ALBERTO LATTUADA
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Nato a Milano il 13 novembre 1914, Alberto Lattuada, laureato in architettura, arrivò al cinema indirettamente, attraverso la letteratura e il giornalismo, esercitati per alcuni anni sulle riviste studentesche "Camminare..." e "Corrente", fondate a Milano da alcuni coetanei del regista, i quali intendevano proporre un discorso culturale di velata opposizione al regime. Un momento centrale per la sua formazione è la fondazione della Cineteca Italiana, assieme a Mario Ferrari e Gianni Comencini. Infatti, la raccolta, la cura, lo studio dei vecchi film lasceranno un segno evidente in molte sue regie. Dalla sua posizione di neutralismo "impegnato" nacquero le prime prove cinematografiche del giovane Lattuada, dapprima come aiuto-regista al fianco di Soldati ("Piccolo mondo antico", 1940) e di Poggioli ("Sissignora", 1941), poi come esordiente nella regia con Giacomo l’idealista (1942) e La freccia nel fianco (1944), entrambi di matrice letteraria, rispettivamente ispirati a Emilio De Marchi e Luciano Zuccoli, due scrittori che rispondevano in modo adeguato alle esigenze calligrafiche da Lattuada condivise in quegli anni con Castellani, Chiarini, Perilli, Soldati e Poggioli. Il neoralismo dell'immediato dopoguerra trovò Lattuada immerso in una sua problematica densa di spunti originali e dominata da un senso tragico della ribellione che traspariva soprattutto dai soggetti non realizzati di quel periodo: "Il ferroviere" e "Angeli neri", due progetti rifiutati dai produttori che riguardavano temi e situazioni non lontani da quelli di opere-chiave come "Paisà" o "Ladri di biciclette", ma espressi attraverso il carattere moralistico e letterario della poetica neorealista di Lattuada, ossia una visione della realtà mediata dal sentimento e modellata su un’elaborazione narrativa di tipo classico che spesso perdeva di vista l’obiettività diretta del documento per privilegiare la dimostrazione finalistica di una tesi. In tale clima di parziale libertà produttiva Lattuada riuscì a realizzare un gruppo di film prodotti dalla Lux che testimoniano di un alto impegno civile e di una straordinaria padronanza del mezzo filmico e che lo consolidarono tra i migliori registi della nuova generazione formatasi negli anni a cavallo della guerra: Il bandito (1946), film d'azione a metà strada tra il gangster-film e l'espressionismo tedesco, Il delitto di Giovanni Episcopo (1947), tratto da D'Annunzio, Senza pietà (1948), storie tragiche nella pineta di Tombolo con una visione desolata della vita e un ritmo tutto americano, Il mulino del Po (1949), sulle prime lotte sociali nel Ferrarese alla fine dell'ottocento, tentativo di costruire un film corale, epico, in cui l'elemento ideologico sia assorbito dall'azione. In seguito Lattuada attraversò un periodo di crisi che coincideva con la generale flessione subita dal cinema italiano negli anni '50, tra difficoltà organizzative, finanziarie e censorie. Difensore intransigente della libertà di espressione, Lattuada finì tuttavia per accettare banali soggetti non suoi (Anna) ma anche per adottare formule produttive nuove (Luci del varietà in co-regia con Federico Fellini, fu prodotto "cooperativamente), sempre combattuto tra necessità espressive personali e adeguamento alle leggi di mercato che si facevano sempre più spietate per sostenere la crescente concorrenza di Hollywood. Lattuada alternò quindi per anni regie volute ad altre subite con scarsa convinzione per evitare l’inattività e per potersi guadagnare un minimo d’indipendenza. Significativa a tale proposito l’altalena qualitativa con cui si susseguono Anna (1951) e Il cappotto (1952), La lupa (1953 ) e La spiaggia (1954), Scuola elementare (1955) e Guendalina (1957). Una delle particolarità del cinema di Lattuada è sempre stato il suo lavoro sugli attori, di cui resta significativo esempio Il cappotto, con un'inedita interpretazione di Renato Rascel e l'interesse per il mondo dell'adolescenza femminile con Guendalina e I dolci inganni (1960) nei quali fece debuttare le giovanissime Jacqueline Sassard e Catherine Spaak. Le opere degli Anni '60 furono adattamenti letterari e film di vari generi ( giallo, commedia, film d'azione): Lettere di una novizia (1960), L'imprevisto (1961), Mafioso (1962), La steppa (1962), La mandragola (1965), Matchless (1967), Don Giovanni in Sicilia (1967), Fraulein Doktor (1969), L'amica (1969), in cui Lattuada rivelava un eclettismo professionale nell'adattarsi a temi differenti, ma si distingueva anche per alcuni suoi tratti personali: l'interesse per l'erotismo, la messa in evidenza di elementi di ambiguità, il ritmo serrato e veloce della narrazione. lnseritosi nell’ambito della corrente produzione commerciale di consumo, Lattuada non vi ha mai tuttavia vegetato con prodotti di puro intrattenimento, giungendo negli anni '70 a ritrovare una rinnovata rabbia di denuncia con Venga a prendere il caffè da noi (1970), tratto da Piero Chiara, Bianco, rosso e... (1972), Sono stato io (1973), Le farò da padre (1974), Oh, Serafina (1976), opere in cui rilegge la commedia all'italiana secondo linee leggere ed umoristiche, ma amare nella polemica sociale. Dopo la riduzione dal romanzo di Bulgakov Cuore di cane (1976), Lattuada tornò poi ad un cinema popolaresco, sulla scia del fotoromanzo e del melodramma, aggiornando temi ed ambienti con Così come sei (1978), che lanciò Nastassja Kinski, e La cicala (1980), ottimamente interpretato da Virna Lisi. Per la televisione italiana girò poi il kolossal Cristoforo Colombo (1984). Lattuada ha toccato tutti i generi, ed in ognuno ha portato un contributo personale, ma dove ha dato il meglio della sua sensibilità è certo nelle storie delle ragazze in fiore, per le quali ha trovato spesso accenti persuasivi, insinuanti e degni di ricordo, come confermato dall'ultimo suo film al cinema, Una spina nel cuore (1986) a cui seguirono Due fratelli e Mano rubata (1987-88), due film TV. |
Filmografia1942 Giacomo
l’idealista |