Tra l'aquila e il leone

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CINTELLO Sul Lemene Villam de Tileo

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IL PAESAGGIO RURALE DI TEGLIO E CINTELLO TRA I SECOLI XVIII-XIX

di Luca Vendrame

 

 

La storia è la scienza che studia l’uomo nella dimensione temporale, ma il tempo non è una semplice unità di misura da frammentare in parti uguali per essere facilmente valutata. Al contrario, il periodo storico è una realtà concreta, anche se di dimensioni variabili, al cui interno stanno i fenomeni che analizziamo.

Gli anni al centro di questa trattazione sono caratterizzati da una frattura epocale: la fine della millenaria Repubblica di Venezia, dominante anche sulla Patria del Friuli per quasi quattro secoli, determinata dall’arrivo delle truppe napoleoniche. Infatti fino al 1797 "le cose stavano ancora come le aveva fatte natura ed Attila le aveva lasciate" (1), ma negli anni seguenti l’improvviso sfaldamento di questo antico mondo produsse assai rapidamente dei cambiamenti sociali, economici e culturali che ancora influiscono sulla nostra società.

È dunque per comprendere il presente che lo storico rilegge i documenti del passato, con la speranza che i suoi sforzi servano a fargli capire le problematiche di ciò che vive.

Ha un senso quindi concentrarsi su piccole vicende locali?

Probabilmente sì, perché se ben inquadrate nella storia del territorio e narrate come parte - importante o meno - di un affresco di dimensioni ben maggiori, anche le piccole questioni del nostro Comune possono servire a comprendere meglio l’oggi.

Quando i Leoni volavano.

Nel Settecento Teglio e Cintello erano due entità amministrative - ville secondo la dizione dell’epoca - tra loro distinte e separate. Appartenevano alla Patria del Friuli, la provincia più estesa del Serenissimo Stato. La Patria al suo interno era divisa in otto unità territoriali, chiamati Quartieri; quattro di qua e quattro di là del Tagliamento. La dizione "di qua" e "di là" era riferita alla città di Udine, sede del Luogotenente. I nostri paesi facevano parte quindi del Terzo Quartiere di là, esteso da Lugugnana a Mazzolada, da Marignana a Gleris a Morsano.

L’amministrazione locale era affidata alla vicinia, un consesso formato dai soli capifamiglia (chiamati vicini) che periodicamente o per deliberare su fatti contingenti, veniva riunita more et luogo solito previo il suono della campana. Sappiamo che almeno fino al XVII secolo il luogo delle riunioni degli uomini di Teglio era una stanza della casa di proprietà della fraterna di San Antonio, posta di fianco appunto alla chiesetta dedicata al Santo del maialino ed attualmente nota come casa Riva.

La forma dell’autogoverno di Teglio e Cintello era simile e prevedeva un Podestà (altre volte tale figura veniva detta Meriga, Degano o Giurato Maggiore ma si tratta di sinonimi), il cui mandato durava probabilmente un solo anno, presiedeva l’assemblea dei vicini ed aveva facoltà di proporre le parti, cioè di definire le questioni su cui i presenti erano chiamati a votare. Non conosciamo bene invece le funzioni del Giurato Minore in quanto non sono stati ritrovati i regolamenti assembleari, certamente recapitava le convocazioni per la vicinia e probabilmente doveva tenere o controllare i libri contabili della villa.

La finanza locale si reggeva sugli introiti derivanti dall’affitto dei beni comuni, che però nel XVIII secolo erano molto diminuiti in seguito alle vendite (settime) iniziate un secolo prima. Infatti già nel 1665 i tegliesi riuniti in vicinia implorarono inutilmente la Serenissima di poter conservare i Comunali " al fine di sostenere i loro animali" (2). Non essendo i nostri due villaggi titolari di dazi propri come ad esempio la finitima Cordovado, i fondi necessari alle esigenze pubbliche venivano allora reperiti essenzialmente attraverso imposte straordinarie, una tantum e dalla durata prefissata. La più comune era detta soldo a boccale e consisteva in un sovrapprezzo imposto sopra ogni boccale di vino venduto dalle osterie che veniva incamerato dal comune ed utilizzato per scopi determinati, come ad esempio la sistemazione delle strade (3).

La popolazione e il lavoro.

La nostra indagine inizia dai dati statistici desunti dalle Anagrafi, compilate per tutto il Dominio per l’anno 1768 (4). Si tratta di una rilevazione utile al nostro scopo perché fornisce per la prima volta un quadro completo ed obiettivo della Serenissima Repubblica. Fino ad allora erano stati infatti redatti episodici catastici per iniziativa di singole magistrature, soprattutto a scopi fiscali, ed esclusivamente per il settore di loro competenza.

Il limite maggiore delle Anagrafi è costituito dalle imprecisioni dei dati registrati, evidenziate anche da altri studi per i dati relativi agli edifici - telai, seghe, mulini... - di altre località di tutto il Friuli veneto, perciò le indicazioni numeriche assumono un valore indicativo e necessitano di altre testimonianze documentarie. Esempi evidenti di incongruenza in questi dati sono la mancata rilevazione di ruote da mulino in località Molinato (l’attuale Alvisopoli) e la non rilevazione dell’anziano prete di Cintello nel 1790.

Anche il dato relativo ai lavoranti di campagna in Teglio fa nascere qualche perplessità. Risulta infatti essere percentualmente esagerata (il 75% dell’intera popolazione), troppo superiore anche a località come Giussago e Lugugnana legate da sempre alla grande proprietà e dalle condizioni di vita miserevoli. Con ogni probabilità si è trattato di un errore di trascrizione del compilatore settecentesco (5).

Dopo queste doverose precisazioni, analizziamo i dati in nostro possesso; per facilitare la consultazione ho elaborato alcune tabelle riassuntive per Teglio e Cintello.

POPOLAZIONE DI TEGLIO NEL 1768

famiglie

fino 14

anni

da 14 a 60

oltre 60

donne d’ogni età

anime totali

111

156

188

24

355

723

Appare subito evidente come le donne godevano di una minore considerazione rispetto agli uomini, rilevati statisticamente in modo più completo (la ripartizione per età e mestiere fu prodotta infatti esclusivamente per i maschi). Questa mancanza non ci permette di ricavare dati complessivi, ad esempio come quelli sulla composizione della popolazione in base all’età. Solo per gli uomini infatti si può stabilire la percentuale di ultrasessantenni - età considerata veneranda all’epoca - che a Teglio raggiungevano l’interessante dato del 6,5% della popolazione maschile ed a Cintello il 5,2%. Fra i motivi dell’elevato numero di "anziani", certamente bisogna inserire il contesto ambientale più salubre rispetto a quello delle zone costiere (nonostante la zona acquitrinosa dei Laghi) ed una produzione agricola sufficiente ai bisogni della popolazione, almeno nelle annate normali.

La percentuale di anziani è notevole, specie se confrontata con quelle degli altri paesi assunti come termine di paragone; se Bagnarola raggiungeva l’8,4%, Cinto il 7,1%, Gruaro il 6,6%, Cordovado era solo al 4%, S. Michele e Fossalta al 2,6%. A Lugugnana e Giussago addirittura nessuno raggiungeva i 60 anni; questo dato non fa che confermare le difficili condizioni di vita delle terre al limite delle zone bonificate. Scriveva infatti il Luogotenente di Udine il 16 agosto 1764: "Il fiume, che chiamasi Lugugnana (...) si trova talmente imbonito nell’alveo, che non potendo questo contenere più le naturali sue acque (...) le sparge per quelle campagne, ove si stagnano, e putrefacendosi rendono l’aria sì perniciosa, che veggonsi di giorno in giorno rapirsi da morte immatura quegli abitanti. (...) contandosi per gli esibiti documenti, che il solo comune di Lugugnana abbia nel corso degli ultimi dieci anni perduto 270 persone" (6). Se pensiamo che Lugugnana negli anni 60 del Settecento contava circa 180 abitanti, riusciremo a comprendere la drammaticità della situazione sanitaria.

Si può infine calcolare la consistenza media di una famiglia della parrocchia di Teglio, composta da circa 6,5 persone.

In quel periodo risiedevano in paese 5 persone religiose: tre preti con beneficio, uno senza e un chierico. La quasi totalità delle persone attive era occupata in agricoltura, solo 5 furono gli artigiani censiti, infine solo una persona risultò senza entrata e mestiere. Una integrazione del reddito, in solo tre casi, era affidata al telaio da tela.

Può essere interessante ora confrontare le percentuali di occupati in agricoltura sul totale della popolazione e sul numero delle persone industriose di Teglio e Cintello con quella di altre ville vicine.

PERCENTUALE DI PERSONE INDUSTRIOSE SUL TOTALE DELLE ANIME (p.i/t.a) E DEI LAVORANTI DI CAMPAGNA SULLE PERSONE INDUSTRIOSE (l.c/p.i)

1. cordovado

2. cinto

3. teglio-fratta

4. gruaro

5. cintello

p.i/t.a

l.c/p.i

p.i/t.a

l.c/p.i

p.i/t.a

l.c/p.i

p.i/t.a

l.c/p.i

p.i/t.a

l.c/p.i

24,7%

78,6%

24,6%

77%

41.3%*

96%

22,9%

91%

45%

100%

         

6. s. michele

7. lugugnana

8. giussago

9. bagnarola

10. fossalta

p.i/t.a

l.c/p.i

p.i/t.a

l.c/p.i

p.i/t.a

l.c/p.i

p.i/t.a

l.c/p.i

p.i/t.a

l.c/p.i

33%

91%

53,5%**

100%

54%

99%

23,8%

87%

36%

97%

* Il dato al punto 3 è riferito alle Anagrafi del 1790, vista la palese incongruenza del riferimento fornitoci per il 1768 (547 lavoranti su 723 anime censite, ben il 75,6% !). I numeri assoluti per il 1790 saranno forniti in seguito, con apposite tabelle.

**Anche questo dato lascia perplessi, in quanto i lavoratori di campagna sono numericamente superiori ai maschi.

1. Con Saccudello e Suzzolins, 2. con Bando Scudelle, Bosco di San Biasio, Bosco del Fornasier, Ronche con Jesuati, Settimo, 4. con Boldara e Gajo di Sesto, 6. con S. Giorgio, S. Mauro, Villanova, 9. con Ramuscello, Versiola, Stalis e Venchiaredo, 10. con Boscato di Fratta, Colombara, Frattuzza, Gorgo, Molinato, Stiago, Boada, Vado, Villanova.

Pur con la dovuta prudenza, al di là dei dati statistici che come si è visto necessitano in taluni casi di ulteriori riscontri, si può con tranquillità affermare la prevalente vocazione agricola del nostro comune, con alcune significative eccezioni individuali (7).

