Al termine delle
3 ore e 40 minuti, "il soggetto spirò
ed in coincidenza con l'istante in cui si verificò
il decesso, la tacca della bilancia, improvvisamente,
si abbassò evidenziando un sensibile decremento
del peso, poi quantificato in 3/4 di un'oncia".
Questa perdita di peso
non è imputabile al rilascio di umidità
dovuta alla respirazione o al sudore, essendo tale fenomeno
già stato calcolato per il caso in questione,
nell'ordine di 1/60 di oncia al minuto, contro una perdita
improvvisa di altri 3/4 di oncia all'istante del decesso.
Gli intestini non si mossero, ma se anche si fossero
mossi tutto il peso sarebbe comunque rimasto sulla bilancia,
ad eccezione di una leggera perdita di umidità
dovuta, com'è ovvio, alla fluidità delle
feci. La vescica rilasciò un pò di urina,
ma le evacuazioni di cui sopra rimasero comunque sul
leto ed influenarono il peso solo con una leggera evaporazione
ed in alcun modo possono essere messe in relazione con
la rilevante perdita di peso precedentemente segnalata.
Resta a questo punto
della dissertazione un solo altro elemento da analizzare:
l'aria residua nei polmoni. "Con un esperimento
sul mio stesso corpo, i miei colleghi mi hanno pesato
sullo stesso letto usato per le precedenti prove: ebbene,
inspiranto e respirando con tutta la forza possibile,
non vi è stato alcun effetto riscontrabile sulla
bilancia. La stessa prova è stata condotta in
prima persona dai miei colleghi: in alcun caso posto
alla nostra attenzione la bilancia ha evidenziato variazioni
di peso". La conclusione che si trasse dalle osservazioni
di cui sopra portano all'impossibilità di spiegare
laperdita del soggetto al momento della morte secondo
criteri di piena razionalità e meramente scientifici.
Come potremmo, quindi,
spiegare questo fenomeno? Che si tratti realmente del
peso dell'anima?
MacDougall ripetè
lo stesso esperimento su 15 cani, osservando come "i
risultati furono uniformemente negativi: alcuna perdita
di peso alla morte dell'animale". Questi risultati
non hanno fatto altro che corroborare le ipotesi di
MacDougall secondo cui la perdita di peso registrata
al decesso degli umani sia riconducibile alla dipartita
dell'anima dal corpo; evidenza tanto più confermata
dalla cultura religiosa cui si rifà il dottore,
secondo cui gli animali non posseggano l'anima.
Riguardo agli esperimenti
condotti sui cani il dottore scrisse che i test ideali
sugli animali sarebbero stati ottenuti se avesse trovato
degli esemplari con qualche malattia allo stadio terminale,
al fine di rendere le rilevazioni più esaustive,
ma come fece notare Mary Roach, una tra i più
accaniti detrattori degli esperimenti del dottore, "nonostante
l'apparente buona fede di MacDOugall, il buon dottore
si recò in un canile e, senza alcuna vergogna,
avvelenò 15 cani solo per i suoi insignificanti
esercizi di Teologia Biologica".
Nel Marzo del 1907 una
dettagliata descrizione degli esperimenti condotti da
MacDougall fu pubblicata sul New York Times e sulla
rivista divulgativa American Medicine, pur puntualizzando
le riserve espresse da alcuni studiosi che accesero
un acre dibattito su una questione così delicata.
August P. Clarke, un dottore della comunità scientifica
del Massachussetts, mosse forti critiche MacDougall,
colpevole a suo dire di non aver tenuto in giusta considerazione
l'improvviso aumento di temperatura del corpo al momento
del decesso, momento in cui il sangue non viene più
"rinfrescato" dall'ossigeno portato in circolazione
attraverso i polmoni. Clarke sostenne che l'evaporazione
della sudorazione causata da questo aumento di tempertura
corporea potesse interpretare la diminuzione di peso
negli uomini; con la stessa teoria si spiegherebbe l'esperimento
sui cani, considerndo che gli animali non subivano l'aumento
di temperatura corporea grazie al forte ansimare. McDougall
replico alle teorie di Clarke sostenendo che senza circolazione,
neppure un grammo di sangue sarebbe stto portato alla
superficie dell pelle e, conseguentemente, la cute non
si sarebbe certo raffreddata. Il dibattito nella comunità
scientifica continuò oer mesi senza giungere
ad una interpretzione definitiva.
