Pirandello e
la fede nelle "Novelle per un anno"
di Umberto Colombo
(...) A prima lettura, le Novelle possono apparire una raccolta di pagine sparse (anche se cronologicamente lo sono) che raccontano, attraverso cronache episodiche, interiorità fatte e disfatte (e tali, in genere, restano, quasi cristallizzate per sempre), in un arruffato intreccio di riflessioni (molte, anche dove erroneamente sembra ci sia soltanto un narrare divertito), connesse e sconnesse, tra pietà e ironia (buttata lì, magari, nella pittura di un atteggiamento esterno), tra inumanità e sofferenza portata, tra interrogativi senza riscontro e appelli a un indefinito mistero, tra congedi e ritorni. Dire combinazione dei contrari è troppo, se poi non è contraddizione. Dire caos soltanto è ugualmente ingiusto.
Diario, anche, di quella terra la Sicilia, avvolta da una atmosfera di immutabilità nel quale la finzione e linvenzione, per quella libertà che concedono, più gravemente accentuano le realtà apparentemente o no a diverbio(...).
Tutti i personaggi, eppure, appaiono veri (candidamente o crudamente): si incontrano e, forse di più, si scontrano per schiarirsi a vicenda, e ciascuno, mentre sembra proporre la strada maestra, indica un tratto di sentiero che si interseca con altri a formare la multiformità della geografia umana. Un labirinto? In quale via dovrebbero sfociare i sentieri?
Certo è da rilevare che le varie vite generalmente non diventano vita altrui. Detto in altro modo: la conversione, ovvero linversione di rotta, cè, positiva (come nella Fede) o negava (come nella Madonnina), ma insolita, e improvvisa.
Tuttavia mi pare che la peregrinazione di Pirandello di casa in casa, di strada in strada, sia pure un viaggio alla ricerca del bene imprigionato e quasi soffocato dal male: piccole odissee, stralciate dallo sterminato mondo, per le quali stanno, segretamente a porto e a rapporto, lontane itache, intraviste, implicitamente riconosciute: si chiamino terraferma o, come è stato biblicamente proposto, "terra promessa".
Se mi è concessa unapprossimazione, parlerei a paradosso, ben inteso di un cristianesimo anonimo perché acefalo: lontano da un credo; e, quindi, per lassenza di una relazione specifica con Dio (il là o lOltre), luomo (il qui) rimane inappagato, sconvolto o sconcertato da sentimenti in groviglio, sotto il giogo di miserie: a volte, vita grottesca mescolata al funesto. Perché la spiegazione del male sta oltre il male, come la spiegazione della storia sta oltre la storia.
Da qui il problematismo soggettivo, che diventa frattura psicologica, vicina ad una specie di anarchia spirituale.
Ma Pirandello, puntando sulla singolarità quotidiana delluomo, pretende ad una sistematica universalità? Dallintuizione del fatto vuole passare ad una teoria di vita? Con la molteplice esperienza dellio, per quanto vasta e ad arcipelago, intende rappresentare il naufragio sociale dellumanità? Siamo di fronte a tipi o ad individui? Lisola è luniverso e quel tempo è il tempo? Pirandello dissolve o narra un mondo in dissoluzione? Fin dove parla Pirandello e fin dove i personaggi? Pirandello si pone in continuo colloquio con i contrastanti sentimenti di ciascuno? Lontanissimo dal voler scrivere per divertire, protesta anche? Solo volontà di denuncia o desiderio daltro? Autobiografia di propri sentimenti scoperti in cronache vere o un caos di possibili inverati in invenzioni? Cè un Pirandello progressivo? Tra affermazioni e negazioni che cosa prevale?
Anchio mi sono lasciato prendere da una serie di problemi, ai quali, dico subito, non intendo dare perché incapace risposte asciutte, quasi colpi di scure, che, mentre paiono risolvere, tagliano lalbero alla radice o lo disseccano, anche perché non marrogo di intendere una persona qualsiasi, Pirandello compreso che qualsiasi non è.
La fede, imparata nella prima età, è un ritorno ad un paese goduto e ora perduto, con un viaggio di nostalgia: momentaneo recupero di valori?