Per questo motivo è opportuno confrontare i dati delle Anagrafi relative alle persone industriose con un "Cattastico delle persone che esercitano arti liberali o meccaniche nella Patria del Friuli (...) nel 1754" (8). Anche per soddisfare ad una legittima curiosità onomastica, riporto integralmente il testo: Osvaldo Trevisan carrero, Domenico Grillo muraro, Tommaso Tonin osto, Tommaso Borghesaleo pistor, Osvaldo Gobbo sarto, Osvaldo Schiava fabbro, Osvaldo Termini sarto, Nicolò Paulone perito e pistor, Francesco Zulian osto, Pasqualin Brunetti nodaro e perito.

A metà del XVIII secolo operavano dunque nel nostro paese un falegname specializzato nella produzione di carri, un muratore, due osti (di conseguenza si può supporre la presenza di almeno altrettante osterie), due fornai (pistori), un fabbro, due sarti e un notaio (9). Il Paulone e il Brunetti poi operavano anche come periti, un lavoro che si può paragonare all’attuale geometra; misuravano poderi e stimavano i beni immobili, compiti questi assai importanti perché sui loro giudizi si basava l’intera economia del luogo.

Le osterie nel 1781 erano diventate tre, gestite da Domenico Grillo (forse il muraro del 1754), Valentino Schiava e Francesco Zannetto (10).

Interessanti notizie sulla composizione sociale della popolazione di Teglio e Cintello alla metà del Settecento ci vengono da una rilevazione fiscale relativa al dazio macina.

Nel corso del XVIII secolo questa tassa si trasformò progressivamente da imposta sul consumo effettivo di frumento o altri cereali in testatico, cioè in un’imposta che colpiva la persona fisica proporzionalmente al reddito, indipendentemente dal consumo di granaglie (11).

I contribuenti furono ripartiti in 4 categorie: civili, mediocri, infimi e questuanti. Esentati dal versamento erano solo i bimbi d’età inferiore a 5 anni e i mendicanti. I parroci di Teglio e Cintello, incaricati di compiere la rilevazione, riscontrarono per il 1758 e per il 1761 i dati esposti nella seguente tabella.

Teglio

Civili

Mediocri

Infimi

Questuanti

Totale

1758

31

62

466

7

559

1761

27

17

524

7

568

           

Cintello

Civili

Mediocri

Infimi

Questuanti

Totale

1758

1

2

154

##

157

1761

1

2

163

1

167

Rispetto alla stabilità di Cintello, Teglio manifesta una apparente mobilità sociale verso il basso, ma non dobbiamo dimenticare che trattandosi di una rilevazione fiscale la tendenza generale era quella di farsi allibrare al livello contributivo più basso possibile.

Ovviamente la stragrande maggioranza della popolazione (l’83,3%) apparteneva al ceto degli infimi, che probabilmente coincidevano con le famiglie dei lavoranti di campagna delle Anagrafi. È la classe dei mediocri che nel triennio considerato subisce la variazione percentuale maggiore (meno 72,6%). Il calo sembra avvalorare il divario esistente tra i dati su chi esercitava arti liberali e meccaniche nel 1754 e le Anagrafi (se vogliamo far coincidere i mediocri con chi esercitava un’arte), inoltre nel 1759 scoppiò una epidemia di peste bovina che certamente causò notevoli danni economici in tutto il Friuli; tuttavia per suffragare compiutamente la sensibile contrazione statistica del ceto medio tra il 1758, il 1761 e il 1768 occorrerebbero testimonianze di altro tipo, anche in relazione alla stabilità dei dati relativi a Cintello.

Il numero dei civili non deve stupire; il 5,5% sul totale dei contribuenti nel 1758 e il 4,8% nel 1761. Infatti risiedevano in paese alcuni notai e la famiglia Borghesaleo, acquirente di molta parte dei beni comunali che la Serenissima aveva alienato nel XVII secolo. Rispetto ad altre ville della zona, il popolo di Teglio e Cintello non sembra quindi soffrire eccessivamente il periodo di stasi economica, in quanto il numero assoluto dei contribuenti aumenta, anche se di poco. Un indice della difficoltà del territorio è il numero dei questuanti,

in notevole aumento nel 1761 rispetto la precedente rilevazione del 1758, ecco alcuni esempi: Cordovado passa da 14 (1,8% sul totale dei contribuenti) a 75 (il 12,5%), Fossalta da zero passa a 9 (il 2%) ed inoltre i contribuenti subiscono una contrazione di 21 unità, fenomeno che colpisce in modo evidente anche Cordovado (-240), Stalis e Venchiaredo (-27) e Suzzolins (-10). Le zone "industriali" di Bagnarola e Gruaro mantengono invece una notevole stabilità (12).

L’aspetto più interessante dell’economia tegliese del Settecento riguarda la produzione della seta, l’unica industria veneta in costante espansione per tutto il secolo, specie dopo la riforma daziaria del 1736. La prima testimonianza della presenza di un fornello da trar seda in paese risale al 1739, apparteneva a Francesco Agostinetti. Nel 1741 i fornelli erano 2 (13) così come nel 1743 e 1744 (14). Per il 1747 compaiono 2 fornelli a Fratta, di proprietà di Gio:Maria Battiston (15), e nessuno a Teglio. Bisogna arrivare al 1772 per ritrovare la prova certa della presenza della trattura della seta nella nostra villa grazie al fornello di Pietro Gorgo (16), presente anche nel 1789 (17). L’ultima testimonianza di questa pregiata lavorazione risale al 1804, quando traeva seda ancora un fornello. Ben poca cosa rispetto ai 14 operanti ad Alvisopoli, all’epoca in piena espansione come fulcro dell’utopia urbana del Mocenigo (18). Il confronto tra le due realtà è improponibile, in quanto risulta chiaramente la dimensione artigianale tegliese e l’ambizione industriale della cittadina creata dal nobile veneziano.

I dati numerici non sembrino trascurabili: nel 1743 solo in 10 delle 272 ville del Friuli occidentale operavano fornelli, nella nostra zona solo a Teglio, Portogruaro ed Annone. Nel 1784 le ville erano diventate 22, ma percentualmente erano solo l’8,08% del totale. L’importanza di questa pur limitata presenza di fornelli si può intuire anche dal fatto che nell’attuale Veneto orientale la produzione di galletta era tanto rilevante da giustificare la presenza in Portogruaro di una stadera pubblica per la pesa delle gallette, che però in massima parte venivano lavorate altrove. Almeno fino la prima metà del secolo XVIII quindi, il basso Friuli occidentale era una zona di produzione di materia prima ma di limitatissima trasformazione - anche a livello artigianale - della medesima.

La presenza accertata della trattura della seta per almeno 70 anni comportò certamente delle modificazioni del paesaggio rurale, la possibilità di una qualche integrazione del reddito per i contadini che allevavano il filugello e la presenza di nuove figure professionali. Il gelso, in dialetto morar, la cui foglia è indispensabile per la nutrizione dei cavalieri, divenne tra i secoli XVII e XVIII una specie arborea molto comune nelle nostre campagne e cortili, come testimoniano i contratti d’affitto o di vendita che analizzeremo in seguito più dettagliatamente. Inoltre nel Sommarione del Catasto Napoleonico, al numero 186 compare l’interessante toponimo "filanda", casa di proprietà di Gio:Batta Gorgo del fu Pietro; era forse il luogo dove le gallette del padre subivano la prima lavorazione. I fornelli da seda necessitavano durante la stagione della trattura, che poteva durare al massimo 60 giorni e finiva obbligatoriamente il 14 agosto, di manodopera femminile altamente specializzata: una maestra che doveva unire le bave delle gallette scottate nella caldera del fornello in un naspo per formare il prezioso filo, una menaressa incaricata di girare con moto uniforme la ruota che tirava ed avvolgeva il tutto, infine una apprendista incaricata di portare l’acqua pulita e la legna necessaria per il fuoco. Queste figure di lavoranti certamente esistevano anche a Teglio, come in ogni luogo ove per più anni fu attiva questa fase primaria della produzione serica. Non penso infatti fosse economicamente vantaggioso per i piccoli imprenditori tegliesi stipendiare manodopera foresta ad esempio di San Vito, il centro più vicino dove nel Settecento il setificio aveva una dimensione industriale.

Si evidenzia dunque una realtà lavorativa non completamente definita dall’agricoltura come per Lugugnana e Giussago, ma le realtà "industriali" della zona (Bagnarola con le sue 17 ruote di mulino, altrettanti battiferro, 2 segherie, 3 folladori per lana e Cinto con 12 macine), o "cittadine" (Cordovado residenza estiva del Vescovo) avevano una ben altra dimensione urbana, economica e politica, che i dati statistici non sempre rappresentano compiutamente.

L’importanza economica dell’agricoltura è testimoniata anche dall’attenzione riservata dalla Chiesa ai molti problemi dei campi e del ceto rurale. Ogni anno, il giorno di San Marco per un solo giorno e la settimana dell’Ascensione per tre giorni, la lunga fila processionale delle rogazioni si dipanava attraverso tutti i sentieri di campagna di Teglio per propiziare il bel tempo ed il raccolto. Il secondo giorno "fatto il giro della villa, passano la Lugugnana e si portano direttamente alla volta degli arativi e poca parte prativi campi chiamati Laghi che si estendono rasente il lago medesimo (...) e poi passando alcuna volta per la bova ed alcuna volta per una vìola contigua al campo Pravidet si mettono sulla strada pubblica che va a Gorgo, (...) e così terminando il distretto della loro Parrocchia si restituiscono alla Chiesa". L’uso delle rogazioni e il percorso descritto era secondo Osvaldo Trevisan (podestà) e Gio:Maria Gobbo (campanaro), una "costante tradizione dei maggiori" ed un "inveterato" costume (19).

La vita e la fortuna dei nostri avi era infatti legata ai capricci del tempo in modo assoluto: un cattivo raccolto poteva cambiare radicalmente la vita di una famiglia rurale. Fu il caso dei Musso di Fratta, "i quali confessano che sarebbero periti dalla fame se non avessero ritrovato il Signor Faventini che li avesse soccorsi in questi anni calamitosi di tempesta e siccità". L’aiuto non fu però gratuito, i Musso infatti per saldare i debiti cedettero al Faventini il loro piccolo podere, scesero la scala sociale e passarono da piccoli proprietari a fittavoli (20).

Vediamo ora la situazione della piccola villa di Cintello dove - secondo le Anagrafi - l’unico lavoro svolto dalle 83 persone industriose era quello dei campi. Fecero eccezione, almeno dal 15 gennaio 1765 e per i 5 anni seguenti, Antonio Pauletto e Osvaldo Versolato che furono incaricati dal Comun di Portogruaro "di tener in acconcio" l’importante strada della Mercanzia (la statale Portogruaro - Gemona) dal Ponte di San Gottardo al Ponte di Fossalatto, per un compenso di 10 ducati annui (21). Per il 1781 abbiamo la segnalazione dell’esistenza di un’osteria, gestita da Antonio Paulon (22).

