Corrado Sannucci
La luna e i falò (1975)


LA MACCHINA IN SECONDA FILA
«Entri la prego presto io son così preoccupata
tutta la notte ha pianto ora è calda e respira affannata
sa ho telefonato per paura che fosse veramente cosa grave»
capisco mi faccia passare anzi mi guidi lei alla bambina
«sa ieri la febbre era alta le chiazze e bolle poi stamattina...»
signora mi sta assordando con questo suo parlare a valanga
voglion sapere già tutto ed han lasciato appena ieri la vanga
ma dove son capitato tra questi stracci e questa confusione
la borsa per ora non serve vorrei solo dell’acqua e sapone
e una sedia meno scassata, oddio ma com’è sporca ‘sta casa
e questi muri bui e anneriti che non si vede niente
non è possibile lavorare qui in un modo decente
«sa noi qui siamo in sei a dormire e di più non possiam pagare»
ma che giornata storta ma perché mi sono alzato stamattina
diamo un’occhiata un po’ a questa maledetta ragazzina

Signora son meravigliato
perché lei mi ha chiamato
si vede a prima vista ci vuol lo specialista
non mi dica che in due mesi lei non le ha guardato gli occhi
certe cose le capiscon anche gli sciocchi
ma come signora non lo sa
certe cose non si fan quando si è vecchi

«Ma scusi dottore che cosa vuoi dire
lei è qui e la bambina sta male»
signora io debbo scappare ho tanta gente altro da visitare
«si fermi un istante mi spieghi mi faccia capire mi aiuti»
ma cosa si sta a preoccupare ci sono in giro così tanti istituti
e data la situazione faccio per lei un prezzo di tremila
paghi in fretta sa che ho la macchina in seconda fila

PIOMBO
La mattina è sempre peggio ad alzarsi ad ogni costo
ed aspettar che nuovamente ogni cosa mi salti addosso
e coi gomiti sul tavolo e gli occhi gonfi e stanchi
non riuscire che a fissar la lampadina lì davanti
e strofinar la mano sulla guancia mal rasata
e poi il freddo liscio e scabro della tovaglia di tela cerata

E in cucina dove tutto ha il suo posto e il suo colore
io sto qui a rimuginare e a ciondolarmi ore e ore
ma sto stretto sulla sedia e mi agito nervoso
e vorrei fermarmi dentro quel tremore silenzioso
è un brusio senza contorni come echi dalla strada
che non sai più decifrare ed aspetti che poi cada
E mi trovo a fare gesti come a seguir l’istinto
come con un temperino in fronte a un muro vecchio e stinto
e il latte ha un gusto strano di un benessere un po’ spoglio
e il sapor di medicine che non prendo e che non voglio
e il cucchiaio sa di metalli e di schegge di rottami
me lo passo sulla lingua come il medico domani

Ma so già che mi dirà «cosa vai a pensare Bruno
tu stai bene e il piombo sai non fa male più a nessuno »
e lo guarderò pensando che mi sta prendendo in giro
e io lo so perché non parla e dice ch’è poi vero
che poi l’osso divien molle e il sangue cambia in nero
io non so ma stamattina non mi va via ‘sto pensiero

LA MORTE COMINCIA COSI
La morte comincia così
gli occhi abbottati di sonno e di freddo
le gambe molli e i piedi pesanti
giù verso il treno e la pensilina
dentro la nebbia di prima mattina

La morte comincia così
la gioia impastata di sigarette
il bavero alzato e le spalle strette
un cappuccino al caldo del bar
poi fuori di corsa dai forza ch’è tardi

Ma manca solo un anno e dopo me ne andrò
e me lo dicon tutti se no ci morirò
e quando verrà il giorno voglio vestirmi bene
avervi tutti intorno bere e parlare insieme
e prenderò le canne gli stivaloni e gli ami
e voglio andare al fiume dove ci son quei rami

E quel giorno il fiume sarà calmo e poi
gonfio e azzurro come non è mai
sceglierò una pietra liscia e bianca
dove preparare esca e lenza
scorderò tutti quanti i malanni e sarà come
andare indietro di vent’anni
aspetterò che poi qualcosa abbocchi
e avrò voglie di mirtilli e bacche
e per la prima volta mangerò di gusto
senza tutto quel fracasso e quel trambusto
via la giubba voglio stare al sole
fino a quando dietro al colle muore
e a sera mi raggiungerete al fiume
e sarà festa festa ancora festa eccome
mangeremo pesci cotti a brace
e canteremo quello che ci piace
e il vino non dovrà bastare mai
di ballare non ci stancheremo mai
e la festa non dovrà finire mai
e la festa non dovrà finire mai...

