Gruppo Biblico di Evangelizzazione




Vite eccellenti di Terziari Francescani

- Lucchese e Bonadonna -
(Parte 1)


1. L'Italia medievale
   
   
2. Guelfi contro Ghibellini
 
3. Il denaro soprattutto
 
   
4. Come il giovane ricco
5. Sull'orlo dell'abisso
   
   
6. Il Poverello
 
7. Conversione
 
8. L'Ordine della Penitenza

 


9. Sorella morte

10. Perchè Lucchese e Bonadonna



L'Italia medievale

Circa 800 anni fa, nel 1200, L’Italia, mosaico di città-stati, ducati e repubbliche, spesso in guerra tra di loro o col Papa o con l’Imperatore, era, dal punto di vista commerciale sulla cresta dell’onda. Due crociate avevano aperto una favolosa via commerciale fra l’Oriente e l’Occidente, in cui l’Italia, al centro del Mediterraneo, rappresentava un punto cardinale.
C'erano perciò  vaste fortune da guadagnare. Alcune città avevano in minor riguardo la nobilità del sangue che il successo negli affari; in luoghi come Venezia, Siena, Firenze, i mercanti erano in tutta verità dei principi.

In questa atmosfera di facili arricchimenti, in un piccolo villaggio, chiamato Gaggiano, vicino a Poggibonsi in provincia di Siena, nacque un bambino l'anno 1181 e i suoi genitori scelsero per lui il nome di Lucchese.

Quando si studia la vita dei Santi ben noti troviamo che essi sembrabo spesso marcati per la santità sin dalla culla; e persino, come nel caso di Francesco e di Domenico, suo contemporaneo, prima di arrivare alla culla. Il caso è completamente diverso per Lucchese e questa è una delle tante ragioni per cui ci sentiamo a nostro agio con lui. Non ci sono in lui segni di santità precoce, e sino al tempo in cui fu sposato e padre di famiglia è evidente che la religione non fu per lui che uno sfondo scialbo e comune.


Guelfi contro Ghibellini
Gaggiano nn era un villaggio isolato e la famigli adi Lucchese era molto al corrente degli avvenimenti politici, spesso estremamente complicati, nelle vicine città. Erano tempi di confuse appartenenze politiche e di mutevole fedeltà a un capo. Il dissidio tra Guelfi e Ghibellini divideva l'Italia da molti anni, e ogni famiglia di una data località era o da una parte o dall'altra.  seguaci dei Guelfi professavano fedeltà al Papa come sovrano temporale, mentre i Ghibellini appoggiavano l'Imperatore di Germania. Nessuna delle due parti negava la supremazia spirituale del Papa e gli stessi Ghibellini si consideravano buoni cattolici come i Guelfi.

La comunità locale a cui apparteneva la famiglia di Lucches era Guelfa, al contrario della vicina città ghibellina di Borgo Marturi (nei pressi di Poggio Bonizio).

Non ancora 20-ene Lucchese tentò la sorte delle armi e tanto rimase soddisfatto delle proprie doti di coraggio e di prodezza che concepì  il desiderio ambizioso di militare nel partito guelfo. Non molto distante, nella città di Assisi, un altro ragazzo coetaneo di Lucchese, era anch'egli immerso in ambizioni cavalleresche e noi sappiamo che Dio frustrò i suoi progetti, mandandogli sogni misteriosi, poi una malattia... Lucchese invece, fu allontanato dalla sua carriera militare da un fatto del tutto comprensibile: si innamorò e la sua futura sposa, a differenza di quella di Francesco non fu Madonna Povertà.

Bonadonna, infatti, era di nobile stirpe, appartenente alla rica famigla Segni. Lo stemma della famiglia, 3 rose d'oro, si potea vedere sui muri del loro palazzo a Borgo Marturi. I loro boschi patronali erano stati donati per realizzare la città - fortezza di Poggibonzi, un po' distante, sul fianco del colle. Evidentemente questa gentile patrizia era portata ad amare il bravo, bello e militaresco cittadino; ma prima di sposare un guelfo pose delle condizioni. Si arrivò ad un compromesso: Lucchese, pur ritenendo privatamente la sua fedeltà al Papa avrebbe deposto le armi dedicandosi ad attività pacifiche.
Da principio portò la moglie a Gaggiano, forse sperando di far l'agricoltore ed ereditare il podere paterno. Ma il piano non fu realizzato. Può essere che i contadini di Gaggiano fossero offesi per il ritiro di Lucchese dalle forze Guelfe (c'è un accenno ad una lite con un vicino); sembra più verosimile che la raffinata figlia di casa Segni trovase la vita di campagna troppo rozza per lei e sognasse i suoi parenti di Borgo Marturi. Comunque sia, lasciarono i campi e Lucchese si ingaggiò nel commercio nel borgo natale di sua moglie. Si accorse - certo con sopresa e piacere - che il denaro entrava; e cominciò a prosperare.



