APPUNTI SPARSI FRAMMENTARI

 

 

Virgilio in piemontese, un gioco liceale:

 Titiro ti lon c'at fè strouasà tant me 'n crin suta l'umbra di 'n fo

Titiro ti lon c'at fè strouasà tant me 'n crin suta l'umbra di 'n fo

Ti-ti-ro / ti-lon-c'at / -stro-ua / -tant-me'n / crin-su-ta / l'um-bra-di'n / fo

 

 

Ritmi:

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

Ma solo un punto fu quel che ci vinse (Dante)

La donzel letta vien dalla campagna (Leopardi)

Ma nulla senza a more è l'aria pura (Sereni)

 

Il ritmo permane più del linguaggio. Versi di Virgilio, Dante, Leopardi consuonano con versi contemporanei, in linguaggi diversi e realtà diverse.

  

Esempi di poesia che narra (non in prima persona):

I poemi cavallereschi

Poemetti scapigliati dell'Ottocento - Re Orso - Boito, Tarchetti

Tragedie antiche, ancora imitate nel sec. XIX

Manierismo

Poemetti giocosi e goliardici

 

Per chi non si sente particolarmente animato da lirici afflati, o forse un po' per tutti, la poesia narrativa in terza persona è un buon terreno d'esercizio.

 

 

Incroci fra metriche antiche e moderne.

Il dattilo e il trocheo sono piedi della metrica classica.

Il dattilo è formato da una lunga seguita da due brevi; il trocheo da una lunga seguita da una breve.

Se sostituiamo "lunga" con "tonica" e "breve" con "atona", il dattilo è una tonica seguita da due atone, il trocheo una tonica seguita da un'atona.

Una parola di tre sillabe con l'accento sulla terzultima (ossia sulla prima) rappresenta un dattilo; una parola di due sillabe con l'accento sulla penultima (ossia, ancora, sulla prima) rappresenta un trocheo.

Perché questa divagazione?

Perché la successione di tre dattili e un trocheo forma il più classico degli endecasillabi.

Quindi se mettete in fila tre parole trisillabe sdrucciole e una parola bisillaba piana, avete sicuramente un endecasillabo col ritmo giusto.

Meglio se nessuna delle parole inizia per vocale, per evitare che la sinalefe (la fusione della vocale iniziale con la finale della parola precedente) si "mangi" una sillaba.

È un giochino che sembra sciocco e forse lo è, ma funziona, e a volte può essere divertente.

Proviamo.

Tremule madide fragili mani

prendono solide nobili pietre

scagliano perfide tacite frecce.

Facendo così, siamo sicuri di avere endecasillabi corretti. E prendiamo il ritmo. Ma certo siamo un po' limitati nell'esprimerci!

Ecco che allora, dopo lunghissimi esercizi (scherzo! sto inventando tutto questo il martedì sera prima dell'incontro - faccio sempre le cose all'ultimo momento, non lapidatemi!), potremmo provare a divagare un po'.

Scrivendo il terzo dei tre versi-esempio poco sopra, mi era venuto in mente:

scagliano perfide maledizioni

che funziona benissimo come endecasillabo, ma non risponde alla regola che avevo detto. O sì? Forse sì, se ci accorgiamo che dentro le parole lunghe ne sono nascoste di più brevi (il ritmo dei nostri accenti non supera mai il terno: le parole che hanno più di tre sillabe sono sempre divisibili in "sotto-accentazioni" interne). La parola maledizioni ha un accento secondario (sono certo che lo percepite benissimo) sulla a di "male". Maledizioni > màle diziòni. In questo caso la divisione è suffragata anche dal senso, ma ciò non è necessario e non necessariamente accade.

Nella metrica la fine di una parola non ha grande importanza per il ritmo, a meno che noi non vogliamo usare la metrica per sottolineare la fine di una parola (ma questo è un discorso già più avanzato, adesso restiamo ai preliminari se no ci confondiamo).

Quindi màle diziòni "pesa" esattamente come un ipotetico màledi ziòni.

E màledi ziòni (scomposizione di maledizioni) risponde perfettamente alla regola dei tre dattili e del trocheo:

scàgliano pèrfide màledi ziòni.

Quindi possiamo piazzare "tre dattili e un trocheo" anche in modo trasversale alle parole, con parole più lunghe o più brevi...

Chiaramente tre dattili e un trocheo è solo UNA delle accentazioni ritmicamente corrette dell'endecasillabo - ce ne sono altre, non tantissime ma... diverse.

Però limitarci a questo endecasillabo può essere un buon modo di fare esercizio ritmico. Questo è uno dei ritmi "basilari" della poesia italiana, forse il più infantile (si presta bene alle cantilene), che dovremmo più o meno avere nel sangue... Le variazioni le faremo dopo.

