Il comico in Pinocchio

Gruppo Biblico di Evangelizzazione




Il comico in Pinocchio

2.1 I modelli  letterari della comicità collodiana

A proposito del comico in Collodi e dei modelli a cui Collodi si ispira, è bene partire dallo stile di Collodi che tanto influisce sulla sua comicità. Daniela Marcheschi lo definisce uno stile semplice e diretto, "pronto a recepire i modi del parlato, i proverbi, ma anche gli elementi culturali e riflettervi in chiave ironica e parodica; il suo stile è fatto di ritmi veloci, quando non serrati impressi alla prosa e ai dialoghi; di un uso eccentrico della punteggiatura dove abbondano le lineette e i due punti" . Ancora Daniela Marcheschi definisce la scrittura di Collodi un "allegro con brio" che deve subito catturare l'attenzione del lettore. Egli ha un modo tutto suo, particolare di usare la punteggiatura per sostenere la sua scrittura umoristica e la utilizza in modo stravagante ed estroso e, in questo, percorre una strada che solo più tardi sarà battuta da certa Scapigliatura e dal Futurismo . Egli utilizza poche pause per non lasciare respiro, per non far cadere il ritmo che il trattino sveltisce, unendo le varie sequenze in una sorta di lunga catena melodica. Inoltre usa neretti e corsivi, punti esclamativi che, come le lineette, saranno stati forse suggeriti a Collodi da Tristram Shandy di Laurence Sterne.

Fredi Chiappelli, in un suo studio dedicato allo stile di Collodi, parla della sicurezza stilistica di Collodi; egli afferma che Collodi è uno scrittore arguto, che la sua arguzia è indiretta, della famiglia del sorriso più che del riso. Egli ritiene che quest'arguzia che poi si scompone in tanti gusti diversi (gusto del paradosso, del capriccio fantastico, dell'ironia) risieda in un più profondo carattere psicologico dello scrittore, ossia il bisogno continuo di variare, di trovare una diversione . Allo stile di Collodi è intimamente connessa la sua comicità, il suo umorismo che Italiano Marchetti definisce "cordiale, spontaneo di stampo prettamente nostrano" . Anche Renato Bertacchini, quando descrive le caratteristiche della prosa collodiana, parla di sicurezza linguistica, disponibilità e responsabilità ; "la sintassi di Collodi si piega volentieri agli incisi improvvisi, alle riprese di tono conversativo, alle istintive aperture dialogiche, proprie di chi parla e racconta. Le innumerevoli figure retoriche quali le apocopi, le aferesi, cui si aggiunge la forza dell'enclisi e della proclisi, i dialoghi e le battute dei personaggi danno alla sintassi collodiana un tono conversativo" . In Pinocchio questo stile raggiunge il culmine, diventa sempre più parlato e Collodi punta direttamente le sue carte sui segni linguistici, sul gusto concentrato del sostantivo, sull'uso accorto e impegnato delle voci verbali. I verbi d'azione collodiani sono i veri protagonisti della frase e sono un'altra delle caratteristiche del suo stile.

Per l'efficacia del suo stile, Collodi è considerato uno dei maggiori scrittori dell'Ottocento italiano e questo non può essere stato costruito che in anni e anni di disciplinato esercizio, attraverso le diverse esperienze letterarie: il giornalismo umoristico e la scrittura teatrale. Molti autori tra cui Ferdinando Tempesti e Renato Bertacchini sottolineano che Pinocchio non fu l'esito fortunato di un momento di vena, mai più rivissuto da Collodi in occasione della stesura degli altri suoi libri. Infatti, le altre opere minori sono importanti, ma poco conosciute e studiate e sono la base da cui partire per capire meglio lo stile di Collodi.

 Renato Bertacchini afferma che non si può separare il giornalista Collodi dallo scrittore Collodi. "In Collodi i due termini narrativa e giornalismo giungono a compenetrarsi. Lo scrittore Collodi nasce dal giornalista Carlo Lorenzini" . Infatti quella schiettezza, quella spontaneità, quello stile chiaro e limpido, Collodi lo aveva acquisito facendo il giornalista. In Italia, come sappiamo, nel 1848, i regnanti avevano concesso la Costituzione, consentendo così la libera espressione della stampa. Un po’ ovunque nella Penisola e specie in Toscana, fiorirono numerosi giornali umoristici, periodi umoristici, la "Lente", il "Passatempo", la "Lanterna di Diogene", in cui riapparivano le caricature, le fisiologie e la satira di costume. Del primo e più importante di questi, non per nulla, Collodi diventò collaboratore. Oggetto dell'umorismo non sono più solo il teatro, la letteratura, e i loro mondi, bensì, anche l'istituzione matrimoniale e i costumi fatui di una certa ottusa aristocrazia.

Dal 1860, con la libertà di stampa torna anche sui giornali umoristici e a pieno ritmo, la satira politica; ed altri giornali, ad alcuni dei quali Collodi collabora, nascono o erano nati in quel periodo: l'"Arlecchino", la "Chiacchiera", la "Torre di Babele"; dopo il "Fanfulla", l'ultimo giornale italiano della tradizione umoristica, inizierà il declino del genere di cui Collodi sarà conscio, in corrispondenza con il calo della tensione  risorgimentale, con la trasformazione socio-economica e politica della società italiana, con l'allargamento della base del pubblico e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione. L'esperienza di giornalista fu molto significativa per Collodi, infatti, da buon giornalista era abituato a dire chiaro il suo pensiero. Inoltre Collodi aveva una cultura variegata, vivace e attenta alla contemporaneità, sorretta da solide nozioni scolastiche apprese negli anni di studio presso il seminario di Colle Val d'Elsa e gli Scolopi, ma anche arricchita probabilmente dall'ambiente della libreria Piatti, una delle più importanti di Firenze, animato luogo di ritrovo dei letterati e già frequentata tra gli altri da Leopardi, da Pananti, da Giusti e quasi quotidianamente da Niccolini, uno dei maggiori scrittori per Collodi. Attraverso alcuni di questi autori Collodi conobbe le opere di Laurence Sterne.

All'inizio dell'Ottocento anche in Italia crebbe la fama di questo autore, che, con le sue due opere maggiori Life and opinions of Tristram Shandy (Vita e opinioni di Tristram Shandy pubblicato in nove volumi tra il 1759 e il 1767) e A sentimantal journey through France and Italy (Viaggio sentimentale in Francia e in Italia, 1768), ha dato avvio a una concezione completamente nuova della forma del romanzo, in cui non ci si preoccupa più tanto della trama, sino ad allora volutamente ricca di peripezie, di fatti, di incidenti più o meno clamorosi, quanto della trasformazione della trama in un ricco mosaico di riflessioni di lui stesso, intento com'è nella ricerca di aneddoti e di stravaganze di ogni genere, del resto presenti anche con trucchi, allora assai nuovi costituiti, ad esempio, dallo stratagemma del foglio bianco, o sotto specie di un capitolo presentato con la parola Alas!, elencata successivamente sempre con caratteri di corpo più grande.
 "Con Sterne il romanzo del Settecento viene a perdere completamente ogni senso unitario e si infrange nella ricerca minuziosa di una serie senza fine di piccoli incidenti, preannunciando mode che saranno assai care anche ad autori contemporanei come del resto a Joyce. I personaggi sono figure terribilmente eccentriche, come il padre di Tristram Shandy, filosofo dilettante, che non si lascia scappare occasione per fare sfoggio di cultura, costantemente preoccupato della lotta che conduce contro l'incredulità del prossimo e con la realtà che lo circonda, dalla quale viene smentito oppure il fratello di Walter, lo zio Toby, maniaco dell'arte militare in conseguenza di una ferita ricevuta a Namur; oppure lo stesso parroco Yorick, personaggio che vuol essere una specie di idealizzazione del carattere dello stesso autore.

