Ernesto Che Guevara viene assassinato a La Higuera (Bolivia) il 9 ottobre 1967 alle 13:10
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[...] Una vecchia contadina ha scoperto accidentalmente i guerriglieri, che cercano di comprare il suo silenzio con cinquanta pesos. "Ma ci sono poche speranze che mantenga il silenzio", si legge nel "Diario". Il giorno dopo, presso la Quebrada del Yuro, i diciassette uomini superstiti dell'iniziale gruppo di guerriglieri che ha iniziato l'avventura boliviana con il "Che" vengono sorpresi da cinque battaglioni di ranger. Sei muoiono nello scontro, otto riescono a fuggire, tre sono fatti prigionieri. Tra loro, ferito, c'è lo stesso Guevara, che rivela la sua identità e viene trasportato nel villaggio di La Higuera, distante otto chilometri. I prigionieri vengono rinchiusi in una scuola. Il "Che" è ripetutamente interrogato. Si rifiuta di rispondere alle domande. I militari sono al comando di Andrés Selich e di Miguel Ayaroa. Il 9 ottobre giunge sul luogo il cubano Felix Ismael Rodríguez Mendigutia, che è entrato a far parte della Cia e tenta inutilmente di far parlare il prigioniero. Felix Rodriguez aveva già lavorato per la CIA qualche anno prima, nel tentativo della Baia dei Porci per rovesciare il regime castrista a Cuba. In mattinata, da La Paz giunge l'ordine di ammazzare Guevara: a prendere la decisione hanno provveduto il presidente boliviano Barrientos e i funzionari dei servizi segreti americani che sono in perenne collegamento con Washington. A sparare i colpi mortali ci pensa il militare Mario Teran (gli assassini di Guevara moriranno tutti in circostanze misteriose negli anni successivi). Si chiudono in questo modo trentanove anni vissuti intensamente. Il cadavere - trasportato fin lì con un elicottero - viene esposto all'ospedale Signore di Malta su un tavolaccio a fotografi, tv e giornalisti. Il "Che" ha gli occhi aperti, la divisa sbottonata. Il suo corpo viene sepolto di nascosto in un angolo della località di Vallegrande, a duecentoquaranta chilometri a est di Santa Cruz (solo nel 1996 il governo boliviano ha autorizzato le ricerche in prossimità di un aeroporto per ritrovarne i resti). Le mani vengono tagliate e fatte arrivare a Cuba, affinché L'Avana prenda atto che Guevara è davvero morto. Il 15 ottobre, in un discorso televisivo, Castro conferma a tutto il mondo la morte del "Che". Il 18 ottobre, nella Piazza della rivoluzione, si svolge la "veglia funebre" in memoria di quello che viene ribattezzato "il guerrigliero eroico". Vi partecipa una folla immensa e commossa. [...] |
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Farla finita col Che è per gli Stati Uniti e in special modo per la CIA un vecchio progetto, che risale ai tempi della Baia dei Porci. La CIA afferma regolarmente, fin da quel tentativo d'invasione abortito, che i giorni della rivoluzione cubana sono contati, e ha progettato un piano denominato "Cuba" (che rientra sotto la mastodontica e famigerata "Operazione Mangusta"), destinato ad eliminare, tra gli altri, Fidel, Raúl e il Che. Già nel gennaio del 1962 McGeorge Bundy, consigliere della presidenza per la sicurezza nazionale, Alexis Johnson per il Dipartimento di Stato, Roswell Gilpatrick per il Pentagono, John McCone per la CIA e Lyman Lemnitzer per lo Stato Maggiore sono stati riuniti nell'ufficio del Segretario di Stato per essere informati che il progetto "Cuba" era considerato PRIORITARIO. La decisione di sopprimere il Che era già stata presa da tempo, molto prima della Bolivia... Viene deciso che il boia deve essere il sottufficiale Mario Teran, che però anche se si era offerto volontario, sul momento di agire non riesce ad uccidere il Che a sangue freddo. Gli ufficiali e l'agente della CIA Felix Rodriguez lo fanno bere, ma anche sbronzo Teran non riesce ad uccidere il Che, perchè sparando con il suo mitra Uzi di fabbricazione belga riesce solo a ferirlo gravemente. Una pallottola al cuore lo finisce, colpo di grazia che nessuno dei presenti rivendicherà, e che il rapporto segreto del G2 cubano attribuirà a Félix Ramos. Da La Higuera il corpo viene trasportato in elicottero (la barella col cadavere sarà legata ad un pattino) fino a Valle Grande che raggiungerà verso le 16:30. Poi il cadavere viene portato in una lavanderia che servirà da obitorio. Viene lavato dalle infermiere di guardia Susanna Osinaga e Graciela Rodríguez, prima che i medici José Martínez Osso e Moisés Abraham Baptista si occupino dell'autopsia. Il giorno dopo, il 10 ottobre 1967, il corpo viene esposto nell'obitorio per le fotografie di rito per poi tenere una conferenza precisando che il Che è morto in battaglia per le ferite causate da un'imboscata dell'esercito, affermazioni che verranno subito smentite da molte voci e da molte contraddizioni tra i diversi racconti dei vari militari. |