Praticamente (sto scrivendo appunti sparsi che non organizzo, prendeteli come tali, questo NON è un libro o un manuale), lo schema è

J -- J -- J -- J - lucide lacrime scendono calde

dove la faccina sorridente è la sillaba accentata e il trattino quella atona. Tre sdrucciole e una piana, per cominciare, ma poi possiamo metterci qualsiasi parola che stia nello schema... Se vogliamo esagerare, diciamo che l'ultimo trattino può anche non esserci (endecasillabo tronco) o possono essercene due (endecasillabo sdrucciolo), cioè sono validi anche gli schemi

J -- J -- J -- J lucide lacrime scendono giù

J -- J -- J -- J -- lucide lacrime scendono tiepide

ma restiamo alle cose semplici, come il pianista comincia, paziente, col solfeggio...

 

 

Note per l'incontro del sette novembre.

Quando pensai questa poesia ero effettivamente su un autobus diretto al cimitero Sud di Torino (il 5 sbarrato) e avevo ossessivamente in mente la musica di una canzone di Fabrizio De Andrè: Princesa, da "Anime salve" del 1996. Scrissi la poesia di getto sulla panchina davanti al cimitero. Le parole non riuscivano a non seguire la musica che avevo in testa.

Una consonanza o un plagio?

Non credo che leggendo la poesia si possa risalire alla musica che avevo in testa, ma leggendola dopo avere ascoltato la canzone probabilmente la consonanza si nota.

 

VISITA AL CIMITERO

Il vento forte che agita gli alberi

verso la fine di corso Orbassano

dove le file di case si perdono

nell'arcipelago dei capannoni

soffia più forte dentro la foresta

che mi nascondo da sempre nel cuore

con il suo urlo interminabile

di scimmie rosse in stagioni d'amore.

C'è sempre un segno se vengo da Monica

un canto un brivido un filo uno stelo

c'è sempre un giorno che le rassomiglia

c'è sempre un tono diverso nel cielo

e quando scendo dal bus nel piazzale

da un orizzonte che prende alla gola

m'accerchia un ballo di foglie e di polvere

dove si narra che lei non è sola.

 

 

Lunedì 5 novembre, ossia l'altro ieri, sono stato al teatro Gobetti a vedere/sentire Covers, di Raul Montanari, Aldo Nove e Tiziano Scarpa. Si è trattato di un vero e proprio reading di poesie tratte dal loro libro Nelle galassie oggi come oggi: poesie ispirate a brani musicali. L'opera in sé non mi è parsa eccelsa: poesia talvolta un po' marpiona, facile, ammiccante, quasi commerciale se mai la poesia può esserlo. Però la presentazione è stata accorta, teatralmente efficace, bene usando l'accostamento fra questi componimenti poetici "nati" (talvolta vagamente, alla lontana) da canzoni, e le canzoni appunto che ne erano all'origine.

 

 

Questa settimana ho scritto alcune poesie. Dato che tutto interferisce su tutto, è probabile che in parte esse derivino anche dal nostro laboratorio. per l'ultima direi che è sicuro.

 

 

DISCANTO

Ci si discanta. Cantare l'assenza

era più triste e facile. Il rimpianto

non è una cosa legata al passato

ma un'impotenza d'oggi. Può guarire.

La guarigione introduce una vita

più allegra e più difficile. La rima

non combacia - ma trovi altri baci

meno innocenti, molto più profondi.

Uscire dalle fiabe non è poi

così angoscioso. Cominci a capire

che fuori dalla fiaba è un'altra fiaba

diversa e altre seguiranno ancora.

E quanto all'innocenza... L'innocenza

non è l'ingenuità di bimbi ignari

ma l'arduo luminoso benvolere

di chi sa inganni, ferite, viltà.

 

Zoagli, 1° novembre 2001

 

SCIA D'AMORE

Mi piace quell'odore genitale

che resta nella stanza dopo che

si fa l'amore. Più a lungo rimane

sul dorso delle mani, che mi porto

ancora al naso voluttuosamente

dopo che t'ho lasciata alla stazione.

 

Zoagli, 1° novembre 2001

 

  

FUMI

Ho bruciato milioni di parole

in un fuoco che non ha rischiarato

nemmeno il buio fra le mie ginocchia

né la terra che sta fra le mie scarpe.

Alle sei del mattino qui sul golfo

la luna piena fa brillare il mare

a giorno mentre un nuovo giorno striscia

rosso per le montagne d'Orïente.