La cura delle anime era affidata ad un solo prete con beneficio e 2 erano i telai da tela attivi.

POPOLAZIONE DI CINTELLO NEL 1768

famiglie

fino 14 anni

da 14 a 60

oltre 60

donne d’ogni età

anime totali

24

35

55

5

88

183

Gli animali.

Torniamo alle Anagrafi per analizzare l’ultima ed importante sezione: quella degli animali. Gli unici bovini presenti a Teglio erano quelli da lavoro, detti da giogo. Non sono presenti bestie da strozzo allevate per il macello, rilevate invece - seppur in numero estremamente esiguo - a Cintello. Cavalli, ovini e somarelli sono le altre specie animali censite.

ANIMALI A TEGLIO NEL 1768

bovini "da giogo"

cavalli

somarelli

pecorini

263

34

30

44

ANIMALI A CINTELLO NEL 1768

bovini

"da giogo"

bovini

"da strozzo"

cavalli

somarelli

pecorini

80

3

1

4

54

Questi dati - contrariamente a quelli relativi alla popolazione - ci aprono molte vie per nuove considerazioni, sia di carattere generale che particolare.

La semplice analisi quantitativa ci permette di affermare che l’animale più importante dal punto di vista economico e lavorativo era il bovino, fondamentale per il lavoro dei campi perché unico fornitore della forza motrice agli aratri, ma anche grande produttore di grassa (il letame) indispensabile per concimare la terra (23). Già gli agronomi veneti del Settecento avevano rilevato come il numero dei bovini da giogo nelle campagne venete fosse assolutamente deficitario rispetto ai bisogni; la messa a coltura di vaste estensioni di terreni marginali volta a garantire la produzione dei generi previsti dal contratto dominicale (grano e vino) e del mais, alimento base del ceto rurale friulano, aveva ormai accentuato la sproporzione tra le terre arative ed i prati a sfavore di quest’ultimi, causando la crisi dell’allevamento per mancanza di foraggio e la conseguente scarsità dei concimi.

Esistono ben tre rilevamenti catastali che descrivono il territorio di Teglio e Cintello, tutti relativi agli anni attorno al 1740. I confronti tra i dati però risultano assai complessi, in quanto gli estensori dell’epoca non sempre usarono gli stessi parametri per decidere la qualità dei terreni. Secondo la prima fonte a Teglio esistevano 144 campi prativi o pustoti (incolti, improduttivi), a Cintello invece ben 186 (24).

Il secondo documento fornisce dati più particolareggiati, come dimostra la tabella seguente in cui i campi sono misurati "alla misura grande". Risulta qui evidente come il compilatore abbia cercato di dividere in classi i tipi di terre esistenti nelle ville esaminate, noi non possiamo però astenerci dall’evidenziare l’effettiva disparità dei dati forniti dalle rilevazioni (25).

 

fuochi

arativi

prativi

paludivi

comunali

boschivi

pustoti

Cintello

30

230

60

4

#

#

4

Fratta*

18

180

72

#

#

#

#

Suzzolins

4

69

15

15

#

#

17

Perarutto

2

22

8

#

#

3

#

Teglio

65

1001

292

153

25

#

18

*Si tratta della parte di Fratta sottoposta alla cura della parrocchia di San Giorgio di Teglio.

La terza fonte consiste nell’ultimo rilevamento "ufficiale" compiuto dalla Serenissima: la Redecima del 1740, i cui dati sono stati da me elaborati nella tabella seguente (26).

 

arativi

prativi

pascolivi

paludivi

Pustoti

Teglio

1009

302

25

126

116

Cintello

308,5

43

#

#

13,25

Ho sommato i fuochi veneti e i fuochi foresti, quindi i dati sono complessivi.

Come si vede i numeri assoluti forniti dalle tabelle sono spesso difficilmente confrontabili, tuttavia per accorgersi della tendenza ad una riduzione dei terreni incolti basta una rapida scorsa al Sommarione del Catasto Napoleonico per rendersi conto di come questa riserva di alimento - seppur alle volte scadente come nel caso di quello offerto dalle terre pustote - fosse drasticamente diminuita già all’inizio del XIX secolo.

Abbiamo una diretta testimonianza dell’espansione degli arativi durante la seconda metà del Settecento grazie anche alle dichiarazioni di Zuanne Rizzetto e Pasqualino Gazziola, i quali essendo "uomini dei più vecchi di questo comune" dovevano stabilire in base ai loro ricordi l’effettivo confine tra i campi Pravidet e Lago, entrambi delimitati da un lato dalla roggia Lugugnana. Interrogati in proposito essi affermarono "che non era contrassegnato per divisione alcun confine (...) ma si passava immediatamente da sopra il Lago stesso nel Pravidet senza minimo confine". Il fosso che nel 1788 divideva - forse arbitrariamente - le due proprietà "fu formato da che quel distretto era paludoso a loro fresca memoria, e poi col corso degli anni fu reso in coltura" (27).

Anche una mappa del XVIII secolo ci fornisce una prova indiretta delle continue bonifiche, infatti mostra un pezzo delle "Comugne di Cintello ora novali", toponimo che definiva i terreni da poco bonificati e messi a coltura (28). L’espansione dei seminativi causò una mancanza di forza-lavoro, tanto che in alcune zone della Patria il contadino friulano seminava il frumento senza farlo precedere da alcuna aratura, coprendo poi il seme con l’aratro. Questa tecnica rozza richiedeva 16 libbre di seme per campo, quando 6 sarebbero state sufficienti (29).

I dati propongono una situazione difficilmente sostenibile anche per il nostro Comune: la presenza di bovini appare infatti fortemente sottodimensionata rispetto ai reali bisogni. Una tabella può meglio evidenziare il problema.

NUMERO DI BOVINI SUL TOTALE DELLE FAMIGLIE (b/f)

E DEI BOVINI SUI LAVORANTI DI CAMPAGNA(b/l.c)

1. cordovado

2. cinto

3. teglio-fratta*

4. gruaro

5. cintello

b/f

b/l.c

b/f

b/l.c

b/f

b/l.c

b/f

b/l.c

b/f

b/l.c

1.53

1,14

2,78

2,46

2,67

1,25

2,84

1,45

3,3

0,96

 

6. s. michele

7. lugugnana

8. giussago

9. bagnarola

10. fossalta

b/f

b/l.c

b/f

b/l.c

b/f

b/l.c

b/f

b/l.c

b/f

b/l.c

3,2

1,77

7,4

2,64

4,4

2,38

4

2,14

3,05

1,8

* Il dato al punto 3 è riferito alle Anagrafi del 1790, data l’incongruenza del numero di l.c. fornito per il 1768, periodo al quale si rifanno invece gli altri dati. 1. Con Saccudello e Suzzolins, 2. con Bando Scudelle, Bosco di San Biasio, Bosco del Fornasier, Ronche con Jesuati, Settimo, 4. con Boldara e Gajo di Sesto, 6. con S. Giorgio, S. Mauro, Villanova, 9. con Ramuscello, versiola, Stalis e Venchiaredo, 10. con Boscato di Fratta, Colombara, Frattuzza, Gorgo, Molinato, Stiago, Boada, Vado, Villanova.

Dallo schema appare chiaramente come solo le piccole ville di Giussago e Lugugnana potevano ritenersi abbastanza fornite dell’indispensabile animale, probabilmente anche grazie all’abbondanza di strame fornito da una zona non ancora totalmente bonificata. La stima di più di 4 e 7 bestie possedute mediamente in questi paesi per nucleo famigliare potrebbe aver consentito una certa ripartizione dei carichi di lavoro, cosa non certo possibile a Teglio e Cintello, dove le poche unità bovine presenti costringevano continuamente ad aggiogare tutta la boària, comprese "le vacche da latte, con loro grave deperimento", compromettendo così la riproduzione (30). Anche il regime alimentare risente della scarsità di animali, che infatti raramente vengono allevati per il macello, solo Bagnarola (25) e Cordovado (21) registrano un numero non trascurabile di bovi da strozzo, confermando così la loro particolarità.

Il problema della scarsità di foraggio a basso costo, determinato dalla progressiva riduzione dei beni comunali e rilevante soprattutto per i conduttori di piccole affittanze, fu direttamente affrontato dalla comunità tegliese. Nella vicinia del 19 aprile 1745 fu proposto dal podestà Osvaldo Pret di prendere in affitto per 16 anni dal nobile Girolamo della Volta "le prese dette Pustote, sì pascolive", ad un costo di 10 ducati annui, "con condizione che queste debbano servire per pascolo universale di detto Comune". In questo modo si voleva ottenere lo scopo di "liberar li campi, acciò che tutti debbano mandar i loro animali in detto pascolo e non nei campi d’altri, come pure nei fossi dove non fossero confinanti". La parte (delibera) fu presa (adottata) con 21 voti favorevoli e 7 contrari (31). Tra i piccoli possidenti, chi poteva provvedeva in modo autonomo al foraggio affittando prati dai grandi proprietari. Nel 1764 Tommaso Tonin affittò per 29 anni da Giò Batta Faventini il prato detto Livellarijs, di campi 3:1:11, ad un costo annuo di 17 lire. Il contratto prevedeva la possibilità per il Tonin di trasformare, completamente o in parte, il prato in arativo. Alla scadenza del contratto, il Faventini si impegnava a pagare le eventuali migliorie apportate (32). Non sappiamo come la villa di Cintello risolse - se lo risolse - il problema del foraggio, che certamente aveva in quanto era sprovvisto di beni comuni "fuorché poche stradelle consortive" (33). Che la necessità di fornire l’indispensabile alimento a uomini ed animali fosse un impegno primario per i nostri ascendenti ci è indirettamente testimoniato anche da un avviso, pubblicato addirittura dal Luogotenente, su istanza del conte Florindo della Frattina, a tutela dei suoi beni posti in Teglio. Tale avviso vietava a chiunque "di che stato, grado, condizione esser si voglia" di transitare con persone, carri od animali, inoltre vietava di "tagliar erbe, biade, legni, asportar frutta, uva, far verun benché minimo danno negli orti, broili, campi e prati" di proprietà del suddetto conte (34). I furti campestri quindi erano una realtà presente anche nel nostro territorio, ad ulteriore conferma della necessità di dare una risposta concreta ai bisogni primari delle comunità rurali d’ancien regíme. Per avere un’idea dell’incidenza e del valore del fieno e del letame nell’economia rurale dell’epoca, basterà considerare i prezzi di questi prodotti registrati a Teglio: un carro di fieno (misura volumetrica specifica per il foraggio, valutata in 1600 libbre, pari a circa 763 Kg) costava 12 lire (quasi 2 ducati), uno zigotto (cestone di vimini, che denominava anche l’unità di misura del letame) costava 16 soldi, un carro di paglia veniva valutato 8 lire. Significativo è il confronto con il valore di alcuni attrezzi indispensabili per il lavoro dei campi: un versor d’aratro era valutato 20 lire, mentre 100 lire era il valore di un carro completo di finimenti (35), un carro con quattro rode ferrate costava L. 77, paradori e stanghe per un carro corto L. 3, infine un solzador L. 8 (36). I bovi venivano stimati e venduti solitamente in coppia, la formula notarile recitava infatti un paro di bo’. Ampio è il divario tra il costo minimo registrato per le armente ed il massimo rilevato per i bovi (58 ducati), il che mostra la diversa importanza attribuita ai maschi ed alle femmine. Chiarificatrice sarà la prossima tabella.

