue ascendenze nei secoli prima (e anche nell'antichità).

Una scelta limitativa che però ha le sue giustificazioni. Intanto, è partendo dal particolare che si capisce l'universale. Una mela che ti cade in testa può forse farti capire la gravitazione universale, mentre non è lo studio della gravitazione universale che fa cadere una mela. Lo studio astratto, generico, ampio, non fa cadere nessuna mela. E se non cade la mela, come fa a venirvi quell'indispensabile voglia di mangiarla?

Già, mangiare poesia. Il banchetto delle poesia: non sarò io solo egocentricamente a imbandirlo. Portatemi i versi che amate - non quelli che hanno tentato di farvi amare. Ce ne sarà qualcuno (ma se proprio per qualcuno di voi non ce ne fosse nessuno, non spaventatevi, può succedere, la poesia è così marginale in tutti i nostri studi che può succedere). Non preoccupatevi di trovare versi "culturalmente corretti". Trovate quello che vi ha emozionato, che provenga da una rara edizione araba o da un Bacio Perugina a me non importa.

Una mia amica solo dopo anni di confidenza una volta osò dirmi che le piaceva Prévert, e lo disse col tono di una che ammette di essere un po' scema: Prévert, poeta da ragazzotte, canzonettaro, da Bacio Perugina appunto… Questo giudizio di molta critica su Prévert può essere fondato o no, ma questo non ha importanza qui adesso.

Portate versi che amate e proviamo ad amarli, o non amarli, insieme. Almeno in poesia l'amore di gruppo è assolutamente permesso. La poesia non è gelosa, vedete, sta su una pagina di carta alla mercé di chiunque voglia possederla, ma a una precisa condizione: che quel qualcuno sappia possederla. Versi proposti da me o da voi, li leggiamo insieme, li leggiamo ad alta voce, diverse persone li leggono. Chi vuole ci dice le sue impressioni, le sue sensazioni. Raccontiamo la poesia, ossia raccontiamo il nostro percorrere poesia.

Non è facile. Bisogna mettersi un po' nudi, lasciarsi vedere, esternare sensazioni. Potrebbe succedere di piangere - è ridicolo questo? Ma: succede davanti a prodotti anche furbeschi, magari al cinema per un film volutamente strappalacrime, non è una tragedia se succede. Attenzione: non è che ci riuniamo per giocare giochini sentimentali, l'oggetto è la scrittura poetica, ma non si studia la scrittura poetica senza una prova organolettica. Va bene studiare come nasce la mela, diventiamo pure esperti di botanica e frutticoltura, ma alla fine bisogna mangiarla, questa mela, se no a che serve?

La poesia rimanda sempre ad altro. Non possiamo scinderla dall'altro a cui manda. Un secolo di anatomia del testo ha dato sì qualche strumento critico interessante, ma ha dimostrato anche i limiti di una comprensione artistica basata sull'autopsia dell'opera. L'opera non è una cosa morta, rinasce in ogni fruitore, quindi il tavolo dell'obitorio non è il luogo adatto per capirla e, tutto sommato, nemmeno per analizzarla. Soprattutto, non è quella strada attraverso la quale un'opera d'arte, e una poesia in particolare, può stimolare e far crescere la nostra creatività.

Già, perché la poesia non ti dà una nozione, una denotazione, ma ti guida a scoprire qualcosa che è già in te. È veramente una grande copula, un atto generativo. Quindi funziona se dentro di te ci sono le corde da far vibrare, dicevamo. Di qui la necessità di vivere prima di scrivere. Ma anche di vivere prima di leggere. E di intrecciare la vita alla lettura e alla scrittura.

Questa vita può non dipanarsi tra avventure appariscenti, può essere anche "solo" o "prevalentemente" interiore (Emily Dickinson) e tuttavia deve essere forte, deve mordere. Se non c'è vita "a monte" della poesia, si producono solo gli effetti ridicoli della madama che scrive versi montaliani per il concorso della proloco. Questo è assolutamente ovvio, sto scoprendo l'acqua calda, mi direte. Ma il XX secolo ha esasperato un po' troppo l'idea che la letteratura nasca dalla letteratura e basta, e quindi è il caso di scoprire l'acqua calda. La letteratura è una premessa necessaria nella storia, ogni autore ci si inserisce, certo, ma il "movente del crimine di far poesia" è sempre altrove. Altrimenti, sono puri esercizietti letterari. Giochini leciti, ma non arte.

