Giorgio Vuoso
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IL PROBLEMA DELLA DATAZIONE

 

 

      La questione della datazione dell’Edipo Re è molto importante e pregiudiziale alla corretta lettura della tragedia.  D'altro canto essa è abbastanza complessa per cui se ne tenterà qui solo un riassunto sommario, dal quale tuttavia si possano discernere le varie tappe del suo svolgimento.

   Generalmente si ritiene di poter considerare la nostra tragedia scritta in un anno tra il 430 e il 420, indotti dalla descrizione della peste che sarebbe il ricordo di una sventura vissuta, il ricordo cioè della terribile pestilenza scoppiata in Atene nel 430 (1). Il Polhenz, sostenitore tra gli altri di questa tesi, afferma: "ci sembra sia fondato supporre che nella descrizione della pestilenza, per la quale il poeta non aveva alcun appiglio nel mito, sia vivo l'eco della terribile esperienza degli anni 430-28" (2).  Lo stesso critico, a conferma di quanto testé riportato, così continua nella nota del secondo volume.  "non è tuttavia fortuito che le ricerche moderne, partendo dalle premesse più disparate, si siano rivolte al periodo intorno alla metà del decennio 430-20" (3). Il Polhenz cioè, oltre a vedere confermata la sua opinione, è indotto a precisarla più specificamente, stabilendo il 425 come anno di composizione dell’Edipo Re. Ma quella di Sofocle non è la descrizione di una peste reale; questo lo riconosce lo stesso Polhenz quando dice che il poeta "s'è guardato dal descrivere il morbo in toni realistici, preferendo rivestirlo dei colori convenzionali del mito", che il particolare "della infecondità delle piante, del bestiame e degli uomini è convenzionale" (derivante da Erodoto, VI - 139) e, che se qualche verso ricorda Tucidide non è naturalmente da darvi peso. Il Polhenz stesso quindi offre dei motivi che si possono usare per porre in dubbio quanto da lui sostenuto.  Ma, anche a voler ammettere che Sofocle si sia ricordato della peste di Atene, è possibile che l'abbia potuto fare ugualmente un anno come venti anni dopo.

   Neanche si può accettare quanto sostenuto dal Marx (4) e dal Sudhaus (5) che hanno indotto il Polhenz (che per la verità lo giudica incerto) a convincersi della bontà della sua tesi.

   Il Marx ha sostenuto che Aristofane in un verso dei suoi Acarnesi (v. 271) faccia la parodia di un verso dell' Edipo (v. 629) –Diceapoli ripete l'esclamazione di Edipo "o polis, polis"-- e siccome gli Acarnesi sono del 425, ha ritenuto di poter stabilire che l’Edipo Re è stato scritto in ogni caso non dopo il 425.  Ma la ripetizione di parola in fine di trimetro, anche se è uno schema essenzialmente sofocleo, si trova già nell' Andromaca euripidea (vv.1211 e 1222) che è certamente anteriore al 426, per cui Aristofane può benissimo essersi ricordato di questa tragedia quando scriveva i suoi Acarnesi e l’Edipo di Sofocle essere stato scritto dopo la commedia di Aristofane.

   Il Sudhaus, dal canto suo, ha voluto vedere nella scena dell’accecamento di Polimestore nell’Ecuba euripidea, un ricordo dell'accecamento di Edipo.  Di qui l'affermazione che l’Edipo Re precederebbe l’Ecuba e sarebbe da ascriversi all'anno 425, siccome la maggior parte dei critici attribuisce a quest'ultimo dramma il 424 come anno di composizione.  Ma, come ha fatto rilevare il Perrotta (6) è più probabile che la scena dell’Edipo sia un ricordo di quella dell’Ecuba anziché il contrario.  Il particolare di Edipo che si acceca con le fibbie di Giocasta è estraneo alla tradizione, la quale vuole che Edipo si sia accecato con un chiodo, e si spiega abbastanza bene se noi lo consideriamo come reminiscenza della scena dell’ Ecuba in cui la regina e le prigioniere troiane accecano Polimestore proprio con le fibbie.

   Se, dunque, il 425 non può essere accettato come anno di composizione dell’Edipo Re, da respingere sono anche i tentativi del Bruhn (7) di collocare la nostra tragedia tra le primissime di Sofocle e di considerarla la prima di quelle in nostro possesso, cioè anteriore anche all' Antigone e all' Aiace.  Ma l'ipotesi del critico che il Creonte dell'Antigone sia modellato su Edipo è da considerarsi senza fondamento.  "Edipo è completamente diverso dal tiranno Creonte dell’Antigone , anzi "non si capisce come il Bruhn abbia potuto disconoscere la caratterizzazione del tutto diversa di Edipo e del Creonte dell’Antigone pervenendo di conseguenza a conclusioni false sul rapporto cronologico dei due drammi”, così si esprime il Pohlenz (8).

