Il distacco: quando un amore finisce
Perchè una storia finisce
Le riparazioni sagge, valide, al trauma
della separazione
Le storie d’amore possono finire.
Poco male quando la cosa succede da entrambe le parti e ci
si lascia di comune accordo. Quando invece si è lasciati,
allora non è più un semplice dolore: l’angoscia
di essere abbandonati può divenire una vera malattia,
una frattura che spezza la vita in due (prima e dopo l’abbandono),
lasciando svuotati e confusi.
Anche biochimicamente le cose cambiano
nell’organismo: durante l’innamoramento si ha
un aumento della produzione di endorfine e di feniletilamina
(con conseguente senso di benessere, euforia, vitalità
e desiderio sessuale); quando la relazione finisce, per contro,
si ha un crollo dei livelli di queste sostanze (con conseguente
ansia, apatia, senso di frustrazione, irritabilità...).
Che fare?
Bisogna riuscire a convertire la "separazione-frustrazione"
in "separazione-operazione attiva"; che vuol dire
alcune cose come:
concedersi un giusto "periodo
di lutto" (un tempo adeguato per poter elaborare l’infelicità)
farsene una ragione (trovare una spiegazione,
capire, e apprendere dall’esperienza della perdita)
prendere l’iniziativa, affrontare
la situazione, piuttosto che lasciarsi andare, autodistruggersi...
adottare la filosofia (dell’antica
Cina) "può essere una disgrazia, può essere
una fortuna"
viversi il tempo come alleato per cicatrizzare
la ferita
far leva sulle forze residue per prendere
in mano la situazione, accettando l’evento traumatico
come una sfida, verso ulteriori traguardi possibili, poiché
"la vita continua ", ed è l’unica che
abbiamo.
Perché una storia di coppia
finisce, un amore muore, un matrimonio finisce?
Si possono cercare molte spiegazioni
e trovare molte griglie di lettura: ma è importante
capire, è rilevante - per apprendere dall’esperienza
- analizzare alcune ipotesi di ricerca dell’evento "separazione".
Fra i molti approcci possibili, se ne propongo tre: uno d’ispirazione
psicanalitica, l’altro più legato alla ricerca
empirica, il terzo - infine - di tipo storico-evolutivo.
Approccio d'ispirazione psicanalitica
Si può sottintendere l’idea
che la disfunzionalità della coppia sia da collegare
a immaturità evolutiva, o a vera e propria patologia,
per il prevalere dei giochi inconsci nel rapporto; ecco brevemente
la tipologia mutuata da questa ottica:
Il primo tipo di relazione è
la cosiddetta "collusione narcisistica". In questo
rapporto l’amore è inteso prevalentemente in
funzione simbiotica, "amore come essere uno", e
comporta abitualmente un partner schizoide. L’unione
simbiotica è un rapporto sado-masochista (dove il più
forte fagocita il più debole) e in cui va perduta l’identità
e la "noità" della coppia (l’essere
noi). La relazione matura comporta invece una unione nella
distinzione, il rispetto dell’altro come distinto, l’accettazione
della diversità, ecc.
Un secondo tipo di relazione è
la cosiddetta "collusione orale": qui l’amore
è concepito come "aver cura dell’altro".
E’ un amore di tipo materno, che comporta un partner
a struttura depressiva, autodenegantesi. L’amore maturo
invece è caratterizzato da mutualità, reciprocità,
essere contemporaneamente soggetto e oggetto nella relazione;
non solo capacità di dare, ma anche di ricevere.
Un terzo tipo di relazione è
la cosiddetta "collusione sadico-anale". Qui l’amore
è inteso come possesso totale; l’oggetto dell’amore
è considerato proprio dominio e tenuto continuamente
sotto il proprio controllo. Questa relazione comporta un partner
a struttura ossessiva. L’amore maturo invece è
caratterizzato da libertà, autonomia, fiducia. Mutualità,
interdipendenza reciproca di due soggetti indipendenti e liberi.