Il poeta non è un erudito. Di solito però neppure un analfabeta, è chiaro. Ma per lui leggere è funzionale a capire, creare, ricreare la vita e il mondo - detto così suona ben presuntuoso, ma un poeta non può fare altro che ricreare la vita e il mondo. Se giocasse su vite e mondi già fatti, avrebbe già perso prima di cominciare. Un poeta solitamente ha letto meno di un erudito, ma ha letto le cose giuste per lui.

E anche per gli altri, leggere le cose giuste "per ciascuno" è fondamentale. Ti formano di più tre poesie che ti emozionano, che non ti fanno dormire, che ti tengono la notte a rimuginare, piuttosto che trenta libri che ti scivolano noiosi nella mente.

Ma come trovare quelle tre poesie? Cercandole, ovvio. Qui un discorsetto politico sulla scuola e sui mass-media ci starebbe anche: la poesia viene proposta così di rado, che è difficile, miracoloso che una poesia raggiunga "per caso" colui che è destinato ad ascoltarla. Fra mille canzoni che un ragazzo ascolta in mille occasioni, magari trova quello che lo colpisce. Però mille occasioni di ascoltare mille poesie mi sa che non le avete. E se anche scoprite un libro che vi incuriosisce, se è di poesia faticherete molto a trovarlo. Ricordo che faticai a trovare un libro di Luciano Erba che non era stampato da un piccolo editore, ma da Mondadori, ed era uscito da pochi mesi. Sembra che neppure il librai amino la poesia.

Scegliere il materiale

Qui sono costretto arbitrariamente a fare il maestro - qualcuno deve pur farlo - e proporvi poesie che emozionano me e che penso emozionino alcuni di voi. La scelta è assolutamente soggettiva e si compenetrerà con le scelte che porterete voi.

Primi nomi italiani proposti. Saba, Caproni, Luzi, Sereni, Sanguineti, Sbarbaro, Montale, Pasolini, Penna. Ma anche un tal Simonelli fiorentino, oggi ventenne, che non conosco di persona ma di cui ho letto un libro che mi è piaciuto.

Ecco, le scelte: il poeta non è un uomo moralmente superiore ma non può rinunciare all'onestà intellettuale sulla poesia. Non sceglierei mai poesie di "amici". Aneddoto divertente: una volta mi sono giocato una probabilissima notte d'amore con un'aspirante poetessa molto bella, perché proprio non ce l'ho fatta a dirle che scriveva bene - semplicemente, non era vero. Un artista può essere un gran maiale, ma difficilmente mentirà sull'arte: sarebbe per lui il tradimento più grave.

Un libro di poesia: leggerlo tutto è utile per conoscere l'autore (conoscenza storica) e soprattutto perché non puoi sapere prima quale poesia colpirà nel tuo segno. Ma se alla fine della lettura di un libro di cento pagine UNA poesia ti ha emozionato, il libro è stato un buon investimento. Questa è un'altra differenza importante fra un libro di narrativa e uno di poesia.

Ancora più soggettivo: inserirò alcune poesie mie - il metodo più economico per commentare poesie con l'autore - se no ci tocca invitarne altri (cosa che si può fare in aggiunta, se le circostanze sono favorevoli). Raramente un autore è disposto a farsi scuoiare, a dire anatomie interne di ciò che al lettore deve apparire solo da fuori pelle. Ma io "ovviamente" sono disposto a questa immersione, per dolorosa che sia.

Il linguaggio della poesia fuori dalla poesia

Se vorremo tenere un laboratorio di poesia, qualcuno potrà domandarsi a che serve, visto che non si possono inventare poeti in laboratorio. Da un lato la domanda è blasfema: la poesia (l'arte) serve a sé stessa. Ma nel laborioso contesto di un laboratorio, può avere senso domandarsi il perché di un esercizio sul linguaggio poetico.