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"Verso le sette e mezzo di sera, Ernesto Guevara entrò per la seconda volta in vita sua, questa volta sconfitto, nel villaggio di La Higuera, un misero agglomerato di non più di trenta case di mattoni e cinquecento abitanti, che doveva il proprio nome al fatto che un tempo vi abbondavano i fichi, ormai scomparsi; un villaggio isolato, a cui si accede soltanto per una mulattiera non carreggiabile. La Higuera, un luogo in cui, secondo la credenza contadina, solo le pietre sono eterne. Fuori dal paese si sono raggruppati alcuni abitanti intimoriti. Una donna anziana, vent'anni dopo, racconterà che vide passare il Che al centro di una processione davanti a casa sua a La Híguera, e che poi se lo portarono via in cielo... con un elicottero, dirà alla fine, quasi accettando la spiegazione che le hanno dato tante volte e che le sembra inconciliabile col fatto che se ne andò via in cielo. |
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Lo stanno aspettando il maggiore dei ranger Ayoroa e il colonnello Selich, arrivato in elicottero. I prigionieri e i morti della guerriglia sono condotti alla scuola, un edificio di mattoni crudi e tegole di altezza irregolare, con soli due locali separati da un tramezzo a cui si accede direttamente dall'esterno, pareti scrostate e porte di legno fuori squadra abbondano nella costruzione di mattoni e calce. In uno dei locali rinchiudono Simón con i cadaveri di Olo e René, nell'altro il Che, a cui danno un'aspirina per alleviare il dolore della ferita. Il Cinese, Juan Pablo Chang, ferito al volto, raggiungerà i detenuti. E' stato arrestato nello stesso momento o in un secondo tempo? Le versioni sono contraddittorie. Il capitano Gary Prado invia lo stesso messaggio che ha ripetuto per tutto il pomeriggio, questa volta al telegrafo. Sono le otto e trenta di sera: "Papà ferito". Poi, insieme al maggiore Ayoroa e al colonnello Selích, esamina il misero contenuto dello zaino del Che: dodici rullini fotografici, due dozzine di carte geografiche corrette dal Che con matite colorate, una radio portatile, due libretti di codici, due taccuini con copie dei messaggi ricevuti e inviati, un quaderno verde di poesie e un paio di quaderni (diari?) zeppi di appunti scritti con la fitta e frettolosa calligrafia del Che. Alle nove Selich chiede telefonicamente istruzioni al comando dell'VIII divisione. Dieci minuti dopo gli rispondono: "Prigionieri di guerra devono restare vivi fino a nuovi ordini comando superiore". Un'ora più tardi arriva un nuovo messaggio da Vallegrande: "Tenga vivo Fernando fino a mio arrivo domattina presto in elicottero. Colonnello Zenteno". Intanto, a La Higuera, i tre ufficiali superiori cercano di interrogare il Che. Non ottengono nulla, rifiuta di parlare con loro. Prado racconta che Selich gli disse, "Che ne direbbe di raderlo, prima?", mentre tentava di strappargli la barba, e che il Che lo colpisce con una manata. |
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Secondo il telegrafista di La Higuera, Selich va anche oltre; di fronte al rifiuto del Che di fornirgli qualsiasi informazione, lo minaccia di morte e gli toglie due pipe e l'orologio. Il villaggio è in stato d'allerta, ci si aspetta da un momento all'altro l'attacco dei guerriglieri superstiti. Intorno alla scuola, sono state disposte una serie di sentinelle in due cerchi concentrici e una vedetta. Alle ventidue e dieci "Saturno" (Zenteno), dall'VIII divisione a Vallegrande, telegrafava al comandante in capo dell'esercito a La Paz (generale Lafuente) una proposta di chiave per trattare lo spinoso argomento della cattura del Che: "Fernando (il Che) 500. Vivo: 600, per telegrafo solo questo per il momento, il resto per radio, morto: 700. Buonasera. Ultima comunicazione conferma trovarsi nostro potere 500, pregasi dare istruzioni concrete se 600 o 700". Il comandante in capo rispondeva: "Deve restare 600. Massima riservatezza, ci sono infiltrazioni". |