Il denaro soprattutto

Come parte della dote di Bonadonna, i parenti le avevano donato una bella casa a  Poggibonzi, ed ora che Lucchese aveva messo insieme un certo capitale, i due sposi decisero di abitare lasù. Lucchese, certamente avvalendosi della sua parentela contadina a Gaggiano, mise su una macelleria di carne di maiale, e fece subito affare nella città-fortezza che cresceva rapidamente. Ormai il far quattrini cominciava ad esercitare un potente fascino su di lui. E qui ancora vediamo la differenza con Francesco e la somiglianza tra lui e noi. Niente ha successo come il successo. Oltre a soddisfare le richieste dei concittadini, Lucchese vide l'opportunità di inserirsi nel commercio estero, dal momento che c'erano regolari vie commerciali fra Poggibonzi, la Sicilia, la Francia, i Paesi Bassi e persino l'Oriente. A questo scopo acquistò una conoscenza del cambio estero - impresa non indifferente a quei tempi  quando ogni repubblica italiana e molte città possedevano un proprio sistema monetario. Detta conoscenza, a sua volta aprì a Lucchese la possibilità di aggiungere il mestiere di cambiavalute alle sua altre attività.  Stava diventando rapidamente molto ricco e stava anche diventando un esempio vivente di ciò che Nostro Signore intendeva quando disse: "Non potete service Dio e il denaro".

Lucchese serviva il denaro sino a diventare schiavo anche del semplice desiderio di guadagno. Le persone che erano fuori dela sua sfera d'influenza, fossero pure delle pedine nei suoi traffici commerciali, venero a significare sempre meno per lui, non ebbero più importanza che quella derivante dall'essere tali persone in debito o in credito nei suoi libri mastri. Con tutto ciò, mai gli era passato per la mente di essere tutt'altro che un "buon cattolico". Egli e sua moglie erano figure ben conosciute, col loro ricco abbigliamento, alla messa solenne, le domeniche e i giorni festivi. E come camminavano ostentatamente fra i cittadini importanti nelle processioni religiose! Senza dubbio, Luchese pensava perfino che l'accresciuta ricchzza era in quale maniera una ricompensa alla regolarità del suo culto esterno a Dio.

Intanto egli ragionava in un modo a noi molto familiare. Eccolo, lui, Lucchese, in passato ragazzo dei campi, ora per merito della sua industriosità e furbizia, diventato ricco e potente. Si era sposato con una nobile; e mentre una volta si sentiva umiliato di essere un povero cittadino comune, incapace di tenere sua moglie nel lusse per il quale era nata, ora poteva adularla, curando che fosse la donna più riccamente vestita della città. E quanto amava ciò Bonadonna! La casa che lei aveva portata come dote doveva essere arredata con un lusso mai immaginato, neppure dai Segni! Ambizione naturale. I due bei figli non dovevano mancare di nulla; ciò significava acquistare più denaro e più terreni.

Che male c'è?


Come il giovane ricco
Non ragioniamo anche noi a quel modo, ogni giorno, qualunque siano i nostri mezzi economici? La nostra casa deve avere i più moderni e comodi elettrodomestici, i nostri figli devono superari quelli degli altri nella qualità dei loro giocattoli, biciclette, macchina e nella quantità di soldi a disposizione. È così che si guadagna il rispetto dei vicini, così si fa conoscere che siamo gente importante! Perciò accumuliamo ricchezza! Se per caso ci ricordiamo a volte che Gesù è piuttosto categorico quando dice: "Non potete servire Dio e il denaro" lo mettiamo subito nel dimenticatoio, come uno di quei detti enigmatici da non prendere alla lettera.

