La mostra
“Square” pone l’accento su un aspetto peculiare delle fotografie di Gianni
Galassi: le geometrie nello spazio costruito, tagli di un’architettura
rigida ed essenziale nelle sue forme, che dialogano con la luce solare dando
vita a una originale armonia di prospettive e generando soluzioni ottiche
infinite. I soggetti ripresi, che siano strutture colossali o dettagli
minimi -scale, facciate, grate- sono inanimati, la figura umana non vi
appare mai. Eppure è onnipresente come principio di ordine, di razionalità.
Come sempre nella fotografia, l’immagine fissa il momento. Ma nel caso di
Galassi lo raffredda, lo congela in rigide strutture, animate soltanto da un
sapiente contrappunto di luce e ombra che scompongono le superfici e
moltiplicano i piani percettibili. La realtà si trasforma in pura geometria,
e senza cedere il passo all’astrattismo sfocia piuttosto in una sorta di
iperrealismo che, indifferente all’oggetto in sé e alla riconoscibilità del
dato reale, si avvicina inesorabilmente alla metafisica. Nonostante l’ordine
che regna sovrano, la vista di chi guarda è spiazzata dall’alternarsi di
ombre, di pieni e vuoti, di silenzi profondi che compongono la ritmicità
resa da linee e da colori uniformi che escludono i mezzi toni. Galassi
reinventa paesaggi industriali, li muta in armonie di blu che si stagliano
da superfici monocrome ricamate da ombre: è una visione totalitaria che
tende al Gigantismo in cui l’uomo scompare per lasciare spazio solo alla
idea della perfezione, del Bello assoluto, racchiuso in sé.
Ogni scatto della serie “Square” è una composizione finita, che si
auto-enuncia tramite la sua semplicità geometrica, che esclude il superfluo,
e le campiture di colori piatti, col blu che si contrappone al bianco e al
nero, e sembra voler quasi varcare il confine che separa la fotografia dalla
pittura. La soglia è la luce e Galassi si dedica a studiarla ossessivamente
prediligendo le ore che seguono l’alba e quelle che precedono il tramonto. E
non è casuale la scelta del quadrato -retaggio di pellicole oggi quasi in
disuso-, un poligono che rappresenta un’idea assoluta di geometricità, e che
marca inequivocabilmente la distanza di queste opere dalla narratività dei
formati rettangolari.
Le 24 immagini in mostra, nel formato 60x60, sono stampate su carta fine-art
Epson con tecnologia e inchiostri Epson.
Catalogo in galleria
Ufficio stampa
Studio Luxardo – Via del Gambero, 37 00187 Roma
Tel. 06 6794401 06 6780393 –
info@gallerialuxardo.com
Dal 19 gennaio al 7 marzo 2009, da martedì a sabato, ore 16.00 – 19.30
Galleria Luxardo - Via Tor di Nona, 39 -
00186 Roma - Tel. 06 68309555
IL MONDO E' BELLO di Eva Clausen
Square
è un titolo molto semplice e immediato, ma al tempo stesso inquadra un
processo terribilmente lungo. E’ una scintilla di giaccio che nasconde un
fuoco in un’era glaciale.
Il mondo, nelle fotografie di Gianni Galassi, è un mondo bello, pulito, a
forma di quadrato. Le immagini ritraggono geometrie reali che acquistano la
valenza di linee astratte, e quindi di un mondo oggettivamente immaginario.
La visione che Galassi ci dà del mondo -reale e immaginario- è quella
dell’Ordine assoluto, della perfezione, dell’armonia. Ma nonostante l'ordine
vi regni sovrano, la vista di chi guarda viene spiazzata. Il moltiplicarsi
delle prospettive, il gioco delle luci e delle ombre, disorientano e
turbano. Ma subito dopo l'osservatore ritrova la serenità, la calma, perché
si vede racchiuso in uno spazio in cui la complessità si fa unicità. Si
tratta infatti di uno spazio metafisico originato da un iperrealismo
raggelato, da cui sembra essere assente qualsiasi forma di vita.
Eppure l’uomo c’è, la sua presenza è riconoscibile nelle strutture
geometriche, create dalla sua mano e dalla sua mente. Si tratta di strutture
chiaramente definite e riconducibili a un dato esterno -un palazzo, una
scala- ritagliato dalla realtà, inquadrato sofisticamente e poeticamente in
essa. Sono dettagli minimi che, pur chiaramente riconoscibili, grazie a un
magico ampliamento diventano paradossalmente unici ed emblematici, quindi
privi del fatto contingente alla realtà, al di sopra o al di fuori di essa.