Ma la morte comincia così
quando si sogna già il paradiso
e nella nebbia ti nasce un sorriso
mentre cammini e sei troppo stanco
lei d’improvviso ti appare di fianco

La morte ti coglie così
fa la tua strada lì fino al capanno
tu che le parli come a un vecchio compagno
fa una battuta e ci ridi anche tu
strada e stazione non ci sono più

IL VESTITO VECCHIO E BRUTTO
E ho messo il vestito vecchio e brutto
perché spesso esce sangue e sporca tutto
e m’han detto si dà nell’occhio se si è in tanti
perciò vai sola e cerca di non far pianti
e ho preso il tram fin oltre la stazione
lì dove ferma tra case in costruzione
son scesa li a guardar palazzi venir su
e una voglia dentro di buttarmi giù
e m’han detto che sarei fortunata
se quel giorno lei le mani s’è lavata
se il tavolo grigio lì in cucina
non è sporco e non c’è odore di latrina
e ho bussato a una porta senza forza
poi una nebbia è scesa come luce che si smorza
e non capivo più cosa succedeva
lei che mi toccava lei che mi stendeva
e non capivo più cosa stavo a fare
ma ero troppo stanca troppo per reagire

E la gente chiede se è giusto o no
ma il giusto cosa c’entra io non lo so
io so soltanto a casa non c’è posto
non c’è posto per un altro letto
nè soldi per riempire un altro piatto
e tutti quelli che parlan di vita
che tiran fuori storie di morale
venite a veder quanto vale
‘sta vita che mi porto dietro io
non posso neanche sceglier un figlio mio

Mi scuoto e un dolore che mi stringe
lei che caccia lo spillone dentro e spinge
e ho urlato urlato nell’ovatta
che m’ha messo in bocca per star zitta

SETTE PAIA DI SCARPE
Sette paia di scarpe ho consumate
sette verghe di ferro ho logorate
quante paia di scarpe ho lavorate
per aiutarmi in questo mio campare
e sette fiasche di lacrime ho colmate
sette mesi di sofferenze amare
ora dormo alle tue grida disperate
e il gallo canta e non mi puoi svegliar

Uno, il mio lavoro è uno, lavorare la tomaia e col mastice incollare
ragazzina a quindici anni è ora che ti dai da fare
non c’è niente da aspettare,
due i mesi che son stata là poi cominciano i dolori dice è colpa dei vapori

ragazzina a sedicianni già ti tremano la mani
come crescerai domani,
tre svenimenti che c’ho avuto prima che qualcuno dica
ma che patimenti ‘sta ragazza che fatica
ragazzina e le gambe già non me le sento più
e i dolori salgon su,
quattro ospedali che ho girato per cercare nuove cure
sempre stesse facce scure
ragazzina e i dolori già mi fiaccano le braccia
già mi bruciano la faccia,
cinque dottori in veste bianca che scuotono la testa
e il male non s’arresta
diciott’anni disperati sul lettino inanimati
muti e paralizzati

Sette paia di scarpe ho consumate
sette verghe di ferro ho logorate
quante paia di scarpe ho lavorate
per aiutarmi in questo mio campare
e sette fiasche di lacrime ho colmate
sette mesi di sofferenze amare
ora dormo alle tue grida disperate
e il gallo canta e non mi puoi svegliar

DIALETTI
Ieri ho sognato l’uomo grande con la barba
e m’ha detto «guarda cosa m’hanno fatto
quanta gente che m’ha preso e poi m’ha rigirato
consumato digerito come un surgelato
e scusa se ho il cappotto ma a Londra fa fresco»
mi parlò in inglese come lo parla un tedesco

Poi è venuto l’uomo con il pizzo e fronte ampia
«sessant’anni dopo guarda un po’ che scempio
io sto qui in bacheca e milioni di persone
mi passano davanti per vedermi bene
mi conoscon pochi e nessuno bussa»
mi parlò italiano con inflessione russa

Poi è venuto l’uomo piccolo e deforme
quanti anni spesi per trovare le mie orme
«ora voi» m’ha detto «m’avete eletto santo
ma non per parlarmi ma solo per rimpianto
ora dormo a Roma, vado ch’è già tardi»
mi lasciò sul tavolo dei dolcetti sardi