Un quarto tipo di relazione è
la cosiddetta "collusione fallico-edipica" dove
l’amore è vissuto soprattutto come autoaffermazione
antagonista (virile) e il partner è vissuto sostanzialmente
come rivale e luogo della propria affermazione. Questa relazione
contempla un partner a struttura isterica.
L’amore maturo è caratterizzato
invece da solidarietà, compartecipazione, parità
di possibilità di autorealizzazione al cento per cento.
Senza eccessiva competitività. La mancata evoluzione
verso un rapporto d’amore più maturo può
condurre alla crisi di coppia; le tecniche per rimettere in
movimento la maturazione bloccata (ove ciò è
possibile) si rifanno alle varie metodologie d’intervento
e alle varie scuole di psicologia.
Approccio legato alla ricerca empirica
In questo approccio, più legato
alla ricerca empirica, è sottintesa l’idea che
molto spesso le relazioni falliscano perché la scelta
è stata fatta in base a quello che conta di più
nell’immediato e non a quello che conta di più
nel lungo periodo.
Sternberg, Professore di psicologia
e pedagogia a Jale, ha teorizzato, suffragato da alcune sue
recenti ricerche, un concetto di amore completo, sulla base
di tre componenti fondamentali: l’impegno come componente
cognitiva, l’intimità come componente emotiva
e la passione come componente motivazionale dell’amore.
Si può visualizzare l’amore come un triangolo
in cui quanto maggiori sono impegno-intimità-passione,
tanto più grande è il triangolo e più
intenso l’amore.
Da questa teoria scaturisce una tipologia
collegata alla combinazione dei tre diversi fattori, dando
luogo a otto possibili tipi di relazione.
La prima è "l’assenza
di amore": tutte e tre le componenti mancano; è
la situazione della grande maggioranza delle nostre relazioni
personali, casuali o funzionali.
Il secondo tipo è la "simpatia".
C’è solo l’intimità, si può
parlare con una persona, parlare di noi, ci si riferisce ai
sentimenti che si provano in una autentica amicizia e comporta
cose come la vicinanza, il calore umano (ma non i sentimenti
forti della passione e dell’impegno).
Il terzo tipo è "l’infatuazione":
quando c’è solo la passione. Quell’amore
a prima vista che può nascere all’istante e svanire
con la stessa rapidità. Vi interviene una intensa eccitazione
fisiologica, ma senza intimità o impegno. La passione
è come una droga, rapida a svilupparsi e rapida a spegnersi,
brucia alla svelta e dopo un po’ non fa più l’effetto
che si voleva: ci si abitua, arriva l’assuefazione.
"L’amore vuoto" è
il quarto tipo di relazione, dove l’impegno è
privo di intimità e di passione: tutto quello che rimane
è l’impegno a restare insieme. Un rapporto stagnante
che si osserva talora in certe coppie sposate da molti anni:
un tempo c’era l’intimità, ma ormai non
si parlano più; c’era la passione, ma anche quella
si è spenta da un pezzo.
"L’amore romantico"
è una combinazione di intimità e di passione
(tipo Giulietta e Romeo). Più di una infatuazione,
è vicinanza e simpatia, con l’aggiunta dell’attrazione
fisica e dell’eccitazione, ma senza l’impegno,
come un’avventura estiva che si sa che finisce.
"Amore fatuo" è quello
che comporta la passione e l’impegno, ma senza intimità.
E’ l’amore da fotoromanzo: i due si incontrano,
dopo una settimana sono fidanzati, e dopo un mese si sposano.
S’impegnano reciprocamente in base all’attrazione
fisica., ma dato che l’intimità ha bisogno di
tempo per svilupparsi, manca il nucleo emotivo su cui può
reggersi l’impegno. E’ un tipo d’amore che
di solito non dà buon esito nel lungo periodo.
"Sodalizio d’amore"
è chiamato un rapporto d’intimità e impegno
reciproco, ma senza passione. E’ come un’amicizia
destinata a durare nel tempo. Quel tipo di amore che spesso
si osserva nei matrimoni dove l’attrazione fisica è
scomparsa.