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I vertici dell'esercito boliviano si erano riuniti a La Paz per decidere il da farsi. Il messaggio iniziale era stato ricevuto dai generali Lafuente Soto (comandante dell'esercito) e Vázquez Sempertegui (capo di stato maggiore dell'esercito) e dal tenente colonnello Arana Serrudo (dei servizi segreti militari). Jorge Gaflardo ha lasciato una descrizione poco simpatica dei tre: Lafuente, tracagnotto, con una faccia da orangutan, barba folta, lo chiamano Chkampu (faccia pelosa in quechua); Vázquez, tarchiato, sorriso cinico, responsabile dei massacri dei minatori; Arana deforme, con un collo taurino che contrasta con il corpo molto scuro. Si recano dal generale Alfredo Ovando, Ministro della guerra, nel piccolo ufficio della cittadella militare di Miraflores; questi, quando riceve i tre ufficiali, fa chiamare il generale Juan José Torres, capo di stato maggiore delle Forze Armate, che occupa l'ufficio di fronte alla sala riunioni adiacente all'ufficio di Ovando. E' in questa sala che i cinque militari si riuniscono. Non è escluso che siano stati consultati altri pezzi grossi delle Forze Armate, come il comandante della Forza aerea León Kolle Cueto, che per un caso curioso è il fratello del dirigente del Partito Comunista, Jorge Kolle. |
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Non ci è giunta alcuna testimonianza di ciò che si disse in quella sala, soltanto della decisione finale. Una volta raggiunto un accordo, i generali lo comunicano al presidente René Barrientos, che dà il suo benestare. Alle ventitré e trenta, il Comando delle forze armate invia al colonnello Zenteno a Vallegrande questo messaggio telegrafico: "Ordine presidente Fernando 700". E Che Guevara è stato condannato a morte. |
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Tanto per il biografo più distaccato, quanto per quello più partecipe, quelle diciotto ore a La Higuera sono disperanti. Ernesto Guevara è vissuto lasciandosi dietro una scia di carte che registrano le sue impressioni, le sue versioni, a volte anche le sue emozioni più intime; diari, lettere, articoli, interviste, discorsi, atti. E’ vissuto circondato di narratori, testimoni, voci amiche che raccontano e lo raccontano. Per la prima volta, lo storico può ricorrere solo a testimoni ostili, molto spesso interessati a distorcere i fatti, a creare una versione fraudolenta. Quello che oggi sappiamo è emerso con il contagocce nel corso di ventotto anni, frutto della caparbietà dei giornalisti, di ricordi tardivi al fine di costruirsi alibi. |
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La Higuera è una terra di parole in cui c'è posto solo per gli interrogativi. Sa che lo uccideranno? Cosa pensa adesso di Simón Cuba, che tante volte ha rinnegato nel suo diario? Fa un bilancio dei compagni vivi, dei prigionieri e dei morti? Rimangono Pacho e Pombo con Inti, Dariel, Dario, il Nato e Tamayo; Huanca e il medico De la Pedraja sono fuggiti con i feriti. Lo avranno visto cadere nelle mani dei soldati? Tenteranno qualcosa? Trascorre quelle ore pensando ad Aleida e ai bambini, al piccolo Ernesto che praticamente non ha mai visto? Ai morti? Gli altri morti che hanno costellato la sua strada, Pamos Latour e Geonel, il Patojo, Camdo e Masetti; San Luis, Manuel, Valdo e Tania... e la lista è interminabile. Sono i suoi morti, sono morti perché credevano in lui. Soffre per la ferita? Lui non ha mai abbandonato un prigioniero privo di cure, gli hanno dato un'aspirina per curare una ferita d'arma da fuoco. Ripensa alla sconfitta? Ultimo anello di una catena che si aggiunge, il gruppo di Puerto Mìldonado, di Salta, adesso la sua, la guerriglia del Che. |
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Cosa lo aspetta? Cinquant'anni di carcere? Una pallottola nella nuca? Non è questa la prima sconfitta, chissà se sarà l'ultima. Il suo diario si trova nella casa del telegrafista, a pochi metri da dove lo tengono prigioniero. Ci sono state altre sconfitte, ma per la prima volta in vita sua Ernesto Guevara è un uomo senza carta né penna. Un uomo disarmato, perché non può raccontare quello che sta vivendo. |
