Il tema degli interstizi urbani presenti in ambiti fortemente consolidati è una situazione che si ripropone con una certa frequenza all’interno delle nostre città. La volontà del progettista di rovesciare la condizione di interruzione in intervallo attivo mi sembra una scelta motivata. La funzionalità dell’oggetto è pensata in continua mutazione in base alle esigenze espresse temporalmente dalla società che ne usufruisce.
Ma proprio perché la volontà è quella di creare un intervallo, e non di riempire un vuoto con un pieno, mi sembra giusto ripensare questi spazi attuando regole diverse dagli edifici adiacenti. Ovvero attraverso un’oculata analisi topologica, strutturare un vero e proprio progetto del vuoto, dove non è detto che siano contemplati i limiti spaziali tradizionali: ovviamente mi riferisco a pareti e solai in continuità tridimensionale a formare una sorta di scatola. Lo spunto concettuale al quale mi riferisco è rendere questi luoghi ambiti di mediazione tra il costruito e lo spazio pubblico.
Da un’attenta analisi di ogni vuoto, poiché essi non saranno mai uguali per dimensioni, caratteristiche e relazioni con il contesto, partorire vari diagrammi che diverranno progetti unici, ma affini tra loro, di identificazione e denuncia dei luoghi urbani dimenticati o sottovalutati. Lo sforzo da attuare, a mio parere, è dunque quello di uscire da un processo di serializzazione, quindi industriale, che porterebbe il vuoto ad alienarsi dalla dimensione metropolitana, ed operare un processo di diversificazione e di integrazione con il contesto di ogni singola situazione.
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