Infine quando tutti e tre gli elementi
si combinano in una relazione, abbiamo quello che Sternberg
chiama "amore perfetto o completo". Raggiungere
un perfetto amore, dice quest’autore, è come
cercare di perdere un po’ di peso, difficile ma non
impossibile; la cosa davvero ardua è mantenere il peso
forma una volta che ci si è arrivati o tenere in vita
un amore completo quando lo si è raggiunto. E’
un compito aperto, non una tappa raggiunta una volta per tutte.
In questa visione, l’indice più valido per predire
la felicità di una relazione è dato dalla consonanza
tra triangolo ideale passivo (i sentimenti che si desiderano
dall’altro) e il triangolo percepito (i sentimenti che
si presuppongono dall’altro). La relazione tende a finir
male se non c’è corrispondenza tra quello che
si vuole dall’altro e quello che si pensa di riceverne:
chiunque ha amato senza essere ricambiato altrettanto, sa
quanto può essere frustrante. Alle volte si potrebbe
consigliare di ridurre le proprie aspettative e diminuire
il proprio coinvolgimento: ma è un consiglio difficile
da seguire. In USA metà dei matrimoni finiscono in
divorzio e anche chi non divorzia non è detto che viva
in una coppia molto felice. La gente è davvero così
stupida da fare sempre la scelta sbagliata? Probabilmente
no: il fatto è che sceglie troppo spesso in base a
quello che conta di più nell’immediato. Ma quello
che conta nel lungo periodo è diverso: i fattori che
contano cambiano, cambiano le persone e cambiano le relazioni.
Nella ricerca fatta sui fattori che
tendono a diventare più importanti con l’andare
del tempo, si sono rilevati questi tre:
la disponibilità a cambiare
in funzione delle esigenze dell’altro la disponibilità
ad accettare le sue imperfezioni la comunanza di valori, specie
quelli religiosi.
Queste sono cose che è difficile
giudicare all’inizio di una relazione: l’idea
che l’amore vinca tutti gli ostacoli è molto
romantica, ma poco reale. Quando si devono prendere delle
decisioni, quando arrivano i figli e si devono fare alcune
scelte, una cosa che sembrava poco importante, lo diventa.
Altri fattori invece nel lungo periodo diventano secondari:
come l’idea che l’altro sia "interessante"
(all’inizio c’è il timore che se cala l’interesse
la relazione svanisce). In realtà quasi tutto tende
a diminuire col tempo (nelle coppie studiate statisticamente):
calano la capacità di comunicare, l’attrazione
fisica, il piacere di stare insieme, gli interessi in comune,
la capacità di ascoltare, il rispetto reciproco, il
trasporto romantico... può essere deprimente, ma è
importante fin dall’inizio sapere che cosa aspettarsi
col tempo, avere aspettative realistiche circa quello che
si potrà ottenere e quello che finirà con l’essere
più importante a lungo andare.
Cosa fare allora per migliorare un
rapporto di coppia?
Sternberg propone un ultimo triangolo:
quello dell’azione. Spesso c’è un bel salto
fra pensiero, sentimento e azione. Le nostre azioni non sempre
rispecchiano i nostri sentimenti, per cui può essere
utile sapere quali atti sono specificamente associati alle
varie componenti dell’amore.
La passione richiederà il contatto
fisico, la sessualità, la varietà e non la monotonia
dei comportamenti sessuali. L’intimità richiederà
la comunicazione dei propri sentimenti interiori, l’offerta
del sostegno emotivo, la condivisione del proprio tempo e
delle proprie cose. L’impegno, infine, comporterà
il fidanzamento, il matrimonio, la fedeltà, la capacità
di superare i momenti difficili, la capacità di trovare
un valido compromesso nelle diverse legittime esigenze ed
aspirazioni.