In Sogno di Natale cè quel giorno da "rivivere, forsanche per un minuto" (viene facile, con altre dimensioni interiori, ricordare Leopardi e Ungaretti) nell"anima [...] errante pei luoghi veduti fin dalla fanciullezza", dei quali gli spira "ancor dentro il sentimento":
Già in Natale sul Reno:
Quel guardar fuori attraverso il tratto lucido nellappannatura mi ridestò dimprovviso un ricordo degli anni miei primi, quandio, credulo fanciullo, la notte della vigilia, non pago del grande presepe illuminato entro la stanza, spiavo così, se in quel cielo pieno di mistero apparisse veramente la nunzia cometa favoleggiata....
I due ricordi rimangono sospesi da quei puntini a pausa per una ripresa che nega, ora, una arcadica pastorelleria.
Il "rivivere" si impone non tanto come viaggio tra "le vie deserte duna grande città" di questo "mondo" che, "per uso", festeggia ancora il Natale (mentre il festeggiato è escluso dalla festa) oppure come sosta "in una chiesa magnifica" in cui Gesù sarebbe pur contento di nascere "per la prima volta" si avverta "veramente" quella "notte", bensì come ricerca di una casa quale? in cui albergare indefinitamente. È Gesù a parlare:
Alle obiezioni di Pirandello che dimostra di ben conoscere la teologia delloggi natalizio, ma che è ingombro, dentro, dellamore di tante cose: e "casa" e "cari" e "sogni", per cui non cè spazio per Colui che bussa cè la risposta di Gesù: "Otterresti da me cento volte quel che perderai": parafrasi di Mt. 19, 29:
Ma a Pirandello manca il coraggio di accettare questa rinascita in sé:
un rifiuto dettato dalla "fronte":
Pare la sintesi del Secretum: come Petrarca, Pirandello avverte forse non vede , ma non osa fare il passo delluscio che dà sullOltre e, con tristezza, non lascia che lOltre passi luscio di casa sua. Vorrebbe che lincarnazione di Cristo ripredichi vivo il regno divino quaggiù: ma il sogno è infranto dalla sua stessa dura realtà. Riconosce il suo io e chi è il Tutto sulle soglie, che, però, restano invalicate: ragione e fede rimangono due, sofferte.
La dolce malinconia dei ricordi si scioglie in fretta. Resta tuttavia sempre nella memoria di un tempo da tempo passato una di quelle sostanze che, comunque, hanno contribuito a costruire la propria esistenza, anche se relegata nel più buio angolo dellanima, come è nellAvemaria di Bobbio:
Ciò che conosciamo di noi è però solamente una parte, e forse piccolissima, di ciò che siamo a nostra insaputa. Bobbio anzi diceva che ciò che chiamiamo coscienza è paragonabile alla poca acqua che si vede nel collo dun pozzo senza fondo. E intendeva forse significare con questo che, oltre i limiti della memoria, vi sono percezioni e azioni che ci rimangono ignote, perché veramente non sono più nostre, ma di noi quali fummo in altro tempo, con pensieri e affetti già da un lungo oblio oscurati in noi, cancellati, spenti; ma che al richiamo improvviso duna sensazione, sia sapore, sia colore o suono, possono ancora dar prova di vita, mostrando ancor vivo in noi un altro essere insospettato.
Marco Saverio Bobbio, ben noto a Richieri non solo per la sua qualità di eccellente e scrupolosissimo notajo, ma anche e forse più per la gigantesca statura, che la tuba, tre menti e la pancia esorbitante rendevano spettacolosa; ormai senza fede e scettico, aveva tuttora dentro e non lo sapeva il fanciullo che ogni mattina andava a messa con la mamma e le due sorelline e ogni domenica si faceva la santa comunione nella chiesetta della Badiola al Carmine; e che forse tuttora, allinsaputa di lui, andando a letto con lui, per lui giungeva le manine e recitava le antiche preghiere, di cui Bobbio forse non ricordava più neanche le parole.
Sentimenti indefinibili che riportano al manzoniano "cuore umano", indecifrabile proprio ancor più perché "guazzabuglio". Solo che, mentre la filosofia non diventa preambolo alla maturazione dellingenuità fanciullesca della fede, questa si traveste di occasionale devozionalismo superstizioso a soccorso del mal di denti.