La punteggiatura è costituita in gran parte da lineette e il testo è costellato da asterischi, da spazi vuoti e numerose stranezze tipografiche come pagine tutte nere, tutte bianche o marmorizzate; i capitoli sono di varia lunghezza, dalle molte pagine a una sola breve frase" . L'apparente caos dello stile e della struttura di Tristram Shandy può trarre completamente in inganno, con le sue digressioni proliferanti e i suoi inserti di aneddoti e di favole, Sterne ha un fine ben preciso; egli rifiuta l'ordine cronologico, in parte perché si rende conto che il tempo impiegato nell'esperienza non è uguale al tempo scandito all'orologio, così un minuto può sembrare anzi può essere più lungo di un'ora. "La personalità capricciosa e sentimentale dell'autore, a un tempo moralista e buffone, ora tenero ora lascivo, domina l'intera storia e le digressioni non sono solo dovute al fine umoristico e moralistico del romanzo, ma contribuiscono a mantenerne il tono personale e intimo, perché l'autore prima le preannuncia, poi le offre, poi le ricorda in varie parti del libro. I suggerimenti, gli abilissimi appelli, rivolti al lettore, gli asterischi o i vuoti da interpretare e da riempire a proprio piacimento, contribuiscono anch'essi a legare il lettore al romanzo, come in una cospirazione con l'autore nella stesura della sua opera. Lungo tutto il romanzo, Sterne sfoga avversioni e pregiudizi personali, soprattutto nel personaggio ridicolo del dottor Slop, l'uomo levatrice, tutto è, però, subordinato al ritratto comico- sentimentale degli individui, con le loro bizzarrie e ossessioni e la loro fondamentale solitudine, che si tormentano, si fraintendono, si ignorano, si divertono e si amano a vicenda" . Il modello sterniano si basa, quindi, sulla divagazione e sulla parodia, fa uso di citazioni e di enumerazioni facete, del frequente e scherzoso ricorso all'epigramma, degli scorci rapidi e dell'altrettanto rapida delineazione di una figura.

Della presenza in Italia del modello umoristico e dell'opera di Sterne, ce ne parla molto approfonditamente Giovanni Rabizzani nel suo libro Sterne in Italia. La figura di Sterne si espande a partire dalla seconda metà dell'Ottocento grazie a Ugo Foscolo, Sterne divenne un autore familiare ai romantici italiani, come dimostrano le frequenti citazioni delle sue opere in scrittori maggiori e minori: da Leopardi a Nievo e Mazzini, da Pananti a Bini, Guerrazzi e Carcano. Fra questi autori Collodi si ispirò a Francesco Domenico Guerrazzi  (1804-1873), però il Guerrazzi della Serpicina e del Buco nel muro in cui si intravede l'influsso di Sterne. Il Buco nel muro (1862), è un racconto sentimentale e autobiografico dove si vede Orazio, il nipote scapestrato Marcello e poi figlio adottivo, La Betta convivere familiarmente. Per le sue imprese il nipote è mandato in Australia (ci andò effettivamente) e invece si reca a Milano, trova un impiego, dal buco nel muro della sua dimora vede una giovane donna accanto a un moribondo, l'aiuta e rimasta vedova, la sposa. Lo sternismo è nel tipo di Orazio, qualcosa di mezzo tra Yorick e lo zio Tobia perché eredita dal primo la bizzarria dei modi; dal primo e dal secondo la profonda bontà dell'animo, l'incapacità assoluta a pensare il male e il candore spirituale. E come modelli di Collodi non si può non nominare Carlo Bini  (1806-1842), contemporaneo di Guerrazzi e livornese anche lui, fu un umorista arguto, ebbe capacità di cogliere il particolare, di costuire il quadro e la scena: le ammirevoli pagine sul ricco in prigione, lo dimostrano. Anche Bini subì l'influenza di Sterne: come documento del suo sternismo ci rimangono poche pagine su Laurence Sterne (1829), la traduzione di tre episodi tolti da La vita e le opinioni di Tristano Shandy gentiluomo e cioè Storia di Yorick, il Naso grosso, Storia di Le Fever, infine il suo scritto Manoscritto di un prigioniero (1833). Sul Manoscritto di un prigioniero dovette influire il cap XLI del Viaggio sentimentale: il carcerato. Bini rappresenta, con scene stupende la persistente, disparità di condizione tra povero e ricco, persino al di là di quella soglia ove tutti dovrebbero essere sotto l'impero di una legge comune. Egli fa molto uso di una tecnica usata da Sterne cioè la divagazione. Collodi dovette leggere a lungo questo scritto, infatti, lo stile usato da Bini nel Manoscritto di un prigioniero, per scorrevolezza e tono, ha molti punti in comune con quello utilizzato da Carlo Collodi.

Un modello autorevole per Collodi fu Filippo Pananti  (1766-1837), soprattutto la sua opera Il Poeta di teatro, la cui lettura da parte di Collodi è intuibile nelle Avventure di Pinocchio, palese in Occhi e nasi e in un Romanzo in vapore. Lo stile di Pananti è sciolto, limpido e piacevolmente digressivo. Il Poeta di teatro, lunga narrazione in sesta rima, fu nella maggior parte scritto dall'autore in Inghilterra, fra il 1803 anno in cui Pananti vi si stabilì e il 1808, anno in cui ve lo pubblicò. Il Poeta di teatro è un testo vitale perché comprende una effettiva partecipazione del poeta al complesso dei fatti raccontati; è una specie di autobiografia, in gran parte immaginaria, dove gli effetti umoristici sono affidati al contrasto tra le avventure spesso incresciose del protagonista e il sorriso col quale l'autore le narra, ovvero all'alternanza del reale e del convenzionale. Ma è soprattutto il suo libro di memorie e di viaggi, intitolato Avventure e osservazioni sopra le coste di Barberia (1817), a rivelare un influsso di Sterne niente affatto superficiale: lo si ravvisa nella distribuzione della materia in brevi paragrafi, nel gusto della divagazione e della citazione erudita, nella capacità di dare rilievo a figurine e a situazioni minime, con un piglio vivace e divertito che non  esclude la nota della gentilezza. Altro modello importante per Collodi fu Giuseppe Giusti  (1809-1850). Di Giusti a Collodi dovevano probabilmente interessare la vivacità dei ritmi e dei tocchi con cui sapeva disegnare le sue caricature e satireggiare la società toscana, retta da un regime politico che appariva sempre più corrotto. Dall'esame particolare di una data persona e dei suoi difetti, egli risaliva a tutta una categoria di persone, che alla prima rassomigliavano e a tutto un complesso di difetti che con quelli avevano attinenza. Pensiamo a Il Ballo, a La Vestizione, al Gingillino, a Il Giovinetto, al famosissimo Il Brindisi di Girella. In questo modo egli ha plasmato dei "tipi": Becero (lo sposo de Il Ballo), Gingillino, il Giovinetto, Girella, Taddeo e Veneranda sono vivi e veri, sono esseri umani: infatti, non poche persone dovettero riconoscere se stesse in qualcuno di loro, tanto è vero che protestarono o giurarono odio eterno al Poeta. Giusti non ha mai costruito dei personaggi con vita autonoma: gli arlecchini, i girella, i beceri, i gingillini, le spie che affollano i suoi Scherzi sono tipizzazioni spersonalizzate di vizi e difetti della società (soprattutto di una società, quella toscana, di Leopoldo II), e l'autore giustamente protestava contro chi voleva identificarli con questo o quel personaggio: molti vi si potevano riconoscere, ma nessuno poteva pretendere l'esclusività. E si deve anche osservare che Giusti tratta quei difetti con buon senso e serena bonarietà.

