Giovanna Marini


Giovanna Marini nasce a Roma nel gennaio 1937; si diploma in chitarra classica presso il Conservatorio Santa Cecilia della capitale. Poi frequenta all’Accademia Chigiana di Siena corsi di perfezionamento per chitarra classica tenuti da Andrès Segovia e per liuto e musica trobadorica dal maestro Pujol. Per tre anni suona con il complesso di musica rinascimentale Concentus Fidesque Antiqui. Il suo incontro con la musica popolare risale al 1964: ascolta il disco Canti del lavoro 1 e inizia a studiare e a riproporre canti popolari con Maria Teresa Bulciolu, prima al Folk Studio di Roma, poi entrando stabilmente nel Nuovo Canzoniere Italiano. Pubblica i dischi: Canti dell’Abruzzo - Lu picurare e Canti della Sardegna - La disispirata. Sempre nel 1964 partecipa a L'altra Italia, prima rassegna della canzone popolare vecchia e nuova ed è tra gli interpreti negli spettacoli del Nuovo Canzoniere Italiano Bella ciao e Ci ragiono e canto. Nello stesso anno durante il Folk Festival 2 a Torino canta, per la prima volta in pubblico, la sua ballata Vi parlo dell’America, che si impone come prima composizione vocale lunga (dura trenta minuti) ed articolata secondo vari modi di espressività vocale, dal talking blues al lamento italiano, alla melodia mediterranea. Nel 1967 dà vita allo spettacolo Con la chitarra, senza il potere. Seguono le ballate: Chiesa Chiesa del 1967, Lunga vita allo spettacolo, ovvero le doglie del teatro d’oggi - viva Voltaire et Montesquieu del 1968, la raccolta Controcanale del 1969 (che compone con lo pseudonimo Vitavisia), La nave - La creatora del 1970, La vivazione del 1971. Nel 1972 nasce la rappresentazione teatrale Fare musica. L’eroe, sempre del 1972, è un’opera per voci e strumenti ed è il primo tentativo di melodramma popolare. Seguono gli album La grande madre impazzita e Il processo del 1973-74, I treni per Reggio Calabria del 1975, Correvano coi carri del 1978 (tratto dall’omonimo spettacolo del 1976). Nel 1979 crea un quartetto vocale per il quale scrive, mescolando forme antiche e classiche a espressività nuove o etniche. Con il quartetto compie tournée in Germania, in Spagna e soprattutto in Francia, dove è una vera rivelazione per il pubblico e per la critica fin dal primo concerto al teatro Gérard Philippe di Saint Denis. Dal 1977 diviene insegnante di "uso della voce" alla Scuola Popolare di Musica del Testaccio a Roma, parallelamente svolge ricerche sulla grafia della musica etnica, inventando nuovi segni convenzionali destinati ad arricchire la possibilità espressiva della notazione musicale tradizionale. Giovanna Marini ha ampliato la notazione in qualcosa di più vivo e moderno. Nel suo articolo “Dalla trascrizione di un canto contadino alla composizione di un pezzo per quartetto vocale” tratto da Musica/realtà del dicembre 1982 l’autrice afferma: «... Lo spessore delle voci, i melismi accennati in gola, i quarti di tono, l’emissione in gola anziché con risonanza in maschera, tutto ciò esige un segno appropriato». Ovviamente le stesse osservazioni sono valide per gli strumenti popolari quali, ad esempio, «la zampogna, strumento che esige tre o quattro pentagrammi a seconda di quanti cannelli porta per poter segnare esattamente l’intonazione e la durata dei suoni». Questo lavoro attento, a cui Giovanna Marini si dedica da anni con passione, segna una svolta nella storia della musica, consentendo di consegnare finalmente ai posteri un bagaglio musicale che altrimenti sarebbe andato disperso. A tale scopo ha ‘inventato’ la rappresentazione grafica su carta millimetrata delle composizioni musicali popolari. Ha anche composto la musica di numerosi film, tra cui Porci con le ali di Pietrangeli, TerminaI di Breccia, Café express di Nanni Loy, Il sospetto, I tre operai e Avventura di un fotografo di Maselli, Io sono mia di Scandurra. Inoltre ha creato musica per il teatro: La scuola delle mogli (per la regia di Mattolini), I due sergenti e Il galateo di Monsignor della Casa (per la regia di Corsini) e per un teatro sperimentale dove la musica ha una funzione protagonistica: Funerale, il cui testo è di Lerici e la regia di Quartucci, Pentesilea di Kleist (regia