UN PO’ DI UMANITA’

 

Tutti coloro che hanno vissuto in Garfagnana negli anni 1943-1944 conoscono bene la tragedia della guerra vissuta sulla propria pelle. Fu una guerra difficile e crudele perché alla guerra combattuta al fronte, fermo proprio nel bel mezzo della Garfagnana, si sommava la ancora più difficile e crudele guerra civile combattuta fra i partigiani da un lato e i tedeschi e gli uomini della Repubblica Sociale Italiana dall’altro. Più difficile e crudele perché vide di fronte non solo italiani contro italiani ma addirittura garfagnini contro garfagnini. Gli odi divamparono feroci tanto che ancora oggi, settant’anni dopo, a fatica e non sempre si riesce a giungere ad una vera pacificazione. I vincitori non riescono ad esprimere quella magnanimità che un  tempo era la prerogativa dei cavalieri forti e generosi e  i vinti non dimenticano”  come titola un suo libro Giampaolo Pansa.

 Ma quelli che si confrontarono con le armi in pugno furono, tutto sommato, una minoranza. La maggioranza dei poveri garfagnini si trovò coinvolta senza volerlo in questo fiammeggiare di odi e di passioni, patendone danni materiali, grandi sofferenze e morte.

 Il pregevole lavoro di Tommaso Teora Racconri di guerra vissuta – Garfagnana 1943-1945 ne è una impressionante testimonianza. Le povere famiglie contadine – che, all’epoca, rappresentavano la maggioranza della popolazione – furono costantemente depredate sia dai soldati tedeschi o italiani, sia dai partigiani. Esse erano costantemente minacciate dalle rappresaglie che seguivano regolarmente le azioni partigiane e quasi sempre queste rappresaglie hanno portato distruzioni e morti ai danni della popolazione civile innocente.

 Tuttavia in diversi di questi racconti vengono ricordati episodi che dimostrano come i sentimenti di umanità e di solidarietà umana sopravvivessero anche in quelle terribili situazioni. E credo che sia giusto e bello non dimenticarli. Ne ricordiamo due:

 Il primo è narrato con parole semplici e spontanee da Bertoni Enrichetta che, all’epoca, si trovava a Capanne di Careggine:

  “”Un giorno, di cui non ricordo la data, vidi portare il corpo di un alpino morto, dentro un sacco ed io, mossa dal dispiacere, gli tirai dei fiori che trovai lì in un campo. Fu un gesto spontaneo. L’alpino era stato ucciso nell’attentato partigiano al “Fornacchio”, dove fu ferito anche il sottotenente Broggi, poi fucilato alla foce di Careggine il 7 novembre del ’44. Il tenente Facchini, della Monterosa, rimase impressionato dal mio gesto e, dopo la guerra, ne fece un articolo su un giornale che mi fu spedito per posta, di cui non ricordo la testata””

 Chissà che il gesto di pietà di questa ragazza – all’epoca diciannovenne – non abbia  avuto il merito di evitare rappresaglie che, infatti, non ci furono.

 Il secondo episodio è narrato sia da Bresciani Ademaro che da Bresciani Giovanni e si riferisce alla rappresaglia che i tedeschi condussero il 29 agosto 1944 contro i partigiani del gruppo Valanga e che comportò anche l’incendio delle case dell’Alpe di Sant’Antonio presso le quali i partigiani stazionavano.  Dice il primo: “”Nel frattempo i tedeschi dettero fuoco a tutte le case dell’Alpe, ai metati e alle capanne. Addirittura furono loro stessi ad aiutare le famiglie a togliere le suppellettili dalle case, prima di incendiarle”.

 E il secondo conferma: “”Terminata la battaglia, verso mezzogiorno, cominciarono ad arrivare i soldati tedeschi e tramite un interprete militare austriaco ci dissero di togliere le cose più importanti dalla casa perché l’avrebbero incendiata. Ci aiutarono a togliere tutto il possibile in gran fretta ed appiccarono immediatamente il fuoco; la nostra fu la prima ad essere data alle fiamme, insieme a metati e capanne.””

 Sembra quasi incredibile: questi soldati appena reduci da una sanguinosa battaglia contro i partigiani del Valanga (ne furono uccisi una ventina) e con l’ordine di incendiare tutte le case dell’Alpe, colpevoli di aver ospitato i partigiani, non solo non infieriscono contro la popolazione (che, evidentemente, consideravano non colpevole), non solo consentirono, prima di appiccare l’incendio, di togliere dalle case almeno le cose indispensabili per continuare a vivere, ma, addirittura, aiutarono a trarre fuori queste cose. Non si può non pensare che un residuo di umanità evidentemente continuava ad albergare anche nel cuore di questi rudi e spesso spietati guerrieri.

 

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