Todo
modo
(1976)
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Soggetto: dal romanzo omonimo di Leonardo
Sciascia;
sceneggiatura: E. Petri (collab. scenegg.: Berto Pelosso); direttore fotografia
(Eastmancolor): Luigi Kuveiller; musica: Ennio Morricone; montaggio:
Ruggero Mastroianni; scenografia: Dante Ferretti; costumi: Franco
Carretti; direttore produzione: Stefano Pegoraro; assistente regia:
Umberto Angelucci. |
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DichiarazioniQuando
girammo "Todo Modo" Volontè divenne evanescente,
camminava come se fosse sulle nuvole, parlava a bassa voce, non
ti guardava negli occhi, tutto preso com'era dal personaggio di
Moro. Il suo fu uno sforzo di concentrazione eccezionalmente intenso.
I critici ne parlarono come di un Noschese, e anche la gente dell'ambiente,
sempre tanto benevola. Per quel personaggio, Volontè e io
ci servimmo molto della moviola. Avevamo radunato molti pezzi di
repertorio su Moro. Io, per scrivere il copione, avevo studiato
alcuni suoi dilaganti discorsi. Posso assicurare che abbiamo censurato
moltissimi dei comportamenti di Moro, che sarebbero risultati troppo
irriverenti nella loro comicità, e invece erano proprio suoi.
Moro si abbandonava spesso a rituali assai elaborati, nell'incontrare
altri uomini politici, o delegazioni straniere, o altri. Ne venivano
fuori dei veri balletti. lo credetti fosse meglio puntare su una
maschera che simboleggiasse tutti i democristiani, pur partendo
dai buffi, esitanti, cinesi rituali di Aldo Moro. I primi due giorni
di lavorazione di "Todo modo" furono cestinati da me,
d'accordo col produttore e con lo stesso Volontè, perché
la somiglianza di Gian Maria Volontè con Aldo Moro era nauseante,
imbarazzante, prendeva alla bocca dello stomaco. In quell'immagine
risultava tutta l'insidiosità, l'astuzia dell'uomo politico.
Dissero la battuta di Alighiero Noschese, gli amici. A nessuno venne
in mente di constatare che in fondo, nel film, ci voleva un certo
coraggio a prendere un uomo politico, analizzare il suo comportamento
face-to-face, e trasformarlo nella maschera dello sfascio, della
catastrofe. E nemmeno si volle riflettere sulla non casualità
della scelta di Moro, nella quale era implicito un giudizio politico
sulla sua grande abilità di incantare le sinistre, per poi
incastrarle, e snaturarle, e asservirle. (Elio Petri) |