Collodi e questi autori qui nominati, sulla base del modello sterniano, vollero prendere le distanze dal classicismo, considerato una forma di letteratura troppo pedantesca e scolastica rispetto alle nuove esigenze della Modernità. La sintassi tende a farsi meno ampia e complessa, le forme tendono ad essere quelle dell'uso parlato: si fa uso di parole e modi popolari, di neologismi e voci della tradizione colta e termini francesi, inglesi, motti e proverbi latini. Il tutto all'insegna di una scrittura umoristica che mira all'ironia e alla parodia. Questa ironia la ritroviamo in alcune opere di Collodi come Macchiette che fu pubblicato nel 1884 e contiene articoli scritti in diversi anni e poi confluiti in una raccolta. Nella premessa intitolata Storia di questo volume, Collodi spiega il metodo adottato per la stesura: "Si pigliano dei fogli scritti, stampati o scarabocchiati pur che sia, si numerano uno dopo l'altro, come vengono vengono, se non vogliono stare uniti e d'accordo fra loro, allora si piglia un filo di refe e si cuciono insieme. Allora il libro è fatto" . Collodi in Macchiette, ironizza sui tipi sociali quali l'avventuriero, l'aristocratico, l'impiegato, il giornalista; sull'ideale romantico dell'amore e della passione come nell'Amore sul tetto; sulle regole e sulle istituzioni sociali, prima delle quali è il matrimonio, uno dei miti (falsi) e dei vacui traguardi sociali più ambiti. Renato Bertacchini, a proposito del tema del comico in Collodi, sottolinea che "nel primo stadio della sua carriera di scrittore umorista Collodi sembra fermo ad un genere di comico sommario, un comico più verbale che di situazioni: un'uniformità divertita, un facile rictus linguistico con scarsa e debole aderenza ai casi narrati, corre per le pagine di Macchiette, sfiora professioni e tipi di ogni sorta, ma senza studiarli, senza tentarne una caratterizzazione umana ed esistenziale".

Questa prima fase dell'umorismo narrativo collodiano, con la sua lettura automatica della realtà umana, di questo in fondo si tratta, dato che a Collodi basta una frase, una parola che subito gli si trasforma in pretesto per una figura macchiettistica, verbale, con le sue digressioni continue, con le zeppe, le pure e semplici freddure, questi contorni di macchiette così labili e generalizzanti avranno bisogno di acquistare colore, di intenerirsi al contatto con una più provata esperienza. Negli anni dal 1869 al 1885 Collodi diventa assiduo frequentatore del caffè Michelangiolo e lì frequenta i Macchiaioli Cristiano Banti, Vincenzo Cabianca e anche il suo scrivere comincia a cambiare. Infatti il comico di Occhi e nasi e  delle Note gaie è un comico diverso, un comico, come afferma Renato Bertacchini, "di coloritura visiva, che tende a ricreare un particolare dopo l'altro, l'immagine deformata, grottesca di una remota e goduta realtà piuttosto che il labile ascolto del fatto, del caso trattenuto unicamente da poche battute, costretto ogni volta ad un epigrammatico o paradossale o magari proverbiale gioco di parole".

La satira di Collodi si scaglia contro l'istituzione matrimoniale, contro i rapporti falsi tra coniugi, tra amici, contro l'ipocrisia di certe donne che si credono le persone più rispettabili di questo mondo e poi si comportano malissimo, tradiscono il marito senza tanti scrupoli o di certi uomini che sono disposti a tutto pur di mantenere il loro posto di prestigio. Collodi ironizza sui fiorentini, dice che "i fiorentini hanno tre debolezze: il campanile di Giotto, la cortesia tradizionale verso i forestieri e il vecchio sigaro toscano". E ancora riferisce: "Levate ai fiorentini la bestemmia e torna quasi lo stesso che portargli via mezzo vocabolario della lingua parlata" . Collodi delinea un ritratto ben poco consolante, per non dire impietoso, del mondo borghese nel quale egli, appunto da borghese vive e ne mina con un'ironia dirompente e pervasiva l'intoccabile saldezza delle istituzioni. Collodi poteva permettersi di ironizzare sulla società nella quale viveva, proprio per la singolarità culturale della sua terra nativa. Infatti, la Toscana nella quale Collodi nacque nel 1826, era stata da poco restituita, dopo il breve sconvolgimento napoleonico, alla dinastia degli Asburgo-Lorena che ne aveva assunto la corona fin dal 1737. Dal 1824 vi regnava, col titolo di granduca, Leopoldo II, che i fiorentini chiamavano Canapone a motivo della sua pittoresca chioma stopposa e che avrà il destino di accompagnarne le sorti ultime fino alla sua annessione al Regno d'Italia. Posta, dunque, sotto il paternalismo riformista del granduca, ma, molto di più, sotto il tradizionale governo del suo patriziato agrario (ai Corsini e ai Fossombroni bisogna aggiungere i Peruzzi, i Ricasoli, i Ginori, gli Strozzi), la Toscana era, senza dubbio, lo Stato italiano nel quale le condizioni di vita si presentavano migliori. L'universo morale e letterario di Collodi risente profondamente di questo stato di cose e di valori. Insomma in Toscana progresso e conservazione, modernità e trascuratezza, andavano di pari passo. Da un lato, infatti, Firenze, appagata dalla luce del suo passato e custode attenta del suo umano equilibrio presente, tendeva a chiudersi nella sua natura provinciale, nel gratificante assetto di capitale periferica, dall'altro lato, invece, la capitale toscana attraeva da tempo i sogni della più elevata coscienza nazionalista. Da questa Toscana granducale, dunque, e dal suo ceto popolare abituato alla povertà, ma non alla degradazione della miseria metropolitana, proviene Collodi. L'ambiente nel quale Collodi viveva era molto proficuo intellettualmente, si pensi soltanto alla figura di Giovanni Pietro Vieusseux, che raccolse intorno al suo Gabinetto scientifico letterario la parte più attiva degli spiriti riformisti e insieme a Gino Capponi fondò nel 1821 L'"Antologia", la rivista più influente dell'Ottocento fiorentino. Nel 1847, anno in cui Collodi esordisce come scrittore sulla "Rivista di Firenze", i liberali guidati da Bettino Ricasoli ottengono da Leopoldo II la libertà di stampa. Un ambiente molto stimolante e aperto verso chi aveva spirito critico e voglia di cambiamento, ma anche consapevole del suo passato che ha influito certamente in modo positivo sulla formazione di Collodi e quindi anche sulla sua comicità.
 
 


2.2 Collodi: scrittore per l'infanzia.

Dopo circa trent'anni di attività come giornalista e scrittore per adulti Collodi comincia ad occuparsi di bambini. A questo proposito Guido Biagi, amministratore del "Giornale per i bambini", scrive: "Con l'entrata di questo giornalista nel campo chiuso della pedagogia, si introdusse nella letteratura scolastica un nuovo elemento: l'ironia e l'umorismo, il quale, adoperato a tempo e luogo può essere un caustico salutare, assai più efficace di tante prediche morali, che vengono a noia e non hanno nessun effetto educativo. I ragazzi lo salutarono come un liberatore che li affrancava dal tedio di tante sciatte e scipite letture. Era la prima volta che uno scrittore arguto si degnava scendere fino a loro e trattarli da uomini" .