Poi è venuto l’uomo biondo con gli occhiali
«la burocrazia» ripete «è fonte d’ogni male
a me a poco a poco s’annebbia la vista
sai è dal ‘40 che c’ho il mal di testa
scherzo un po’ pesante di un amico mio georgiano»
e mi volle parlare per gioco in messicano

Poi è venuta lei e ha detto «forse è tempo
che anche in Italia io faccia il mio avvento
credo anche stavolta il sardo parlerò»
forse è giusto ho detto ma guarda che però
sbagli ad imparare una lingua solamente
ma venti e più dialetti parlerai correntemente

I FALÒ DI MAGGIO
Mia moglie ha gli occhi duri
e il viso ancor di più
e quando ha quella faccia
vuol dir ch’è proprio giù
bisogna starle dietro
e forse parlerà
insistere un pochino ed ecco sbotta già

Dai Corrado non lo vedi non ci stiamo a contar balle
non lo vedi ch’è un macello tra me e te ormai è così

nulla è scritto nulla è detto se lo pensi non lo dici
e poi perché parlare per poi dir non siam felici
ma tu forse ancora aspetti e io ti chiedo quando smetti
io ti chiedo se tu hai voglie ti rispondo non hai moglie
questi anni son passati tutto è stato in un momento
e il ricordo si fa vuoto e il dolore è un passatempo
poi si lotta e si combatte e sappiamo questo è giusto
e non provo molto gusto a chiederti se tu
pensi ancora che quel mondo che faremo nel futuro
vorrà dir meno fatica un lavoro meno duro

Mia moglie ora ha finito e adesso aspetta me
e io so dire e non so dire e son problemi che
ti toccano dovunque che cosa riuscirai
volere cosa come adesso quando o mai

donna donna io ti capisco anch’io spesso penso questo
e non ci sono formulette ma risposte chiare e nette
e io non voglio darti fede né speranze a buon mercato
raccontarti solamente cosa vedo che ho pensato.

Vedi quel che dobbiam fare
non sarà solo niente morti sul cantiere
non sarà solo cambiar tabella oraria
non sarà solo la riforma sanitaria
non sarà solo mai più emigrazione
non solo mai più disoccupazione
non solo case scuole libri per ognuno
non solo mai più fame e ignoranza per nessuno

Ma verrà primavera e scenderemo giù
nella città in festa rideremo e tu
col figlio grande in braccio col gelato in bocca
e l’altro a terra che mi tirerà la giacca
e come non pensarci per il corso noi
a passi lenti noi e le vetrine e poi
ti comprerai un vestito rosso di ricami
mi porterai dei fiori e mi dirai che m’ami
e d’improvviso noi c’accorgeremo che
la gente che cammina insieme a noi è
li guarderemo è gente come noi che ha voglia
e quello accanto a me canta e mangia una sfoglia e dice
finalmente è finita la miseria de ‘sta vita
parla a un uomo in divisa lui ha la camicia lisa
stanno lì a fumare su dove cominciare
e le idee son tante e c’è tanto da parlare
su cose, state anni lì a covare
ora esplodon come razzi come fuochi
in mille gesti e mille giochi
corse con le borse a ciondolare
frasi perse in gioie sussurrate in grida di mercato
in fiori mazzi di ginestre e di colori
e gente alle finestre che saluta gente sconosciuta
che s’allaccia che s’abbraccia come per un
ballo intorno ad un falò di maggio come per un
girotondo intorno a un faggio
e tra i capannelli di motivi e spiegazioni
urla ognuno la sua storia piena di ragioni
con i volantini in mano come fazzoletti
tra le sciarpe ed i maglioni volano progetti
e nessuno vuole andare via e la piazza è come
per un bambino una pozzanghera e ci sguazza
passa un camion sfiora una lambretta e come una
staffetta va sotto balconi strombazza nei portoni
e poi corre lungo i viali e si unisce agli altri carri
luccicanti come inchiostri ora sono nostri
ora sono nostri

e su quei volti allora noi ritroveremo
che quel che abbiam sperato e quel che credevamo
e come non veder nelle felicità
che nasca naturale un’altra società
e mentre noi saremo lì a passeggiare
moglie ti abbraccerò e ti vorrò baciare
io riprendo un volantino e come un canto
io ripeto ha vinto il popolo ha vinto
ha vinto ha vinto il popolo ha vinto

