Ho visto anche degli zingari felici |
Testi e musiche di Claudio Lolli Arrangiamenti e invenzioni strumentali di Danilo Tomasetta, Roberto Soldati, Roberto Costa, Claudio Lolli P1976 |
Ho visto anche degli zingari
felici (introduzione)
E' vero che dalle finestre non riusciamo a vedere la luce perché la notte vince sempre sul giorno e la notte sangue non ne produce, è vero che la nostra aria diventa sempre più ragazzina e si fa correre dietro lungo le strade senza uscita, è vero che non riusciamo a parlare e che parliamo sempre troppo. E' vero che sputiamo per terra quando vediamo passare un gobbo, un tredici o un ubriaco o quando non vogliamo incrinare il meraviglioso equilibrio di un'obesità senza fine, di una felicità senza peso. E' vero che non vogliamo pagare la colpa di non avere colpe e che preferiamo morire piuttosto che abbassare la faccia, è vero cerchiamo l'amore sempre nelle braccia sbagliate. E' vero che non vogliamo cambiare il nostro inverno in estate, è vero che i poeti ci fanno paura perché i poeti accarezzano troppo le gobbe, amano l'odore delle armi e odiano la fine della giornata. Perché i poeti aprono sempre la loro finestra anche se noi diciamo che è una finestra sbagliata. E' vero che non ci capiamo, che non parliamo mai in due la stessa lingua, e abbiamo paura del buio e anche della luce, è vero che abbiamo tanto da fare e non facciamo mai niente. E' vero che spesso la strada ci sembra un inferno e una voce in cui non riusciamo a stare insieme, dove non riconosciamo mai i nostri fratelli, è vero che beviamo il sangue dei nostri padri, che odiamo tutte le nostre donne e tutti i nostri amici. Ma ho visto anche degli zingari felici corrersi dietro, far l'amore e rotolarsi per terra, ho visto anche degli zingari felici in Piazza Maggiore ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra. Ma ho visto anche degli zingari felici corrersi dietro, far l'amore e rotolarsi per terra, ho visto anche degli zingari felici in Piazza Maggiore ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.
Agosto
Agosto, improvviso si sente un odore di brace. Qualcosa che brucia nel sangue e non ti lascia in pace, un pugno di rabbia che ha il suono tremendo di un vecchio boato: qualcosa che crolla, che esplode, qualcosa che urla. Un treno è saltato. Agosto. Che caldo, che fumo, che odore di brace. Non ci vuole molto a capire che è stata una strage, non ci vuole molto a capire che niente, niente è cambiato da quel quarto piano in questura, da quella finestra. Un treno è saltato. Agosto. Si muore di caldo e di sudore. Si muore ancora di guerra non certo d'amore, si muore di bombe, di muore di stragi più o meno di stato, si muore, si crolla, si esplode, si piange, si urla. Un treno è saltato.
Piazza, bella piazza
Piazza, bella piazza ci passò una lepre pazza, uno lo cucinò, uno se lo mangiò, uno lo divorò, uno lo torturò, uno lo scorticò, uno lo stritolò, uno lo impiccò e del mignolino ch'era il più piccino più niente restò. Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza... Ci passarono dieci morti i tacchi, e i legni degli ufficiali, teste calve, politicanti un metro e mezzo senza le ali, ci passai con la barba lunga per coprire le mie vergogne, ci passai con i pugni in tasca senza sassi per le carogne. Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza... Ci passò tutta una città calda e tesa come un'anguilla, si sentiva battere il cuore, ci mancò solo una scintilla; capivamo di essere tanti capivamo di essere forti, il problema era solamente come farlo capire ai morti. Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza... E fu il giorno dello stupore e fu il giorno dell'impotenza, si sentiva battere il cuore, di Leone avrei fatto senza, si sentiva qualcuno urlare "solo fischi per quei maiali, siamo stanchi di ritrovarci solamente a dei funerali". Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza... Ci passarono le bandiere un torrente di confusioni in cui sentivo che rinasceva l'energia dei miei giorni buoni, ed eravamo davvero tanti, eravamo davvero forti, una sola contraddizione: quella fila, quei dieci morti.
Primo maggio di festa
Primo maggio di festa oggi nel Vietnam e forse in tutto il mondo, primo maggio di morte oggi a casa mia ma forse mi confondo. E che titolo rosso oggi sul Vietnam e che sangue negli occhi della mia gente, e che cosa da niente oggi essere lì e morire senza il sole del Vietnam. Che sapore di morte oggi dal Vietnam ma forse è mio padre, mi confondo. Che sapore di sole oggi dal Vietnam ma forse è proprio il sole, qui, mi confondo. E confondo la testa col mondo e col Vietnam e confondo i miei occhi con i tuoi, e che titolo rosso oggi sul Vietnam ma forse è il tuo sangue, mi confondo.