E Collodi entrò nel mondo dell'infanzia a 49 anni. Nel 1875 traduce, per incarico dell'editore Paggi, le fiabe di Perrault I racconti delle fate, in forma briosa e con argute, scanzonate conclusioni morali. Un anno dopo, sempre per incarico dello stesso Editore, scrive Giannettino che, nell'intento educativo e nel nome, non per altro ricorda Giannetto del Parravicini. In seguito gli pone accanto Minuzzolo e prosegue con Il viaggio in Italia di Giannettino, La grammatica di Giannettino. Nei libri per ragazzi, Collodi porta subito quei frequenti modi dell'oralità, quelle numerose frasi idiomatiche e gergali che mirano a realizzare una scrittura dall'essenza ironica, alla maniera del giornalismo umoristico. Collodi parla, da pari a pari, con il suo piccolo lettore, conosce bene la psicologia infantile, crea dei personaggi vivi e credibili agli occhi dei ragazzi, dei birichini, degli svogliati, bugiardi e per questo più vicini all'esperienza reale di ogni fanciullo. L'infanzia è, per Collodi, autonomia e libertà, bisogno di indipendenza e voglia di deviare e di disobbedire. Quello che attua Collodi è un modo tutto nuovo di guardare all'infanzia, non più strettamente pedagogico, ma interpretativo che sa cogliere i profondi legami che uniscono l'infanzia al resto della vita dell'uomo. Come sottolinea Franco Cambi , due interi settori dell'attività di Collodi sono dedicati all'infanzia: quello dei libri per la scuola e quello dei racconti di evasione per i fanciulli. Questo dimostra un'attenzione costante di Collodi per il mondo dell'infanzia. Egli guardava sia all'infanzia popolare sia a quella borghese: la prima era costretta alla asocialità e alla miseria, la seconda al formalismo e alla castrazione tipicamente borghesi. Nella produzione giornalistica i fanciulli e i ragazzi non hanno autonomia, sono caratterizzati per ceti e strettamente connessi all'ambiente sociale.

"Con la traduzione di Perrault e la serie dei Giannettino e del Minuzzolo, si passa ad una seconda fase: l'infanzia viene posta al centro, indagata o almeno osservata con naturalezza e simpatia, pur all'interno del mondo borghese. Qui le doti dell'infanzia sono la tendenza all'anticonformismo, l'autonomia, la disobbedienza come espressione di libertà, la simpatia, solidarietà che collega i rappresentanti della società infantile. Il ragazzo Collodi di Quand'ero ragazzo, Pipì e, infine, Pinocchio sono le stazioni di questo ultimo viaggio che conduce il giornalista fiorentino a cogliere i caratteri e le contraddizioni, le potenzialità e le ambiguità dell'infanzia, come pure le tentazioni che la percorrono e le condanne che la perseguitano" . Collodi pensa che l'infanzia sia un'età chiave della vita dell'uomo perché è nell'infanzia che l'uomo conquista una sua identità adulta sia sociale che personale.

Come abbiamo detto Collodi comincia a scrivere per l'infanzia nel 1875 anno in cui traduce per incarico dell'editore Felice Paggi, le fiabe del Perrault I racconti delle fate. In una nota premessa alla sua traduzione dei Racconti delle fate Collodi avverte il lettore di essersi concesso leggerissime varianti, sia di vocabolo sia di andatura, di periodo, sia di modi di dire. La corte del Re Sole si trasferisce, con il suo seguito luminoso, in una Toscana insieme granducale e umile. Ed ecco la consorte di Barba-blu "traccheggiare" di fronte alle richieste del marito, ecco le sue vicine sgonnellare per le sale, il principe che prende in giro la Bella Addormentata, dicendole che era vestita come sua nonna. Soprattutto nelle moralitès l'opera di ricreazione, popolaresca e sapida di Collodi si sbriglia in libertà anticipando certi toni beffardi e sarcastici di Pinocchio. Per esempio la morale della Bella Addormentata nel bosco è questa: "Se questo racconto avesse voglia di insegnare qualcosa, potrebbe insegnare alle fanciulle che chi dorme non piglia pesci né marito" . Senza l'esperienza nel tradurre le fiabe di magia e senza il rinnovamento di mezzi espressivi che quella esperienza favorì in lui, non sarebbe immaginabile l'improvvisa apparizione di un capolavoro come Le avventure di Pinocchio, incantevolmente sospeso fra il suo realismo nativo di sempre e gli orizzonti favolistici dischiusi alla sua già avanzata maturità dall'incontro con Perrault. Lo stile di Collodi è franco, allusivo, ironico e ha la sonorità, la chiarezza, la gentile irriverenza della lingua toscana nel suo "stile medio" urbano. Un anno dopo, sempre per incarico dello stesso Editore scrive Giannettino.  Il libro inizia così: "E ora, se starete attenti, vi racconterò per filo e per segno la storia di Giannettino" . Un modo tutto nuovo di iniziare un libro per ragazzi della fine dell'Ottocento. Questa è la storia di un bambino birbante, aveva gli occhi celesti, il ciuffo ribelle di capelli rossi che gli ricascava in mezzo alla fronte, non conosceva neppure di vista la voglia di studiare e arabescava i suoi quaderni, dalla prima all'ultima pagina, di omini, di alberini, soldatini, colorandoli col succo di ciliegia; è affidato a Boccadoro, persona molto stimata per la sua virtù di parlar chiaro e di dire a tutti la verità. Boccadoro, il simbolo della didattica del secolo, compare come un fantasma a  "muso duro" davanti a Giannettino che piange quando vede disegnate sui muri delle teste di somaro con dentro il suo nome. Con Giannettino che ormai intraprende il viaggio per l'Italia in compagnia di Boccadoro, studiando dal vero la geografia, termina il libro e anche l'anno scolastico.

Con Minuzzolo, amico di Giannettino, si entra nel periodo delle vacanze. "Minuzzolo è bambinetto di circa 8 anni, biondo come una spiga di grano maturo, con un viso bianco e rosso come una melarosa, con la bocca sempre mezz'aperta a secchiolino e sempre ridente, con due labbra fresche e vermiglie che parevano due fragole colte allora allora e messe l'una sull'altra. Aveva nome Arturo, ma poiché era minuto di fattezze e alto come un soldo di cacio, così Giannettino, per la smania di mettere il soprannome a tutti, lo chiamava Minuzzolo" . Minuzzolo, al ritorno dalla stazione, ma col pensiero rivolto all'amico Giannettino in viaggio s'addormenta. Al risveglio ha una lieta sorpresa: la famiglia ha acquistato una villa in campagna. E qui, al posto di Boccadoro, subentra il padre, il signor Quintiliano che ricorda ai suoi figli che, prima di andare in campagna, dovranno imparare la mitologia. E la mitologia, con i suoi trentaduemila dei, semidei, eroi, ninfe e divinità inferiori, cade come un rovescione di pioggia gelida sulla gioia di Minuzzolo e fratelli, i quali, in groppa alla fantasia, già percorrevano la soleggiata strada campestre. Ma, nella villa, li attende un'altra sorpresa. Sulle pareti e sul soffitto del salone maggiore sono dipinti episodi e figure della storia romana: dalla Monarchia all'Impero. E, sotto il fresco pergolato, lo stesso giardiniere Antonio, dà lezioni di botanica, a cui si uniranno quelle di mitologia botanica e più tardi quadri viventi di storia. Minuzzolo, smargiasso e timoroso che vorrebbe andare a caccia di leoni, mentre ha paura di un rospo e ne combina di tutti i colori, come quando prese il ciuchino Baffino e andò a farsi vedere in paese e cascò in un fosso d'acqua, preannuncia con le sue trovate Pinocchio.