Il risorgere dellavemaria, alla vista del "lanternino acceso, pendulo innanzi alla grata" del "tabernacolo della SS. Vergine delle Grazie", a Bobbio fa "vergogna" per più motivi:
"vergogna" di credere ciò che aveva creduto, senza che la filosofia lo soccorra a negare quel credere al di fuori di ogni intelligente credo.
Ma poi, in aggiunta, gli fa rabbia e rabbia "feroce" quel lavemaria che, alla ripresa del mal di denti, gli esce "con invocazione non sua [...], con voce non sua, con fervore non suo". Di chi sono, allora? Erano state sue quelle parole. E ora, pur di non sentirle più, pur di non essere costretto a recitarle o istintivamente o ingenuamente, va a cacciarsi "furibondo" nello studio del dentista, pronto a farsi strappare tutti i denti. Come se possa, strappati i denti, cancellare ogni pretesto di recitare avemarie.
Ma non professava, Bobbio, che "niente [...] poteva meglio disporre allo studio della filosofia, che il mal di denti" e che Schopenhauer ne doveva avere "più duno" guasto?
Al di là del grottesco, una domanda: la novella è parabola di ciò che si vorrebbe cancellare, e non si può?
Canta lEpistola ( è vezzo incollare un nomignolo, suggerito da unoccasione) perde la fede. Ma se
e se quella rimossa non è per "violenza di appetiti terreni",
Canta lEpistola perde soltanto: si svuota persino della coscienza di sé: termina nella dimenticanza del proprio "essere":
Nuvole e vento.
Retrocede: cerca la natura, trova il "filo derba", in cui quasi si identifica con "blanda smemorata mestizia": la fralezza di tutte le cose gli suscitano "una tenerissima pietà" per quel loro nascere e durare "alcun poco, senza sapere perché, in attesa del deperimento e della morte" (par di sentirvi leco della "vanità della vanità, tutto è vanità" di Qoelet 1, 2 o dellerba germogliata al mattino e secca a sera del Salmo 89, 5-6; o anche di quel pensiero leopardiano sul giardino splendido e già con i segni del disfacimento).
Canta lEpistola, chiuso in sé e agli altri, si schiude nelle cose, sperando ai scoprirvi un luogo damore per rispondere alla "sere danima", che, invece, rimane inappagata (come in Di sera, un geranio).
Le domande sorgono dallabbandono di una realtà trascendente, allinsù. La risposta in un orizzontalismo, alla fine è tragica. Il senza "nome" Canta lEpistola, "stanco dellinutile vita" ridotta alla sacralizzazione di un filo derba, accetta lassurda "sfida" del tenente purché siano "gravissime" le condizioni del duello.
A che vivere se il cielo, vuoto, più nulla ha di metafisico e se la terra è uno "stupido" sciupìo che va verso la morte?
Anche in Va bene il dogma è dinciampo. Cosmo Antonio Corvara Amidei sbatte in un assioma del De gratia: "Si quis dixerit gratiam perseverantiae non esse gratis datam, anathema sit". Su questo punto simpunta come se il trattato sia tutto lì; e la fede se ne va:
Una chiave?
La chiave della perseveranza.
Assieme se ne va la ragione:
Quando alla fine può riaversi, ha perduto la fede [...].
Dal terrore della predestinazione teologica passa al fatalismo psicologico, professato "frequentissimamente", ad ogni disavventura, con la formuletta "E va bene", sia, per esempio, che gli scrivani del Ministero gli combinino apposta sciocchi scherzi, sia che gli precipiti in testa una pigna, sia che scaraventi Satanina dalla finestra. "E va bene" chiude il racconto quando gli si apre la via della prigione.
Scrive Pirandello:
Quanti esercizi, dalla nascita in poi, il destino saltimbanco non aveva fatto eseguire a Cosmo Antonio Corvara Amidei, suo pagliaccetto?
Il dolore meglio: il mistero di questa universalità è un buio fitto, senza fine e senza un fine. Ma di tanta distruttiva fatalità è persuaso alla fine, Pirandello? Se lo dovessi pensare, se dovessi pensare che Pirandello leghi ad una "pigna" il governo del mondo, giungerei ad una conclusione puerile (pur ammessa, anche qui, una microstoria da parabola), non certo degna di una intelligenza che, per quanto staccata dalla trascendenza, a questa è rivolta non ad accusa ma a modo di domanda.