Se Lucchese, una sera mente saliva vestito di seta e di velluto sul colle di Poggibonzi, verdeggiante di olivi, verso la sua casa lussuosa, avesse incontrato Gesù Cristo e l'avesso udito dirgli "Vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi", sembra ormai evidente che Gesù  ancora una volta, avrebbe dovuto mirare una persona tirarsi indietro; e ancora una volta avrebbe pronuciato parole che tutti noi cerchiamo di ignorare: "Quanto è difficile che si salvi chi ha fiducia nelle ricchezze!". E possiamo immaginare quegli occhi pieni di amore e d'infinita misericordia volti, lungo i secoli, alle anime di tutte le "povere, piccole, ricche" creature, come noi, che siamo diventati prigionieri dei nostri beni.

Dio voglia che ci svegliamo dalla nostra miseria spirituale a tempo per udire la sua voce, a conforto della nostra paura: "Tutto è possibile per Dio".


Sull'orlo dell'abisso
Gesù non fermò Lucchese sulla stra verso Poggibonsi; l'ora della grazia non era anora suonata; prima Lucchese doveva spingere lo sguardo nell'abisso in cui il padrone da lui scelto, Mammona, l'avrebbe alla fine gettato.
I moderni politologi hanno inventato una nuova parola; "brinkmanship", per indicare lo spingersi nell'azione politica sino all'estremo pericolo di guerra, ma moltissimi cristiani, ora in cielo, furono quanto mai familiari con questa pratica, durante il loro pellegrinaggio terreno.
Sino allora Lucchese non aveva fatto coscientemente cosa disonesta o ingiusta. Ma quando comanda il denaro, la linea di demarcazione tra giustizia e oppressione diventa confusa. Noi tendiamo a immaginare che ilmonopolio sia un termine moderno; che il sindacato, l'assorbimento di imprese, siano solo dei nostri giorni. Di fatto nella concorrenza commerciale gli uomini sono sempre apparsi come bestie della giungla, aizzate, e con denti ed artigli sfoderati; sin da quando l'aumento della popolazione ha fatto del commercio organizzato una necessità.

Giunto al culmine della sua attività commerciale, Lucchese adocchiò un'altra opportuità. Nelle frequenti e disastrose guerre, in Italia, il grano generalmente scarseggiava, i raccolti erano depredati da soldati saccheggiatori o da nemici in ritirata. Colpì Lucchese il pensiero che un mercante che avesse la preveggenza di comprare tutte le riserve disponibili a buon mercato in tempo di abbondanza, potrebbe metter fuori gli altri rivenditori, e far pagare il prezzo che voleva in tempo di carestia. A Lucchese, arroccato nella ferrea torre del suo fatuo arricchirsi ad ogni costo, parve un'idea meravigliosa; e certo i futuri sviluppi, così familiari ai mestatori nazionali e internazionali, gli saltarono alla mente. Sí tutto quel sistema disonesto di agire gli era almeno in parte visibile, mentre a un passo decisivo si avvicinava verso l'abisso.

Fu a questo punto che dio usò mezzi umani per accaparrarsi una delle coppie più sante che la Chiesa abbia conosciuto e - assai strano - una delle poche. La speculazione di Lucchese sui cereali cominciò presto ad essere chiacchierata; prima in privato ,poichè la vittima non può permettersi di offendere lo sfruttatore, poi con crescente risentimento e paura. Finchè, una delle vittime la cui famiglia era alla fame vide il mercante prosperoso venir giù per la strada, dopo Messa. Pieno di rabbia incontrollata e non avenndo nulla da perdere gli sbarrò la strada e gli ringhiò in faccia:

- Tu credi di essere un uomo perbene, vero? Tu puoi inginocchiarti peno di fiducia davanti a Dio - ma sei un assassino, perchè mi hai messo alla fame!

Il pover'uomo fece dietro-front e battendo i piedi prese la via di casa. Lucchese rimase come folgorato a seguilro con lo sguardo. Questo impatto colla realtà gli mostrò in una bruciante illuminazione il sentiero lungo il quale mammona, cioè il denaro lo stava menando. Ora, o mai, egli doveva tornare sui suoi passi. Ma in qual modo? Mentre si incamminava verso la bella casa che era dote e dono di sua moglie sentì che non poteva parlare a lei di questo guaio. Per quanto si amassero, la differenza di rango era rimasta un fato nella loro vita matrimoniale; gli sforzi di Lucchese per colmare tale lacuna, circondando sua moglie di lusso, era stata una delle cose che lo aveva mosso nella sua corsa al denaro. Come l'avrebbe presa, a dirle che delle famiglie soffrivano la fame perchè la sua non mancasse di niente? No, questo non poteva dirlo a Bonadonna, non ancora.