   D'altra parte come potrebbe essere anteriore l’Edipo all’ Antigone se in questo dramma noi non troviamo mai alcuna allusione alla colpa di Laio e alla maledizione che pesa sulla stirpe mentre nell’Antigone, nel secondo stasimo, c’è ancora traccia della credenza eschilea dei figli condannati ad espiare le colpe dei padri, che non comparirà più in nessun'altra tragedia di Sofocle?

   In realtà si può solo dire, come ha sostenuto il Perrotta (9), che, con certezza l’Edipo Re  è anteriore alle Fenicie di Euripide che sono del 410-9.  Nella tragedia di Sofocle Edipo si cava gli occhi con le fibbie d'oro di Giocasta che si è impiccata.  Nel prologo delle Fenicie, invece, è la stessa Giocasta che non è morta, a narrare dell'accecamento che Edipo si è procurato con le sue fibbie.  Ora si vede bene che il particolare è quasi inverosimile nella tragedia di Euripide.  Come è riuscito Edipo a procurarsi le fibbie di Giocasta?  Questo fatto fa pensare dunque ad una reminiscenza dell’Edipo sofocleo, il che vuol dire concludere per l'anteriorità dell'Edipo rispetto alle Fenicie.  Inoltre, sempre dal Perrotta, è stato osservato che ai fini di una più precisa determinazione della data dell' Edipo, sono molto importanti i tetrametri trocaici dell'ultima scena del dramma (vv. 1513-30).  In Eschilo, l'uso dei tetrametri, l'antico metro della tragedia, come ci testimonia Aristotele (10), compare come residuo di arcaismo in due scene dei Persiani e nella finale dell' Agamennone.  Da Euripide è reintrodotto, come effetto di una moda arcaizzante, nei suoi drammi più recenti; i tetrametri compaiono, infatti, la prima volta, nell'Eracle, poi nelle Troadi, che sono del 415, e si trovano, in numero sempre crescente, nei drammi successivi. Sofocle si lascia influenzare evidentemente da questa tendenza arcaizzante introdotta da Euripide (11) ed usa anch'egli nell' Edipo Re, nel Filottete, nell’Edipo a Colono, i tetrametri.  Quindi in considerazione di quanto s'è venuto dicendo è molto probabile che la composizione dell’Edipo Re cada tra il 415 e il 411 (dopo l’Eracle e le Troadi e prima delle Fenicie).  Il riscontro, anzi, con una scena dell’Elettra (12) - che il Perrotta attribuisce al 409, considerandola cioè posteriore all'Elettra di Euripide del 413 - e la datazione delle Fenicie euripidee, fanno sì che il critico propenda più per la seconda data che non per la prima, vale a dire che consideri l’Edipo scritto nel 411.

   Che la data stabilita dal Perrotta possa, con molte buone probabilità, essere ritenuta esatta, è confermato dalle analoghe conclusioni cui sono giunti il Diano (13) e il Longo (14).

   I due critici sono partiti dall'esame dello stasimo secondo.  Essi hanno sostenuto che se si cerca di spiegare il brano riportandolo esclusivamente alla vicenda del dramma, questo rimane ingiustificato, addirittura inintelligibile.  Solo alla fine dello stasimo il poeta, per collegare il coro all'azione del dramma, viene a parlare degli oracoli di Laio e quindi rivolge il suo biasimo a Giocasta che negli oracoli non crede.  Ma in tutto quello che precede non si trova nulla che si possa riferire alla situazione in cui in quel momento è arrivata la tragedia.  Vi si parla dì tracotanza,

hybris, di azioni empie, di ingiusti guadagni, della profanazione di cose sante, di sedi degli dei che sono state violate, di tiranni, e di una gara utile alla città che alla dismisura del tiranno si contrappone.

   Che queste accuse non siano più rivolte a Giocasta è evidente, com'è pure evidente che non sono più le accuse dei vecchi tebani del coro, ma le accuse di Sofocle, che uscito dalla finzione scenica, vuole colpire un personaggio reale, un personaggio del suo tempo, che tutti potevano riconoscere, anche se il nome non ne era pronunciato, dalla forza allusiva del linguaggio usato.  Sofocle cioè, nel secondo stasimo, farebbe una denuncia accorata ma indignata delle trame di coloro che brigavano per abbattere la democrazia, primo fra tutti Alcibiade, intelligente, astuto ma corrotto e il più spregiudicato seguace delle pericolose dottrine dei Sofisti e, nello stesso tempo, una difesa della religione tradizionale e una protesta contro l'empietà e la mancanza di fede.