La morte della mosca
Oggi è morta una mosca dopo avere volato tanti anni da sola bassa bassa su un prato. Un prato non è mai abbastanza grande perché una mosca ci si perda, ritrova sempre il suo cespuglio, il suo dolce odore di merda. Le mosche procurano noia se volano a schiera unita, da sole non danno fastidio, si schiacciano dentro due dita. Oggi è morta una mosca digrignando gli ultimi denti, subendosi l'ultima beffa, la morte appartiene ai potenti. Oggi è morta una mosca oh, mio dio che sfacelo! ronzare noiosamente tanto lontano dal cielo. Oggi è morta una mosca, crack! l'ultimo colpo di ali. Fortuna che noi siamo uomini, fortuna che siamo immortali. Oggi è morta una mosca, muriamola nel suo alveare insieme a tutte le altre onoriamola con un piccolo altare... Almeno però non si perda il senso degli ultimi stenti, alle mosche rimane la merda, il cielo appartiene ai potenti.
Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza, uno lo accarezzò, uno lo abbracciò, uno se lo baciò, uno lo consolò, uno lo tranquillizzò, uno lo rallegrò, uno molto lo amò, col mignolino ch'era il più piccino la notte passò.
Anna di Francia
Anna di Francia che arriva, Anna che ride, Anna che scherza, Anna che ascolta, che parla Anna che chiede, vuole sapere come andremo a finire la sera, Anna la piazza ti ama, ti ama con me. Anna racconta, l'ultima Francia com'era grigia, com'era triste, Anna racconta, il nuovo lavoro sempre camicie, solo camicie, Anna ti sembra di essere pazza Anna la piazza, la piazza ti ama con me. Anna che mi porta via e vuole bere, vuole parlare, s'infila in un'osteria forse stasera ha voglia di amore, Anna più bella, più bella che pazza Anna la piazza, la piazza ti ama con me. Anna troviamo tanti amici, uno comincia la discussione, sono momenti quasi felici, Anna mi guarda faccio il buffone "E dove sarà la cultura operaia?" Anna che scuote la testa e dice di no. Anna non vive, è da sola si è già stancata di prenderci in giro "E Luigi IX è un coglione, l'alternativa nella cultura non è solo ideologia l'alternativa è organizzazione" Anna si arrabbia, basta parlare, Anna si alza, andiamo via e mentre la strada mi fa perdonare c'è Anna che brinda alla sua anarchia, Anna imprendibile più di un momento, Anna dà un bacio alla piazza e poi se ne va.
Non sarò per te un orologio, il lampadario che ti toglie il reggiseno, quando è tardi, è notte e tu sei stanca e la tua voglia come il tempo manca. Non sarò per te un esattore di una lacrima ventuno volte al mese, non conterò i giorni alle tue lune per far l'amore senza rimborso spese. Non sarò per te solo lo specchio di una faccia che non cambia mai vestito, non sarò il tuo manico di scopa travestito da amante o da marito. Non sarò quel cielo grigio quel mattino, il dentrificio che fa a pugni con il vino, non sarò la tua consolazione, e neanche il padre del tuo prossimo bambino. Per questa volta almeno sarò la tua libertà, per questa volta almeno solo la tua libertà, per questa volta almeno la nostra libertà e la piazza calda e dolce di questa città.
Albana per Togliatti
C'è un compagno, altra generazione, che vuol bene ai matti, gira con un fazzoletto rosso e una foto di Togliatti che alza sulla testa, che alza verso il cielo. Poi sparisce e dopo un po' ritorna con un camioncino sopra, un'apparizione strana, c'è una damigiana piena del suo vino. A quel vino ci mettiamo sotto come a una cascata è così rosso, anche se è Albana non si beveva dal sessantotto... Se ne va che è ormai quasi mattino sicuro della linea "La sinistra vecchia e quella nuova, Togliatti stai tranquillo, le uniamo con il vino".
Ho visto anche degli zingari felici (conclusione)
Siamo noi a far ricca la terra noi che sopportiamo la malattia del sonno e la malaria noi mandiamo al raccolto cotone, riso e grano, noi piantiamo il mais su tutto l'altopiano. Noi penetriamo foreste, coltiviamo savane, le nostre braccia arrivano ogni giorno più lontane. Da noi vengono i tesori alla terra carpiti, con che poi tutti gli altri restano favoriti. E siamo noi a far bella la luna con la nostra vita coperta di stracci e di sassi di vetro. Quella vita che gli altri ci respingono indietro come un insulto, come un ragno nella stanza. Ma riprendiamola un mano, riprendiamola intera, riprendiamoci la vita, la terra, la luna e l'abbondanza. E' vero che non ci capiamo che non parliamo mai in due la stessa lingua, e abbiamo paura del buio e anche della luce, è vero che abbiamo tanto da fare e che non facciamo mai niente. E' vero che spesso la strada ci sembra un inferno o una voce in cui non riusciamo a stare insieme, dove non riconosciamo mai i nostri fratelli. E' vero che beviamo il sangue dei nostri padri, che odiamo tutte le nostre donne e tutti i nostri amici. Ma ho visto anche degli zingari felici corrersi dietro, far l'amore e rotolarsi per terra. Ho visto anche degli zingari felici in Piazza Maggiore ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra. Ma ho visto anche degli zingari felici corrersi dietro, far l'amore e rotolarsi per terra. Ho visto anche degli zingari felici in Piazza Maggiore ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.