Collodi ha 52 anni quando scrive la  Storia di un burattino. Il 7 luglio 1881, sulle colonne del "Giornale per i bambini" esce la prima puntata della Storia di un burattino che fu pubblicato in 26 puntate, dal luglio 1881 a Gennaio 1883. Senz'altro le precedenti tappe gli furono necessarie o gli servirono da allenamento per arrivare al suo capolavoro. Negli ultimi vent'anni la critica collodiana ha cominciato, infatti, a sottolineare l'importanza di tutte le opere di Collodi. Grazie a Renato Bertacchini con il suo Collodi narratore del 1961, a Fernando Tempesti con il suo Chi era Collodi. Come è fatto Pinocchio e ai Convegni collodiani del 1974, 1978, 1980 e a Faeti, Manganelli, Guarducci, Asor Rosa e altri, la personalità e l'opera di Collodi si è andata sempre meglio definendo.

Dalla lettura dei saggi critici, qui nominati, risulta che Pinocchio è un grande classico e come tale va studiato e che è dotato di una struttura complessa che richiede strumenti di indagine raffinati e diversi. Nel 1907 Guido Biagi, amministratore  e caporedattore del "Giornale per i bambini", pubblica su "La lettura" un articolo: Il babbo di Pinocchio: C. Collodi. Egli riferisce che, accanto al "Fanfulla della domenica", uscì il "Giornale per i bambini" diretto da Ferdinando Martini ed ebbe un successo strepitoso, perché si proponeva di offrire ai giovani una lettura piacevole e istruttiva e di costringere gli scrittori più illustri a scendere fino a loro. Egli chiese anche a Collodi di scrivere per il giornale e riporta le parole della lettera che sul finire del 1880, Collodi gli mandò insieme a un mucchio di cartelle intitolate Storia di un burattino: "Ti mando questa bambinata, fanne quel che ti pare, ma se la stampi pagamela bene per farmi venir la voglia di seguitarla" . La Storia di un burattino comincia a uscire il giovedì 7 luglio 1881 con il primo numero del "Giornale per i bambini" e l'iniziale "mucchietto di cartelle" si esaurisce con la seconda puntata, il 14 luglio. Collodi le aveva scritte, supponendo certamente di continuare nell'impresa, non senza sapere bene come; e la formula di chiusura è generica  e possibilista; istituisce una sosta e promette senz'altro un seguito invitante, ricco di peripezie, ma non fissa scadenze né appuntamenti certi: "Quello che accade dopo è una storia da non potersi credere e ve la racconterò un'altra volta" (più tardi, nell'edizione in volume, la formula verrà funzionalmente ritoccata e in luogo di "ve la racconterò un'altra volta", apparirà "ve la racconterò in questi altri capitoli").

Ricevuto il benestare del Biagi e soddisfatto delle condizioni economiche accordategli, Collodi si rimette al lavoro e scrive quella che ritiene dover essere, in un primo momento, la conclusione della storia: cioè fino a tutto il capitolo XV dell'edizione in volume, nel cui epilogo gli assassini impiccano Pinocchio al ramo della "Quercia Grande". Tutta questa prima parte dell'opera è pubblicata con una certa irregolarità sul "Giornale per i bambini", suddivisa in otto puntate dal 7 luglio al 27 ottobre.

Collodi aveva stabilito per il suo burattino una sorte tragica assai diversa da quella che tutti conosciamo in cui il burattino Pinocchio si trasforma in bambino.

Il giovane pubblico reclama nuove imprese del burattino e Collodi, sollecitato dal "Giornale" è costretto a resuscitarlo. Perciò, dopo un'interruzione di quattro mesi, la pubblicazione dell'opera riprende, il 16 febbraio 1882, con il nuovo titolo Le avventure di Pinocchio e va avanti per altre undici puntate settimanali, con le solite irregolarità di ritmo fino al 1 giugno. In questo secondo blocco narrativo che comprende i capitoli dal XVI al XXIX dell'edizione in volume si fa strada il progetto della trasformazione del burattino in fanciullo, come premio di un'acquisita e solida virtù. Mentre sul "Giornale per i bambini" il racconto sta uscendo a puntate, Collodi sottoscrive un contratto con Felice Paggi, in base al quale Le avventure di Pinocchio diverrà un libro, stampato dalla casa fiorentina. La trasformazione in volume ha comportato una serie di interventi e di adattamenti, sia nell'interno del testo che nella sua organizzazione esteriore. Innanzi tutto la nuova divisione in capitoli che saranno in via definitiva 36; poi gli interventi sul testo e cioè la soppressione delle avvertenze che sul "Giornale per i bambini" avevano sottolineato le lunghe pause e i cambiamenti di rotta nella stesura; i numerosi adattamenti come quello alla fine del capitolo XV dove Pinocchio è impiccato alla Quercia Grande, alla frase "allora gli tornò in mente il suo povero babbo", Collodi aggiunge la frase "e "balbettò quasi moribondo". Nel finale del capitolo XXIX, dove si affermava che i compagni di Pinocchio furono invitati in casa della Fata per la festa solenne, Collodi, per giustificare il seguito, in cui il burattino esce di casa proprio per fare gli inviti modifica il verbo in dovevano essere invitati e così via.

Tutto il testo delle Avventure, in vista della pubblicazione in volume, viene sottoposto da Collodi a una revisione anche linguistica che comporta un notevole numero di piccoli interventi e di aggiustamenti. Ma, a dispetto dell'improvviso e frettoloso impegno posto nella sua sistemazione definitiva, l'opera conserva il segno della sua originaria natura di romanzo a puntate: vi sono piccole dimenticanze, inesattezze, contraddizioni che provengono da una stesura più volte interrotta e poi ripresa. A questo proposito Ornella Castellani Pollidori, nel saggio introduttivo alla sua edizione critica delle Avventure di Pinocchio, scrive: "C'è da chiedersi se la tensione straordinaria che rende il racconto così vivido e zampillante, quasi in ogni sua parte, non tragga origine proprio dal fatto che esso è stato composto e offerto al pubblico in porzioni staccate, in ciascuna delle quali dovevano rinnovarsi la felicità dell'invenzione, la magia della sorpresa e possibilmente la sospensione nel finale" . Un capolavoro involontario perché l'autore non si rese minimamente conto di star mettendo insieme un poco alla volta il suo capolavoro. Sempre Ornella Castellani Pollidori lo definisce un capolavoro accidentale dovuto a una fortunata confluenza di fattori: l'idea di un giornale per i ragazzi, l'amicizia fra il direttore Ferdinando Martini e Collodi, la forza di persuasione e la tenacia del giovane Biagi e, infine, il frequente bisogno di quattrini dell'autore.
 


2.3 Pinocchio e la letteratura per l'infanzia contemporanea

Su Pinocchio è stato scritto tantissimo, non c'è stato intellettuale o critico che non si sia misurato con Le avventure di Pinocchio: da Momigliano a Trompeo, da Fazio Allmayer a Volpicelli, da Prezzolini a Cecchi e Campanile e tanti altri. Le interpretazioni di Pinocchio non sono mancate, di vario tipo e orientamento: letterarie, filosofiche, pedagogiche, antropologico- culturali, psicologiche, simboliche. Addirittura ci sono state interpretazioni teologiche come quella del Card. Biffi Contro Maestro Ciliegia. Commento teologico a Le avventure di Pinocchio. A partire dagli anni '60, ci sono state anche tante analisi strutturali di Pinocchio, questo perché esso, per la sua forma complessa, si presta bene a questo tipo di analisi. Esso è, infatti, un romanzo estremamente innovativo e interessante per la letteratura pedagogica dell'Ottocento, i libri per l'infanzia, infatti, in quel periodo erano estremamente noiosi, pedanteschi, tendevano a educare il ragazzo a conformarsi ai valori dominanti, al lavoro, al sacrificio, all'obbedienza, al rispetto. Insomma il paradigma pedagogico è centrale in quasi tutte le grandi opere dell'Ottocento. In Italia, tanto per fare un esempio, la letteratura infantile è nata nel Settecento, con racconti morali e pedagogici, col Soave ed è continuata nell'Ottocento con la produzione di Pietro Trouar, di Ida Baccini, di Alessandro Parravicini e altri. I racconti morali sono pieni di pedagogismo, di familismo, di precettismo e di conformismo, si pensi a Edmondo De Amicis e al suo Cuore.