È da notare, inoltre, e non come appendice (tuttaltro), il credito dato da
Pirandello alla fede degli umili, sovente in antitesi con le formule del clero
e sempre in antitesi con i lumi dei filosofi. Potremmo dire che le Novelle sono
brevi romanzi popolati da povera gente, persuasa, sì, che lallegrezza della terra
è poca, ma altrettanto convinta che un po di amorevolezza vale per continuare a
vivere (un arcobaleno sul diluvio): piccola accolta di maestri di vita a
rinfrescare i giorni torridi, comè nello Storno e lAngelo Centuno, quando
don Celesrino Calandra finalmente un prete "giovane e santo"
insorge a difendere nientemeno che una leggenda:
Tra la "logica" degli intellettuali professionisti del gelo e la "fede" degli umili Pirandello sceglie questa, e la guarda come nel Fu Mattia Pascal con "invidia angosciosa": crede il mistero: e nel mistero vive e perché lintelligenza gli vieta certezze e perché, mentre pare collocarlo nellillusione, gli riconosce il potere reale di far vivere. Anzi il mistero si rivela il possibile dellimpossibile (come nella Prova e nellAvemaria di Bobbio).
Torna in altro modo, significativo maggiormente perché non segno "pendulo" di una cappelletta come nellAvemaria di Bobbio ma immagine interiore , torna il "lanternino" nel Vecchio Dio:
Una "umile e dolorosa dolcezza" scrive Divo Barsotti permea la figura del signor Aurelio che trascorre la villeggiatura da chiesa a chiesa, tutte deserte, a far compagnia a Dio, magari leggendo
le invenzioni "belle" dovevano essere belle anche per Dio (larte con la religiosità e lamore viene a formare la trinità pirandelliana positiva).
Lì, anche da morti, con quel "buon odor dincenso; e messe e preghiere tutti i giorni", si può star bene:
Pensando
In sogno gli appare il "vecchio Dio" in fuga dalIa città per la campagna (si rilegga la città deserta del Sogno di Natale):
Come nello Storno e lAngelo Centuno.
Desolante, certamente, è lavviso del sagrestano (che, qui, più propriamente, è scaccino): "La chiesa si chiude".
Il Dio della Chiesa non è amato in chiesa. Se vuol trovare ospitalità (come nel Sogno di Natale), deve cercare altrove: nelle case e nel cuore degli umiliati, che gli costruiscono una dimora su misura della loro fede: "incomparabilmente più nobile e più prezioso di ogni altare" è "lo spirito delluomo in adorazione del mistero divino", afferma il filosofo del "mistero profano" Alluscita, in parziale sintonia con Gv. 4, 21-24, quando Cristo dice alla samaritana:
Pirandello è in serena ammirazione del sgnor Aurelio. E tanto è.
Il conflitto continuo e irrisolto è sempre tra la logica e la fede, che, nei personaggi pirandelliani, si presentano antinomicamente, cercandosi e allontanandosi appena si intravedono, in un andirivieni di ragioni e di sentimenti: o luna o laltra, quando, invece, sarebbe occorso sostituire alla o una e, lasciando a ciascuna il compito proprio e di vicendevole soccorso, come sinteticamente aveva già scritto Manzoni invocando la "riflessione sentita" e avrebbe invocato Ungaretti con Cristo "pensoso palpito".
Nella novella La fede cè ben più di un rispetto per la fede dei semplici: una fede, se si vuole, con tutte le caratteristiche esterne di incrostazioni dal gusto agro; ma fede, comunque. E don Angelino risoluto "dabbandonare il sacerdozio [...] perché con gli studii e la meditazione è sinceramente convinto" davere acquistata unaltra fede, "più viva e più libera", per cui ormai rifiuta "i dommi, i vincoli, le mortificazioni" dellantica (si torna a Canta lEpistola) di fronte alla "decrepita" e "lercia" zia Croce, lì in attesa con due galletti, tre lire dargento e una bisaccia di mandorle e noci (tutto raccolto con disperante fatica) per una messa promessa a san Calogero, crolla: ovvero scrolla da sé la seconda fede e riprende la prima:
E don Angelino, già parato, col calice in mano, si fermò un istante, incerto e oppresso dangoscia, su la soglia della sagrestia a guardare nella chiesetta deserta; se gli conveniva, così senza fede, salire allaltare. Ma vide davanti a quellaltare prosternata con la fronte a terra la vecchia, e si sentì come da un respiro non suo sollevare tutto il petto, e fendere la schiena da un brivido nuovo. O perché se lera immaginata bella e radiosa come un sole, finora, la fede? Eccola lì, eccola lì, nella miseria di quel dolore inginocchiato, nella squallida angustia di quella paura prosternata, la fede!