   È la mancanza di fede che porta inevitabilmente alla hybris che genera il tiranno. Ma chi, tra i contemporanei del poeta, si comportava in modo tale da essere considerato empio se non Alcibiade?  Che nel 415 s'era reso colpevole della profanazione dei misteri eleusini, e, chiamato a scolparsi da questa accusa mentre era alla guida della spedizione ateniese in Sicilia, aveva preferito rifugiarsi presso lo Spartano, e mentre il poeta componeva l’ Edipo, nel 411 cioè, vale a dire prima che nel giugno di quello stesso anno la rivoluzione antidemocratica instaurasse il consiglio dei 400 oligarchi, aspirava alla tirannia di Atene servendosi dell'oro persiano e in combutta con Pisandro e gli altri cercava di dissolvere la "gara utile alla città", cioè di abbattere I' ordinamento democratico?

In conclusione, tirando le somme di quanto s'è venuto esponendo, sembra di poter concludere che, almeno fino a quando non saranno addotte prove molto più valide per dimostrare il contrario, il 411 debba essere considerato come l'anno più probabile in cui fu composto l’Edipo Re.

                     

 

NOTE:

1) Cfr.  Tucidide, Le Storie, libro II, capp. 47-65.

2) Cfr.  M. Pohlenz, Die Griechische Tragodie, Gottingen 1954.  Trad. italiana: La tragedia greca, Brescia 1961, vol.  I, pag. 256.

3) Ibidem, vol. 11, pag. 105.

4) Cfr.  F. Marx, Festschrift fur Gomperz, pag. 125 sgg.

5) Cfr.  S. Sudhaus, Konig Oedipus Schuld, Kiel 1912.

6) Cfr. G. Perrotta, Sofocle, Messina 1935, pag. 259.

7) Cfr.  E. Bruhn Edipo Re, Berlino 1897.

8) Cfr.  M. Pohlenz, op. cit., vol. I, pag. 248 e II pag. 103.

9) Cfr.  G. Perrotta, op. cit., pag. 261 e succ.

10) Cfr.  Aristotele, Poetica, 4, 1449a ( "anche il tetrametro trocaico fu sostituito dal trimetro giambico.  Dapprima, essendo codesta poesia satiresca, si era adoperato il tetrametro trocaico come quello che meglio si addiceva alla danza mimica dei satiri; ma poi, sviluppatosi il dialogo, la natura stessa della cosa aiutò a trovare il metro conveniente") in: Aristotele: Opere, vol. 10, Laterza, Bari 1973, trad.  M. Valgimigli.

11) Che sia stato Euripide ad influenzare Sofocle e non viceversa è stato dimostrato dal Perrotta in Sofocie cit. pagg. 264-65.

12) Si tratta del sacrificio di Giocasta ad Apollo e della scena analoga di Clitennestra che sacrifica anch'essa ad Apollo nell'Elettra. I critici sono d'accordo nel ritenere che la scena dell’Edipo Re  sia stata il modello dì quella dell' Elettra.

13) Cfr. C. Diano, "Edipo figlio della Tyche" in: Saggezza e Poetiche degli antichi, Vicenza 1968, pag. 155 e succ

14)  Cfr. 0. Longo,  Edipo Re, Firenze 1970, pagg. 13-17.

 

 

NOTIZIE SUL TESTO

 

 

 

   Quando si parla dei testo di un autore classico -greco o latino- è chiaro che non si fa riferimento mai al testo autografo.  Nessuna opera antica ci è giunta infatti nell'originale scritto dallo stesso autore, anzi tra l'autografo degli autori della classicità e le copie a noi giunte vi sono dei vuoti di molti secoli.  Tra l'autografo dei tragici greci e il codice più antico in nostro possesso che ce ne ha fatto conoscere le opere scelte corrono ben quindici secoli!

   È chiaro quindi che per questa mancanza totale degli autografi delle opere antiche, aggravata anche dalla mancanza di copie abbastanza vicine nel tempo ai manoscritti originali e per il fatto che il testo di tali opere di copia in copia, attraverso i secoli ha subito alterazioni e corruzioni anche piuttosto notevoli -spostamenti di parti dell'opera, omissione o aggiunta di versi, errori dovuti a motivi vari, modifiche dovute a copisti incoscienti, ecc.- noi oggi ci troviamo in possesso di un testo assai diverso da quello che dovette uscire dalla penna dell’autore.