di Quartucci). Il Ministero della Cultura francese le commissiona l’opera Il regalo dell’imperatore, che debutta ad Avignone nell’estate del 1983 al Festival internazionale del Teatro e viene replicata per un mese e mezzo al teatro "Bouff e du Nord" con un tutto esaurito costante. L’opera è la prima nel suo genere: quattordici strumenti a fiato sul palcoscenico, una percussione, venti cantanti con voci naturali etniche, un baritono ed un soprano. L’opera è diretta dalla stessa Marini che la commenta facendo le veci del narratore. Nel 1985 il Festival di Musica di Saint Denis le commissiona il Requiem delle cinque stanze, altro notevole successo; Giovanna Marini collabora anche alla rivista Il Nuovo Canzoniere Italiano. Accanto alla produzione discografica italiana non vanno dimenticati gli album composti per Chants du monde: Cantate de tous les jours del 1980, Giovanna Marini del 1982, Le cadeau de l’empereur del 1984, Pour Pier Paolo, dedicato a Pasolini, del 1984. Nel maggio 1990, dopo una tournée a Parigi, Roma, Marsiglia, presenta al Teatro Franco Parenti di Milano Cantata profana per quattro voci, un’opera particolarmente intensa composta da “Canti di tradizione orale e nuove partiture scritte da Giovanna Marini”. Oltre all’autrice ne sono interpreti Silvia Marini, Lucilla Galeazzi e Patrizia Nasini. Nella nuova opera s’incontrano i due mondi ideali dell’artista: quello classico e quello popolare che da sempre convivono nella sua anima.

Giovanna Marini è musicista. Giovanna Marini è cantante politica. Giovanna Marini è, infine, ricercatrice. Ma in ognuna di queste definizioni il ruolo di Giovanna Marini è affatto particolare. E ciò che sovraintende a questa particolarità è la reinvenzione del tutto originale di questi ruoli ormai ‘normalizzati’ nella cultura degli anni ‘60-’70. Il musicista è infatti quello chiuso nei suoi conservatori e nelle sue sale da concerto, quello di cui si occupa la critica ufficiale, quello che viene da Darmstadt o magari addirittura dagli Stati Uniti. Oppure è lo strimpellatore di chitarra d’accompagnamento, o il pianista da piano-bar, il musicista per poesia, potremmo definirlo. Il cantante politico è l’anonimo (o gli anonimi) espresso dalle lotte delle masse. Oppure è il generoso divulgatore di slogan in do/sol 7. Il ricercatore è il geloso maniaco del magnetofono, il professore universitario con giuste ambizioni filologiche. Oppure il furbo saccheggiatore di musiche popolari per americani in cerca di emozioni esotiche. La Marini è invece musicista nel senso che ogni sua ballata riecheggia in continuo una consuetudine non episodica con la musica colta’ del passato, e soprattutto quella grande stagione della musica italiana che va da Palestrina a Monteverdi. Ma mai per riferimenti sicuri; piuttosto, vorremmo dire, per aver assorbito, quasi senza avvedersene, questa musica. E per essere, nel comporre, sempre attenta alla costruzione, alla melodia come all’armonia, come (segno di indubbia cultura musicale) al timbro e al ritmo. Il procedere delle sue ballate lunghe è continuamente spezzato senza però che l’unità venga meno: le ballate della Marini (anche quelle semplici per voce e chitarra) non sono una sequela di tanti brani, ma nemmeno l’alternarsi banale di strofa-ritornello-strofa tanto caro alla canzonetta in serie. Sono invece un continuo nascere di idee armonico-melodiche che si incastrano le une sulle altre senza stanchezza. E l’uso della voce, infine. La Marini anche in questo si dimostra musicista: la voce (e la sua voce, poi, splendidamente modulante dal contralto al soprano) è uno strumento; i testi sono importanti, ma importante è anche il loro veicolo, un veicolo appunto tutto musicale. E dunque la voce canta spiegata, urla, parla metricamente, parla normalmente e, infine, ‘svola’. Ma sullo svolo torneremo. La Marini è cantante politica. E, anche in questo caso, la sua musica non è un accompagnamento di slogan, non fornisce una visione piatta e generica, o trionfalista e retorica, delle lotte, della società, della battaglia socialista. E, invece, all’interno di una battaglia politico-culturale decisamente orientata, piena di contraddizioni, di slanci, di