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A La Higuera c'è stato il cambio della guardia. Il Che è sdraiato per terra, la ferita ha smesso di sanguinare. Uno dei soldati di sentinella nella stanza racconterà anni dopo: "Una delle cose che vidi, e che mi sembrò un oltraggio per il guerrigliero, fu che Carlos Pérez Gutiérrez entra, lo afferra per i capelli e gli sputa in faccia, e il Che non si trattiene e gli sputa a sua volta, inoltre gli dà un calcio che gli fa fare un ruzzolone, non so dove l'abbia preso il calcio, ma vidi Carlos Pérez Gutiérrez a terra e Eduardo Huerta con un altro ufficiale che lo immobilizzano". Poco dopo un infermiere dell'esercito gli lava la gamba con del disinfettante; le cure non si spingono oltre. |
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Ninfa Arteaga, la moglie del telegrafista, si offre di portare da mangiare ai prigionieri; il sottufficiale di guardia rifiuta. Lei risponde: "Se non mi lasciate dare da mangiare a lui, non lo do a nessuno". Sua figlia Elida porta un piatto al guerrigliero cieco (il Cinese Chang?) in un'altra stanza. Ultimo pasto del Che sarà un piatto di minestra di arachidi. Il sottotenente Toti Aguilera entra nella stanza. "Signor Guevara, è sotto la mia custodia." E il Che gli chiede una sigaretta. Aguilera gli domanda se è medico, il Che conferma e aggiunge che è anche dentista, che ha cavato dei denti. Il tenente si aggira per la stanza cercando di trovare uno spunto di conversazione. Alla fine fugge, non c'è possibilità di comunicazione con quel personaggio chiuso che esce dal mito, ferito; non riesce ad annullare quella distanza che il Che ha sempre imposto anche ai suoi, per non parlare degli estranei e, a maggior ragione, dei nemici. |
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Diversi soldati entrano in seguito nella stanza. Parlano di tutto, a frammenti, controvoglia. C'è religione a Cuba? E' vero che lo vogliono scambiare con dei trattori? Lei ha ammazzato il mio amico? Lo insultano. Dicono che un sottufficiale, vedendolo rannicchiato in un angolo della stanza, gli abbia chiesto: "Sta pensando all'immortalità dell'asino?". Guevara, al quale gli asini sono sempre stati molto cari, sorride e risponde: "No, tenente, sto pensando all'immortalità della rivoluzione che tanto temono coloro che voi servite". |
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Verso le undici e mezzo un paio di soldati rimangono soli con il Che, senza sottufficiali né ufficiali. Il Che parla con loro, chiede di dove sono. Sono entrambi originari dei distretti minerari, uno è figlio di un minatore. Parlano. I due soldati pensano che magari possono fuggire con lui. Uno di essi esce dalla scuola per vedere com'è la situazione fuori. Il villaggio è sempre in stato d'allerta. Ci sono tre anelli di guardie, il terzo è formato da uomini di un altro reggimento. Lo comunicano al Che |
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Raccontano che disse: Non vi preoccupate, sono sicuro che non rimarrò prigioniero per molto tempo, perché molti paesi protesteranno per me, quindi non c'è bisogno, non vi preoccupate tanto, non credo che mi succeda nient'altro. Uno dei due gruppi di guerrigliero superstiti è riuscito a sfuggire all'accerchiamento dell'esercito. Inti Peredo racconta: "In quella notte di tensione e d'angoscia ignoravamo completamente cosa era successo e ci chiedevamo a voce bassa se non fosse morto un altro compagno oltre ad Aniceto". All'alba scendono di nuovo nella gola e dopo una breve attesa si spostano verso il secondo punto d'incontro, a qualche chilometro da La Higuera. Alarcón aggiunge: "Ci dirigemmo verso il secondo punto d'incontro, vicino al Río el Naranjal. Dovevamo tornare un’altra volta in direzione di La Higuera e l'alba ci sorprese vicino al villaggio". |
