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La grande stagione della medicina del mondo antico subì nella
tarda antichità due potenti attacchi, che le vennero portati su fronti
diversi dal Cristianesimo e dalle invasioni dei popoli del Nord. Se le culture
germaniche, da una parte, tendevano a limitare e marginalizzare la cultura
romana, e quindi a respingere il bagaglio teorico della medicina, dall'altra
il Cristianesimo oltre a guardare con sospetto, se non a condannare apertamente,
i frutti della cultura pagana (e quindi ancora l'impostazione teorica della
medicina), portava di per se stesso un messaggio nuovo e indiscutibilmente
forte: la vita è cosa effimera perché luomo è
solo un pellegrino sulla terra, sottoposto al dolore, alla malattia e alla
morte quale pena per il peccato originale. In una visione di questo genere
la medicina, di fatto, diventava una cosa superflua se non addirittura nociva
al doloroso ma necessario processo di purificazione e di espiazione. La cura
fisica, per il cristiano, doveva essere al massimo subordinata a quella
spirituale, per cui l'assistenza ai malati veniva considerata come un mero
atto di carità cristiana, insomma un mezzo per il credente/medico
di dimostrare il proprio amore verso il prossimo malato e quindi, in ultima
analisi, verso Dio. Bisogna stare attenti, ovviamente, a non prendere questi esempi, evidentemente frutto della cultura monastica, come modelli generali: la società medievale, anche se si sforzava (con alterni risultati) di essere una societas christiana, non era composta soltanto da religiosi: è indubbio che la medicina dell'antichità mantenne una sua tradizione e trasmissione, né poteva essere altrimenti. Senza la presenza di una tradizione medica, magari in parte sopita o ridotta ad una precettistica di tipo pratico, non si potrebbero infatti giustificare le testimonianze, alcune delle quali risalenti al VII secolo, di dotti medici che dispongono di ampie raccolte di testi, né spiegare la rapida ascesa della medicina come scienza a partire dalla seconda metà dell'XI secolo.
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