nomi animali

colore pelo

costo

luogo

tipo

data

collocazione

Bazolin e Polacco

colombin e biso

90

Cintello

bovi

1788

A.S.Pn, Not., b. 1285

###

###

37

Cintello

armente

1788

A.S.Pn, Not., b. 1285
Buffon e Biso

moro e biso

65

Cintello

bovi

1788

A.S.Pn, Not., b. 1285
Gardelina e Garofola

di pelo scuro

34

Cintello

armente

1788

A.S.Pn, Not., b. 1285

###

###

92

Teglio

manzi

1789

A.S.Pn, Not., b. 1285

###

###

70

Teglio

manzi

1789

A.S.Pn, Not., b. 1285

###

###

33½

Teglio

manzi

1749

A.S.Ud, Perus., b. 549

###

###

20

Teglio

vitello

1749

A.S.Ud, Perus., b. 549

Galandin e Colombin

###

88

Teglio

bovi

1760

A.S.Ud, Perus., b. 549

###

###

71

Teglio

bovi

1760

A.S.Ud, Perus., b. 549

Il colore colombin è quello del frumento prossimo alla mietitura. Il vitello del 1749 è il solo in cui si parla di un animale singolo e non di una coppia.

Un animale così importante non poteva sfuggire al fisco statale, infatti per convenzione un paio di bovi venivano parificati (per stabilire la tassazione) ad un campo - unità di misura del campatico - con un aggravio annuale quindi di 5-6 soldi a coppia per il proprietario (37).

La più grave calamità che potesse colpire un contadino era il mal bovino, che purtroppo nel Friuli di fine Settecento si può considerare malattia endemica, tanto che ogni anno estesi focolai di afta venivano segnalati in diverse zone della provincia. Se è facilmente intuibile il danno economico che la morte di un animale recava al proprietario, meno note sono le regole che le autorità adottavano per evitare il diffondersi dell’epidemia. Cordoni sanitari controllati dalla cavalleria croata venivano istituiti lungo le strade ed i villaggi colpiti dal male venivano isolati. Se l’infezione era ancora limitata ad una singola stalla, questa veniva isolata per almeno 3 settimane. In questo periodo di tempo ad animali ed alle persone era impedito uscire per qualsiasi ragione dal perimetro della zona infetta; il lavoro dei campi doveva perciò essere sospeso, a meno che il Luogotenente non imponesse alla collettività di farsi carico delle necessità della famiglia costretta in isolamento. Ad impedire un tempestivo intervento delle autorità era spesso "la fiera malizia dei rustici, li quali nei primordi di un attacco nelle loro stalle, occultavano per quanto potevano la malattia" contribuendo così a spargere ovunque il morbo (38). Il patrimonio zootecnico tegliese fu particolarmente colpito nel 1753 (39) e nel 1758 quando furono isolate 9 stalle a Teglio ed una a Suzzolins (40). Durante l’epidemia del 1753 Teglio fu isolata dai paesi limitrofi e il mercato bovino che si teneva ogni sabato in Portogruaro fu sospeso nel tentativo di bloccare la diffusione del morbo. Purtroppo ogni precauzione risultò inutile; furono infatti illegalmente introdotte in città alcune bestie infette acquistate a Teglio per poco prezzo da macellai senza scrupoli, che contribuirono così a diffondere la malattia. Non furono solo i beccari a violare il cordone sanitario, anche un tale Fantuzzi introdusse un toro vivo in Portogruaro per dar vita ad uno spettacolo allora assai in voga: la caccia del toro, una specie di corrida tra il malcapitato bovino e dei cani appositamente addestrati, che si svolgeva lungo le strade cittadine tra due ali di folla festante, spesso alla presenza delle autorità (41).

Anche altri animali sono stati oggetto delle rilevazioni statistiche delle Anagrafi, come ad esempio i somarelli, argomento che in un libro su Teglio non può essere certamente trascurato. La fama del paese di Teglio di essere il pais dei mus potrebbe far pensare ad una rilevante presenza nelle stalle locali del simpatico quadrupede, perlomeno rispetto ai paesi finitimi. Nel rilevamento del 1768 questa ipotesi trova delle conferme soltanto parziali; i somarelli tegliesi erano infatti solo 30, quindi poco più di un quarto di bestia per famiglia. Per contro bisogna anche sottolineare il fatto che a Cinto, Gruaro, Cintello, Lugugnana, Giussago e Fossalta il numero di somarelli era assolutamente irrilevante, cosa che può aver evidenziato una presunta peculiarità tegliese. Ma la teoria che lega la fama del nostro paese alla preponderanza numerica di somari esclusivamente da noi rispetto alle altre località del territorio subisce uno scossone se confrontiamo i nostri dati con quelli rilevati per Cordovado (33 animali), San Michele (176) e Bagnarola (40). Addirittura sulle rive del Tagliamento ragliava un somaro ogni 2 famiglie: il doppio rispetto a Teglio.

Cerchiamo ora di capire il motivo per cui in solo 4 ville, tra quelle considerate, era presente questo animale da soma. Cordovado e Bagnarola - ma anche, seppur in forma minore, San Michele - come abbiamo visto, erano centri di una certa rilevanza economica con vari opifici idraulici (mulini, segherie, battiferro) e un numero consistente di artigiani che, probabilmente, adoperavano il somarello per trasportare le proprie merci. Il problema è che per Teglio la motivazione proposta non è valida, essendo il numero di animali sproporzionato rispetto a questo tipo di bisogni. Sarà d’uopo allora ricercare una spiegazione alternativa poiché se leghiamo la presenza del somaro ai lavori agricoli, non si capisce il motivo per cui il suddetto animale sia presente a Teglio e non in altri paesi paragonabili al nostro dal punto di vista economico.

La risposta che propongo per spiegare la presenza dell’orecchiuto quadrupede - limitatamente al XVIII sec. - penso sia nuova e originale, degna se non altro di essere presa in considerazione e discussa.

Risale al 9 dicembre 1772 un dispaccio del Luogotenente della Patria del Friuli agli Inquisitori di Stato, in cui si spiegava il grave danno che creava all’erario il contrabbando di sale tra il Friuli e la provincia trevigiana con le ville imperiali di Goricizza, Virco, Gradiscutta, Campomolle, Driolassa e Precenicco. Il traffico illecito era allora controllato dai fossati, i pastori dell’altopiano vicentino, che da secoli usavano portare il loro gregge a svernare nelle poste da pecore della bassa friulana e del trevigiano. D’inverno, squadre di più di 20 uomini armati capeggiati da alcuni pastori, scortavano lunghe file di 40-50 somari carichi di sale da contrabbando. Gli animali necessari al trasporto non erano di proprietà dei banditi, infatti "ne prendono di volta in volta a nolo ove possono, ed incontrandone nelle paludi e nelle poste a pascolo, vanno di essi al possesso liberamente e sfacciatamente, e quindi senza premio e mercede ai loro siti li rimandano". Teglio e San Michele, oltre ad essere sede di posta per le greggi dei fossati, erano anche sul percorso che portava ai vari guadi sul Tagliamento (Mussons, Latisana, Madrisio). Tra i fiancheggiatori dei contrabbandieri arrestati compaiono i nomi di due persone di San Giorgio, due di San Mauro (ambedue i paesi ora in comune di San Michele) e quello di Antonio di Nicolò Paulon di Teglio. La missiva non chiarisce il ruolo del Paulon nella vicenda, ma dalla ricostruzione del Luogotenente si evince che il suo compito era quello di fornire appoggio logistico lungo il percorso dei contrabbandi, in sostanza rifornimenti alimentari ed eventuali sostituzioni di animali da soma (42).

Forse quanto scritto non risolverà definitivamente il problema del motivo per cui Tei è il pais dei mus, ma certamente spiega - almeno in parte - la presenza del somarello solo in certe località del territorio nell’ultimo secolo della Serenissima.

Parlando di somarelli, abbiamo introdotto il problema delle poste di pecore, del pensionatico e del pascolo "ad erba morta". Giovanni Arduino spiegò il sorgere della pratica del pensionatico in una relazione letta durante una riunione della Società d’Agricoltura di Udine il 31 luglio 1772: "I popoli montani scendono al piano durante l’autunno con le mandrie al fine di mantenerle fino a primavera (...). Per facilitare il proprio ricevimento (...) cominciarono a contribuire una qualche somma in denaro o al Signore territoriale o agli stessi comuni e questa contribuzione stabilì nel corso del tempo quello che ora si chiama il Diritto di Posta" (43).

La legge del 1765 divise in poste le zone soggette al pensionatico, e solo al titolare spettava il diritto di concedere dal 29 settembre al 25 marzo di ogni anno il pascolo sui terreni aperti (non cinti da siepi o fossi) e non seminati, dando la precedenza alle pecore appartenenti al comune soggetto alla posta (44). Il proprietario di tale diritto per Teglio e Cintello era il Vescovo di Concordia; dalla Redecima del 1740 sappiamo che il prelato ricavava dalla posta tegliese 24 lire, 2 agnellini e 30 forme di formaggio, da quella cintellese invece 40 lire. I libri parrocchiali di Cintello testimoniano la presenza di una forte comunità di pastori dell’altopiano tra la fine del Seicento e i primi anni del Settecento; i fossati pascolarono qui le loro greggi almeno fino al 1758, data dell’ultima nascita segnata dal parroco nei registri canonici (45). Nel 1765 i diritti sulle 2 ville furono affittati con un nuovo contratto da Giovanni Mocenigo (46).

In base al decreto del Luogotenente Cornaro datato 26 giugno 1682 il numero di pecore per fuoco di lista era stabilito in 30 unità; Teglio essendo allibrata per fuochi 5 ½ poteva ospitare quindi 165 animali, la villa di Cintello (fuochi 2 ½) doveva alimentare un massimo di 75 ovini (47).

Sempre in tema di foraggio, infine, va riconosciuto il merito ai tegliesi del XVIII secolo di aver intuito che il pascolo ad erba morta, detto altrimenti pascolo vago - aperto questo a tutto il bestiame: bovini, cavalli, maiali, ovini ed addirittura alle voracissime capre - era da considerare un ostacolo ai progressi dell’agricoltura, come testimonia la citata vicinia del 19 aprile 1745, che ricercava strumenti alternativi per reperire il foraggio necessario. Su questo punto non ci si può esimere dall’evidenziare la sostanziale differenza tra le opinioni che i tegliesi manifestarono nel secolo XVIII e quelle che - guidati da Giuseppe Vendrame a difesa del diritto di pascolo vago - propugnarono un secolo dopo (48).