E’ importante esprimere l’amore
nei comportamenti perché il modo in cui ci comportiamo
plasma i nostri modi di pensare e di sentire, forse non meno
di quanto ciò che pensiamo e proviamo plasma le nostre
azioni (se non agisci come pensi, finirai per pensare come
agisci). Inoltre certe azioni portano ad altre azioni: le
espressioni d’amore dell’uno influiscono su ciò
che l’altro pensa di lui (sui sentimenti e sui comportamenti
dell’altro nei suoi confronti) dando luogo così
ad una serie di azioni che si rinforzano a vicenda. E’
necessario dare importanza alle espressioni d’amore.
Senza espressione anche il più grande amore può
morire.
Approccio Storico-Evolutivo
Questo approccio, per capire la crisi
di coppia, è stato sviluppato dal Prof. Mario Bertini
dell’Università di Roma.
L’idea che guida questa analisi
è che la coppia tradizionale spesso entra in crisi
e può morire a motivo della forte contrattualità,
statica e consumistica, che sta al fondo di questa relazione:
un disegno di norme latenti che modellano con forte direttività
la relazione stessa.
Bertini fa notare che storicamente,
superato il modello di tipo vittoriano dell’epoca precedente
(rigidità dei ruoli e soggezione globale della donna),
tra le due guerre, si è venuto affermando un modello
apparentemente (e in parte obiettivamente) liberatorio, ma
portante alla base, filtrata attraverso le varie ideologie
post-freudiane e il consumismo capitalistico di ispirazione
nord americana, una contrattualità implicita bloccante
e mortificante.
E’ la cultura romantica dei fiori
bianchi, dell’abito bianco di nozze, della fedeltà
reciproca a tutti i costi, della felicità di stare
insieme... (concomitantemente a questo mutamento di prospettiva,
e apparentemente in modo contraddittorio, aumenta la conflittualità,
la coppia è sempre più in crisi). E’ come
se la coppia dicesse: "Dopo tanto laborioso cammino,
finalmente siamo approdati a questo meraviglioso giardino
recintato dove tutto si può godere. Protetti dal nostro
amore e dalla consistenza del contratto. Il compito che ci
sta davanti è finalmente quello di godere "consumando"
insieme tutto quello che ci viene chiesto è di rispettare
le regole di non uscire dal recinto e di sacrificarsi l’un
l’altro, sicuri che l’amore riuscirà a
far superare ogni ostacolo".
E’ un atteggiamento di base dettato
dal consumismo imperante nella cultura odierna. E’ una
visione statica, "di morte", ispirata all’ideologia
del mercato che fa del matrimonio (invece che una fase cruciale
per lo sviluppo della persona), un punto di stasi, entro cui
godere e consumare dei vantaggi acquisiti.
Quali sono queste norme contrattuali
implicite nella relazione tradizionale? O. Neill le indica
così:
1^ norma - possesso o proprietà
del partner: marito e moglie sono reciprocamente vincolati
nel "tu mi appartieni". E’ una concezione
tipicamente statica del rapporto, dove le tentazioni simbiotiche
riaffiorano, mortificando in vario modo la realizzazione personale.
2^ norma - denegazione del proprio
sé. Al contratto insensibilmente si finisce per sacrificare
la propria identità personale: "Sono pronto a
sacrificarmi per te, a rinunciare a questa mia esigenza a
vantaggio della nostra unione"; sembrerebbe altruismo
e generosità, invece è una concezione di morte
ad ispirare questa norma. Il solco che separa masochismo e
altruismo è sottile, ma profondo è il baratro
sotteso. Chi si dispone a coartare, a sacrificare la propria
identità e il proprio bisogno di realizzazione, forse
riuscirà a salvare formalmente la propria unione, ma
preparerà l’atrofia dell’unione stessa.
L’altro cresce non nella misura in cui l’uno si
sacrifica, ma nella misura in cui si realizza nel rapporto
stesso.
3^ norma - mantenimento del fronte-coppia.
"Come gemelli siamesi noi dobbiamo sempre apparire come
coppia". Il matrimonio in sé diventa la carta
d’identità, come se uno non esistesse senza di
esso.
4^ norma -comportamento rigidamente
ispirato al ruolo. I compiti e le prestazioni varie sono predeterminate
dagli stereotipi di mascolinità e femminilità.