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E l'alba del 9 ottobre. Dall'ambasciata degli Stati Uniti a La Paz partono cablogrammi diretti a Washington. L'ambasciatore Henderson comunica al Dipartimento di stato che il Che si trova "tra gli uomini catturati, malato gravemente o ferito"; i consiglieri di Lyndon Johnson esperti di questioni latino-americane, basandosi su fonti della CIA, riferiscono che Barrientos afferma di avere il Che e di voler verificare l'identità dell'uomo che è stato catturato mediante le impronte digitali. A La Higuera sta sorgendo il giorno, i prigionieri sentono il rumore di un elicottero, le sentinelle sono allertate. Un apparecchio trasporta il colonnello Zenteno, venuto da Vallegrande accompagnato dall'agente della CIA Félix Rodríguez. I due si dirigono verso la casa del telegrafista, in cui si trovano i documenti rinvenuti nello zaino del Che. |
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Agli ordini del maggiore Ayoroa, i ranger rastrellano i canaloni alla ricerca dei superstiti. Il capitano Gary Prado fornisce la versione ufficiale: "Un'operazione ha inizio la mattina del 9 ottobre, perlustrando palmo a palmo i canaloni. La compagnia A trova le grotte in cui si erano rifugiati il Cinese e Pacho che mentre gli intimavano di arrendersi sparano e uccidono un soldato, provocando la rapida reazione dei ranger, che con mitragliatrici e bombe a mano li riducono al silenzio". E curioso che in un altro punto della sua versione dica che i soldati gli riferirono della "presenza di un guerrigliero", non di due. Perché se c'erano due uomini nella gola i superstiti non li videro la notte prima? Perché non c'è nessuna annotazione sul diario di Pacho in data 8 ottobre? A La Higuera, il colonnello e l'agente della CIA entrano dove è rinchiuso il Che. Anni dopo, un soldato racconterà: "Uno dei comandanti ebbe una discussione piuttosto violenta con il Che e aveva accanto una persona, sarà stato un giornalista, che registrava con una specie di registratore molto grande appeso sul petto". |
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Nella versione di Rodríguez, le cose si svolgono in modo più civile. Fanno uscire il Che dalla scuola e gli chiedono il permesso di fargli una foto. Félix si mette accanto al guerrigliero. Verso le dieci del mattino il maggiore Nino de Guzmán, pilota dell'elicottero, fa scattare laPentax dell'agente della CIA. La foto è giunta fino a noi: il Che è un arruffio di capelli, sul volto una certa amara desolazione, la barba sporca, gli occhi semichiusi per la stanchezza e il sonno, le mani unite come se fossero legate. Ci saranno un altro paio di fotografie quella mattina, scattate da soldati, molto simili alla prima: in entrambe, il comandante Guevara, sconfitto, rifiuta di guardare l'obiettivo, Zenteno si dirige verso il Churo per supervisionare il rastrellamento in corso. Intanto Rodríguez, con la sua Rs48 portatile, invia un messaggio cifrato. Selich, che lo osserva, è molto preciso: "Aveva un potente radiotrasmettitore che installò immediatamente e con cui trasmise un messaggio cifrato in chiave di sessantacinque gruppi circa. Subito dopo installò su un tavolo al sole una macchina fotografica montata su un dispositivo con quattro gambe telescopiche e cominciò a scattare fotografìe". |
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Gli interessano in particolare i diari del Che, il libro con le chiavi e l'agenda con indirizzi di tutto il mondo. I militari e l'agente della CIA si trovano nel patio davanti alla casa del telegrafista. Fotografando il libro di chiavi, Rodríguez commenta: "Ne esistono solo due esemplari al mondo, uno ce l'ha Fidel Castro e l'altro è qui". Selich ritorna a Vallegrande in elicottero con i due soldati feriti. Alle undici e trenta Zenteno ritorna a La Higuera accompagnato da una scorta e dal maggiore Ayoroa e trova l'agente della CIA impegnato nell'operazione di fotografia. I militari lo guardano fare. Zenteno si limita a un breve commento e Rodríguez gli assicura che copie delle foto gli saranno consegnate a La Paz. "Nessuno obiettò alle fotografie, nessuno si oppose" dirà più tardi il maggiore Ayoroa. |