La terra.

Finalmente è giunto il momento di parlare di quello che, in fondo, è il reale protagonista della nostra storia: il cìamp di tìara, la terra che bisognava sfruttare il più possibile per ricavare lo stretto necessario alla sopravvivenza della famiglia.

La dimensione dell’importanza socio-economica della terra si può desumere anche dal fatto che il campo, inteso come l’unità di superficie, è l’unica tra le antiche misure consuetudinarie ancora in uso, ed è tutt’oggi compresa da tutti. In origine il "campo" definiva la quantità di terreno che un paio di bovi poteva arare in una giornata; è ovvio che si trattava di una superficie variabile a seconda della qualità dei terreni. A Teglio e Cintello vigeva - e tutt’ora vige - come misura poderale il campo piccolo di Udine (3505,8348 m2). Nei contratti di vendita del XVIII secolo non troviamo la dizione "campo piccolo", ma si parla di appezzamento a misura di 14 per 60 pertiche (la pertica o passo grande era una misura lineare di 2,0429 metri) (49). Il campo si divideva poi in 4 quarte di 210 tavole.

Il paesaggio della nostra campagna era allora assai diverso dall’attuale, a motivo del sistema di sfruttamento del suolo definito a coltura mista. Filari di alberi maritati a viti segnavano longitudinalmente i poderi, ad intervalli di 25-40 metri. Negli spazi intermedi il contadino seminava i cereali fin sotto il vigneto, arando il più possibile vicino al confine, mentre rarissime erano le strisce destinate a produrre il foraggio per il bestiame che pur tirava l’aratro e il cui sterco concimava la terra. Questo tipo di sfruttamento intensivo, che praticamente mai lasciava il terreno a riposo, era per il conduttore una scelta obbligata; doveva infatti produrre per il padrone frumento e vino - che come vedremo erano i principali prodotti del contratto d’affitto- il mais e altri grani minuti per l’autoconsumo, gli alberi fornivano la legna da ardere, la frutta ed anche strumenti utili al lavoro come i legacci per le viti o i manici delle zappe. I documenti dell’epoca, per definire i poderi così coltivati, usavano la sigla A.P.V (arativo, plantumato e vitigato). La diffusione di una simile coltura doveva essere tale da spingere l’agronomo tedesco J. Bürger a descrivere le forme di questo paesaggio parlando di una immensa foresta, sopra alla quale solo i campanili sporgevano (50).

Contratti di vendita e locazioni ci descrivono analiticamente ciò che ho appena illustrato: ad esempio nella braida Pra Mazor 203 alberi sostenevano altrettante viti (situazione generalmente sintetizzata con la sigla A.C.V), mentre 128 erano le scavazade (i pali secchi) con viti (sigla S.C.V). Anche i fossi venivano misurati e le loro caratteristiche venivano evidenziate, se erano posseduti per intero e quindi interni alla proprietà, o se segnavano un confine e quindi posseduti solo a metà e se alberati o meno. Spesso gli alberi venivano elencati per tipo, la circonferenza del tronco espressa in oncie era un dato importante perché la presenza di essenze arboree aumentava il valore dell’appezzamento. Nei documenti si incontrano due varietà di salici: quelli detti di buon venco, se idonei a produrre legna da ardere, o molecchi, se adatti a fornire i vencs (legacci) per la vigna. Se dell’importanza dei gelsi si è detto, la toponomastica conserva ancora il ricordo della presenza di molte specie arboree: albare (pioppo), perara (pero), melar (melo), nespolar (nespolo), onaredi (ontano), ovoredi (acero), non sono che pochi esempi di micro fitotoponimi derivati dagli alberi.

Nei campi sopra descritti si producevano una notevole varietà di granaglie, oltre che al frumento ed al mais, chiamati grossami, venivano coltivati anche i grani minuti quali l’avena, il sorgo (grano saraceno), il sorgorosso (saggina), il panìco o panizzo, il miglio, la spelta, ma anche i fagioli ed il lino erano diffusi.

Una tabella ora introdurrà una breve trattazione sul valore della terra.

Il valore della terra a Teglio e Cintello nel Settecento

Costo

Qualità

Data

Località

Collocazione

80

Sedime

26.11.1763

Teglio

A.S.Pn, Notarile, b. 291

60

Orto

29.12.1725

Teglio

A.S.Ud, Perusini, b. 547

46

APV

16.01.1751

Teglio

A.S.Pn, Notarile, b. 1283, fasc. 9086

45

APV

29.12.1725

Teglio

A.S.Ud, Perusini, b. 547

40

APV

14.03.1758

Cintello

A.S.Pn, Notarile, b. 1284, fasc. 9089

38

APV

14.03.1758

Cintello

A.S.Pn, Notarile, b. 1284, fasc. 9089

37

APV

25.05.1750

Teglio

A.S.Pn, Notarile, b. 1283, fasc. 9082

36

APV

25.05.1750

Teglio

A.S.Pn, Notarile, b. 1283, fasc. 9082

35

APV

25.05.1750

Teglio

A.S.Pn, Notarile, b. 1283, fasc. 9082

34

APV

25.05.1750

Teglio

A.S.Pn, Notarile, b. 1283, fasc. 9082

32

APV

09.12.1755

Teglio

A.S.Pn, Notarile, b. 1283, fasc. 9086

30

APV

23.06.1755

Teglio

A.S.Ud, Perusini, b. 694

26

Basse arative

29.12.1725

Teglio

A.S.Ud, Perusini, b. 547

25

APV

14.03.1758

Cintello

A.S.Pn, Notarile, b. 1284, fasc. 9089

14

Arativo

14.03.1758

Cintello

A.S.Pn, Notarile, b. 1284, fasc. 9089

12

Prato

29.12.1725

Teglio

A.S.Ud, Perusini, b. 547

7

Pustoto

14.03.1758

Cintello

A.S.Pn, Notarile, b. 1284, fasc. 9089

Il costo, espresso in ducati da 6 lire e 4 soldi, è riferito al campo di pertiche 14 per 60 (campo piccolo). Il podere valutato 34 ducati per campo viene detto soggetto all’acqua, cioè veniva sommerso dalle acque di scolo in caso di piogge abbondanti.

La maggior parte dei terreni arativi di Teglio aveva un valore compreso tra i 30 ed i 40 ducati; si trattava dunque di poderi di buona qualità e resa, infatti il prezzo di un "arativo mediocre" si aggirava intorno ai 25 ducati e un "arativo inferiore" valeva circa 15 ducati. I pustoti non erano valutati più di 7-8 ducati per campo piccolo. Le ottie invece avevano un costo medio piuttosto elevato, sui 35 ducati (51). Il costo unitario più elevato si registra per gli

orti ed i sedimi, evidentemente perché era una terra di elevata produttività e per questo indispensabile all’economia familiare, cintata e solitamente posta vicino alla casa.

Abbiamo la descrizione di un orto e del contiguo casale (poderetto vicino alla casa) in una scrittura datata 1757.

In questo poderetto dominavano i venchi (54) e i gelsi (11), la vite si sorreggeva ovunque (a pergola, aderente al muro dell’orto e della casa, a scavasada lungo la strada di accesso al podere), gli alberi da frutta infine consistevano solo in due susini, un pero ed un melo, però ingrassato. Nell’orto propriamente detto c’erano un fico, 4 noci, 3 cespugli di canne cargane (canna montana o comune), 2 piante di alloro, 2 olmi e 10 alberi di fontane (con ogni probabilità un tipo di salice) (52).

Notevole appare la differenza di prezzo tra gli 80-60 ducati di sedimi ed orti ed i 46 pagati per il campo APV più costoso. Progressivamente il valore degli appezzamenti scema fino ad arrivare a 25-26 ducati, pagati per le terre di scarsa resa, che infatti in alcuni casi vengono dette basse, toponimo che in genere indicava terre depresse e soggette all’irruzione delle acque, o chiaranda cioè luogo un tempo coperto di sterili roveti e cespugli. Un fattore importante - oltre alla fertilità - per determinare il prezzo del terreno pare fosse la presenza cospicua di viti maritate ad alberi, a riprova della necessità di uno sfruttamento intensivo del suolo. Infatti, una terra esclusivamente arativa - quindi non alberata e vitigata - godeva di una bassa valutazione, di poco superiore al pascolo (che era rimasto tale evidentemente perché le tecniche dell’epoca non permettevano nemmeno una resa appena conveniente in caso di una messa a coltura basata sui cereali).

La fiscalità veneziana colpiva i fondi rustici essenzialmente attraverso la gravezza del campatico (53). In Friuli tale imposta era ridotta di 1/3 rispetto all’aliquota normale; si pagavano 20 soldi a campo (misurato alla grande, cioè tavole 1250) i poderi APV, 13 soldi i pascoli, 6 soldi i beni paludosi, boschivi e vallivi. I proprietari e la qualità dell’appezzamento erano registrati nelle Redecime, una specie di catasto che la Repubblica aggiornò per l’ultima volta nel 1740. La tassazione distingueva quindi i beni dei veneziani, degli abitanti del Dogado e di Cologna, detti fuochi veneti, da quelli di tutti gli altri sudditi di San Marco, chiamati fuochi esteri. Chiunque poteva però far allibrare all’estimo di Venezia piuttosto che al proprio i beni posseduti, allo scopo di ottenere il previsto sconto del 10% sul dovuto ed altre facilitazioni. Il vantaggio di chi registrava a fuochi esteri consisteva nell’estrema lentezza del fisco nell’aggiornamento degli estimi, per cui estese proprietà versavano come fossero ancora palude ad anni dalla bonifica.

Nel 1740 molte grandi famiglie veneziane (Persico, Michiel, Mocenigo, Manin, Dandolo), oltre ai Borghesaleo presenti dai primi del ‘600, erano proprietarie di grandi estensioni a Teglio e Cintello. Anche l’antica nobiltà feudale friulana, spesso da secoli, possedeva nel nostro territorio ingenti beni; ricordiamo i Colloredo, i Frattina e gli Attimis. La piccola nobiltà di Portogruaro, Cordovado ed Udine era presente con i Ridolfi, i Rava, i Fantuzzi, i Martinelli, i Bandiera, gli Isnardis, gli Scalettaris, i Gagliardis della Volta. Pochi erano gli originari del posto registrati nella Redecima: Tommaso Romani, Pasqualin Brunetti, Giovanni Coassin, Angelo Daneluzzi e Osvalda Geremia, a loro bisogna aggiungere i beni della Chiesa di Teglio e Cintello e del Pievano di Cintello.