L’alibi del ruolo serve così a eludere il rischio
di una implicazione interpersonale più profonda.
5^ norma - fedeltà assoluta.
Fisicamente e psicologicamente obbligante, mediante coercizione
morale, se non fisica, piuttosto che frutto di libera scelta
e di maturazione.
6^ norma - esclusivismo totale. "Lo
stare insieme ad ogni costo e sempre, anche se forzato, finirà
per salvaguardare l’unione, qualunque cosa accada".
Questa cappa di normatività
estrinseca, al servizio di un intimismo consumistico, va smascherata,
perché prepara la stasi, la morte della coppia. Va
affermata invece una visione del matrimonio di tipo evolutivo,
come tappa di sviluppo, non come traguardo definitivo (NB:
bisogna "investire" meno nel matrimonio).
Ci sono due concezioni dello sviluppo
della personalità: una impostazione per così
dire "accrescitiva" di sviluppo, (di significato
passivo), conservatrice e sostanzialmente statica. Il bambino
è concepito come un uomo in miniatura e lo sviluppo
un fenomeno statico lineare di crescita di una struttura che
sostanzialmente è identica a sé stessa, si muove
solo nel senso di un accrescimento quantitativo. In contrapposizione
a questa posizione accrescitiva si è venuta affermando
una visione dinamica dello sviluppo della personalità,
intesa come un processo continuo di trasformazione e di evoluzione.
L’uomo quindi non si accresce, ma evolve; la sua legge
non è la statica prevedibilità, ma il cambiamento.
Lungo questa linea incessante di progresso si misura il cammino
agile della personalità verso la sua liberazione nel
senso del passaggio da situazioni di dipendenza (eteronomia),
verso forme sempre più evolute di autodeterminazione
razionale e creativa (autonomia).
Alla radice della logica conservatrice,
accrescitiva, si nasconde la paura come molla che blocca il
progresso della persona. Paura di lasciarsi andare fluidamente
nel gioco rischioso della libertà: paura di abbandonare
le vecchie certezze, paura di affrontare il vuoto senza rischiarsi
verso nuovi orizzonti creativi. Invece, molla traente della
prospettiva dinamica dello sviluppo è la speranza.
Speranza che dopo aver lasciato il braccio della madre (la
morte ha questa certezza), c’è la scoperta dell’autonomia.
Dopo la morte la risurrezione. Quella speranza che (come osserva
Erikson) "è la più precoce e indispensabile
virtù inerente allo stato di essere vivi". Quella
speranza che una volta stabilita come qualità "basica"
dell’esperienza, rimane viva anche indipendentemente
dalla verificabilità delle "speranze".
Il rischio liberante della innovazione
continua, sotto l’impulso della speranza, costituisce
quindi una prima chiave interpretativa importante per l’analisi
della coppia in crisi. A questo rischio si contrappone (nell’impostazione
statica-conservatrice) il "bisogno di controllo"
di sé stessi e degli altri.
L’evoluzione, la realizzazione
della persona, non si attua tuttavia nel vuoto: l’uomo
cambia ed evolve in un rapporto di coesione con gli altri.
Il bisogno di coesione è fondante lo sviluppo a patto
che avvenga nella dimensione della mutualità. La mutualità
può essere concepita come una relazione un cui due
membri dipendono l’uno dall’altro per lo sviluppo
delle rispettive potenzialità (interdipendenza). Questo
principio ci fa capire che non è tanto nella misura
in cui uno dà o si mortifica per l’altro che
l’altro cresce, ma nella misura piuttosto in cui uno
si "realizza" nel rapporto con l’altro, che
l’altro cresce. Il contrario della mutualità
è la pretesa che l’altro cambi senza il rischio
partecipativo del proprio cambiamento nel rapporto stesso.
Non ha senso dire: "ho la speranza che la mia donna sarà
più donativa", ma nella misura in cui rischiandomi
nel rapporto, io stesso divento più donativo, in quella
misura si cresce entrambi.