ANNA, LA TERRA E L’ACQUA
Anna la terra e l’acqua vivi se le conosci
Franco il carbone e il ferro vivi se non ti schiaccia
la casa ed il lavoro vive chi non te lo dà
la terra uccide e beve l’acqua che passerà

E l’hanno trovati che stavano abbracciati
e la baracca più non c’era e il letto era sfonnato
e si quarcuno dice che il fango ha sporcato
er vestito che c’aveva lei tu nun je crede’
lui la strigneva forte e je voleva bene
e c’è quarcuno poi che giura che strigneva forte lei
e che so’ morti come du’ antichi romani
come quelle statue a fango che poi vede’ nei musei
gente a bocca aperta come quanno cominciò a piove
l’eruzione del settantanove

Guardava Anna i cumuli di macchine sfasciate
ed i recinti ed i rintocchi delle martellate
e Franco ha il braccio duro e se può lui ride forte
garzone della vita che vive nella sorte
guardava Anna il viottolo e le fabbriche distanti
le moto la mattina che vanno li davanti
e Franco oggi è stanco e li più non ci torna
una 600 è venuta giù a mezzogiorno
e crolla tutto e il campo è già un pantano
se il fiume sale e l’acqua cresce nera
Anna non guardare più lontano non andar tranquilla nella sera
che l’argine è terra morta e terra senza semi
vive delle impronte che lasciano i cani
ma Anna guarda il viottolo e le fabbriche distanti
e i campi di cicoria che vi facevan stanchi
ed il trifoglio che restava in mano
coriandoli che tiri a chi ti lega
ti fanno un poco cieca un poco allegra
ti fanno un poco cieca un poco allegra

E l’hanno ritrovati e c’è chi non parlava
la moto riprendeva e via se ne riandava
le fabbriche la sera come fattucchiere
che mischiano gli amori nell’aria senza luce
col legno ch’è rimasto non ha saputo altro
che mettere una croce

BIGLIETTO DI RITORNO
Senza neanche metter le sirene son venuti
poliziotti calabresi lavoravano e parlavano insieme
e il cronista già impaginava una storia misteriosa di follia isolana

la città isolava la follia nella sua cronaca cittadina
con in braccio una bambina una vicina raccontava
con in braccio una bambina una vicina raccontava

E tornato a casa come avesse già il biglietto di ritorno
salì le scale come fosse la sua sosta a mezzogiorno
con i conti in tasca a rigirare come una commessa stanca
licenziato ancora e si sedette piano sulla panca
mandò via la donna con una fragile scusa
e una frase dolce come preparasse una sorpresa
abbracciò i figli come fosse il loro compleanno
li lavò alla bacinella come se aspettassero il nonno
due camicie bianche e li vestì come la prima comunione
preparò una cena con gli avanzi della colazione
e giocò con loro con la palla e con la borsa da spesa
e li addormentò facendo il verso della cornamusa
e pulì dal tavolo una macchia di latte rappresa
chiuse la finestra con il gesto esatto alla fresa
e piegò il vestito nero quello della processione
si distese a terra nudo sopra un letto di cartone
aspettò tranquillo fuori che Milano annerisse il giorno
e aprì il gas come fosse il suo biglietto di ritorno

ZUPPA DI GEMONA
La leggenda popolare già ce lo racconta
la prima scossa fu feroce come un’onda
ma la seconda scossa cominciò a tremare
quando l’elicottero da Roma volle atterrare

L’elicottero mandava ordini precisi
nostalgie del Carso, nostalgie del fronte
e i suoi dispacci eran secchi ma concisi
«il fuochista dorma pure ma le macchine sian pronte»
L’elicottero chiamava le gru dalle rimesse
le piastre inossidate i magli delle presse
i contatori bip i macchinari chic
i cingoli d’acciaio e le lamiere spesse

L’elicottero diceva nei campi la gente è brava
ha l’osso del collo rotto ma guarda se la cava
l’elicottero diceva nei campi la gente è buona
e la mensa regalava due minestre per persona

L’elicottero scaricò roba dalla prima sera
invece di cuscini tanti cuscinetti a sfera
invece di coperte tanti copertoni
invece delle radio tanti radiatori

L’elicottero diceva e ricordava sempre
alle case noi tendiamo e invece dava tende
l’elicottero diceva e ricordava sempre
settembre tutti a casa ma un vecchio vide il mare
per la prima volta un giorno di dicembre

Ma come salvar ‘sti paesi
e quei montanari rudi e orgogliosi
io un idea ce l’avrei (ma va!)
diceva un’alta autorità
il turismo ci salverà
qualcosa che piaccia ai tedeschi
qualcosa che tiri i turisti
cucina paesana!
cucina friulana!
una gastronomica specialità
la guida Michelin ci aiuterà

E allora se nei campi la minestra è buona
forza trombettiere il rancio suona
chi non mangerà la zuppa di Gemona
chi non mangerà la zuppa di Gemona...