Nel 1794 a Teglio versavano il campatico le seguenti ditte: Pietro e Pasquale Brunetti, Mattio Borghesaleo, Zanetta Rota in Borghesaleo, Anna Romani in Franceschi, Antonio Gorgo, Pietro Gorgo, Alvise Mocenigo, Gio:Pietro e Valentino Scalettaris, la Chiesa di S. Giorgio, la Fraterna di S. Antonio. Si tratta probabilmente di un elenco incompleto e nella rilevazione si nota anche l’assenza di Cintello (54).

I contratti agrari

Appare chiaro come nel XVIII secolo la terra fosse divisa tra pochi proprietari, mentre la grande massa della popolazione attiva lavorava la terra altrui, secondo rigide norme regolate da contratti o da scritture private.

Ad esempio il 27 ottobre 1721 Bartolomeo Vaciola e Osvaldo Marzocco stabilirono con Orazio Frattina le condizioni con cui per i 3 successivi anni avrebbero condotto ad affitto semplice un podere - "diviso in più pezzi" - di 39 campi arativi e 5 prativi posto nelle pertinenze di Teglio e di Gorgo, condotto fino ad allora da Zanetto Zanetti. Bartolomeo e Osvaldo si impegnavano "ad aver, tener, goder, migliorar e non peggiorar ad uso dei buoni e diligenti coloni" la possessione loro affidata. L’affitto fu stabilito nella misura di 10 quartaroli di frumento "bello, buono, secco e ben crivellato" ogni campo arativo, "in tutto fanno stara 24, quarte 1, quartaroli 2". I 5 campi a prato furono concessi "in dote", cioè non fu stabilito un corrispettivo specifico da versare per il loro uso. Il vino doveva essere diviso "alla giusta metà", però dalla parte dei fittavoli si doveva prelevare ancora mezza orna ogni brenta usata per conservare il prodotto a titolo di nolo del contenitore, ed una ulteriore orna "giusto il praticato". Infine i fittavoli, a titolo "d’onoranza", dovevano pagare al possessore 3 paia di capponi, 3 paia di galline, 3 paia di polli, 2 tacchini, un passo di legna, 200 fascine; per concludere i coloni dovevano garantire i cariaggi (l’uso dei carri per il trasporto di ogni tipo di materiale) "ove portasse il bisogno", anche fino ad Udine. I lavori della vigna e del vino - la vendemmia e il travaso - dovevano essere autorizzati dal locatore, come la vendita di fieno, paglia, strame e letame. Assolutamente vietato era vendere, barattare o impegnare gli animali che il proprietario affidava al fittavolo. Per il mantenimento della stalla del Frattina i fittavoli dovevano obbligatoriamente seminare un campo ad avena, in cambio però dello sconto di un quartarolo di frumento. La riconferma della locazione era tacita, altrimenti la disdetta doveva avvenire entro il giorno della Madonna di Marzo; i fittavoli in tal caso dovevano lasciare in teza una quantità di fieno e di sarpe (vinaccia) pari a quella ricevuta al momento della stipula della scrittura (55). Le condizioni stabilite dal contratto non si discostavano quindi da quelle usuali nel resto della Patria, dove gli strumenti per la vendemmia e per la produzione del vino venivano normalmente forniti dal proprietario al fittavolo in cambio di una piccola somma e gli attrezzi per il lavoro dei campi dovevano essere riconsegnati al termine della locazione. Il tipo di contratto descritto viene oggi definito "fitto misto", dove la parte del fitto da contribuire in granaglie era fissa, mentre il vino veniva spartito a metà. Per finire le regalie: anch’esse nel Settecento aumentano sempre più ed assumono il carattere di vere e proprie integrazioni del canone.

Il rinnovo della locazione avvenuto nel 1749, stavolta da parte di Filippo Colloredo unitamente al solo Vaciola, ripropose gli accordi del 1721 - 10 quartaroli di frumento per campo e vino a metà - specificando che il pagamento dell’affitto era fissato per il 25 luglio, giorno di San Giacomo. Ma essendo il podere ridotto a 30 campi APV, le onoranze furono un po’ diminuite (2 paia di polli, capponi, galline, 2 tacchini, mezzo passo di legna, 200 fascine). Mancando però "la dote de pradi che se pratica dare alli coloni", il locatore compensava il locatario con 22 lire in contanti (56).

Appare ora utile aprire una piccola parentesi e spiegare i rapporti, spesso burrascosi, che intercorrevano tra feudatari e grandi fittanzieri. Il cambio della famiglia locataria e la riduzione del podere affidato ora ai Vaciola, deriva dal fatto che il 9 settembre 1747 giunse a soluzione una lunga lite che vide contrapposti i Colloredo e i Frattina riguardo gli antichi beni di origine feudale dei Colloredo siti in Teglio, affittati ai Frattina almeno dal 1621 e da quest’ultimi rivendicati in seguito come propri. Già nel 1622 era infatti intenzione dei Colloredo moverli lite ai Frattina, "perché havemo molte ragioni per escomearla". Nel 1665 addirittura i Frattina cedettero ai Borghesaleo per 130 ducati i campi detti Favrijs, in realtà di proprietà Colloredo. Quest’ultimi riuscirono a far valere i propri diritti e a recuperare la proprietà nel 1668 (57). Solo alla metà del XVIII secolo il Magistrato sopra i Feudi, investito del giudizio sull’intera lite, la risolse a favore dei Colloredo annullando il secolare contratto d’affitto (58).

La vicenda Colloredo-Frattina ci consente di analizzare ancora un aspetto della vita rurale dell’epoca: la durata delle affittanze che nel Settecento venne progressivamente riducendosi. I Selva lavorarono ininterrottamente un maso dei Colloredo almeno dal 1446 (59), fino certamente al 1717, anno dell’ultima loro locazione (60). Nella Redecima del 1740 Batta Selva lavorava ancora 38 campi di Carlo Colloredo, Iseppo Selva invece lavorava 63 campi dei Borghesaleo.

Gli altri esempi trovati di locazioni del XVIII secolo non divergono in sostanza dai termini sopra riportati nemmeno per l’entità dell’affitto, che appare però notevolmente aumentato rispetto ai canoni contribuiti nei secoli precedenti, compaiono poi con frequenza nuove famiglie di fittavoli con contratti di locazione brevi. Si veniva così ad interrompere la tradizionale continuità di conduzione che caratterizzava i beni tegliesi della famiglia Colloredo i cui poderi infatti venivano identificati col nome delle famiglie - i Selva ed i Pret - che per secoli avevano lavorato la stessa terra (61).

Le case infine, come le terre e gli animali, erano proprietà delle grandi famiglie nobili. Tranne pochi casi - i Daneluzzi ed i Brunetti ad esempio - cintellesi e tegliesi non abitavano case di propria ragione; spesso erano in affitto o alloggiavano nelle case coloniche del podere loro affidato. Abbiamo alcuni esempi di vendite e fitti di abitazioni per il XVIII secolo: da un documento datato 11 novembre 1751, veniamo a sapere che Tommaso Tonin versava ad Angela Borghesaleo per "una casa di muro con sua camera e stalla e una stanza del forno, il tutto coperto di coppi, cortivo ed orto" 74 lire e due pollastri di affitto annuo, una metà il giorno di San Giacomo in luglio e l’altra metà il giorno di San Martino in novembre. Al Tonin era fatto anche obbligo di portare ghiaia o terra sul cortile e tenere tutto in conzo (62).

Il valore delle abitazioni era considerevole: a Teglio una casa coperta di coppi, con stalla, stalletta, pollinaro (di muro coperto di coppi), cortivo ed orto nel 1763 fu valutata più di 207 ducati (63), a Fratta nel 1780 una stima parla di circa 235 ducati (64), ancora a Teglio nel 1752 si parla rispettivamente di 311 e 294 ducati per due case coloniche (65). Le stime erano assai precise e valutavano le parti strutturali e gli arredi fissi della costruzione: un passo da fabbrica (misura lineare di metri 1,7024) di muro valeva 8 lire, 3 pilastri 86 lire, 16 travi 34 lire, il forno 30 lire, la nappa 24, il secchier 12 lire, ma si tratta solo di un esempio utile per spiegare come allora ogni cosa avesse un valore (66).

Un quadro riassuntivo della situazione a Teglio e Cintello nella seconda metà dell’ultimo secolo della Serenissima può essere fornito dai dati delle Anagrafi, opportunamente organizzati in tabelle.

POPOLAZIONE

TEGLIO

1768

1790

1795

CINTELLO

1768

1790

1795

famiglie

111

124

  famiglie

24

22

 
ragazzi

156

184

  ragazzi

35

41

 
uomini

188

166

  uomini

55

45

 
vecchi

24

22

  vecchi

5

4

 
donne

355

308

  donne

88

69

 
Totale anime

723

680

832

Totale anime

183

159

195

I dati parziali delle anagrafi 1795 sono conservati in BCUd, Fondo Principale, b. 961.

ECCLESIASTICI

TEGLIO

1768

1790

CINTELLO

1768

1790

preti con beneficio

3

2

preti con beneficio

1

# (?)

preti senza beneficio

1

3

preti senza beneficio

#

#

chierici

1

#

chierici

#

#

PERSONE INDUSTRIOSE

TEGLIO

1768

1790

CINTELLO

1768

1790

lavoranti di campagna

547 (?)

264

lavoranti di campagna

83

60

artigiani

5

5

artigiani

#

#

questuanti

1

6

questuanti

#

1

negozianti

=

1

negozianti

=

#

botteghieri

=

2

botteghieri

=

#

servitori

=

3

servitori

=

2

Il simbolo # indica che il mestiere non fu rilevato in loco, = invece segnala che il mestiere non viene specificato nelle Anagrafi dell’anno in questione, ? indica un dato dubbio.

ANIMALI

TEGLIO

1768

1790

CINTELLO

1768

1790

bovini da giogo

263

=

bovini da giogo

80

=

bovini da strozzo

#

=

bovini da strozzo

3

=

vitelli e vitelle

=

29

vitelli e vitelle

=

10

bovini di qualunque uso

=

331

bovini di qualunque uso

=

54

cavalli

34

25

cavalli

1

5

muli

#

1

muli

#

#

somarelli

30

41

somarelli

4

#

pecorini

44

83

pecorini

54

106

Il simbolo # indica che l’animale non fu rilevato in loco, = invece segnala che l’animale non viene specificato nelle Anagrafi dell’anno in questione.

EDIFICI

TEGLIO

1768

1790

CINTELLO

1768

1790

telai da tela

3

4

telai da tela

2

2

Questa è la descrizione degli ultimi anni della Repubblica analizzati da un punto di vista molto parziale: la vita del popolo nelle piccole ville di Teglio e Cintello. L’arrivo di Napoleone nel 1797 mutò rapidamente e radicalmente una situazione immobile da secoli.

Francesi ed austriaci.

Dal 1797 al 1862.