"Non potete servire Dio e il denaro!". Per la prima volta in vita Lucchese si accorse che servire Dio voleva dire più che inginocchiarsi in chiesa ogni domenica per la Messa. Il minimo voleva dire essere giusti con le persone: anche per loro Gesù è morto. Voleva dire di più che baciare Cristo crocifisso il venerdì santo. Voleva dire riconoscere il Crocifisso in quella povera gente affamata, a causa dell'avidità di lui, Lucchese!


Il Poverello
La coscienza di Lucchese era stata scossa profondamente, ma tanto era il cammino percorso in quella direzione (come noi!) che per il momento non fece niente. Se non che, un giorno passando per il mercat, udì in mezzoad una vivace conversazione, il nome di Francesco d'Assisi.

- "Francesco viene in Val d'Elsa", diceva la gente.
- "Deve passare di qui. È stato a Cortona, a Firenze, a Pisa, ed ora è vicino a San Gimignano".

Francesco d'Assisi! Come tanti in Italia, Lucchese conosceva bene questo nome. Francesco avrebbe potuto essere un uomo ricco, in piena regola, perchè era figlio del grande mercante di stoffe, Pietro Bernardone. Ma con gesto drammatico aveva rinunciato a qualsiasi diritto ai beni paterni, aveva scelto di seguire Cristo in assoluta povertà. Lucchese, pur rispettando questo gesto, aveva sorriso in passato all'ingenuità di proporre l'adempimento alla lettera dei consigli evangelici di perfezione in mezzo alla società del '200, così variopinta, affarista e avida di denaro.

Nessuno sorrideva più; il popolo aveva ormai dimestichezza coi frati vestiti di marrone, i quali seguivano Francesco in povertà e semplicità e predicavano la "penitenza" con grande successo, sia ai ricchi che ai poveri. Un tale impatto sulla società non si era mai più verificato dai tempi di san Paolo.

Ed ora il Poverello stava proprio arrivando nella zona di Poggibonzi. Lucchese, turbato dal suo problema interiore, sentiva di dover ascoltare ciò che Francesco aveva da dire. Venne il giorno in cui le campane di San Gimignano, di Poggibonzi, di Pian dei Campi (dove, cioè, secondo un'antica tradizione avvenne l'incontro tra Francesco, Lucchese e bonadonna) anunciarono la gioiosa notizia che il Poverello era là con i suoi frati. Appena Lucchese mise gli occhi su di lui, deve essere stato impressionato dal fatto che Francesco, se avesse voluto, avrebbe potuto essere due volte più ricco di lui e con metà sforzo. Eppure, eccolo là, col suo vestito povero, consunto, rattoppato, senza niente di proprio, ma con la faccia luminosa di una gioia che Lucchese non aveva mai conosciuto, la gioia cristallina del perfeto amore  a Cristo.

Le prediche sono sempre scialbe, a leggerle. Perchè in una predic, come per qualsiasi altra forma di oratoria, le doti personali del predicatore sono il principale fattore di efficacia. La satità non si può trasportare nella fredda carta stampata. E come per il Curato d'Ars, giovanni Maria Vianney, le cui istruzioni, a volte, appena udibili convertivano migliaia di persone, eppure sulla carta paiono puri chiches catechistici, così era per san Francesco. I resoconti che sono giunti fino a noi dicono poco della assoluta sincerità, della forza penetrante del suo ardente amore. Il tema della predicazione di francesco era sempre la penitenza. Non la penitenza "in vestiti di lusso" che molti nel Medioevo erano inclini a praticare in grado esagerato; ma la penitenza che significa mutamento del cuore, accompagnata da propositi pratici di riparare il male fatto .

Questa è la prova sicura della conversione.

Tutti sappiamo come ci si affolla ad una nuova pratica di devozione, com'è facile iscriversi ad un pellegrinaggio ed anche praticare qualche privazione in più durante la quaresima; ma in che misura ripariamo le ingiustizie del passato delle quali siamo pentiti, le parole offensive, le azioni volgari, i cattivi esempi dati? Eppure, a meno che le nostre pratiche di pietà ci spingano a ciò, esse sono soltanto proiezioni sentimentali del nostro IO, le quali difficilmente potranno realizzare qualcosa per l'eternità.
 

Nicola Benson



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