Galassi, nel rapporto verità-emblematicità, mette sul piedistallo il secondo
elemento distillando ciò che esiste di più esistenziale nel dato reale. Il
suo è uno sguardo analitico, fissato sul minimo, che poi nello scatto crea
la sintesi. La predilezione per i dettagli e soprattutto per oggetti comuni,
che di per sé non si presterebbero in alcun modo al fare arte, riportano
alla memoria le immagini della fotografia della Nuova Oggettività, della
Neue Sachlichkeit del Bauhaus tedesco: la bellezza della realtà
nuda e cruda a cui la fotografia, grazie alla sua peculiarità tecnica, rende
il più alto servizio. I fotografi del Bauhaus, e in primo luogo
Albert Renger-Patzsch, proclamavano la bellezza delle forme funzionali,
geometriche, e vedevano nel loro moltiplicarsi l’esaltazione dell’Ideale
inerente al dettaglio. La loro fotografia voleva essere una contestazione
della cosiddetta Kunstfotografie, di quel tentativo, secondo loro
ridicolo, di gareggiare con la pittura.
La fotografia ha un compito ben diverso dalla tela e dal pennello:
testimoniare il dato reale che, nella dilatazione o amplificazione della sua
essenza, diventa irreale e magico. E' una fotografia silente, sapiente, in
apparenza modesta nella scelta dei motivi e dei mezzi tecnici, che non
attinge alla vastità di soggetti straordinari né all'infinito repertorio di
“trucchi” del mestiere -viraggi, sfocature, fughe prospettiche-, ma si
limita a ritrarre ciò che è e ciò che esiste di più banale, semplice, comune
sulla faccia della terra. Eppure, o forse grazie proprio alla sua totale
semplicità, diventa Arte.
Confinare Galassi in un angolo rétro della nuova oggettività o di un
neorealismo magico sarebbe sbagliato e semplicistico. Di fatto l’artista,
pur ricordando certi presupposti del Bauhaus, cambia poi rotta
facendo rientrare la pittura, cacciata dalla porta, dalla finestra. La
soglia è la luce, e già Renger-Patzsch -come anche László Moholy-Nagy e
Christian Schad- era pienamente consapevole della sua potenza nella
fotografia. Una luce tutt’altro che diffusa e avvolgente, una luce gelida
che rende ancora più nitidi i contorni e ancora più accesi i colori che
provengono da una tavolozza di poche e sature tonalità. Galassi scarnifica
la realtà, toglie ogni elemento -e anche ogni colore- superfluo, per
allontanarla da qualsiasi tentazione di stampo narrativo, ma anche di
impegno sociale, tipico della fotografia raggelata del Bauhaus. In
Square trionfa un'oggettività del tutto particolare: quella soggettiva,
che mira alla valenza poetica della singola inquadratura e difende,
ossessivamente, il principio dell'Arte per l'Arte, dell’estetismo puro, fine
a se stesso, forse l'unico rifugio che il paesaggio postindustriale con le
sue grate, turbine e ciminiere ci ha lasciato. Un mondo magico, glaciale, ma
oggettivamente e soggettivamente bello.
LINEE
E(D') OMBRE di Antonio Politano
Gianni Galassi concepisce la fotografia come esercizio di stile.
Linguaggio, più che significato. Estetica, non narrazione. Visione creativa,
senza descrizione realistica. Catturare per reinventare, andare oltre.
Abituato da sempre a esprimersi con le immagini (a 16 anni inizia a vendere
le sue fotografie, da decenni lavora nel mondo del cinema e della
televisione), con l'inquadratura mette ordine nella percezione istintiva,
ritagliando ciò che gli occhi osservano e lo sguardo consapevole seleziona,
rintraccia, fa altro. Optando, in questa occasione, per un formato -quadrato
(square)- che è in sé un concentrato di rigore, una dichiarazione di
intenti, una sfida di proporzioni con cui misurarsi.
Ciò che lo attrae è il contrappunto di luci e ombre, pieni e vuoti,
attraverso cui si combinano forme e volumi. Le sue sono immagini dense di
ombre, chiuse, nere, che contrastano con le parti in luce grazie alla
nettezza assoluta di superfici e contorni, alla brillantezza piena dei
colori.