In Pinocchio, invece, non c'è molta solidarietà, anche quando Pinocchio aiuta qualche amico è perché ha ricevuto qualcosa da lui o ha il suo tornaconto, la generosità spontanea e vera non esiste almeno per quanto riguarda Pinocchio, c'è generosità  forse in Geppetto e nella Fata, però anche loro vogliono qualcosa in cambio da Pinocchio, cioè che si comporti bene. In questo breve quadro della letteratura per l'infanzia in Italia nell'Ottocento, Pinocchio è sicuramente un romanzo innovativo, è un'opera complessa, polistrutturata, con una molteplicità di codici di riferimento. Collodi si richiama alla tradizione della fiaba, ma la rinnova in senso personalissimo, mettendo in essa esperienze molteplici: il teatro, i miti, la Bibbia, le favole con animali parlanti. Collodi si propone di educare i bambini, ma facendoli divertire, è questa la novità più importante che egli apporta nella letteratura per l'infanzia. Pinocchio, quindi, è un'operazione culturale complessa e possiamo affermare che la comicità in Pinocchio va di pari passo con la pluralità dei codici, infatti, un'opera così polistrutturata ha anche una comicità varia e sempre diversa e plurima. E' una comicità che scaturisce proprio dal fatto che Pinocchio è un'opera complessa che si presta a molteplici interpretazioni. Dagli anni '60 in poi si è discusso molto sul codice di riferimento primario in Pinocchio. Alcuni hanno dato risalto all'avventura, altri alla deviazione, altri ancora alla iniziazione.

Renato Bertacchini in Collodi narratore, ha privilegiato il primo codice. Egli pensa che, al centro del capolavoro collodiano c'è il tema dell'avventura intesa come forma di esistenza cioè impossessarsi della vita che non si conosce, battere il capo contro la gente e il mondo, percorrerlo di corsa e in fuga. Egli divide il romanzo in quattro avventure principali: la prima avventura è l'avventura degli assassini, comincia dall'incontro con Mangiafuoco, prende le mosse dal regalo delle cinque monete, seguita dall'incontro col Gatto e la Volpe, la cena all'osteria, l'imboscata notturna, la corsa a perdifiato, per finire nel quadro fosco e macabro dell'impiccagione alla Quercia Grande. La seconda avventura si svolge nel paese di Acchiappa- citrulli, la terza avventura ha per meta il paese dei Balocchi, la quarta e ultima avventura è quella che si svolge dentro il pescecane. L'avventura inizia quando Pinocchio fugge dal padre o disprezza i consigli della Bambina dai capelli turchini, per seguire la sua curiosità, il suo istinto, per il bisogno di fare esperienze nuove e si conclude con il ritorno al padre, con il riconoscimento che i consigli che gli erano stati dati erano giusti.
Il tema della deviazione è privilegiato da Gerard Genot, ma ne riparleremo meglio nella nostra analisi strutturale di Pinocchio.

Fernando Tempesti parla, invece, di una struttura elementare di Pinocchio, infatti, di solito una struttura semplice lascia spazio al gioco, all'invenzione. Egli ritiene che, almeno nei primi undici capitoli di Pinocchio, i personaggi, le vicissitudini, la crudeltà e l'immediato pericolo di vita, insomma tutto, concorre in un'unica direzione, che è quella di fornire all'indiscusso protagonista spunti e opportunità di dire quelle certe battute. Il modello di struttura attuato da Collodi, per Tempesti, è quello binario originato dal teatro comico basato sulla costruzione rapida di una situazione in vista di una battuta, di una punta comica detta o mimata e subito si ricomincia da capo. Tempesti pensa che l'analisi strutturale di Genot sia molto precisa e tecnica e che le  sequenze individuate da Genot siano presenti anche in Pinocchio, ma non fanno parte della struttura del racconto che, secondo lui, è più semplice.

Questi stessi elementi, individuati da Genot, erano già stati indicati come costitutivi di Pinocchio da Paul Hazard che, fin dal 1914, diede un'assai ricca interpretazione "pedagogica" del libro del Collodi. Ma come sottolinea Tempesti "l'interpretazione pedagogica dell'Hazard e di molti dopo di lui, che poi sembrava la più "normale", ha certo messo in ombra la fondamentale, strutturale componente ironica delle vicende di Pinocchio" .Tempesti ritiene che questa struttura elementare Collodi l'abbia ripresa dalla maschera di Stenterello. Caratteristica primaria di questo tipo di teatro era la capacità di trascinare il pubblico dal pianto al riso, da un istante all'altro, pur separando i due sentimenti.
Aldo Rossi pensa che si possano ritrovare in Pinocchio, in chiave umoristica, ironica, modelli letterari e storici emergenti. Si possono trovare somiglianze con L'Andreuccio del Boccaccio o con i Promessi Sposi del Manzoni. Quando Pinocchio fugge dal ventre della balena con il padre sulle spalle, richiama la figura del pio Enea, quando vuol sacrificarsi per Arlecchino richiama Eurialo e Niso dell'Eneide, Cloridano e Medoro dell'Orlando furioso, oppure testi strappalacrime come I due sergenti, commedia popolare francese. Secondo Aldo Rossi si possono ritrovare in Pinocchio allusioni che rimandano alla vita di Cristo: basta pensare alla nascita miracolosa di Pinocchio, alla figura del padre putativo Geppetto (falegname come Giuseppe), alla Bella bambina dai capelli turchini a volte più Madonna che Fata, all'impiccagione alla Quercia Grande, domestico Golgota. Per la struttura di Pinocchio, secondo Aldo Rossi, si dovrebbe andare a rivedere la struttura dei riti di iniziazione puberale. Infatti La storia di un burattino descrive la dinamica di una trasformazione, quella da burattino a ragazzino perbene. Nei riti di iniziazione puberale si può stabilire un percorso di tal genere:

1) Preparazione (allontanamento dai genitori)

2) Morte iniziatica (riti di entrata: ratto, perdita della coscienza)

3) Rinascita
 

In Pinocchio esiste l'allontanamento dal padre (cap III-VI), poi nella fase di morte iniziatica si ha il ratto da parte del Gatto e della Volpe e la condanna a morte del burattino, poi la fuga attraverso la foresta misteriosa e infine la vera e propria impiccagione, quindi entra in campo l'aiutante fatato e si entra nella fase della rinascita che porterà, attraverso alterne vicende, il burattino a diventare un ragazzo. Secondo Rossi "Pinocchio, da qualsiasi parte si prenda conferma la sua natura sgusciante, anguillesca: in Pinocchio non si dovrà cercare né l'unità, né la binarietà, ma semplicemente la pluralità" . Rossi ha trovato in Pinocchio come codice di riferimento primario la pluralità.

Si possono ritrovare in Pinocchio molti codici di riferimento che servono a costruire la struttura di Pinocchio e quindi la sua comicità,  noi ne abbiamo individuato alcuni come il tema del rovesciamento e del viaggio.
 