 

Zoagli, 3 novembre 2001

 

 

L'UOMO SUPERFICIALE

Sono un uomo molto superficiale

Ho le mie ragioni

Mi sono immerso in profondità

Ho trovato suicidi

Cammino sulla pelle

D'un palloncino gonfiato

Se provo a scavare scoppia

È pur vero che s'affloscia lo stesso

Col tempo

O scoppia o s'affloscia

Il destino è sempre nel bidone

 

Torino, 6 novembre 2001

 

 

 

LABORATORIO ALLA SCUOLA HOLDEN

C'è quella che sta in fondo e non si firma

ma scrive bene della Bielorussia

che non forse esiste, c'è il virtuoso

che già fa il paroliere - così dicono

i compagni a denuncia. Ce n'è uno

che non sta bene dentro il giorno, dice,

scrive lodi al piacere di venire,

consiglia di calmarsi e riprovare.

C'è quello che mi ha detto che mi porta

un libro di un poeta che vorrei

conoscere, ma quando me lo porta?

C'è quella più graziosa che la porta

la tiene aperta, sotto, quando esco

a prendere la bici per tornare

a casa nelle luci della sera.

Troviamo dunque un senso a questo breve

laboratorio preso fra due lune:

fra i noviluni d'ottobre e novembre,

precisamente, del 2001!

C'è quella che marina la seconda

ora e mi dice: "Ero fuori a parlare

con un'amica di letteratura".

Che sia una critica neanche velata?

Forse che qui cazzeggiamo di fútbol?

È lei la stessa che a fare un esempio

d'una parola sdrucciola mi dice

dammela. Poi si corregge e propone

prendila. Mah! Qualche cosa faremo

di buono pure in quest'aulica aula?

Vagamente spermatica è la nota

che rintocca nei versi costruiti

nel compito da molti: sarà che

sono giovani o forse sarà che

tutto nasce da un seme e non c'è vita

se manca un solco umido. Con ciò

mischiano altri l'amore e la morte,

lacrime, coccole, briciole, baci.

Uno ricalca il ritmo a Cantos nuevos

con un piscio di cagna sulla terra,

fra i preferiti c'è molto Ungaretti

e molta varietà. La poesia

mi pare liberi molte pulsioni

e questo è già qualcosa: su un foglietto

anonimo a quadretti in stampatello

ci sono corpi non sedotti, madri

spaventevoli, ombre di saliva,

odori, notte, polvere, dolore

 intriso di piacere e viceversa.

Ma non prendiamoci troppo sul serio:

in cinque incontri possiamo giocare

a fare qualche verso, non di più.

E tuttavia... Già questo è difficile:

sono pochi, mi pare, quelli che

mi han già dato dei versi, aspetto ancora

quelli degli altri. Faremo un libretto

e vedremo com'è - non ne trarremo

solenni conclusioni, lasceremo

che lo si prenda per quello che è.

Ma tuttavia... C'è una che m'ha detto

che vuole approfondire, qualche altro

potrebbe interessarsi a continuare

esperimenti di lettura a voce,

potremmo ordire loschi reading dentro

qualche bettola in centro, combinare

poesia con musica e forse pittura

e d'altro ancora... Tutto si può fare.

In cinque o sei, massimo sette, otto,

possiamo anche trovarci a casa mia:

ci abito da solo e quindi sono

un uomo a porte aperte. Si può fare...

(È un mio difetto, ci ricado sempre,

appassionarmi alle cose che faccio,

finisco sempre un po' sopra le righe.

Senza entusiasmo non è vera vita.

Ogni tanto ci vuole uno scrollone:

- non più di tre, perché come diceva

un compagno alle medie, anni Sessanta,

si sa che dopo tre scrolloni è sega.)

 

 

Torino, 7 novembre 2001

 

 

 

 

 

 

 

Note per l'incontro del quattordici novembre: conclusioni?

In questi cinque incontri abbiamo fatto un piccolo cammino sulla poesia, cercando di abbinare le notazioni tecniche e metriche alle notazioni estetiche ed emotive. Forse uno scopo principale è stato capire come le une si mescolino alle altre nel descrivere il "fatto di poesia".

Abbiamo fatto prove di scrittura poetica. Che hanno rivelato anche buone cose.

Se non ho contato male, ho raccolto i lavori di dieci persone. Nell'ultimo incontro si aggiunge ancora qualcuno?

Ho messo i lavori in un sito, che naturalmente aggiornerò:

http://digilander.iol.it/holdenpoesia

Non tutti usano Internet, certo, ma qui in scuola c'è, e dal sito si può stampare: dunque mi è sembrato un sistema abbastanza pratico.

Se vogliano "portare avanti il discorso" (come si diceva negli anni Settanta) dovremmo trovare almeno due o tre volontari per mantenere i contatti qui. Mi sembra valida l'idea di incontri serali che potranno coinvolgere, a quel punto, holdeniani e non holdeniani: le persone interessate alla cosa, insomma.

Fra due settimane, dal 30 novembre al 2 dicembre ci sarà qui alla Scuola Holden un seminario di poesia a cui parteciperò; il mio intervento più specifico è previsto per sabato 1° dicembre di mattina.

