Il regista
più irriverente, pantagruelico, paradossale del nostro cinema.
Il cinema di Ferreri è stato un cinema nomade, desideroso
di luoghi, di corpi, di verità a volte traumatiche, di certezze
costantemente negate. La sua opera va oltre il cinema stesso,
contiene tutta la saggezza e la follia di un uomo capace di
guardare all'esistenza con lucidità e passione. Il suo sguardo
sulla contemporaneità è stato quello del moralista consapevole
dell'impossibilità di un approdo che non fosse negativo. Il
tempo storico non ha aperture consolatorie: nel cinema di
Ferreri, ogni possibile utopia viene rovesciata. Il mondo
"va distruggendosi", dichiarava il regista dopo Dillinger
è morto. Il futuro gli si prospettava come un'utopia vuota.
Ferreri e la vita: un'attrazione a volte insana, un amore
deluso, distruttivo, ma sempre coscientemente desiderato.
Per sopravvivere a questo rapporto lacerato, Ferreri si è
trasformato in uno straordinario filosofo capace di analizzare
i comportamenti umani con occhio da entomologo, pronto a registrare
l'assurdo di sentimenti, istinti e situazioni per poi restituirli
alla realtà. I suoi film sono corrosi da un humour nero cinico
e spietato, da una freddezza che blocca l'immagine in una
ricerca quasi "fenomenologica" della visione. A
torto i film di Ferreri sono stati accusati di sciatteria
formale; in realtà, egli ha ridefinito l'inquadratura "aprendola"
sui lati, abolendo ogni punto di vista privilegiato ed ogni
chiusura del campo visivo. In più di trenta film, da El
pisito a Nitrato d'argento ha disegnato il suo
universo destabilizzante, ambiguo, suscettibile di inesauribili
interpretazioni e comunque percorso da immagini ricorrenti
e riconoscibili: quei personaggi maschili raccontati con "dolorosa
autoironia" (L'ape regina, Ciao maschio)
i rituali cannibalici (Il seme dell'uomo, La carne),
il corpo, centro fisiologico ed emozionale (La grande abbuffata,
La donna scimmia), l'erotismo: secondo il regista,
‹‹la donna è un enigma e in quanto tale ha molta più forza
dell'uomo, l'uomo invece è più definito››. Ferreri ha
comunque ribadito, in tutto l'arco della sua carriera, una
vitalità che paradossalmente lo ha reso uno dei più significativi
autori del "nuovo cinema" italiano: il suo desiderio di proiettarsi
oltre il confine tra fiction e documentario, il suo atteggiamento
globale nei confronti del cinema, la sua attitudine ad usare
la sceneggiatura come qualcosa di momentaneo, il suo "nomadismo"
ispirativo ne hanno fatto l'autore simbolo di una "modernità"sempre
mutevole. Benchè non più giovane, è stato capace di rinnovarsi
ed insegnare alle nuove generazioni come si fa il cinema del
futuro. Il cinema di Ferreri è apparentemente semplice, ma
in realtà implica una costante messa in gioco dello spettatore.
Al pari di autori come Rivette, Godard, Rohmer, Ferreri è
stato capace di cogliere gli umori del tempo e trasferirli
nelle sue opere. E' stato un cineasta integrale, ha fatto
del suo cinema una questione non solo di estetica ma anche
di etica. Il suo cinema è sempre stato in continua evoluzione,
le sue inquadrature decentrate sono come "buchi neri" che
assorbono materiale e implodono in una corporeità vistosa.
Da smitizzare, comunque, l'idea della misoginia come componente
centrale della sua poetica: questa marcata diffidenza per
l'universo femminile non è altro che l'espressione della solitudine
e dell'inferiorità dell'uomo, che avverte il proprio limite
e vive sino in fondo il proprio rammarico. Ferreri è stato
un regista costantemente "contro" non per calcolo ma per istinto;
la sua vena dissacratoria scaturiva dalla sua personalità
reattiva, dalla sua intelligenza ed umori che lo hanno indotto
a reagire nei confronti del mondo che lo circondava in modo
pessimistico. Negli ultimi tempi, Ferreri mostrava grande
malinconia per il cinema in crisi e destinato, nell'universo
dei media, ad un ruolo via via meno egemonico. Le sue ultime
stoccate impietose sono state per quei giovani registi privi
di fantasia e di coraggio, ‹‹pigramente in fila davanti alla
porta di Cecchi Gori››. Non a caso, con Nitrato d'argento
ci ha lasciato un testamento che celebra un vero e proprio
"funerale del Cinema". Marcello Mastroianni, in "Mi
ricordo, si io mi ricordo", così parlava del suo amico
regista: ‹‹Per me Marco ha una grande qualità: parla poco.
Il rapporto con lui è fatto di lunghissimi silenzi, assolutamente
riposanti. Ma ci si intende, in questi silenzi. Mi piace la
sua visione del mondo, delle cose, delle persone - sempre
proiettata molto più avanti di quella che in genere è la distanza
dal proprio naso. E' originale. Mi piace molto. Mi piace anche
come amico; è affettuoso››.
(Marcella Leonardi)
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