E don Angelino salì come sospinto allaltare, esaltato di tanta carità, che le mani gli tremavano e tutta lanima gli tremava, come la prima volta che vi si era accostato.
E per quella fede pregò, a occhi chiusi, entrando nellanima di quella vecchia come in un oscuro e angusto tempio, dovessa ardeva; pregò il Dio di quel tempio, qual esso era, quale poteva essere: unico bene, comunque, conforto unico per quella Miseria
E finita la messa, si tenne lofferta e le tre lire, per non scemare con una piccola carità la carità grande di quella fede.
La ricchezza di quella povera fede riconduce don Angelino a celebrare ancora come sua la messa. Scrive il Barsotti:
Ma non si può dimenticare la riflessione del vecchio e malato parroco don Pietro a proposito dell"altra fede":
latmosfera paolina sull"una fides" e sulla boriosa vanità di risolvere, pensando, gli enigmi delluomo introduce al mistero del trascendente che sorregge quando tutto lumano si sfalda, allesigenza del divino per la soluzione delloggi: introduce alla fede vivente e rozza al di fuori di zia Croce.
Non è facile dire quale e quanta importanza dare a La fede. È vero che, talvolta, gli umili credenti appaiono ingenui che non sanno. È anche vero che certa religiosità folcloristica fa parte del paesaggio. Ma forse è altrettanto vero che, nonostante queste condizioni, o proprio per queste condizioni, la fede ha risonanza in Pirandello.
Che cosa manca a Pirandello perché quella fede tanto presente, tanto discussa, tanto tormentosa diventi suo possesso, tolto quanto di devozionalismo o di arcaico tradizionalismo lavvolge, e pur la svela?
Si chiamano a giudizio gli studi, il positivismo, il risorgimento, lidealismo, e altro ancora. Possibili le concorrenze. Ma cè pure unaltra concorrenza: la Chiesa istituzionale. E basterebbe il lungo elenco di preti e di vescovi per trovare, nella pirandelliana storia (in piccolo e in grande) del tempo, una religione priva, in molta parte, di religiosità: si chiamino, i rappresentanti, Landolina, Partanna, Lagàipa, Montoro, Buti, Righi, Zonchi, Lelli, Agrò, Fiorica...
Da che cosa è determinata lavversione al clero? Se la risposta si dovesse trovare in una tradizione storica (che annovera, per esempio, Foscolo, Sismondi, Leopardi, il primo Manzoni, un certo Pascoli, Carducci e, molto dopo e diversamente, Silone), si giungerebbe ad unaccusa di assunzione acritica di portati più o meno anticlericali (a cui non sfuggì neppure Dante nella critica ottocentesca). Se dovesse trovarsi, quella risposta, in una voluta parzialità (poiché mi pare impensabile unesclusiva e massiccia negatività del clero siciliano: tuttavia non ho conoscenze tali da poter ammettere un parere ragionato), si dovrebbe, di conseguenza, accusare Pirandello di insincerità:
E se quello di Pirandello è stato un severo giudizio storico, Pirandello lo disse con gioia (quasi augurio di una scomparsa della Chiesa "ab imis") o con tristezza per chi la tradiva?