Nella camera oscura digitale recupera, dichiaratamente, gli intensi rapporti
tra luce e ombra individuati al momento dello scatto, esplorando ogni
dimensione chiaroscurale, conferendo l'enfasi cromatica voluta. La sua è una
visione forte, senza mezzi toni. In fondo, le sue opere sono quasi dei
monocromatismi, i colori sono netti, saturi, sembrano voler incidere
l’occhio di chi guarda. Una ricerca di astrazione, senza l’uso del
tradizionale bianco e nero, ritenuto di norma più capace di svincolarsi
dalla realtà. Una tensione all’essenzialità cromatica fatta invece con il
colore, valorizzando l’ombra che proietta e disegna, ricorrendo ai bianchi,
ai grigi, ai neri, alla famiglia degli azzurro-blu, a quella degli
ocra-beige-marrone.
Colori brillanti, reali e spinti, usati in modo creativo, colori suoi che
cerca nel paesaggio architettonico che osserva. Paesaggi industriali
d’epoca, architetture di oggi, disegni urbani, più che altro dettagli, con
valori estetici che l’occhio riconosce e attraverso il mirino preleva.
Figure geometriche trasfigurate, straniate, che mutano aspetto, acquistano
senso. Triangoli, rettangoli, parallelogrammi. Monoliti, colonne, cilindri,
archi. Spigoli, vertici, angoli. Balconi, finestre, facciate, pareti.
Rientranze, aperture. Barriere, supporti, ponteggi, scalinate, ringhiere.
Cemento, pietra, mattoni. Cantieri, fabbriche, depositi. Architettura
industriale,quasi un’archeologia del presente.
Un universo riorganizzato e riproposto, un mondo inerte, immobile, non
toccato dalla presenza umana eppure dall’uomo fatto. Purezza, razionalità,
anelito di perfezione. Nessun discorso, nessun contenuto, nessun
inseguimento fotografico della vita, tanto meno del drammatico, notevole o
pittoresco. Niente figure umane. Pura ricerca espressiva, forme e volumi,
luci e ombre, pieni e vuoti. Tagli, porzioni, interpretazioni, disegni.
Dialoghi con la luce, spazi di atmosfera metafisica. Che rimandano a certe
avanguardie. Tra Escher, per il gusto di incastri e prospettive, Carrà e De
Chirico, per la disposizione spaziale. Tra Fontana, per l’uso del colore, e
Basilico, per l’attenzione ai paesaggi architettonici. Come Basilico,
Galassi non inquadra uomini, né natura. Come Fontana, usa il colore creando
dimensioni astratte, ma senza vicinanze di toni. Nelle sue opere c’è come un
sentimento di sospensione del tempo, un silenzio. Sta dall’altra parte della
strada, a contemplare -congelando l’istante- l’armonia rimasta imprigionata
nelle costruzioni dell’uomo.
GALACTICA di Carlo di Giacomo
Colori intensi, toni decisi, ombre nette.
Il nero profondo si inabissa nell’anima, il bianco improvviso riflette un
inaspettato candore. L’opera “galassiana”, priva di presenza umana, si fa
largo nell’osservatore attraverso una comunicazione visiva intensa, decisa,
che costringe chi guarda a perdersi nell’immagine seguendo il tracciato
delle ombre e dei colori, che lo conduce attraverso un viaggio onirico
inaspettato, che sconvolge i canoni mentali di chi crede di trovarsi in
presenza di pura fotografia architettonica.
Al di là delle linee architettoniche dei soggetti, interpretati da Galassi
con estrema sensibilità, è la scelta dei colori, delle ombre e
dell’inquadratura stessa che immediatamente favorisce il passaggio dal
razionale all’inconscio. Queste infatti sono immagini che parlano
direttamente all’anima. Osservandole è necessario isolarsi dall’esterno,
come in un esercizio di meditazione zen. Anche la scelta del formato,
quadrato, rompe i canoni, invitando l’osservatore a rivedere e a rimettere
in discussione i propri punti di vista. L’insieme di questi elementi
consente di “immergersi” in un esperienza sensoriale soggettiva, profonda.
Le immagini di Gianni Galassi sono dei déjà-vu, delle rimembranze che
riconducono l’inconscio attraverso esperienze interiori conosciute, quasi un
recupero delle esperienze d’infanzia rimosse.