Pensiamo allora che il linguaggio della poesia non risiede solo nella poesia stessa, ma può essere usato in altri contesti. Un linguaggio simile a quello della poesia è quello dei titoli dei giornali e delle riviste. Poche parole che devono evocare qualcosa, non descrivere tutto ma richiamare un contenuto, attrarre l'attenzione e la curiosità: un bravo titolista dovrebbe essere un poco poeta.

Un altro linguaggio che prende molto dalla poesia è il linguaggio della pubblicità, per strano che ciò possa sembrare. D'altronde abbiamo detto che lo specifico del linguaggio poetico non è il che cosa, ma il come. Dunque, nulla di strano se esso può piegarsi a pubblicizzare un dentifricio o un'automobile.

 

Qualche ultima frase sparsa

Poesia e realtà, la mediazione della poesia. Nasce da un fatto, immagine, persona, sensazione, ma se ne stacca fino a poter evocare in te un altro fatto, immagine, persona, sensazione che TU hai vissuto. Questa è una forma di comunicazione molto diversa da quella denotativa e, in genere, da quella narrativa. Anche quando la poesia contiene narrazione.

Prove tecniche di scrittura. Ma prima, di orecchio.

Per sapere se un verso stona non si contano le sillabe, così come per sapere se una nota stona non si legge il pentagramma.

Cominciare dal ritmo più fluente. Per deviare, occorre sapere la via. Come in pittura una lunga preparazione figurativa dà senso a un apparente scarabocchio.

Una parola, una nota. Un do diesis da solo non è né bello né brutto. Non esiste parola sublime e parola volgare, esistono combinazioni di parole che sono o non sono poesia.

 

ESEMPIO DI ANALISI TESTUALE ("EMOTIVA"?)

Mille miglia, di Vittorio Sereni

Per fare il bacio che oggi era nell'aria

quelli non bastano di tutta una vita.

Voci del dopocorsa, di furore

sul danno e sulla sorte.

Un malumore sfiora la città

per Orlando impigliato a mezza strada

e alla finestra invano

ancor giovane d'anni e bella ancora

Angelica si fa.

Voci di dopo la corsa, voci amare:

si portano su un'onda di rimorso

a brani una futile passione.

Folta di nuvole chiare

viene una bella sera e mi bacia

avvinta a me con fresco di colline.

Ma nulla senza amore è l'aria pura

l'amore è nulla senza la gioventù,

Brescia, primavera 1955

(Da Gli strumenti umani, Einaudi 1965; nell'edizione di tutte le poesie de I Meridiani di Mondadori, 1995, è a pag. 117.)

 

Per fare il bacio che oggi era nell'aria

quelli non bastano di tutta una vita.

Un bacio nell'aria, in un tempo già passato era ma ancora presente come eco: oggi, quindi siamo nella stessa giornata - l'idea è che sia ormai sera, dello stesso giorno. Bacio nell'aria, quindi non un bacio di una donna a un uomo, non un bacio dato concretamente, ma un bacio che pervade la scena, nell'aria, oggi, è che conta più dei baci che si danno in tutta una vita. Ci si sente già spaesati, si sente come l'odore della sera e della perdita, un bacio, sì, nell'aria, che conta più di quelli di tutta una vita, dunque poca cosa è tutta la vita davanti a quello che c'era nell'aria oggi, nell'aria, già s'intende che non s'è potuto, non si potrà mai afferrare.

Il ritmo è sospeso, i due versi partono con l'andamento dell'endecasillabo, accento sulla quarta (endecasillabo minore, nel senso musicale del termine), il primo si può leggere come endecasillabo scegliendo di usare sinalefe in che oggi, ma assomiglia a un dodecasillabo, quel che//oggi si presta poco alla fusione in bisillabo ch(e)oggi; il secondo verso è inevitabilmente un dodecasillabo, si dilata, come se volesse inspirare più aria (l'aria col bacio), ma con fatica, apprensione, affanno.