2.4 Il  burattino e la bugia

Abbiamo visto nel primo capitolo che il comico è visto, da più di un autore, come contrasto, come incongruenza tra ciò che ci si attende e ciò che avviene realmente. Questa inversione l'abbiamo trovata in Bergson, in Freud e in Pirandello. Bergson, infatti, riteneva che "non vi è nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano" , intendendo con ciò che soltanto le caratteristiche umane sono risibili e che possono essere trasposte anche a oggetti e animali. "Il comico, si dice, nasce dall'irrigidimento delle caratteristiche umane, dalla loro automazione, dal fatto che l'uomo agisca e si comporti come una marionetta senza esserne consapevole" . In Pinocchio opera il processo di inversione: Pinocchio sa di essere un burattino, ma ragiona e agisce come un vero bambino, Pinocchio porta già inscritto in sé il meccanismo del rovesciamento. Pinocchio, quindi, non è risibile, in quanto marionetta, ma per tutte le situazioni che crea in tale veste, comportandosi da bambino, agendo con estrema naturalezza all'interno di un contesto reale, pur nella sua meccanica diversità. E l'inversione è uno dei mezzi tipici con cui si esprime la comicità che Freud definisce intenzionale contrapponendola al comico ingenuo, quello provocato dalla non consapevolezza di chi lo produce. Così, è proprio la consapevolezza da parte del lettore del meccanismo di contrasto e interferenza tra piano reale e fantastico a rendere comiche certe situazioni.

Questo tipo di comicità è un po’ più elevata di quella che fa scaturire il riso come reazione ad un effetto meccanico; è più vicino a quello che Pirandello definiva umorismo "che non si limita all'identificazione e alla messa  a nudo del meccanismo, ma mira allo sdoppiamento tra maschera e personaggio, a far distinguere all'interno della vicenda realtà e finzione, una realtà diversa da quella che normalmente percepiamo" . I personaggi in Pinocchio non sono mai quello che sembrano, c'è sempre una maschera dietro ognuno di loro, un travestimento, un contrasto. Questo meccanismo del rovesciamento può essere applicato, quindi, a molti personaggi, a cominciare naturalmente da Pinocchio. Egli non è ancora un burattino, non è ancora nato e già si fa sentire e dà del filo da torcere a Maestro Ciliegia che non voleva credere che quella vocina provenisse proprio da quel pezzo di legno. Il prodigioso, il soprannaturale, il magico sono entrati nella vita di Maestro Ciliegia. Quel pezzo  di legno si prende gioco di lui e Maestro Ciliegia, appena si presenta l'occasione lo regala a Geppetto, perché ha paura di tutto quello che è magico, prodigioso. Questo meccanismo del rovesciamento fa divertire molto i ragazzi e lo ritroviamo in tutto il libro, innanzitutto in Pinocchio: egli è un eroe in quanto protagonista del romanzo, tutte le vicende ruotano attorno a questo personaggio, tutti i dialoghi sono sempre tra Pinocchio e la Fata, Pinocchio e Geppetto, Pinocchio e il Grillo parlante ecc.. , ma egli nello stesso tempo è anti-eroe e qui troviamo il meccanismo del rovesciamento. Egli, infatti, non ha le caratteristiche dell'eroe di qualsiasi fiaba per bambini, non è coraggioso, non è forte, ma è ingenuo, non fa mai tesoro delle esperienze fatte, ma ogni volta è come se ricominciasse daccapo, non conserva dentro di sé l'esperienza vissuta precedentemente, anzi si butta a capofitto in sempre nuove avventure, conservando sempre dentro di sé l'ottimismo e la voglia di ricominciare.

Geppetto comincia a crearlo, gli fa gli occhi, la bocca, il naso e subito Pinocchio si prende gioco di lui, ride e questo riso ha molte caratteristiche comuni al riso di cui parlava Bachtin nel libro L'opera di Rabelais e la cultura popolare, è un riso che smitizza che abbassa, è un riso parodiante e buffonesco. Pinocchio ci trasmette subito all'inizio un irrefrenabile gusto per la vita, è felice di essere nato e si diverte a prendere in giro se stesso e gli altri. Questo Pinocchio dell'inizio del romanzo ha molto in comune con il comico popolare; Pinocchio ha tutte le qualità del picaro che vive alla ventura, osservando tutte le contraddizioni del mondo dei grandi. Di queste radici rurali e popolari di Pinocchio ne parla molto anche Daniela Marcheschi  nel suo libro Collodi ritrovato, ma, ancora prima, lo avevano messo in evidenza Fernando Tempesti, Paul Hazard, Giuseppe De Robertis, Luigi Volpicelli e Renato Bertacchini . Pinocchio, appena Geppetto gli fa la bocca, ride, appena gli fa le braccia e le mani toglie la buffa parrucca gialla a Geppetto, compiendo così un atto irriguardoso e deplorevole, contrario ad ogni norma sociale e morale. Non appena ha le gambe e ha imparato a camminare, Pinocchio salta, corre e suscita il riso in coloro che l'osservano:

"Piglialo! Piglialo!- urlava Geppetto; ma la gente che era per la via, vedendo questo burattino di legno, che correva come un barbero, si fermava incantata a guardarlo, e rideva, rideva e rideva, da non poterselo figurare" .
Bacthtin, nel suo libro, sottolinea "il legame del riso con l'inferno e la morte, con la libertà di spirito e di parole" . Pinocchio richiede questa libertà, la sua è una ribellione al conformismo e rivendica il diritto ad una autonoma esperienza di vita. Pinocchio vuol essere libero da ogni regola, imposizione, vuol maturare e diventare adulto, provando da sé cos'è la vita e soprattutto, usando il suo cervello e non quello degli altri.

Gli aspetti della cultura popolare che ritroviamo in Pinocchio sono il grottesco, con i suoi elementi satirici e caricaturali.

"L'esagerazione, l'iperbolicità, la smisuratezza sono segni caratteristici dello stile grottesco" . Effettivamente in Pinocchio molti personaggi sono descritti in modo esagerato, smisurato, come, per esempio Mangiafoco : egli ha un aspetto demoniaco con i suoi occhi rossi e la sua frusta fatta di serpenti. La sua bocca è grandissima e non a caso, infatti, una forte esagerazione della bocca è uno dei mezzi tradizionali più adottati per caratterizzare una fisionomia comica . Si pensi ancora al pesce cane che inghiotte Geppetto e Pinocchio, "aveva una voragine al posto della bocca!"

Il motivo della bocca enorme è anche esorcizzazione (comica) della fame, questa malattia endemica con cui la vita popolare si trova a fare i conti. Poi c'è la descrizione del serpente e quella del pescatore e tante altre di cui riparleremo. Le radici popolari di Pinocchio le possiamo ritrovare anche nei bisogni molto materiali e fisiologici del burattino: la sua fame diventa presto "una fame da lupi, una fame da tagliarsi col coltello"  e da Collodi è sottolineata frequentemente anche con similitudini animali, come ad es. "Pinocchio andava a salti come una lepre, correva come un barbero".