Un discorso a metà, e forse persino falsato, verrebbe se leggessimo Un goj prima di Berecche e la guerra:
Berecche rientra nello studio, si riappressa alla finestra e guarda al villino dirimpetto, con lanimo ora oscurato e compreso di cordoglio per questo Papa, santo vecchio paesano, cui solo la schiettezza grande della fede fa degno del gran seggio. Ah, chi più di lui, Pio veramente, volle richiamar Cristo nel cuore dei fedeli. E muore in mezzo a tanta guerra, ucciso dal dolore di tanta guerra. Certo, sul suo letto di morte, egli non dirà, come forse dice piano qualcuno accanto a lui, che questa guerra è per la Francia la retribuzione giusta di Dio per i suoi torti verso la Chiesa. Più nefandi peccatori per lui sono certo quegli altri che hanno osato chiamar Dio a proteggere la marcia e la carneficina dei loro eserciti e il segno della divina protezione hanno osato vedere ed esaltare nelle atrocità delle loro vittorie. Egli non ha detto più nulla; con orrore ha ritratto la mano, che altri voleva levata a benedire questa scelleraggine mostruosa, e sè chiuso nel dolore che luccide.
Lume maledetto della ragione! Ragione maledetta, che non sa accecarsi nella fede! Lui Berecche vede, o crede di veder con questo lume tante cose che glimpediscono ora di pregare con la sua piccola figliuola Margherita, cieca nella cieca fede, per il Papa buono che muore. Ma è contento, sì, chella preghi di là, la sua Margheritina; è contento che una parte di lui, così angosciosamente amata, priva di quel suo lume di ragione, cieca preghi di là per il buon Papa che muore. Gli sembra veramente che con le pallide gracili mani di quella sua piccola cieca, giunte nella preghiera, egli, della sua anima che per sé non sa pregare, dia adesso qualcosa quel che può in suffragio del buon Papa che muore.
Pirandello sa riconoscere chi vuole il bene: e religiosamente lama.
In questa prospettiva occorre leggere lo "scherzo" dellebreo Daniele Levi-Catellani al "cristianissimo e imbecille" suocero Pietro Ambrini, che vuole costringere
È logica proclamarsi "tutti fratelli" e "poi scannarsi"?
Il suocero deve vedere lassurdo.
Daniele Catellani, quando tutti sono andati a messa di mezzanotte, toglie dal presepio le tradizionali statuine e vi pone
Ride sempre Catellani: ride, dietro il presepio, allarrivo della comitiva dalla messa:
Pare che tutto si spenga per la constatazione di uno scontro che rinnova il tristo annuncio del messaggero manzoniano: "I fratelli hanno ucciso i fratelli: / Questa orrenda novella vi do", invece dellannuncio evangelico: "Vi annuncio una grande gioia... Pace in terra agli uomini di buona volontà". E ancora potremmo porre a confronto i "cori omicidi" che intonano il Te Deum per la vittoria del Carmagnola e il costretto canto del Te Deum di cui narra Pirandello nei Colloqui coi personaggi.
Nella incompletissima rassegna di novelle non può mancare la bellissima pagina della prima messa di Giovanni, in Alla zappa, vissuta intensamente dal padre:
Dallora in poi, egli, di tanto più vecchio, e provato e sperimentato nel mondo, sera sentito quasi bambino di fronte al figlio sacerdote. Tutta la sua vita, trascorsa tra tante miserie e tante fatiche senza una macchia, che valore poteva avere davanti al candore di quel figlio cosi vicino a Dio?
Quando il figlio sacerdote logora la sua vocazione in una infame colpa, il vecchio padre insorge anche contro il vescovo che, dopo un tempo di segregazione, vorrebbe fargli "riavere la messa", contro la Chiesa ufficiale pronta a "chiudere gli occhi" sul caso: "Lui, toccare ancora con quelle mani sporcate lostia consacrata?". Al figlio fa togliere quanto di clericale indossa, gli indica la scala:
Rimasto solo, prese la tonaca, la spazzolò, la ripiegò diligentemente, la baciò; raccattò da terra la fibbia dargento e la baciò; la calotta e la baciò; poi si recò ad aprire una vecchia e lunga cassapanca dabete che pareva una bara, doverano religiosamente conservati gli abiti dei tre figliuoli morti, e, facendovi su con la mano il segno della croce, vi conservò anche questi altri, del figlio sacerdote morto.
Richiuse la cassapanca, vi si pose a sedere, nascose il volto tra le mani, e scoppiò in un pianto dirotto.
Anche questo è Pirandello.