Ripeto i miei indirizzi, liberamente usabili:

Carlo Molinaro, via Pinelli 34, 10144 Torino (quarto piano, senza ascensore, ma con bella vista sul campanile di Santa Zita).

Telefono a casa, 0114375434.

Telefono sul lavoro (dal lunedì al venerdì dalle nove alle cinque, più o meno), 0112099272.

Posta elettronica: carlomolinaro@libero.it

Sito informatico: http://digilander.iol.it/molinaro

(Dicono che i poeti sono ritrosi e riservati. Non è detto che io sia un poeta, ma sui recapiti non sono ritroso e riservato... Su altre cose sì.)

Stasera (14 novembre) c'è un reading di poesia in via delle Orfane 28, citofonare Chessa, con Guido Catalano, Chiara Cavalli, Alberto Visconti e Davide Boreltaz. Io non potrò esserci perché ho un altro impegno, ma se a qualcuno interessa, la partecipazione è libera.

Non ho idea della qualità delle poesie che saranno lette, ma può essere un esempio di reading, appunto. Ho ricevuto l'invito, non li conosco bene, non mi assumo responsabilità!

 

COS'È LA POESIA?

In fondo in fondo è come per l'amore

il discorso sull'arte (vissi d'arte,

canta la Tosca - e: vissi d'amore):

non si riesce mai bene a definire

l'arte (la poesia) né l'amore

ma da migliaia d'anni a questa parte

non rinunciamo a parlarne: ci piace

parlare delle cose che ci piacciono,

è naturale. Diversi livelli

ci sono in poesia come in amore,

e generi diversi, pare, ma

le distinzioni fluttuano, non è

un casellario istituzionale.

Per fortuna.

Sì, sono migliaia di anni che parliamo d'arte e d'amore senza poterli definire. Si diceva una volta, per l'amore, che chi più ne parla meno ne fa. Sarà vero, e sarà così anche per l'arte? Forse in parte sì. Un grande artista probabilmente non ha né tempo né voglia per dedicarsi a monumentali lavori critici. Di solito si limita a qualche annotazione e osservazione frammentaria, libera, poco sistematica.

Noi in questi cinque incontri abbiamo parlato di ritmi, metriche, battiti, combaci d'animo e testo nella copula della poesia. Dove il verbo si fonde con la nostra realtà o forse fonda la nostra realtà - se ammettiamo che in principio era il verbo (questione complessa).

Ci siamo accorti che possiamo analizzare metriche e sillabe e stili e che questo, tutto sommato, non è inutile. Il ritmo poetico-narrativo è come un buon paio di scarpe: ci è utile per andare (a piedi nudi è difficile, specie su certi terreni), ma non ci dice dove andare, né tantomeno che cosa troveremo andando. Il cammino è nel mistero. Se no, non ci sarebbe scoperta.

L'analisi non è neppure uno strumento definitivo per distinguere poesia da non-poesia, o poesia "alta" da poesia "bassa". C'è la forma, c'è il contenuto, ma è "qualcosa d'altro" a toccarci nel profondo, a essere o non essere poesia e quale poesia.

Saffo è superiore a una canzonaccia goliardica che parla di sesso: ne siamo ragionevolmente certi. Ma neppure in un caso così evidente, così distante, possiamo dire scientificamente perché. Non è la forma (le canzonacce goliardiche possono avere un ottimo ritmo), non è il contenuto (anche Saffo parla di sesso), non è nemmeno il lessico (le parole del più celebre frammento di Saffo sono abbastanza colloquiali). È un "non so che". Come quello che fa innamorare, appunto.

La consuetudine con la poesia può dare un certo "mestiere", che ho esemplificato scrivendo in versi la primissima parte di questi appunti intitolati COS'È LA POESIA. Ma nessuno può decidere di scrivere, adesso qui, una vera poesia. Neppure il più grande dei poeti. Così come nessuno può decidere di innamorarsi, né di far innamorare. Con lo studio e la volontà possiamo creare dei presupposti favorevoli, ma allo scoccare della scintilla concorrono elementi misteriosi e incontrollabili. In poesia come in amore.

Parlare di ispirazione sa forse un po' troppo d'idealistico-romantico, e la parola era stata bandita dalla critica militante degli ultimi decenni del secolo scorso (nel senso del Novecento). E tuttavia, se usata con criterio, la parola ispirazione è corretta. Basta evitare di credere che essa caschi come una pera in bocca a chiunque, senza alcuna preparazione. La poesia forse cade come un seme, ma nasce (e quindi esiste) solo se il seme cade su un terreno buono; e il terreno è buono un po' per natura e un po' per come è lavorato. La vecchia metafora funziona. In una scuola, come qui alla Holden, si può lavorare il terreno, ed è importante.

Una minima zappatina ce la siamo data (spero non sui piedi), ora la storia continua.

  

 

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