La biodiversità non è costante, ma varia sia nel tempo sia
nello spazio: è noto ad esempio che determinate aree della Terra, come ad
esempio le barriere coralline o le foreste
tropicali, sono tra le più ricche di biodiversità, mentre zone come la tundra
artica sono molto povere di biodiversità. Sicuramente questo
fenomeno è legato alle condizioni climatiche (molto favorevoli nei primi due
esempi ed estremamente rigide nel terzo caso), ma forse dipende anche
dall’origine della diversità e dai meccanismi del suo mantenimento.
Gli ecosistemi più ricchi di biodiversità sono quelli che
hanno raggiunto lo stadio di “climax”, che, per definizione, è lo stadio più complesso
dal punto di vista biologico (e quindi più ricco di specie) cui un dato habitat
può giungere.
Però bisogna tenere presente che, a volte, in un’area in cui
vi siano più sistemi a stadi diversi della successione ecologica, la
biodiversità può essere superiore a
quella di un’area analoga costituita da un unico sistema che ha raggiunto lo
stadio climax.
In
parole povere, un’area formata da un mosaico di sistemi, con stadi che non
hanno raggiunto la massima biodiversità per quelle condizioni ambientali, può
possedere nel complesso una biodiversità maggiore che non raggiungendo su tutta
la sua superficie la massima complessità biologica (applicazione
pratica del proverbio: “Molti pochi fanno un assai”).
E a volte per creare un tale mosaico di sistemi possono
bastare le attività umane, soprattutto nelle fasce temperate del globo, dove
queste si sono integrate nel corso dei millenni con gli ecosistemi presenti,
creando le condizioni idonee per mantenere elevato il livello di biodiversità.
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