Questi due versi ci introducono già pienamente nell'atmosfera della poesia. Il titolo Mille Miglia ci ha già anticipato che si tratta di una gara sportiva, una corsa di automobili: la Mille Miglia era una sorta di giro d'Italia in auto, si correva ai tempi dei pionieri dell'auto, non ricordo fino a quando la si è corsa, qui comunque siamo a Brescia nel 1955 - il poeta sceglie di mettere luogo e data in fondo alla poesia, è una cosa che si può fare o non fare, in questo caso direi che è bene averlo fatto, un luogo concreto, un giorno concreto in cui un bacio, così importante da valere una vita, era nell'aria, e quest'aria era quella di un giorno di corsa automobilistica.

Voci del dopocorsa, di furore

sul danno e sulla sorte.

Ecco, c'è uno stacco che però ci mantiene nella stessa aria in cui è sospeso il bacio. La passione dei commenti su una corsa d'auto che intuiamo non essere andata bene per qualcuno, che con furore si scaglia contro il danno e la sorte. Il tono è alto, eppure si parla di una "semplice" corsa d'auto - la passione è alta, e l'aria comincia a pervadersi di qualcosa che viene da più lontano, è un'aria che - col bacio che vi è sospeso - trascende il tempo. C'è già qualcosa di antico in questo furore sul danno e sulla sorte, è la tragedia greca che si connette, con la sua eternità, a un evento moderno (particolarmente moderna nel 1955 una corsa d'auto), ed ecco che la poesia già ci comunica, senza dircela, una cosa: il furore, il danno, la sorte, sono gli stessi nelle tragedie greche e nelle passioni sportive cittadine del 1955. C'è un filo che non s'interrompe. Un filo teso, sospeso, che sta nell'aria come il bacio.

Un malumore sfiora la città

per Orlando impigliato a mezza strada

Qui il filo della storia si esplicita e ha conferma, richiamando Orlando, il poema cavalleresco: il corridore automobilista è in viaggio come Orlando, in gara come Orlando. Però la città non è presa da furore, ma sfiorata da un malumore. Ecco che compare una gradazione che introduce una certa solitudine. C'erano prima voci di furore, in un punto preciso; ora c'è la città che non è indifferente, ma sfiorata da un malumore. Quasi un semplice fastidio per la corsa andata male al corridore che supponiamo essere del posto, quindi coi suoi "tifosi" lì dove ci troviamo. Tragedie e passioni avvengono, ma intorno la vita è solo sfiorata da un malumore. Tutto questo aumenta il clima di sospensione e accentua la malinconia.

e alla finestra invano

ancor giovane d'anni e bella ancora

Angelica si fa.

Qui la malinconia ha la un'impennata, quasi nel concretarsi, ma subito vanificato, del bacio che era nell'aria. Angelica, la donna di Orlando, la donna che attende il corridore che, l'abbiamo capito, non sarà vittorioso, perché impigliato a mezza strada, forse da un guasto meccanico, si fa alla finestra - un gesto di gusto antichissimo, il gesto dell'attesa e dell'invito, pensate a Giulietta o alle varie principesse sulle varie torri, alle trecce buttate dai balconi, eccetera.

Alla finestra Angelica si fa, ma invano: l'occasione è perduta, il bacio è sospeso nell'aria, ne cogliamo l'impossibilità, il perdersi. L'essere giovane d'anni (d'anni: a suggerire che nell'anima qualcosa è già invecchiato, forse fin dalle origini) e l'essere bella di Angelica è chiuso con una trovata magistrale, e crudele, dal poeta fra due ancora che stringono il verso in una morsa struggente: è come vedere la morsa del tempo che sta già divorando bellezza e gioventù. Ancora: è oggi, ma è già passato. Bellezza e gioventù appartengono alla sospensione, al bacio che rimane nell'aria, al desiderio che è già rimpianto. Il ritmo li porta via, il verso che si apre e chiude con ancora è un endecasillabo maggiore, avendo l'accento principale sulla sesta sillaba, dunque maestoso, andante con moto, eppure l'attenzione è catturata da quel giovane introdotto dal troncato ancor, di nuovo un freno al ritmo, un'esitazione, una sospensione.