Non è nelle mie intenzioni ripercorrere dettagliatamente i tumultuosi avvenimenti politici che seguirono, perciò mi limiterò ad una breve cronologia.

Il 12 maggio 1797 la Repubblica Aristocratica autodecretò la sua morte, mettendo così fine ad una lunga agonia. L’esperienza della Municipalità fu brevissima: il 17 ottobre 1797 Napoleone firmò a Campoformido il trattato con cui cedeva i territori veneti agli austriaci e il 12 gennaio 1798 i soldati imperiali sostituirono i francesi.

Del grande significato politico di questi avvenimenti che sconvolsero l’intera Europa, tegliesi e cintellesi si resero pienamente conto probabilmente solo nel febbraio 1798, allorché i parroci delle due comunità riunirono i capi di famiglia nelle rispettive parrocchiali e, "previo l’avviso eseguito nell’apposita vicinia di ieri", durante la messa solenne spiegarono ai presenti il significato "dell’atto di religione che si presta con il giuramento". Ai presenti fu poi chiesto di giurar fedeltà ed ubbidienza a Francesco II, definito "nostro signore" (67).

Ebbe così inizio la prima dominazione austriaca.

Di questo breve periodo possediamo alcuni interessanti documenti. In primo luogo -a testimonianza delle difficoltà di quegli anni - una vicinia del maggio 1801, durante la quale il Meriga Gio:Maria Fancello informava sui rilevanti debiti, 200 ducati, contratti dal comune di Teglio per sopperire alle requisizioni causate dalle "presenti circostanze urgenze (sic) delle belligeranti truppe austriache". Per appianare il deficit di bilancio furono presentate due proposte: istituire una tassa pro capite contribuita "dai villici abitanti", o "abbia ad esser affittato, incantato, ceduto, a pegno godere, o in qualunque altro modo a chiunque sia (...) un pezzo di terra e strada detto Armentarezza [usufruito] da qualche anno a pascolo ad erba viva". L’assemblea deliberò con 40 voti contro 2 la proposta dell’alienazione del bene comunale (68). Il pascolo suddetto, grande più di 4 campi, fu acquistato dai fratelli Vaciola per 200 ducati (69).

Possediamo poi due statistiche: una rilevazione demografica relativa al 1802 (70) e una rilevazione demografico-economica per l’anno 1804, descrivente la quantità, il tipo dei grani prodotti e gli animali presenti (71).

Le località riportate appartenevano tutte alla pieve di San Giorgio di Teglio, tranne ovviamente Cintello che è parrocchia autonoma sotto il titolo di San Giovanni Battista.

Popolazione 1802

Teglio

Fratta di Teglio

Perarutto di Teglio

Suzzolins

Cintello

710

214

36

22

150

 

STATISTICHE 1804

Teglio Perarutto e porzion di Fratta: anime 1000 Cintello: anime 215
CEREALI

stara prodotte

CEREALI

stara prodotte

frumento

880

frumento

184

sorgoturco

2168

sorgoturco

360

fagioli

36

fagioli

#

miglio

2

miglio

#

spelta

20

spelta

10

avena

80

avena

#

sorgo

100

sorgo

160

ANIMALI   ANIMALI  
bovini adulti

149

bovini adulti

27

armenti

141

armenti

34

vitelli

32

vitelli

14

cavalli

37

cavalli

3

pecore

211

pecore

73

Quest’ultima statistica offre anche ulteriori notizie; ad esempio ci informa che a Teglio lavorava un fornello da seta, che in paese c’era un parroco che insieme ad un cappellano da lui stipendiato attendeva alla cura delle anime, vi abitavano inoltre altri due religiosi ma senza cura d’anime. Gli edifici religiosi (chiese e canonica) erano in buono stato e la parrocchia era a dovere seguita. Notizie meno confortanti invece riguardavano Cintello dove all’epoca operava un solo parroco e la chiesa versava nel massimo disordine: gli altari erano fradici e le porte scardinate. Il cimitero risultava essere circondato per 1/3 del perimetro da un muro più basso della terra sovrastante che, di conseguenza, tracimava; il resto era cinto da una siepe che non impediva a maiali ed altri animali alla ricerca di cibo di violare il luogo sacro.

Non si può far a meno di notare l’incremento demografico - evidente già dalla fine del secolo precedente - nonostante le difficoltà dei tempi.

Agli austriaci, in conseguenza della pace di Presburgo (25 dicembre 1805), subentrarono i francesi dal primo maggio 1806. I napoleonici crearono il Regno d’Italia che durò solo fino il 7 aprile 1815, data di nascita del Lombardo-Veneto asburgico.

Del decennio 1806-1815 l’unica rilevazione in nostro possesso risale al 1808 e si tratta solo di dati anagrafici (72).

STATISTICHE 1808

Teglio: anime 696 Cintello: anime 203

In questo caso notiamo un calo della popolazione rispetto al censimento precedente.

Il successivo dato è del 1816 e lo si deve al Lombardo-Veneto; per l’ultima volta Teglio e Cintello (che è già frazione) vengono rilevati separatamente. In questo periodo il territorio comunale assume la sua forma attuale: le località di Fratta, Perarutto e Boscato di Fratta vengono definitivamente assegnate al finitimo comune di Fossalta e Portovecchio a Portogruaro. Teglio viene definito comune di III classe, con una superficie totale di 11000,41 pertiche censuarie, di cui 8529,48 del capoluogo e 2470,93 della frazione (73).

STATISTICHE 1816

Teglio: anime 635 Cintello: anime 192

Il confronto con la rilevazione di 8 anni prima evidenzia un calo della popolazione, dovuto probabilmente alle difficoltà causate dalle guerre ed alla crisi agraria provocata dalle negative condizioni climatiche degli anni dal 1812 al 1817, che intralciarono la semina, la maturazione e la mietitura dei cereali.

Con la fine della stagione napoleonica, ancora caratterizzata da manifestazioni demografiche tipiche dell’ancien règime, anche nella nostra zona si evidenziò una lenta crescita della popolazione.

Evidenziano la tendenza le rilevazioni relative agli anni 1821 (74), 1845 (75), 1853 (76) e 1862 (77).

I numeri sono complessivi e riguardano l’intera popolazione del comune, unificando nel calcolo capoluogo e frazione.

1821

1845

1853

1862

910

1026

1157

1136

Il dato negativo registrato nel 1862 è probabilmente dovuto all’epidemia di colera, già comparso nel Veneto durante l’inverno 1835-36, che colpì il portogruarese a metà degli anni cinquanta del secolo.

Per analisi più approfondite sui dati demografici, è indispensabile lo studio dei registri - battesimi, morti, matrimoni - che i parroci fin dal Concilio di Trento furono obbligati a tenere, ma questo esula dagli scopi del presente scritto.

Al secolo XIX non è stato riservato in questa sede lo stesso dettagliato tipo di studio riservato al Settecento perché sarà oggetto di una prossima indagine.

 


NOTE AL TESTO

 

I. NIEVO, Le Confessioni d’un italiano, Milano, 1989, vol. I, p. 18.

2 A.S.Pn, Fondo Notarile Antico, b. 288, fasc. 2411, atto 27 agosto 1665.

3 I dati sono stati desunti dall’analisi delle poche vicinie ritrovate, di cui riporto la collocazione: A.S.Pn, Fondo Notarile … , b. 1285, fasc. 9094, vicinia 18 agosto 1790, ibidem, vicinia 22 agosto 1790, ibidem, fasc. 9095, vicinia 8 giugno 1790, ibidem, b. 1284, fasc. 9092, vicinia 19 aprile 1745.

4 A.S.Ve, Biblioteca, Anagrafi A5/X vol. V, Teglio è al n°153, Cintello al 151. Essendo il rilevamento basato sulle parrocchie, Teglio è unito alla parte di Fratta tutt’ora parte integrante della pieve di San Giorgio.

5 Sull’attendibilità delle rilevazioni statistiche negli stati pre unitari vedi M. BERENGO, L’agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all’Unità, Milano 1963, p. 227.

6 A.S.Ve, Provveditori alla Sanità, b. 488.

7 Le percentuali della tabella sono assolutamente sovrapponibili ai dati riportati per il XVIII sec. in studi complessivi sullo Stato Veneto, vedi M. BERENGO, La società veneta alla fine del Settecento, Firenze 1956, p. 64.

8 B.C.Ud, Fondo Principale, ms. 1539. Cintello "non ha catasticazione", cioè non è stato rilevato, forse perché all’epoca non vi operavano artigiani.

9 Gli atti dei notai tegliesi sono conservati in A.S.Pn, per i seguenti periodi: Prè Pietro Gorgo 25/9/1527 - 3/10/1564, Tommaso Romani 13/2/1721 - 20/7/1759, Pietro Brunetti 19/2/1722 - 17/3/1779, Giuseppe Brunetti 1/5/1784 - 17/3/1806. Anche una semplice analisi di queste date, ci permette di dire che nel 1754 operavano a Teglio almeno altri 2 notai oltre al Pasqualin Brunetti - Cancelliere del Castello di Fratta - di cui ancora non sono stati ritrovati gli atti.

10 A.C.V.Pn, Visite Bressa, b. 20, fasc. 14.

11 Sull’argomento "macina" e su un episodio fiscale che vide protagonisti i paesi di Teglio, Cordovado e Saccudello, vedi L. VENDRAME, La "masena" nel Friuli del secondo Settecento, in "La Bassa", n. 31, 1995.

12 A.S.Ve, Revisori e Regolatori alle entrate pubbliche in Zecca, b. 575, fasc. 82.

13 A.S.Ve, V Savi alla Mercanzia, b. 153 n.s., fasc. VI e IX.

14 Ibidem, b. 154 n.s., fasc. XI.

15 Ibidem, b. 589.

16 Ibidem, b. 590.

17 A.S.Ve, Revisori e Regolatori..., B. 489.

18 B.C.Ud, Fondo Principale, ms. 965, vol. III.

19 A.S.Pn, Fondo Notarile..., b. 1285, fasc. 9095, atto 24 gennaio 1789.

20 Ibidem, b. 292, fasc. 2459, atto 11 settembre 1780.

21 A.S.Ve, V Savi..., b. 585. La data è more veneto.

22 A.C.V.Pn, Visite Bressa, b. 20, fasc. 14.

23 Per un primo approccio ai problemi dell’agricoltura friulana nei sec. XVIII - XIX vedi G. PERUSINI, Vita di popolo in Friuli, patti agrari e consuetudini tradizionali, Firenze 1961, L. MORASSI, Tradizione e "nuova agricoltura". La società di agricoltura pratica di Udine (1726 - 1797), Udine 1980, Id., Note per la storia dell’agricoltura friulana nell’età delle riforme, in Archivio Veneto 100 (1969), n. 123, p. 47-64, M. BERENGO, La società veneta... cit., Id., L’agricoltura veneta... cit., F. BIANCO, Nobili, castellani, comunità, sottani. Accumulazione ed espropriazione contadina in Friuli dalla caduta della Repubblica alla Restaurazione, Udine 1983, P. GASPARI, Storia popolare della società contadina in Friuli, Monza 1976, AAVV, Contributi per la storia del paesaggio rurale nel Friuli-Venezia Giulia, Pordenone 1980, D. BELTRAMI, Forze di lavoro e proprietà fondiaria nelle campagne venete dei secoli XVII e XVIII, Venezia-Roma 1961, Prospetto del Friuli Veneto, nella sua situazione, strade, popolazione, agricoltura, arti, commercio e transiti, coi principali difetti e rimedi che umilia a Sua Ecc. Marcantonio Zustinian la commissionata Accademia Agraria di Udine l’anno 1789, a cura di F. BRAIDA Udine 1876, F. LUZZATO, Antonio Zanon ed alcune questioni di attualità in tema di politica agraria, in "Atti della Accademia di Udine", s. V, vol. V, 1925-26, Udine 1926, Id., Antonio Zanon e la legislazione agraria della Repubblica Veneta, in "Atti della Accademia di Udine", s. V, vol. VI, 1926-27, Udine 1927, Id., La politica agraria nei minori scrittori friulani del Secolo XVIII, in "Atti della Accademia di Udine", s. V, vol. VII, 1927-28, Udine 1928.