AMBULANZA
L’ambulanza che ronza che avanza
stavolta ti scansa il telo sdrucito che copre
che scopre un corpo d’avanzo una sbronza una danza
fidanzati presto che muori attrappito la forza che scappa
impara qual è la tua mappa
ancora un reparto uno scarto un infarto
ancora una rete un magnete un diabete
vivete e aspirate vinile e cloruro
fate le code di rospo e mercurio
stringiti forte la donna-scongiuro
e poi tracannate il vino-spergiuro
dal primo bicchiere alla pozza nel muro
fate tarocchi sul vostro futuro
ancora padrone pallone pensione
ancora una scocca Rocca biccocca
sabato chiacchiera e poi partitina
la brillantina e dopo schedina
schedala in fredda la festa che aspetta
schedaia che poi lunedì
la gente che stringe che spinge
che allarga le braccia la marcia la caccia
e va nello scontro nel forno d’intorno
e corre da chi gli inventa il suo giorno
e corre s’affretta e poi s’arrabatta
impara qual è la sua tratta
ancora barriera corriera carriera
ancora una latta cataratta ciabatta
e poi il sonno che frega ti sfregia da strega
stanchezza t’imbratta ti tratta da matto
tua moglie che scatta che accatta una cena
che attacca una scena che volta la schiena
che tace che pensa che ascolta
impara qual è la sua multa
ancora calzone passione finzione
ancora addosso più spesso dappresso
levati lavati vattene via
ma levati lavati resta distante
ruba un brillante picchia un passante
pensane una fra tante
e poi grida da scemo da freno da astemio
grida da scemo da freno da astemio...

A CASA, A CASA
A casa, a casa 6.30 esatte
a casa, a casa via dalla notte
e la notte è già luce del bagno
un sapone di calce e stagno
e la calce è già muro in cucina
la cucina si squaglia nel latte
ed il latte è gia sveglia profonda
lei ti guarda sembra nasconda
la tua casa e poi, dietro, la porta

dov’è che finisce la porta
dov’è che comincia la strada
dov’è che la strada dovunque essa vada
che poi ridiventa portone
dov’è che il portone si sdraia a scalino
e le scale s’allargano a stanze
dov’è nella stanza la sedia che siedi
dov’è che poi appoggi i tuoi piedi
e i piedi diventano tavolo e foglio
e il foglio diventa rumore
dov’è che il rumore diventa una voce
e tremore diventa scrittura
e la scrittura diventa una macchia
la macchia s’allarga col tempo
dov’è che il tuo tempo diventa un’attesa
la stessa che imbocca le scale
e la scala si drizza a portone
e il portone si sdraia per strada
dov’è che la strada dovunque essa vada
che poi ridiventa la porta
dov’è che finisce la porta, e sei

ancora a casa, ancora a casa
la casa diventa una donna, la donna spalanca la bocca
la bocca diventa una mano, la mano che stringe la brocca
e gratti gratti piatto e forchetta
prima che nasca una frase prima che
una domanda cada come un’accetta
e ogni sguardo sia promessa disdetta
prima che ancora qualcuno si lagni
ma già il giornale è un tappeto di ragni
e il discorso diventa una treccia
una freccia che ti sfiocca in testa
e la testa si squaglia nel fumo
di una cicca affilata a rasoio
e il rasoio già si gonfia nel viso
e il viso si schiaccia allo specchio
e lo specchio si schiaccia nel letto
e il letto è già nero di sonno
e mentre il sonno comincia a dormire
tu riesci solo a pensare che sei
ancora a casa, ancora a casa
ancora a casa

TANTO PER CAMBIARE
E allora torna a casa e la famiglia è un fatto
pensa a come vivono e questo è un altro fatto
li manda a dormire come fosse un caporale
finisce di mangiare e poi cambia canale