La garanzia quindi dello sviluppo sembra
fondarsi in relazioni di reciprocità, in cui al di
fuori di ogni logica prevaricatrice, la realizzazione di sé
passa attraverso la realizzazione dell’altro e viceversa.
Questo sono due chiavi normative ideali che possono innovare
profondamente il rapporto di coppia: accettazione della vita
come processo continuo di innovazione nella speranza e convinzione
che la crescita autentica non avviene se non nel rispetto
della mutualità. Accettazione della vita non come processo
statico di accrescimento, ma come processo dinamico di innovazione
nella mutualità: questa chiave di lettura ci consente
di prendere coscienza di ciò che è morto nel
modello tradizionale di relazione di coppia e di individuare
le linee emergenti di un significativo salto evolutivo. E’
in questa luce che andranno rivisti i concetti stessi di fiducia,
di sessualità, di ruolo, di uguaglianza nella coppia.
Ecco schematicamente alcuni rimedi
suggeriti per chi vive l’esperienza della fine di un
rapporto, specie per chi non ha scelto, ma ha subito la fine:
1. Farsene una ragione, acquistare
consapevolezza. (Prendere di coscienza)
Si può provare rabbia, ribellione,
protesta, si può urlare la propria disperazione, fino
allo sfinimento...ma poi la vita continua. Col tempo subentra
la calma: si passa pian piano dalla rassegnazione, al fatalismo,
all’accettazione. Si può pensare alla rivincita
a lunga scadenza, alla ripresa nel lungo periodo, vivere il
tempo come alleato...
Bisogna accettare la condizione umana:
ogni bene può essere perduto, anche l’amore di
coppia. Ogni essere ha una parte (e a volte intollerabile,
così sembra), di dolore; ma contro il muro di bronzo
della realtà non serve battere i pugni ..non serve
a nulla! La realtà non cambia. E’ giocoforza
accettarla!
2. Fare il punto, mettersi in faccia
alla situazione e incominciare a farsene carico, (Responsabilizzarsi)
Se non io, chi? Se non adesso, quando?
Se non qui, dove? Constatazione mentale, orale, scritta...
nero su bianco. Scrivere può servire a circoscrivere,
ridimensionare, relativizzare. Prendere atto che: "Sembra
di morire, ma non si muore".
3. Evitare le pseudo riparazioni (non
servono)
Per esempio: evadere col pensiero,
rifugiarsi nella fantasia o nella fantasticheria, divertirsi
e stordirsi nel piacere immediato, anestetizzarsi con gli
psicofarmaci, l’alcol, le droghe (bere per dimenticare,
affogare nell’alcol il proprio dolore)...
Invece bisogna guardare in faccia la
realtà, chiamare le cose col proprio nome: tradimento,
perdita, separazione, distacco, cambiamento, morte, lutto.
4. Cercare di fare buon uso della separazione!
Trasformarlo in tempo di maturazione.
Farne un tempo di riflessione, occasione
per ri-orientarsi con punti di riferimento meno precari e
illusori (abbasso la stupida corsa programmata dell’esistenza:
la moda, il profitto, i mille inutili orpelli del consumismo,
senza i quali pare non si possa vivere!), e invece...pian
piano ci si adatta! Si trova un nuovo equilibrio, pian piano
si trova un altro significato.
Cfr. Dubchek: "Il corpo come si
adatta! Carcere, freddo, buio, inutilità, fame, lavori
forzati... L’uomo è l’animale più
adattabile e l’istinto di vita supera ogni avversità,
fino a farsi una gioia di tanti piccoli niente... Nell’animo,
nella profondità dell’anima (come nella profondità
del mare) si può percepire una calma indistruttibile;
l’esserci, il vivere, nonostante ogni privazione esterna,
o perdita interiore."