24 B.C.Ud, Fondo Principale, ms. 989.

25 A.S.Ve, Atti diversi, b. 155.

26 A.S.Ve, X Savi alle Decime in Rialto. Catastico del Friuli, Registro 475, b. IV per i fuochi veneti, Registro 477, b. IV per i fuochi foresti.

27 A.S.Pn, Fondo Notarile..., b. 1285, fasc. 9095, atto 23 agosto 1788.

28 A.P.Fossalta, Carta dei beni contesi per il quartese tra le pievi di Teglio e Fossalta, anno 1759.

29 L. MORASSI, Tradizione ..., p. 46.

30 M. BERENGO, L’agricoltura veneta..., p. 326. Al problema suddetto il Berengo lega anche la pochezza dell’industria casearia. Il tema dell’allevamento bovino è trattato per il portogruarese da F. ZECCHIN, L’architettura rurale nel portogruarese, in "Portogruaro. Architettura rurale", Portogruaro 1988, p. 59, ma forse evidenziando nel complesso troppo gli aspetti positivi e trascurando quelli negativi.

31 A.S.Pn, Fondo Notarile..., b. 1285, fasc. 9092.

32 Ibidem, b. 291, fasc. 2450, atto segnato 92.

33 Ibidem, b. 1285, fasc. 9095, atto 25 novembre 1788.

34 A.S.Ud, Archivio Perusini, b. 574, avviso datato 28 aprile 1749.

35 Ibidem, b. 549, contratto 22 settembre 1749.

36 Ibidem, fasc. "Locazioni e gradi delli beni in Teglio concessi in affitto", documento del 12 dicembre 1760.

37 A.S.Ve, Provveditori ai Beni Inculti. Deputati all’agricoltura, b. 27, fasc. C, lettera 29 gennaio 1772.

38 A.S.Ve, Provveditori alla Sanità, b. 486, lettera 20 gennaio 1759 more veneto.

39 Ibidem, b. 286.

40 Ibidem, b. 485.

41 Ibidem, b. 482. Per maggiori notizie sulle cacce e sui divertimenti popolari in voga all’epoca, vedi V. TAVANI, Divertimenti dei tempi passati in Latisana, in "Pagine friulane", anno I, 1888, p. 28; A. BENEDETTI, Storia di Pordenone, Pordenone 1964, pagg. 277-286; G. MARIONI, Antichi giuochi a Cividale, in "Avanti cul brun", anno XXIV, n. 24, 1957, pagg. 121-124.

42 A.S.Ve, Inquisitori di Stato, b. 1099.

43 A.S.Ve, Deputati all’Agricoltura, b. 27, fasc. A.

44 Sul pensionatico vedi M. BERENGO, L’agricoltura veneta..., pagg. 116-120; sul pascolo vago vedi, ibidem, p. 122.

45 A.P.Cintello, Registri Canonici, b. 1.

46 A.S.Ud, Fondo Principale, b. 989, fasc. 3.

47 A.S.Ve, Deputati all’Agricoltura, b. 27, fasc. E, missiva del Luogotenente ai Deputati datata 28 maggio 1775.

48 Sulla questione vedi P. BRUNELLO, Ribelli questuanti e banditi. Proteste contadine in Veneto e in Friuli. Venezia 1981, P. GASPARI, Terra patrizia. Aristocrazie terriere e società rurale in Veneto e Friuli, Udine 1993, A. RIZZETTO, cit., pagg. 80-85.

49 Essendo queste notizie ricavabili in ogni atto notarile del genere, fornirò solo due indicazioni a titolo d’esempio, A.S.Pn, Fondo Notarile..., b. 1283, fasc. 9086, atto 9 dicembre 1755 riguardante la Braida detta Commugna a Teglio, e Ibidem, b. 1284, fasc. 9089, atto 14 marzo 1758 riguardante i campi detti al Cason nelle pertinenze di Cintello.

50 F. BIANCO, Nobili castellani..., p. 37.

51 A.S.Pn, Fondo Notarile..., b. 1283, fasc. 9086, atto 1 giugno 1753.

52 A.S.Ud, Archivio Perusini, b. 549, fasc. "Locazioni e gradi delli beni in Teglio concessi in affitto", atto 2 dicembre 1757.

53 Sul tema del campatico, oltre gli studi citati a nota 20, vedi F. BESTA, Bilanci generali della Repubblica di Venezia, Venezia 1912, vol. I, t. I, p. CXLVIII, G. GULLINO, I patrizi veneziani di fronte alla proprietà feudale (secoli XVI-XVIII). Materiale per una ricerca, Quaderni storici, n. 43, XV, aprile 1980, ed infine in B.C.Ud, Fondo Principale, ms. 644, fasc. "Delle gravezze e pubbliche imposte che ebbero luogo in Friuli dal tempo dei Longobardi sino al presente. Saggio di Francesco Rota".

54 A.S.Ve, Revisori e Regolatori..., b. 729.

55 A.S.Ud, Archivio Perusini, b. 549.

56 Ibidem, scrittura 22 settembre 1749.

57 A.S.Pn, Fondo Notarile..., b. 291, atto 19 ottobre 1668.

58 A.S.Ud, Archivio Perusini, b. 694, fasc. "Teglio". Sul fenomeno dei "grandi fittanzieri" vedi M. BERENGO, La società veneta..., pagg. 93-100.

59 Ibidem, atto 4 gennaio 1446 in copia settecentesca.

60 Ibidem, atto 9 settembre 1747.

61 Per gli affitti dal 1446 al 1717 vedi A.S.Ud, Archivio Perusini, b. 549.

62 A.S.Ud, Archivio Perusini, b. 547.

63 A.S.Pn, Fondo Notarile..., b. 291, atto 26 novembre 1763.

64 Ibidem, b. 292, atto 11 settembre 1780.

65 Ibidem, b. 1283, atto 11 marzo 1752.

66 Ivi.

67 A.S.Pn, Fondo Notarile..., b. 1285, atto 18 febbraio 1798.

68 Ibidem, b. 292, fasc. 2457, vicinia 17 maggio 1801.

69 Ibidem, atto 21 maggio 1801 segnato 77.

70 A.S.Ve, Biblioteca legislativa, b. 351, "Compartimento territoriale delle città, terre, castelli, borghi e ville, comuni ed anagrafi della popolazione delle provincie austro-venete formate con il fondamento delle note manoscritte spedite dalle provincie l’anno 1802".

71 B.C.Ud, Fondo Principale, ms. 965, vol. III "Statistiche del Friuli. Terzo Quartiere alla bassa di là del Tagliamento 1804".

72 Ibidem, ms. 960.

73 A.S.Ve, Biblioteca legislativa, b.354, "Prospetto di rettifica del comparto territoriale 4 aprile 1816". In precedenza, il "Compartimento territoriale delle provincie venete 4 aprile 1816. Reso esecutivo il primo gennaio 1817" assegnava al comune di Teglio anche le località suddette, Ibidem, b. 351.

74 Ibidem, b.351, "Compartimento territoriale delle provincie venete approvato definitivamente da Sua Maestà Reale Apostolica con sovrana risoluzione 8 febbraio 1818 e pubblicato dall’imperial regio governo generale con notificazione 8 luglio 1818 n°17497/1883 ristampato d’ordine dello stesso nell’anno 1821 aggiuntavi la popolazione e la classificazione delle comuni".

75 Ibidem, b. 352, "Compartimento territoriale delle provincie dipendenti dall’I.R. Governo veneto 1845".

76 Ibidem, "Compartimento territoriale delle provincie venete attivato col I° luglio 1853".

77 Ibidem, b. 353, "Compartimento territoriale delle provincie soggette alla Luogotenenza Lombardo Veneta. 1862."

 

 


PESI E MISURE

Pesi: 1 libbra grossa = chilogrammi 0,4769

1 libbra grossa = 12 oncie

1 oncia = chilogrammi 0,0397

1 libbra sottile = chilogrammi 0,3012

Misure di superficie: 1 campo piccolo = metri quadrati 3505,8348

1 campo piccolo = 4 quarte (di 210 tavole l’una) = 840 tavole

1 tavola = metri quadrati 4,173

1 campo grande = metri quadrati 5217,016

1 campo grande = tavole 1250

Misura volumetrica per la legna: 1 passo = metri cubi 2,47

Misure lineari: 1 miglio italiano = metri 1702,452

1 miglio italiano = 1000 passi

1 passo da fabbrica = metri 1,7024

1 piede da fabbrica = metri 0,3404

Misure di capacità per aridi (Udine): 1 staio (di Udine) = litri 73,159

1 staio = 4 quarte

1 quarta = 16 quartaroli

Misure di capacità per liquidi: 1 orna (di Portogruaro) = litri 91,6042

1 orna = 96 boccali

Nota sulle monete

La lira veneta, moneta di conto, corrispondeva a circa 4,5 gr. di argento fino. Si divideva in 20 soldi, ciascuno di 12 bezzi. Una legge del 1687 fissava in 6 lire e 4 soldi la parità del ducato. Questo rapporto faceva testo nelle riscossioni e nei pagamenti per conto pubblico. In realtà, sulla piazza il ducato era venuto acquistando un valore maggiore in rapporto alla lira e sottomultipli. Per questo, nelle transazioni tra privati, esso era cambiato secondo le quotazioni libere. Negli atti consultati infatti si specificava con quale quotazione del ducato avveniva la transazione. Nei casi da noi analizzati comunque fu utilizzata sempre la quotazione ufficiale.

Ducato = 6,4 lire

1 lira = 20 soldi

1 soldo = 12 piccoli o bezzi