Voci di dopo la corsa, voci amare:

si portano su un'onda di rimorso

a brani una futile passione.

Qui si riprende il terzo verso, che diceva voci del dopocorsa, di furore. Ma il furore si è già stemperato nell'amara quotidianità. La trovata stilistica è trasformare il secco dopocorsa in un più largo dopo la corsa. Il dopocorsa fa ancora parte della corsa, è l'urlo; il dopo la corsa è già un più pacato commento, dove l'amarezza non si sa se è per la corsa o per l'averci creduto o perché tutto è finito, e la passione, divenuta futile, è portata su un'onda di rimorso che resta imprecisato. Si noti, per inciso, che la passione diventa futile la prima volta che è nominata esplicitamente. Prima c'è, chiara e dominante, nel furore sul danno e sulla sorte, e non è detta. In poesia spesso chiamare le cose col loro nome significa distruggerle, buttarle via. La descrizione manda in prescrizione, caccia via da quell'aria sospesa, da quel bacio che oggi era nell'aria e che forse ora è già dimenticato.

Folta di nuvole chiare

viene una bella sera e mi bacia

avvinta a me con fresco di colline.

Ecco: col cadere della passione della corsa e del bacio, il poeta si distacca dalla scena, e lo fa introducendo per la prima (e unica) volta il discorso in prima persona, il suo io. Tutto si è sopito, è sera, la gente ci sembra andata via con la sua passione ormai futile, quasi rinnegata nel rimorso (forse il rimorso di essersi emozionati, il più avvilente dei rimorsi borghesi); dove si è perso il bacio che era nell'aria e che valeva una vita? Rimane il poeta a cercarlo, e sembra trovarlo nella bella sera, nella pace di una sera fresca di primavera, il perenne conforto dei poeti dai lirici greci fino a noi: la sera abbraccia il poeta, è avvinta a lui. Ma nella troppa semplicità del verso viene una bella sera e mi bacia, le parole più comuni costruite senz'artificio, quasi banali, come dire ma sì, è una bella serata, insomma, si intuisce già un lampo beffardo che introduce la sferzata dei due versi finali.

Ma nulla senza amore è l'aria pura

l'amore è nulla senza la gioventù.

Ecco, la soluzione-assoluzione è rifiutata, e la chiusa è tragica: la perdita del bacio non si sana. C'è un'eco lirica di Mimnermo, tís de bíos tí de terpnón atér kryseés Aphrodítes, quale vita, quale gioia senza l'aurea Afrodite? La sospensione cade, la giornata che conteneva il bacio di una vita adesso è finita davvero. Nella scena di una corsa automobilistica, il poeta è riuscito a far muovere dentro di noi l'eterna domanda-consapevolezza sull'impossibilità di amore e sulla voracità del tempo, e tante altre cose ancora che non si possono dire, quasi anche un'inadeguatezza e una vigliaccheria di fronte al vivere e all'amare.

In pochi versi, in uno scenario quieto di sagra paesana, si racchiude l'ampiezza di sensazioni e di presenze che, se fosse raccontata in altri altisonanti modi, ci suonerebbe retorica, falsa. Una piccola poesia ispirata dall'aver assistito a un evento sportivo si insinua in noi a toccare le corde che vibrano dell'universalità della nostra vita.

 

 

ALTRI TRE TESTI SU CUI PROVARE L'ANALISI

 

Sandro Penna, quattro piccole poesie senza titolo che aprono le Poesie inedite (1927-1938). A pag. 63 dell'edizione di tutte le poesie di Garzanti, Gli Elefanti Poesia, 1989.

Nel fresco orinatoio alla stazione

sono disceso dalla collina ardente.

Sulla mia pelle polvere e sudore

m'inebbriano. Negli occhi ancora canta

il sole. Anima e corpo ora abbandono

fra la lucida bianca porcellana.

Il cielo è vuoto. Ma negli occhi neri

di quel fanciullo pregherò il mio dio.