Cfr. W. Frankl: "nel lager vivere
è dolore, sopravvivere è trovare un significato
a questo dolore!". (Uno psicologo nel lager)
Cfr. Solzenitsyn: "Lev, amico
mio, la felicità non dipende dalla quantità
dei beni strappati alla vita, ma soltanto dal nostro rapporto
verso di essi "
5. L’umorismo
L’umorismo ridimensiona, sdrammatizza,
riduce il catastrofismo, ridà la giusta misura. Ci
vuol saggezza, una certa filosofia, non prendersi troppo sul
serio, sorridere di sé, (le vere cose che importano
sono poche). E’ in questo sorriso fatto di ragionevolezza,
di benevolenza e di relativizzazione, che sta la nostra fierezza
di essere umani ("ragionevoli" appunto).
L’umorismo è il salvataggio
del significato, e la capacità di riconquistare il
senso della totalità, la visione dell’insieme
dell’essere, la capacità di immaginazione dell’insieme
(al di là della reazione catastrofica del "Tutto
è perduto").
Resta il compito di ritrovare un significato
qui, adesso, nella nuova situazione; tra il tutto e il niente
ritrovare il possibile... Se si drammatizza... è perché
- in balia dell’angoscia della perdita - i piedi affondano
nelle sabbie mobili dell’insignificante, del "perduto
per sempre"...
Ci sono persone incapaci di umorismo
(=incapaci di ridimensionamento con la visione d’insieme
delle cose): di ogni piccolezza fanno un dramma, e della loro
esistenza fanno il dramma dei drammi! (egocentrismo megalomanico-narcisista)
Eppure, prima o poi, si dovranno fare
i conti con le tragedie dell’essere, con la "malattia
mortale" che è la vita e col destino di "condannati
a morte" che è di tutti.
Se uno si distanzia arriva al senso
della misura (delle vere misure). Se uno sorride, scherza
con le cose che accadono, l’umorismo lo riporta al realismo,
alla felicità possibile (che è l’unica
raggiungibile).
Bisogna saper perdere, incassare i
colpi delle avversità, reggere nella buona e nella
cattiva sorte. La fortuna non dipende da noi. Non dipende
da noi il vento: ma tenere ben alta la vela della nostra barca:
questo dipende da noi!
(Solo il "giocatore" pretende
la benevolenza, a tutti i costi, della dea dagli occhi bendati:
la fortuna deve rivolgersi a me. Non può non rivolgersi
a me, provo un’altra volta! E così complessivamente...
fino ad autodistruggersi). Gran pessimi giocatori quelli che
da avversari diventano nemici!
In realtà a noi tocca solo tenere
ben tesa la vela della nostra barca, in modo che, quando il
vento soffia, la nostra barca vada avanti. Ma il vento non
dipende da noi.
6. L’arte, la creatività
Non tutti possono giungere alle tecniche
terapeutiche più raffinate, ma si può puntare
a raggiungere l’arte della separazione, l’arte
del commiato; fare di un inciampo un gradino per salire, migliorarsi,
maturare.
L’arte unisce al lavoro dell’immagine,
il lavoro della materia. L’immagine si impone per il
suo essere presente, lo splendore della forma s’impone,
affascina. L’emozione estetica filtra il "bello",
nell’anima, qui adesso (fino all’estasi).
Il lavoro creativo trasforma la materia,
produce un grande raccolto! Ecco alcuni frutti:
armonizzazione pacificazione unificazione
riconciliazione dell’io e del mondo.
E’ la gioia il frutto finale
di questa equazione creativa (non il piacere): essa annuncia
che la vita è riuscita, ha guadagnato terreno, ha riportato
vittoria (sulla morte, sul niente...). E’ la gioia di
aver fatto nascere qualcosa, chiamato in vita, fatto esistere
quello che prima - senza di noi - non c’era.
Essere creativi, esprimere biofilia,
far esistere qualcosa che non c’era, dà una gioia
(e si sente) che è una gioia divina! La separazione
iniziale sul piano del piacere (perduto), ma la gioia creatrice
gli va oltre, estrae dal dolore della perdita un’opera
nuova, la separazione è nell’ordine del tempo
(caduco) la gioia creatrice è dell’ordine dell’eternità.