   È facile quindi rendersi conto quanti e difficili problemi si presentino ai moderni filologi che vogliano dare un'edizione di un'opera curata criticamente il più possibile, vale a dire vogliano restituire il testo di un'opera dell'antichità classica nella sua forma genuina o almeno in una forma quanto più vicina possibile a quella originale.

   Indubbiamente l'affinamento e il progresso che ha avuto il metodo filologico col passare degli anni, fanno sì che oggi si possa essere sufficientemente sicuri delle edizioni delle opere degli autori classici.

   Attraverso un serie di operazioni (recensio, collatio, examinatio, emendatio, selectio, eliminatio codicum, ecc.) si esercita una indagine scientifica sulla tradizione manoscritta avente come fine ultimo, appunto, la constitutio textus.  A questo fine della costituzione del testo sono molto importanti sia la tradizione indiretta di un'opera che i frammenti papiracei di essa eventualmente rinvenuti.

   Per tradizione indiretta si intende l'insieme delle citazioni che di passi di un testo di una data opera fanno altri autori antichi. È evidente che trattandosi di citazioni, queste saranno di necessità molto brevi (una parola, una frase, a volte anche più versi) ma, nondimeno, sono molto importanti in quanto -se l'autore che le cita è contemporaneo o molto vicino nel tempo all'autore citato - ci riportano ad un testo molto antico e quindi molto più fedele all'originale di quello tramandatoci dai codici, e -se si tratta di un grammatico- ci possono restituire una lezione più genuina di quella dei nostri manoscritti dove il copista ha potuto spesso volgarizzare il testo difficile o dialettale dell'autore. I papiri, dal canto loro, per essere materiale scrittorio molto più antico rispetto alla pergamena, ci offrono anch'essi un testo molto più vicino all'originale di quello conservato nei codici e quindi con maggiori garanzie di lezioni più genuine.  Tuttavia i testi di opere classiche di cui siamo venuti in possesso grazie ai papiri sono ben pochi rispetto a quelli tramandatici dai codici.  Questo è dovuto alla difficoltà di conservazione di questo materiale scrittorio che, essendo di origine vegetale, si è conservato solo in zone non soggette all'umidità, cioè quasi esclusivamente nelle sabbie del deserto egiziano; e al fatto che in realtà i papiri offrono nella maggioranza dei casi solo parte del testo, in quanto per motivi diversi (la loro natura delicata, il fatto che erano conservati avvolti in rotoli che vanno facilmente in pezzi all'atto dello svolgimento, e soprattutto perché essendo scritti su una sola faccia, venivano tagliati per essere riutilizzati sulla faccia opposta, data la grande penuria che ce ne fu sempre) si tratta quasi sempre di frammenti di papiro. Dei frammenti papiracei di Sofocle il più antico è del II sec. a.C., il più recente del V sec. d.C. Tutti quanti sono raccolti nella classica opera di A. Nauck, Tragicorum graecorum fragmenta, edita a Lipsia nel 1889.  Di essi è stata data un'ottima edizione commentata in tre volumi da A.C. Pearson, The fragments of Sophocles, Cambridge, 1917 (ristampa: Amsterdam, 1963). I frammenti trovati nei papiri più recenti sono raccolti in D.L. Page, Select Papyri, III, Londra, 1950.

   Il testo di Sofocle nei primi tempi rimase affidato esclusivamente agli attori che, non forniti di grande scrupolosità, come e prima dei copisti, ne cominciarono quell'opera di alterazione della cui entità nessuno è in grado di farsi un'idea ben chiara.  Frutto di uno studio accurato teso ad individuare tali interpolazioni dovute agli attori è il libro di D. L. Page, Actors' interpolation in greek tragedy, edito ad Oxford nel 1934.

   Circa settant'anni dopo la morte di Sofocle, per mettere un freno a quest'opera di corruzione e per conservare quindi un testo genuino dei tragici, l'oratore Licurgo, eletto tamìas, fece redigere un'edizione ufficiale delle opere dei tre tragici deposta negli archivi e sulla quale veniva controllato il testo dato nelle varie rappresentazioni.  In questo stato l'opera dei tre tragici giunse nelle mani dei filologi alessandrini che ne disposero criticamente il testo, specie nelle parti corali, distinguendo le strofe l'una dall'altra, misero in evidenza corruttele e oscurità, diedero insomma quelle edizioni che attraverso le copie dei codici pergamenaici sono giunte fino a noi.