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Nella solitudine della stanza in cui è rinchiuso, il Che chiede ai suoi guardiani di lasciarlo parlare con la maestra della scuola, Julía Cortez; secondo la sua testimonianza, il Che le disse: "Ah, lei è la maestra. Lo sa che sulla o di "so" non ci vuole l'accento nella frase "Adesso so leggere"? Indica la lavagna. "Certo, a Cuba non ci sono scuole come questa. Per noi questa sarebbe una prigione. Come fanno a studiare qui i figli dei contadini? E’ antipedagogico ". "Il nostro è un paese povero." "I funzionari del governo e i generali, però, girano in Mercedes e hanno un mucchio di altre cose... vero? E’ questo quello che noi combattiamo." "Lei è venuto da molto lontano a combattere in Bolivia. " "Sono un rivoluzionario e sono stato in molti posti." "Lei è venuto a uccidere i nostri soldati." "Guardi, in guerra o si vince o si perde." |
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In quale momento il colonnello Zenteno trasmise ad Ayoroa l'ordine presidenziale di assassinare il Che? Felìx Rodríguez cercò forse di convincerlo a non ucciderlo, visto che il Che in quel momento poteva essere più utile vivo e sconfitto che morto? Almeno così afferma l'agente della CIA nelle sue memorie; Zenteno, nelle successive dichiarazioni, non ne fa menzione. Rodríguez racconta che parlò con il Che per un'ora e mezza, e che il comandante gli chiese anche di trasmettere a Fidel il messaggio che la rivoluzione latino-americana avrebbe trionfato e di dire a sua moglie di risposarsi ed essere felice. Ma quell'ora e mezza non fu in realtà che un quarto d'ora, e altre fonti militari sono concordi nell'affermare che il Che disse a Rodríguez che era un verme al servizio della CIA, che lo chiamò mercenario e che si limitarono a scambiarsi insulti. Alle undici e quarantacinque, Zenteno prende il diario e la carabina del Che e insieme a Rodríguez parte con l'elicottero appena ritornato. |
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A mezzogiorno il Che chiede di poter parlare di nuovo con la maestra. Lei non vuole, ha paura. Intanto, a cinque-seicento metri dal villaggio, i guerriglieri sopravvissuti stanno aspettando che faccia notte per muoversi. Alarcón racconta: "Lì venimmo a sapere che il Che era prigioniero (......) Sentivamo le notizie da una radiolina che avevamo e che disponeva di un auricolare (.......) Credevamo che si trattasse di una falsa informazione messa in giro dall'esercito. Però verso le dieci del mattino dicevano già che il Che era morto e (.......) parlavano di una foto che lui portava in tasca, con sua moglie e i suoi figli. Quando noi cubani sentimmo questo, ci guardammo fissi mentre le lacrime cominciavano a scenderci in silenzio (........) Quel particolare ci dimostrava che il Che era morto in combattimento, senza che ci passasse per la mente che era ancora vivo e a poco più di cinquecento metri da noi". A metà mattina Ayoroa chiese un volontario tra i ranger per fare il boia. Il sottufficiale Mario Terán chiese che gli lasciassero ammazzare il Che. Un soldato ricorda: "Sosteneva che nella compagnia B erano morti tre Mario e in loro onore dovevano dargli il diritto di ammazzare il Che". Era mezzo ubriaco. Il sergente Bernardino Huanca si offrì di assassinare i compagni del Che. |
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Passata l'una, Terán, basso, tracagnotto - non sarà stato alto più di 1,60 per sessantacinque chili di peso - entrò nella stanzetta della scuola in cui si trovava il Che con un M-2 in mano che gli aveva prestato il sottufficiale Pérez. Nella stanza accanto, Huanca crivellava di pallottole il Cinese e Simón. Il Che era seduto su una panca, con i polsi legati, le spalle al muro. Terán esita, dice qualcosa. Il Che risponde:"Perché disturbarsi? Sei venuto a uccidermi". |
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Terán fa un movimento come per andarsene e spara la prima raffica rispondendo alla frase che quasi trent'anni dopo dicono abbia pronunciato il Che: Spara, vigliacco, che stai per uccidere un uomo. |
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"Quando arrivai il Che era seduto sulla panca. Quando mi vide disse: Lei è venuto a uccidermi. Io non osavo sparare, e allora lui mi disse: Stia tranquillo, lei sta per uccidere un uomo. Allora feci un passo indietro, verso la porta, chiusi gli occhi e sparai la prima raffica. Il Che cadde a terra con le gambe maciullate, contorcendosi e perdendo moltissimo sangue. io ripresi coraggio e sparai la seconda raffica, che lo colpì a un braccio, a una spalla e al cuore". |