analisi più che di sintesi, di mediazione più che di registrazione, di riflessione più che di semplice testimonianza o colonna sonora delle lotte. La canzone politica di Giovanna Marini è, nel bene e nel male, assolutamente inimitabile: è la commistione di impegno politico, ironia dell’intelligenza, raffinata cultura musicale. Nel bene e nel male perchè non si vuole con questo dare un giudizio nel merito della produzione della Marini, ma evidenziarne l’originalità e intelligenza del metodo. E infine ricercatrice. Ma anche qui a modo suo. La Marini più che ricercare per ricercare o per ricreare, ricerca per radicarsi da qualche parte: tutto quello che sente, che capisce, che chiede e le viene risposto, dove ancora si fa musica popolare, è vano ricercarlo nelle sue composizioni, è facile invece trovarlo come substrato culturale in tutta la sua produzione. Nè il mestiere di ricercatrice le impedisce, spesso, con la solita ironia dell’intelligenza, di inventare veri e propri moduli popolari. Tale è il caso dello ‘svolo’. Nella canzone popolare del Povero Antonuccio, nel finale, mentre un altro cantante continua la melodia normale, la Marini improvvisa un lamento, svisando con la voce (svolando, appunto) quasi a imitare il pianto lamentoso delle prefiche. La teoria dello svolo è, in realtà, un’invenzione della Marini stessa. Il che non le impedisce, peraltro, di usare lo stesso procedimento nella canzone su Pasolini (Persi le forze mie, persi l’ingegno). Ma l’invenzione di canzoni o moduli popolari è nella Marini qualcosa di diverso dal divertissement, dall’operazione snobistica dell’intellettuale sulla ‘cultura inferiore’. È invece dimostrazione di quanto attuale e presente possa essere ancora la musica ‘altra’, contrariamente a quanto sostengono coloro che la vogliono morta per averne, sotto vetro, le spoglie imbalsamate. E inoltre, in Giovanna Marini, è prova di una convinzione teorica profonda: che non esistono forme musicali ‘altre’ che nascano dal nulla e che sarebbe, contemporaneamente, delittuoso affidare al ‘già detto musicale’ la veicolazione di messaggi nuovi. In questo senso i pastiches di Giovanna Marini sono compenetrazioni di stili i più vari che, variamente accostati, amalgamati e rivisitati, tendono a dare un messaggio univoco, non subordinato alla povertà strumentale nè a quella testuale, ma anzi in grado di valersi della ricchezza sia testuale che strumentale, sia armonica che ritmica, per dare non già autorità ma pienezza culturale al messaggio. Nella Marini non è difficile rintracciare “in riassunto liberamente rivisitato”: il madrigale di Marenzio, la canzone profana medievale, la musica strumentale barocca, l’opera italiana, il valzer viennese, la modalità contadina dell’italia meridionale, e si potrebbe continuare (persino il cromatismo wagneriano potrebbe entrarci). Il tutto fuso e variamente emergente (e a volte assente, beninteso) a fornire saldezza musicale: tanto che, qualcuno potrebbe obiettare, la musica della Marini rischia di esulare dalla canzone politica così come oggi la intendiamo. Ma sarebbe, ci pare, assai riduttivo porre in questi termini la questione. Sarebbe come affermare che la canzone politica ha, come dato distintivo, la rozzezza musicale. Contio questa teoria basterebbe, crediamo, la sola Reggio Calabria, in cui il tessuto musicale fa da sostegno (quasi inosservato, separato dal testo) a parole di inequivocabile politicità, con un risultato finale di grande ‘emozione’. Nè del resto siamo d’accordo con Piero Nissim quando sostiene che l’unica canzone politica esistente è quella legata strettissimamente alla lotta e cantabile da tutti: quella infatti è, più propriamente, un aspetto (fondamentale) della cultura operaia oggi, è una questione di ricerca urbana, accanto alla quale però esiste un livello di riflessione (i termini “più giusta”, “meno giusta” non hanno significato) e di elaborazione più articolata che richiede, di necessità, l’intervento dell’intellettuale. Questo compito di riflessione lo svolge, oggi, Giovanna Marini assieme ad altri: è un compito di intelligente ricerca e di intelligente creazione, di impegno politico e culturale.

La discografia