La rassegna, appunto, potrebbe dovrebbe continuare:
Natale sul Reno: ricordiamo la protesta dellabetino ai cui rami sono appese le noci:
e la riflessione di Pirandello:
La messa di questanno: la "cupa logica del prete", per un Natale da "stalla" gela il villaggio che ama un Gesù in festa.
La trappola: "fissati per la morte", siamo "morti affaccendati" a "fabbricarci la vita": sigillo di tutta la storia. Ma qui sarebbe da aggiungere la dolcezza della Visita a compensare la rigidità della morte.
La Madonnina: autobiografia di una disillusione e di un abbandono?
Sopra e sotto: "...luomo è solo grande quando al cospetto dellinfinito si sente e si vede piccolissimo; e non è mai così piccolo, come quando si sente grande". Ma chi è, allora, questuomo "piccolo, piccolo"? Chi è l"infinito"?
Nel gorgo: si è posti a contatto con una realtà ignota alla ragione.
I fortunati: don Filomarino è ingannato da chi, furbo clero, approfitta delle sue sincere intenzioni caritative che vorrebbero compensare lusura praticata dal padre.
Dono della Vergine Maria: mentre appare un Dio che calpesta chi si affida alla sua volontà, sta il dolce colloquio di Nuccio con la Madonna:
Il tabernacolo: Spatolino, accogliendo la sfida di Ciancarella, "nemico di Dio" secondo la diffusa fama, finisce per ripetere in sé volontariamente e pubblicamente limmagine dell"Ecce Homo": due sfide parallele, che si aprono con il notturno noioso e tormentoso "Fififì... fififì... fififì" di Spatolino e si chiudono con lo stesso notturno fischiettare.
Quandero matto: "... non cè via di mezzo: o si è santi o si è matti".
La prova: larcano della chiusa:
Padron Dio: i poveri pagano con il dolore, i ricchi con briciole di elemosina. Cè, sì, Dio dalla parte dei poveri, ma non dà loro alcun diritto.
Pirandello coglie i più disparati aspetti della persona in situazioni contraddittorie, da cui deriva quella irrazionalità che complica maggiormente il già complicato mistero dellesistenza, osservato da un unico punto di vista non sufficiente a chiarirlo: la fenomenologia. Questo il punto di partenza.
Ma Pirandello cammina. Testimone, né freddo né rassegnato, vive pensoso il dramma della realtà malata, cominciando dalla sua, segnata da una molteplicità di croci. Interroga e si interroga per tentare di superare lorfanezza dellio, inappartenente a sé e a Dio. Per questo si avvicina alluomo non con curiosità, ma con amore, per salvarlo, anche se, a volte, la penna gli sintinge di crudele amarezza: coglie la legge della carità e non è poco , lunica che può far continuare a vivere nonostante le bufere.
Gli aspri sentimenti dichiarati esplicitamente sorgono da delusioni: non può, Pirandello, accettare che una comunità così scaduta pigra rancorosa si presenti incarnazione del cristianesimo.
Come superare la tristezza della storia, la pena di vivere così?
Poiché non si deve morire nel vuoto delle cose, lOltre appare e sullOltre Pirandello si affaccia.
Ma ogni scelta è rischio.
Pirandello, morso dal tempo, rimane tra la desolazione delluomo e la gravità della fede, tra lappassionata nostalgia di tanti valori umani mortificati e laspirazione al divino, purtroppo visto storicamente logorato.
Potrebbe, se avesse furia, strappare il grano estirpando il loglio. Invece sul fuoco butta lo scadente, non lessenza. perché avverte lurgenza di un appello a Dio, che cerca dentro mentre pare sdegnarlo fuori.
Secondo Papini, Pirandello scamuffa cieli dipinti e soli elettrici, ma non scoperchia il tetto per ritrovare il cielo autentico e il sole divino.
Direi: toglie un po di tegole. Quante, non so. Ma mi pare di poter dire che Pirandello, più che mosso da una vaga e vacillante ispirazione religiosa, è volto alla scoperta della religione. Anche lui viaggiatore con il "lanternino" che si spegne prima che alla nostra curiosità indiscreta riveli la copiatura del credo.
Questo, che è uno tra i migliori articoli che io abbia letto su Pirandello, è stato tratto dalla rivista OTTO/NOVECENTO, anno XV, n. 6, Novembre-dicembre 1991