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Poco dopo il sottufficiale Carlos Pérez entra nella stanza e spara un colpo sul cadavere. Non sarà l'unico: anche i l soldato Cabrero, per vendicare la morte del suo amico Manuel Morales, spara contro il Che. I diversi testimoni sembrano concordare sull'ora della morte di Ernesto Che Guevara: verso la una e dieci del pomeriggio di domenica 9 ottobre 1967. La maestra grida contro gli assassini. Un sacerdote domenicano di una vicina parrocchia ha cercato di arrivare in tempo per parlare con Ernesto Guevara. Padre Roger Schiller racconta: "Quando seppi che il Che era prigioniero a La Higuera trovai un cavallo e mi diressi laggiù. Volevo confessarlo. Sapevo che aveva detto sono fritto. lo volevo dirgli: "Lei non è fritto. Dio continua a credere in lei". Per strada incontrai un contadino: "Non si affretti, padre" mi disse. "L’hanno già liquidato"". Verso le quattro del pomeriggio il capitano Gary Prado ritorna al villaggio dopo l'ultima incursione dei ranger nelle gole vicine. All'ingresso del paese il maggiore Ayoroa lo informa che hanno giustiziato il Che; Prado ha un moto di sdegno. Lui l'ha catturato vivo. Si preparano a portare via il corpo in elicottero. Prado gli lega la mandibola con un fazzoletto perché il volto non si scomponga. |
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Un fotografo ambulante ritrae i soldati che circondano il cadavere adagiato su una barella. Sono foto domenicali, di paese, mancano solo i sorrisi. Una foto immortala Prado, padre Schiller e donna Ninfa accanto al corpo. Il sacerdote entra nella scuola, non sa cosa fare, raccoglie i bossoli e li mette via, poi si mette a lavare le macchie di sangue. Vuole cancellare parte del terribile peccato: aver ucciso un uomo in una scuola. A Mario Terán hanno promesso un orologio e un viaggio a West Point per frequentare un corso per sottufficiali. La promessa non sarà mantenuta. L'elicottero si alza in volo, con il cadavere del Che Guevara legato ai pattini. |
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Tratto dal libro "Senza perdere la tenerezza" di Paco Ignacio Taibo II, Casa Editrice Il Saggiatore, 1997. |
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Ecco, dopo moltissimi anni dalla morte del Che, uno dei primi documenti segreti riaffiorati dagli incartamenti della CIA. Il rapporto di autopsia di Ernesto Guevara de la Serna. Rapporto di autopsia (medici: José Martínez Osso e Moisés Abraham Baptista) Età: circa 40 anni Razza: bianca Altezza: 1,73 m circa Capelli: castani, ricci, barba e baffi ricci, sopracciglia folte Naso: diritto Labbra: sottili, bocca socchiusa con tracce di nicotina. Manca il premolare inferiore sinistro Occhi: tendenti all'azzurro Costituzione: normale Estremità: piedi e mani in buono stato, con una cicatrice che copre quasi tutto il dorso della mano sinistra Con le seguenti lesioni: 1) Ferita di pallottola nella regione della clavicola sinistra, con uscita nella regione scapolare dello stesso lato. 2) Ferita di pallottola nella regione della clavicola destra, con frattura di questa, senza uscita. 3) Ferita di pallottola nella regione costale destra, senza uscita. 4) Due ferite di pallottola nella regione costale laterale sinistra, con uscite nella regione dorsale. 5) Ferita di pallottola nella regione pettorale sinistra tra la 9a e la 10a costola, con uscita nella regione laterale dorsale sinistra. 6) Ferita di pallottola a un terzo della gamba destra. 7) Ferita di pallottola a un terzo del muscolo quadricipite femorale sinistro. 8) Ferita di pallottola al terzo inferiore dell'avambraccio destro, con frattura dell'ulna. |
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La morte è stata causata dalle ferite al torace e dall'emorragia seguita. Allegato: La commissione dei tecnici incaricati dal governo argentino, su richiesta del governo boliviano, per confermare l'identificazione dei resti di Ernesto Guevara de la Serna, attesta che si tratta veramente di lui (in effetti una macabra scena permette, il giorno 15, ai poliziotti argentini di verificare che le impronte digitali che essi possiedono del Che - tramite la sua carta d'identità n. 3.524.272 - sono identiche a quelle della mano conservata nel barattolo di formaldeide). |