Ma il mio dio se ne va in bicicletta

o bagna il muro con disinvoltura.

La mattina di estate è ancora fresca.

E giunto è il giovinetto adesso a questo

verde paese nuovo alla sua gioia.

Risale la collina sovra il mare.

Indi si ferma trepido ad osare

una semplice cosa: ora al suo cuore

dolcissimo peccato poi che scende

la giovane lattaia e lo vedrà.

Porto con me la dolce pena. Erro

entro terre più belle dell'amore.

E mi affaccio sul mare che si batte

contro scogli per ridere con sé.

Solitario un fanciullo scorgo assorto

in qualcosa di oscuro ch'io non oso

indovinare… Poi, scoperto, un guizzo

e un salto lo riportan gaiamente

a nasconder nel mare il suo peccato.

 

 

Giorgio Caproni, Per lei, da Il seme del piangere (1950-1958). A pag. 211 dell'edizione di tutte le poesie di Garzanti, Gli Elefanti Poesia, 1989.

Per lei voglio rime chiare,

usuali: in -are.

Rime magari vietate,

ma aperte: ventilate.

Rime coi suoni fini

(di mare) dei suoi orecchini.

O che abbiano, coralline,

le tinte delle sue collanine.

Rime che a distanza

(Annina era così schietta)

conservino l'eleganza

povera, ma altrettanto netta.

Rime che non siano labili,

anche se orecchiabili.

Rime non crepuscolari,

ma verdi, elementari.

 

 

 

 

Carlo Molinaro, Sei più bella, da Tratto per disunione, 2001.

Sei più bella così, fuori dal guscio

dei tuoi vestiti ruvidi, lasciando

che sia la pelle a dirmi le parole

che a voce non sai dire. Sei più bella

quando consenti che io cerchi i segreti

che tu stessa non sai, quando la patina

di un giorno vivo si stacca da te

e io la bevo e la conosco. Sei

una donna, sei frutto della terra

e ne sei madre, come sempre, come

sempre torniamo, stupiti, a scoprire.

 

 

COMPARAZIONE FRA LINGUAGGI

Lo stesso fatto raccontato in poesia e raccontato "oggettivamente" (in una lettera al giornale).

1) Lettera al giornale:

Spett. La Stampa.

Il pomeriggio della vigilia di Pasqua, alla stazione di Torino Porta Nuova,
mi soffermo per qualche minuto davanti ai gabinetti, in attesa della mia
compagna di viaggio che se ne sta servendo. Ci sono nei pressi alcuni
barboni, o più precisamente giovani alcolisti emarginati, qualcuno in piedi,
qualcuno seduto per terra col bicchiere accanto.
Arriva una pattuglia di tre poliziotti, fra cui una donna. I poliziotti
cominciano a discutere in modo alquanto sgarbato con il custode dei
gabinetti, che già non fa un lavoro dei più gratificanti, dovendo curare i
gabinetti gratuiti, i più indecenti (la decenza, sull'altro lato della
stazione, costa mille lire a pipì). Il comportamento dei tre poliziotti è
davvero scostante, provocatorio. Soprattutto la donna sembra intenzionata ad
attaccar briga a tutti i costi, e lo fa rovesciando intenzionalmente, con un
calcio, il bicchiere di un alcolista, che sia pur blandamente reagisce, e
finisce quindi nei guai.
L'atteggiamento della poliziotta mi è parso disgustoso, mi ha richiamato gli
"sbirri" del passato, al servizio non del cittadino ma dell'abuso di potere
e della prevaricazione, pronti a prendere a calci i più deboli. Mi auguro
che si tratti di un episodio isolato, ma non ne sono sicuro.

2) Poesia:

 

PICCOLI GESTI PER UN MONDO PEGGIORE

A Porta Nuova una poliziotta troia

dà un calcio al bicchiere di plastica

di un giovane alcolista seduto perso

quasi riverso

davanti ai cessi gratis, quelli sporchi.

Il bicchiere era pieno.

Lui reagisce - pur poco - ed è nei guai.

Sono questi

i piccoli gesti

per un mondo peggiore.

 

 

 

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