Fare di un sasso in cui si inciampa
un gradino per salire; dell’ostacolo un trampolino di
lancio, per un salto qualitativo di vita, irragiungibile senza
quella sofferenza. Ecco i passaggi possibili:
1. Morte - risurrezione (se il grano
non muore non porta frutto) 2. Dolore parziale - gioia più
grande, universale 3. Tradimento - ritrovamento superiore
4. Sconfitta (parziale) - vittoria (globale)
7. L’azione, la tecnica, il fare...
Essa ha - come l’arte - il potere
terapeutico di decentrare da sé, distogliere dal ripiegamento
sterile, uscire da sé, volgersi verso l’oggettività,
la realtà, il mondo.
Lo strumento tecnico (un apparecchio,
uno scalpello, un computer...) è un prodigioso catalizzatore
di energie: lo strumento mi obbedisce e mi resiste, concentra
l’attenzione, devo imparare, far prove, ricominciare,
dominare la mia impazienza! Mettendo ordine nel mondo degli
oggetti, metto ordine in me stesso (ristabilizzo una gerarchia
di priorità, ridefinisco una scala di valori).
Alla fine vinco, porto a compimento
un compito. L’indefinito (e l’infinito) non mi
danno respiro, il finito mi lascia il tempo per il riposo,
per il rilassamento, per il sonno...
L’amore dell’oggetto può
divenire il sostituto di un altro amore. Un buon rimedio contro
la separazione non è la sostituzione, il riempimento
con qualcosa d’altro? La compensazione più valida
dell’oggetto perduto? Disinvestire e reinvestire di
nuovo! Quale diversivo la molteplicità d’oggetti
di consumo, i piccoli piaceri, le novità del mercato...
Bisogna potere agire, fare, "convertire
un problema in azione".
Medici, psicologi, droghe... possono
aiutare, vi passeranno di mano in mano le difficoltà,
e si divideranno il compito di farvi vivere, di rimediare
allo strappo della vostra vita.
La guarigione ottenuta con una rimessa
in sesto del vostro corpo e della vostra psiche è un’opera
di solidarietà.
8. L’ascesi, la comunità,
l’altruismo
L’azione è cammino della
ricerca di sé verso il dono di sé; ma anche
cammino dal "sé perduto" verso il "sé
ritrovato" attraverso la mediazione del dono di sé.
Superati i vari "oggetti sostitutivi
transazionali" (=di passaggio), si può arrivare
all’oggetto vero: la comunità, la società,
gli altri. L’altruismo come oblatività, donazione
gratuita, per la gioia di sentirsi utili a qualcuno (dall’Eros
all’Agape).
Il "Separato" si è
finalmente de-centrato da sé, per ri-centrarsi sugli
altri (=si è ritrovato perdendosi, ha guadagnato avendo
avuto il coraggio di perdere).
Votarsi agli altri, rendersi utili
a una causa, è da sempre un rimedio contro le grandi
separazioni, contro i lutti irreparabili.
Ristabilire la comunicazione e, di
questa, soprattutto l’ascolto. Un orecchio che ascolta
più che una bocca che parli. Un "silenzio attento",
che accoglie, fa spazio dentro di sé all’altro...
La parola crea spesso malintesi, banalizza,
alza barriere... il silenzio attento dell’ascolto, crea
legami, lancia un ponte, fonda una relazione (=si esiste solo
in una relazione io-tu, si dà realtà di esistenza
solo nel rapporto, la sensazione vera di esserci si ha solo
nella relazione, nel dialogo io-tu).
Lo stoico dice: resta indifferente
a quello che non dipende da te. "Se qualcosa si separa
da te, tu sepàrati da essa" (con l’indifferenza).
Cfr. Buddha. I legami ti strazieranno con separazioni crudeli:
separati dunque da tutto e più niente ti procurerà
separazione!
E’ questa l’ascesi? Il
distacco è il prototipo di ogni ascesi: "Tutto
è vanità e fiato sprecato" (Eccl. 1,17).
Ascesi per donarsi, non per chiudersi
in sé! Per aprirsi a tutti gli uomini. Staccarsi, per
donarsi agli altri.
Questo materiale è stato preso
dal sito http://www.benessere.com
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