C'è
una ragione precisa perché si scriva tanto poco e si sia così
avari di riconoscimenti formali nei confronti di un artista e
di un produttore di cultura, quale è Matteo Salvatore, che
pure in oltre cinquant'anni di attività ha dato alla Puglia,
al Sud, all'Italia e al mondo uno straordinario contributo
musicale, vocale, linguistico e tematico, giustamente
considerato unico per quantità, qualità e tipologia. Questa
ragione risiede nel carattere di Matteo, anzi nel suo
caratteraccio, nella sua disperazione, nel suo anarchismo,
nella sua ruffianeria, nella sua brutale e autistica
indisciplinatezza. Diciamo pure nella sua doppiezza. E'
difficile parlare di un angelo (in questo caso un angelo della
musica popolare, del mondo dei diseredati), è difficile anche
solo parlare con questo angelo, se puntualmente e
improvvisamente egli appena smette di cantare come solo lui sa
fare, passando con divina disinvoltura dai toni profondi al
falsetto, e di suonare la chitarra, cioè di fare quello che
vuole con la chitarra ti confonde e ti scoraggia opponendoti
atteggiamenti, diciamo così, profanatori. Nel senso che
profanano e quasi smentiscono quell'angelicità. Ma forse sta
proprio qui la persistente grandezza di Matteo: nella sua
irriducibilità, anzi nella sua imprendibilità. Così forse
lui si è difeso per tutta la vita da un mondo che non è mai
riuscito a capire o anche solo ad accettare nella sua
complessità, rimanendo il solo, l'unico vero cantante
popolare italiano, non cellofanato né dalla consapevolezza e
dalla ricerca culturale né dall'industria discografica e
dello spettacolo. E' rimasto quello di sempre: solo,
disperato, intrattabile.
Beppe
Lopez
... Matteo si
racconta, al solito, alternando fatti veri e quelle che
sembrano a lume di buon senso sbruffonerie. La poverissima
infanzia ad Apricena (dove è nato nel 1925). Il papà
facchino e la mamma, "camuffata da mutilata",
che va a chiedere l'elemosina a Poggio Imperiale per procurare
un po' di pane ai figli. Fa il garzone di cantina a otto lire
l'anno. Gli muore una sorella di quattro anni per
denutrizione. E' tra gli uomini e i bambini di sette-nove anni
che stanno "nella piazza del paese per essere
venduti". "Gente, io ci sono stato nei campi
di grano a mietere. Sotto il sole cocente, curvo dall'alba al
tramonto". L'incontro storico con il vecchio maestro
Pizzicoli, cieco, suonatore di violino, mandolino e chitarra, "portatore
di serenate" (quasi esclusivamente canzoni
napoletane), dal quale Matteo in tre anni impara a suonare "alla
perfezione". A 20 anni si sposa con Antonietta, che
però muore di tumore dopo poco più di un anno. A Benevento,
che frequenta per contrabbando di tabacco, conosce e sposa una
ragazza, con la quale ha una prima figlia. Finalmente emigra a
Roma: ci mette un mese per arrivarci, saltando da un carretto
di passaggio ad un altro. Cominciano gli anni vissuti in
baracca. Canta con la chitarra canzoni napoletane ai tavoli di
"Giggetto er Pescatore", ai Parioli. Qui lo
nota il regista Giuseppe De Santis, che lo incarica di
andare a registrare in Puglia canzoni popolari per un film ("Uomini
e lupi" con Yves Montand). E' a questo punto che
nasce l'angelotruffatore. "Dopo aver composto quattro
ballate, telefonai a de Santis, spacciandole per canti
popolari". Porta moglie e due figli da Benevento a
Roma. Qui, in baracca, gli nasce il terzo figlio. Un giorno
canta in una trattoria di Trastevere e viene scoperto da
Claudio Villa, col quale farà poi tournée all'estero. Incide
il primo 78 giri, quattro canzoni per facciata: La morte
traditrice, Lu pugliese a Roma, Lu vecchie, Lu
limone, Cuncettina, I maccheroni, I
capelli neri, Zompa cardille. Verranno poi le
incisioni per la Vis radio, la Fonit Cetra, la Cgd. Comincia
il successo, Ma anche la sua guerra contro i discografici: lui
sospetta sempre che vogliano imbrogliarlo e derubarlo ("non
mi consegnavano tutto quanto mi spettava di diritto")
e quindi è lui a imbrogliarli (consegnando le stesse
incisioni, in esclusiva, a più etichette). Verranno le
trasmissioni radiofoniche, grazie anche all'aiuto di amici ed
estimatori come Renzo Arbore. Matteo diventa ricco. C'è poi
la lunga e drammatica storia con Adriana, l'amante,
ispiratrice e collaboratrice. Lo scoprono gli intellettuali:
prima il regista Maurizio Corgnati, quindi Franco
Antonicelli e Italo Calvino (per lo scrittore "Matteo
è l'unica fonte di cultura popolare, in Italia e nel mondo,
nel suo genere"). E' del 1966 il suo primo lp, inciso
a Milano: Il lamento dei mendicanti, accolto
trionfalmente dal mondo della cultura. Nel 1968 partecipa al
Cantagiro con Lu soprastante. Vive ancora in baracca
quando fa la sua prima tournée in Canada. "Ho inciso
anche lì. Avevo guadagnato più di due miliardi di oggi".
Nel 1972 arriva il suo capolavoro, Le quattro stagioni,
un cofanetto di quattro lp con cinquanta canzoni incise per la
Rca-Amico. Ad un certo punto Matteo annota: "La povera
Adriana morì d'infarto". Si tratta in effetti di una
vicenda oscura, per la quale Matteo conosce anche il carcere.
Dopo, "per quattro lunghi anni sono uscito fuori
dall'arte". Seguono un periodo di tournée e
incisioni autogestite, il ritorno a Foggia ma anche i
riconoscimenti informali di tutti coloro che praticano la
musica popolare nei confronti del Maestro, del Pioniere. Lo
venerano in particolare i napoletani: i Barra, i Bennato, Pino
Daniele (per il quale Matteo "è il più grosso
fenomeno musicale italiano, potrebbe rappresentare la nostra
musica nel mondo").
Beppe
Lopez |