   Di questi codici il più antico è il Laurenziano XXXII, 9, scritto verso la fine del IX secolo dopo Cristo.  Acquistato dall'umanista Giovanni Aurispa a Costantinopoli per conto di Niccolò Niccoli verso il 1420, è conservato alla Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze.  Esso, oltre alle sette tragedie di Sofocle, ci ha fatto conoscere anche quelle di Eschilo e le Argonautiche di Apollonio Rodio.

   Questo codice era ritenuto finora l'unico esemplare antico degno di fede. Recentemente A. Turyn, nel suo volume The Manuscript Tradition of  the Tragedies of Sophocles, Urbana, 1952, ha stabilito che del testo di Sofocle, oltre la recensione offertaci dal Mediceo, è giunta a noi anche un'altra recensione costituita da un manoscritto conservato in un convento dell'Italia meridionale che, verso la fine del sec. XV, andò perduto. Direttamente da questo manoscritto perduto discendono i codici Laurenziano Conventi Soppressi 152, e il Vaticano Greco 2291.  Sempre dal Turyn è stato pure dimostrato che il codice Parigino greco 2712, che era ritenuto molto autorevole dagli studiosi, è stato invece corretto in alcuni punti dai dotti bizantini.  Pertanto una futura edizione critica non potrà -proprio tenendo conto delle conclusioni cui è giunto il Turyn- non basarsi sulle lezioni delle due recensioni, Laurenziana e Romana (così detta dal Vaticano greco 2291).

   Delle edizioni critiche dell'Edipo Re debbono essere ricordate: quella di L. Campbell con note e introduzione edita ad Oxford nel 1879; quella di R. Jebb, in sette volumi, edita a Cambridge nel 1906 con note critiche, commentario e traduzione inglese; quella di F. W. Schneidewin e A. Nauck, riveduta da Bruhn e Radermacher, edita a Lipsia nel 1909-14; quella di A.C. Pearson, edita ad Oxford nel 1924; quella in tre volumi, che è la migliore, di A. Dain e P. Mazon, edita a Parigi nel 1955-60.

   Delle traduzioni in versi italiani ricorderemo invece, oltre quella invecchiata, di F. Bellotti, Milano, 1813; quella di E. Bignone, in quattro volumi, edita a Firenze nel 1937-38; quella di E. Romagnoli, stampata a Bologna nel 1926 e quella di C. Lombardo Radice, Torino, 1952. 

   Infine delle edizioni commentate sono da segnalare quella di D. Pieraccioni, Firenze 1968; e quella di 0. Longo, Firenze 1970.

 

 

 

B I B L I O G R A F I A

 

1 )   G. Perrotta, Sofocle, Messina, 1935.        

2)    A. Maddalena, Sofocle , Torino, 1959.

3)    M. Untersteiner, Sofocle, Firenze, 1935.    

4)    G. Méautis, Sophocle, Essai sur le héros tragique , Paris, 1957.         

5)    M. Polhenz, La tragedia greca (traduz. italiana), Brescia, 1961.

6)    G. Perrotta, I tragici greci, Messina, 1931.         

7)    E.  Turolla, Saggio sulla poesia di Sofocle , Bari, 1934. 

8)    V. De Falco, Studi sul teatro greco, Napoli, 1958.

9)    E. Romagnoli, Il teatro greco, Milano, 1958.

10)   V. De Falco, La tecnica corale di Sofocle, Napoli, 1928.

11)  C.Diano, “Edipo  figlio della Tyche” in Saggezza  e Poetiche degli Antichi, Vicenza, 1968.

12)  F. Allegre, Sophocle, Paris, 1905.

13) T. B. L. Webster, "An introduction to Sophocles" , Oxford, 1936.

14) C. M. Bowra, Sophoclean Tragedy , Oxford, 1944.

15)   V.  Ehremberg, Sofocle e Pericle, (trad. italiana), Brescia, 1958.  

16)   K. Reinhardt, "Sophokles", Frankfurt, 1933.      

17)   T. Von Wilamowitz, Die dramatische Technik des Sophokles, Berlino, 1917.   18)   J. C. Opstelten, Sophocles and Greek Pessimism, Amsterdam, 1952.     

19)   A.J.A. Waldock, Sophocles the Dramatist, Cambridge, 1951.         

20)   P. Masqueray, Sophocle, Paris, 1946.        

21 )  C.H. Whitman, Sophocles , Harvard, 1951.         

22)   H. D. F. Kitto, Greek tragedy , London, 1950.             

23)   D. W.Lucas, The greek tragic poets, London, 1950.      

24)   J. Sheppard, The Wisdom of Sophocles, London, 1947.

 

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