E poi apre una stanza la stanza di una figlia
le spara alla tempia sotto la foto di famiglia
una ragazza a modo ma occhi e naso neanche belli
lui le cambia bocca l’espressione ed i capelli

E poi alla bambina spara con più fretta
alle elementari non ti danno retta
chi si accorgerà di te che non dici una parola
lui le cambia classe sezione e poi la scuola

E la polvere da sparo ha il suo strano aroma
ecco cambia stanza e spara al suo diploma
al figlio militare spara in un lampo
lo cambia da soldato a eroe morto sul campo

E alla moglie spara su su nella schiena
le spara col ricordo fresco di una cena
di quando la portava in giro per metterla in mostra
adesso lui le cambia la schiena in una lastra

E ancora cambia mira e adesso cambia mano
e piegando il braccio si spara da lontano
e il colpo che parte cambia traiettoria
e questo veramente cambia la sua storia

E il colpo che parte cambia traiettoria
e questo veramente cambia la sua storia
adesso è li sul letto e gli cambiano reparto
l’uomo che voleva cambiare: è vivo e non è morto

LA DIALETTICA (l’è un gran malanno)
E ho sempre il fiato grosso a salire le tue scale
ma oggi me ne accorgo c’è qualcosa d’anormale
prendi una sigaretta poi t’appoggi al davanzale
ma sì l’ho già capito tu m’hai fatto il funerale
«sai caro noi non fummo mai felici
prendimi un po’ di burro e alici
sai caro noi non fummo mai contenti
per Dio non trovo lo stuzzicadenti»

Per un po’ sto lì a guardarti maneggiare lo stecchino
poi mi cresce dentro un senso di violenza bruta
faccio dietrofront vado allo sgabuzzino
prendo gli strumenti e m’infilo anche la tuta
«sai cara io ho un mio temperamento»
affilo il coltello in un momento
«sai cara sarei triste a stare solo»
son pronti il cacciavite e il punteruolo

E il medico legale per un po’ non dice niente
poi alza il sopracciglio e dice forse ancora vive
«sergente scriva presto il corpo contundente
un martello dato trenta volte lì sulle gengive»
«e poi vorrei una cosa fosse chiara
quelli non sono denti ma è dentiera
vorrei che fosse messo anche a verbale,
le rate ero io a dover pagare»

Ma è così che noi dentisti siam vituperati
è cosi che noi dentisti siamo maltrattati
E sì che io prendo la gengiva un po’ infiammata
io ve la rendo rosa vellutata
io prendo un dente con un ascesso, anestetizzo questo processo
e se ne trovo qualch’altro compromesso,
so come fare per farvelo passare
io son la pietra molare
del momento sovrastrutturale
il mio lavoro ovvio è incisivo
vi fo ingoiare il boccone più cattivo
io sono l’omaso, sono l’abomaso
sono il prezzemolo e il rosmarino
io sono il cuoco e poi v’ingozzo
son la forchetta e il gargarozzo
perché perché perché perché perché perché
digerire è fondamentale
vabbè vabbè vabbè e vabbè
rimuginare vabbè ma deglutire
sono il bicarbonato dei bocconi amari
delle impiombature sono il campari
sono il rabarbaro perché in quella zucca
capiate è giusto quello che vi tocca
sono il rabarbaro perché in quella zucca
capiate è giusto quello che vi tocca

Dottore! ma io mi sveglio e a colazione appena alzata
mi mangio pane e burro ma è malata
la nazione, la televisione annuncia la stangata

niente oro incenso e m’apro quella birra,
mentre aspetto lo spaghetto pian pianino

con l’olio l’aglio e poi quel peperoncino
e la nostra è una bandiera a tre colori
bianco rosso e l’altro che si perde
anche ai semafori son tre
verde giallo e l’altro a più non posso
aspetto fino a che, aspetto fino a che
la caria arriva all’osso

Sbagliato! sbagliato! sbagliato!
è questo il dentista che ha parlato
e noi che al futuro siam protesi
e molto socialmente presi
al nostro congresso deontologico
abbiam deciso com’era logico
che ai padroni della dentiera
gliela faremo pagare nera
che ai padroni della dentiera
gliela faremo pagare nera
che ai padroni della dentiera
gliela faremo pagare nera
e il nostro motto certo sarà
anche se solo in via di ipotesi
Tesi antitesi e protesi!