Tornando ai 6 pazienti
umani studiati dl dottore, oltre a quello descritto
all'inizio della trattazione, sugli altri 5 casi i risultati
furono ugualmente sorprendenti. Pur mostrando in ogni
caso una diminuzione di peso, l'equipe del dottore non
ha mai nascosto le difficoltà nello stabilire
il momento esatto del decesso della vittima, uno degli
elementi chiave dei loro
esperimenti.
A tal proposito, MacDougall
cercò di giustificare il proprio lavoro sostenendo
che "il peso dell'anima viene rimosso dal corpo
virtualmente nell'istante in cui il soggetto compie
l'ultimo respiro, pur dovendo considerre che il temperamento
avuto dall'individuo nel corso della propria vita sulla
Terra possa influenzare il momento in cui l'anima bbndoni
il corpo. In conclusione, dalle ricerche condotto, si
può ritenere che dal momento del decesso del
soggetto possa trascorrere un intero minuto prima che
il peso dell'nima cessi di pesare sul corpo".
MacDougall ammise in
un saggio che esperimenti simili a quelli da lui condotti,
sarebbero dovuti essere ripetuti molte volte, e con
gli stessi risultati, per trarre conclusioni positive:
"se in futuro sarà possibile provare definitivamente
che alla morte degli esseri umani, sistematicamente,
si verifica una diminuzione di peso che non sia riconducibile
ad altre cause e se, allo stesso modo, non si verificherà
una perdita di peso negli animali, così come
gli esperimenti finora condotti hanno dimostrato, potremo
evidenziare una differenza fisiologicaa tra genere umano
ed animale".
"Sono allo stesso
modo consapevole che sia necessario compiere un largo
numero di esperienti prima che la questione sia accertata
al di fuori di ogni possibile errore, ma se nuove e
sufficienti sperimentazioni riusciranno a provare che,
inconfutabilmente, al decesso di un individuo si verifica
una perdita di peso inspiegabile con criteri di piena
razionalità, saremo dinanzi all'abbattimento
di una barriera conoscitiva con conseguenze inimmaginabili
per il nostro modo di vivere e pensare".
Nondimeno, MacDougall,
quattro anni dopo l'inizio dei suoi esperimenti, si
ritrovò sulle prime pagine di noti quotidiani
dell'epoca, avendo iniziato una nuova serie di esperimenti
finalizzati a realizzare prove fotografiche dell'esistenza
dell'anima: "il Dottore MacDougall di Haverhill,
protagonista di una serie di esperimenti per provare
l'esistenza dell'anima, in un'intervista espresse i
propri dubbi sull'efficacia degli esperimenti condotti
con i raggi X dall'Università della Pensilvania
al fine di fotografare l'anima umana, poichè
i raggi X producono effetti d'ombra sulla pellicola
fotografica".
Ad
ogni modo il dottore ammise che, secondo i suoi studi,
al momento della morte, l'anima divenga tanto inquieta
da ridurre l'ostruzione che l'ossatura del cranio offre
in condizioni normali ai raggi X e che sia maggiormente
visibile sulla lastra come una macchia luminosa sull'ombra
delle ossa. Il dottore, attraverso 12 nuovi esperimenti
da lui condotti con persone in punto di morte, sostenne
che l'anima sia in grado di emettere una fonte luminosa
somigliante all'etere interstellare.
MacDougall dichiarò
di non aver più compito esperimenti di questo
genere dopo il 1911 - e comunque non così rilevanti
da poter trovare spazio sulle pagine del NY Times -
e risale al 1920 l'anno della sua morte.
A tutt'oggi la sua eredità
continua a vivere, tanto che molti studiosi sostengono
che l'anima pesi all'incirca 21 grammi: dagli esperimenti
di MacDougall di inizio Novecento si giunse alla conclusione
che la pedita di peso degli uomini, al momento della
morte fosse quantificabile in ¾ di un'oncia, pari,
appunto a 21,3 grammi...