Marzo 1973, Torino. Giovani operai di Mirafiori, con un'azione del tutto
autonoma dal sindacato, occupano i reparti e, per segnalare la propria rabbia,
si legano una fettuccia rossa intorno alla fronte suonano clacson, emettono un
verso lungo che suona pressappoco cosģ: «čačačao». Nella successiva
memorialistica l'episodio ha assunto connotati mitici; č in quel giorno,
comunque che nasce la nuova parola d'ordine: far «sbocciare» il pellerossa che cè
in ogni metalmeccanico. Hippie, figli dei fiori, gay, «streghe»
sono stati tutti fenomeni di importazione; ma gli indiani no, sono una specialità
indigena. Occhi bistrati, facce dipinte, gote spettrali, sono un fenomeno tipico
dei reietti e dei diversi nostrani. I quali si sono sentiti orfani dopo aver
rifiutato sia lusbergo rassicurante del Pci, sia lasfissiante militanza
nelle organizzazioni extraparlamentari. Sotto molti punti di vista si può
dire che lindiano è lespressione più autentica di
quella che abbiamo definito letica del negativo. Il richiamo ideale è
al massacro di Wounded Knee, al genocidio di un popolo annientato dallavanzata
dei «visi pallidi» capitalisti: «Usciamo dalle riserve e combattiamo
le giacche grige». Appartengono a clan e tribù disparati: indiani
di città e delle colline, indiani «cicorioni» (delle campagne»)
e «baracchini» delle fabbriche; la più recente filiazione
è quella degli indiani dei «pascoli alti», i quali trovano
i «metropolitani» troppo folcloristici e adottano slogan tipo «ascia
vera», in contrapposizione alle significato di asce-giocattolo di gomma,
brandite dagli indiani di città. Con questi culturi del tomahawk autentico
siamo arrivati già ai nebbiosi confini con larea dellAutonomia.
Qual è la proposta politica del filone «indiano-? Qual è
la genealogia «ideale- della nuova espressività? Ecco un editoriale
di «Oask» (formato tabloid, diffusione a mano): «Non vogliamo
fare della politica, non vogliamo dire di smettere a chi si «buca
nei cessi, nè occupare le case per i senzatetto. Vogliamo essere degli
egoisti, agire solo per noi. E quando il giornale ci avrà stufati lo
distruggeremo e con la fantasia cercheremo un nuovo modo di comunicare».
Quando si tratta di «creativi», siano essi indiani -puri»
o indiani inquinati di Autonomia, il modo migliore per cercare di capirli è
lasciarli «creare»: il movimento, essi dicono, devessere «un
flusso creativo di vibrazioni incristallizzabili»; e quanto al dilemma:«partito
combattente o partito indiano? Oask! Fuori dal labirinto metropolitense esplode
lipotesi combattente wowdadaista»; che tradotto in prosa significa:
va bene la P38, compagni, ma con allegria. Tuttavia non è chiaro se la
maggior parte delle tribù riescano realmente a vedere dei «compagni»
in quelli che levano le tre dita nel gesto della pistola (vera, non ad acqua).
È difficile configurare una linea politica e una piattaforma univoca
in un coacervo di piccoli gruppi guidati da unideologia fluidificante.
Molti militanti di questi clan (perlopiù studenti, radicalizzati e radicaleggianti,
di estrazione piccolo-medio borghese) si dichiarano «non violenti»,
cultori della sola arma dellironia, dello
sberleffo. Alcune parti del loro «programma» (che è sempre
camaleontico per paura dllistituzionalizzazione) ricordano un po
quelle proposizioni sognanti e astoriche che proclamava in Usa, anni fa, il
White Panther Party: «Vogliamo un libero Pianeta. Vogliamo libere terre,
libero cibo, libero tetto, liberi abiti, libera musica, libera cultura, liberi
corpi, libera gente, libero tempo e spazio.. .tutto libero, per tutti»
(in cui la parola inglese free ha il doppio significato di libero e gratis).
(...) Quali sono gli obiettivi? «Abolizione dei carceri minorili e del
foglio di via. Requisizione di tutti gli edifici sfitti per la loro utilizzazione
come centri di aggregazione, socializzazione dei giovani per una vita alternativa
alle famiglie. Riduzione generale dei prezzi dei cinema, teatri e di tutte le
iniziative culturali alla cifra fissata dal movimento giovanile. Liberalizzazione
totale della marijuana, hashish, Lsd, peyote, con monopolio esercitato dal movimento.
Retribuzione dellozio giovanile. Demolizione degli zoo e diritto di tutti
gli animali prigionieri di tornare nel loro paese di origine. Demolizione dellaltare
della patria e sostituzione di esso con tutte le forme di vegetazione, con il
laghetto per le anatre, cigni, rane e altra fauna ittica. Istituzione di Ronde
Antifamiglia Militanti per strappare i giovani dalla tirannia patriarcale».
Col riemergere della »politica», del pensiero logico, della «masturbazione
ideologica», si avverte il bisogno irresistibile di tornare alle scaturigini
più irrazionali, spontaneiste, giocherellone del 68, a quellimmaginazione
al potere che la prima rabbia studentesca enunciò senza riuscire a imporre.
Leresia indiana non è codificata in un corpo di norme e di comportamenti
eterodossi, ma rigidi; vuole semplicemente essere la trasgressione delle ortodossie
esistenti; dire di no anche un no immotivato alla logica, alle
analisi, ai «pensatori», a chi parla in modo difficile, noioso,
angusto; e dire di sì al gioco, allistinto, allinvenzione,
allimprevedibilità, alla creatività collettiva. Questo in
sostanza il messaggio trasmesso dai loro più splendidi graffiti: «Voglio
creare. Aiuto, dove siete compagni?». «Amo la piazza perché
mi ha fatto incontrare tanti compagni». «Decreto lo stato di felicità
permanente». Ai frusti stilemi della sinistra ufficiale ed extraparlamentare
si sostituisce il messaggio ilare, giocoso, a volte perfino fanciullesco: «Sorridi,
il comunismo è giovane e bello», «Bydybody Pdup», «Teoria
a gogo». Alle stinte parole dordine della militanza vecchia e nuova
si contrappone il nonsenso, il paradosso; alla violenza liconoclastia,
che è «cento volte più rivoluzionaria»; a Lenin, qualche
volta, il signor Veneranda. Accade però che questa gioiosa liberazione
degli istinti non basti sempre a sconfiggere la solitudine e lafflizione;
ed ecco allora il «bisogno di corteo», la spinta al recupero collettivo
del «privato»: «Sono felice perché ho fatto un corteo
bellissimo»; «Era una notte piena di lupi feroci, labbiamo
riempita di suoni e di voci». Naturalmente, cè anche unaltra
via per sottrarsi allavvilimento: e infatti, una parte dei graffiti della
violenza sono attribuibili a buon diritto allarea espressiva degli indiani
autonomi, per i quali: «Una scintilla può incendiare tutta la prateria».
Tratto da: Mino Monicelli, Lultrasinistra
in Italia. 1968-1978, Laterza,
Roma-Bari 1978.