Ed il riso, è legato al basso materiale e corporeo, come sottolinea Bachtin . Le massime aspirazioni del burattino sono quelle di mangiare, bere e dormire, divertirsi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo . Il piacere del riso e il vitalismo di Pinocchio si esprimono nell'aspirazione alla festa continua, al gioco incessante, infatti, ritroviamo tanti momenti di festa in Pinocchio: la baruffa tra Maestro Ciliegia e Geppetto, la gioia rumorosa della gente alla vista di Pinocchio in fuga, il teatro delle marionette. Dopo questa parentesi, ritorniamo al nostro tema, quello dell'inversione che predomina nel romanzo. Pinocchio, abbiamo visto è eroe - antieroe, analizziamo un po’ questa struttura, riferendoci a episodi del romanzo. Pinocchio è il nostro protagonista, è al centro del racconto, ma è un protagonista molto particolare, è prima di tutto un burattino, ha la testa di legno, ha un naso spropositato, non ha gli orecchi perché Geppetto si era scordato di farglieli, ma è un burattino un po’ strano, di solito i burattini non parlano, lui sì, non mangiano, lui, invece, ha sempre fame, insomma  si comporta da bambino normale. Quindi c'è subito un'incongruenza in lui, la sua natura è quella di burattino, è un pezzo di legno, ma non agisce da pezzo di legno. Anche Geppetto non lo considera soltanto un burattino, infatti, lo chiama figliolo. Pinocchio, nel secondo capitolo, fa sorgere un litigio tra i due amici, Geppetto e Maestro Ciliegia e questo litigio nasce da un equivoco, da un rovesciamento di personaggi e di azioni, infatti, Geppetto pensa che a chiamarlo Polendina sia stato Maestro Ciliegia e quest'ultimo si difende, dicendo che non era stato lui a chiamarlo così. E effettivamente era vero, non era stato lui a chiamarlo, solo che non era possibile né per Geppetto né per Maestro Ciliegia, che quella vocina provenisse proprio da quel pezzo di legno. In questo capitolo i bambini ridono quando il pezzo di legno chiama Geppetto Polendina (comico di parole, di invettiva), quando i due amici si prendono a botte (comico di movimento), dal testo si legge "vennero dalle parole ai fatti e, acciuffatisi tra di loro si graffiarono, si morsero, si sbertucciarono" . "Finito il combattimento, mastro Antonio si trovò tra le mani la parrucca gialla di Geppetto e Geppetto si accorse di avere in bocca la parrucca brizzolata del falegname" .

La comicità nasce dal contrasto tra la frequenza delle liti dei due vecchi e il giuramento di rimanere buoni amici per tutta la vita, dal contrasto tra la natura del pezzo di legno che è di legno e il fatto che esso parli.
Pinocchio, come abbiamo visto,  dopo che Geppetto lo costruisce, scappa subito di casa e viene però fermato da un carabiniere che lo prende per il naso e lo riconsegna a Geppetto. Poi i curiosi, i "bighelloni" cominciano a insinuare che Geppetto trattava male Pinocchio, che lo picchiava e allora il carabiniere conduce in prigione Geppetto, invece, di Pinocchio. E in tante altre parti del romanzo possiamo ritrovare la tematica del mondo alla rovescia in cui i cattivi sono liberi e i buoni vanno in prigione. Pinocchio, certo, in questo episodio non agisce da eroe, scappa e lascia il suo povero babbo in prigione. Quello che interessa a Pinocchio, in questo momento, è trovare qualcosa da mangiare e egoisticamente a questo proposito, si ricorda del babbo:

"Il Grillo parlante aveva ragione. Ho fatto male a rivoltarmi al mio babbo e a fuggire di casa.. Se il mio babbo fosse qui, ora non mi troverei a morire di sbadigli! Oh! che brutta malattia che è la fame!"
Poi trova un uovo, è felice, pensa a come potrà cuocerlo, in padella o bollito per poi berlo, infine decide di prendere un tegamino, lo mette sopra un caldano, pieno di brace accesa, mette l'uovo nel tegamino e invece dell'olio e del burro ci mette un po’ d'acqua  e quando l'acqua comincia a fumare, Pinocchio spezza il guscio dell'uovo e fa l'atto di scodellarcelo dentro. Ma, invece, della chiara e del torlo, scappa fuori un pulcino tutto allegro e complimentoso che saluta Pinocchio e poi vola via . Altro episodio è quello del vecchino che fa sperare Pinocchio, dicendogli di aspettare un momento e Pinocchio pensa che gli porti qualcosa da mangiare: gli dice di farsi sotto e parare il cappello e gli getta un'enorme catinellata d'acqua che lo annaffia dalla testa ai piedi . Pinocchio ci rimane male, tutto bagnato se ne ritorna a casa, vuol asciugarsi i piedi e, invece, se li brucia. La sua reazione è quella di piangere, sbraitare in modo che lo sentissero tutti:

"Oh! povero me! Povero me!, che mi toccherà a camminare coi ginocchi per tutta la vita! …"
Il dialogo con il padre è comicissimo, Geppetto bussa alla porta, gli grida di aprirgli, Pinocchio gli dice che non può. Naturalmente Geppetto non gli crede e difatti, chi crederebbe a un figliolo che il giorno prima ti aveva deriso e canzonato e ti aveva fatto mettere in carcere!

"Aprimi!, gridava Geppetto, dalla strada.
Babbo mio non posso, rispondeva il burattino piangendo e ruzzolandosi per terra.
Perché non puoi?
Perché mi hanno mangiato i piedi.
E chi te li ha mangiati?
Il gatto, disse Pinocchio, vedendo il gatto che colle zampine davanti si divertiva a far ballare alcuni trucioli di legno"

Pinocchio ha sempre la risposta pronta, per qualsiasi situazione, riesce ad essere ironico, vivo, in tutte le vicende della vita. E' un po’ nello spirito dei Toscani di essere così, sempre spiritosi e pungenti. Pinocchio, inoltre, non sa mai mantenere una promessa, dice una cosa e ne fa sempre un'altra, come quando deve andare a scuola e invece si reca al teatrino dei burattini. Pinocchio è antieroe perché è ingenuo, crede a tutto quello che gli dicono, non ha malizia, si getta nelle avventure con tutto se stesso, senza pensarci molto, è curioso, ha sempre voglia di fare nuove scoperte, è proprio il prototipo del bambino che si affaccia al mondo e che ha voglia di fare sempre nuove esperienze. Un altro episodio in cui Pinocchio non fa certo una bella figura è quello del serpente. Pinocchio era finito in prigione perché gli avevano rubato le sue monete d'oro. Uno scimmione era il giudice. Pinocchio gli raccontò tutto quello che gli era successo, che gli avevano rubato le monete d'oro. Il giudice lo ascoltò come se volesse dare ragione a lui e invece poi ordinò di metterlo in prigione, dopo quattro mesi, fu liberato, stava andando a casa della Fata, "quando trovò un serpente disteso lungo la strada che aveva la pelle verde, gli occhi di fuoco e la coda appuntata che gli fumava come una cappa di camino" . E' questo uno dei numerosi mostri collodiani  che fanno tanto ridere i bambini perché Collodi li descrive con molta creatività e fantasia, proprio come piace a loro. Collodi dimostra di conoscere i gusti dei bambini, essi vivono in un mondo pieno di fantasia, di esseri animati, di mostri, di fate, di magia. Pinocchio ha paura di quel serpente e non lo nasconde, poi piano piano, acquista fiducia e si avvicina e gli chiede di farlo passare, ma non ha risposta, anzi il serpente che fino allora pareva arzillo e pieno di vita, diventò immobile e quasi irrigidito. Pinocchio, pensando che fosse morto, fece l'atto di scavalcarlo per passare dall'altra parte della strada. E non aveva ancora finito di alzare la gamba che il Serpente si rizzò all'improvviso come una molla scattata e il burattino nel tirarsi indietro, spaventato, inciampò e cadde per terra. E cadde così male che restò col capo conficcato nel fango della strada e con le gambe ritte su in aria. E' questa una scena da candid- camera, Pinocchio fa proprio una pessima figura, cade con le gambe in aria, suscita l'ilarità del serpente che si mette talmente a ridere che alla fine gli si strappa una vena dal petto e muore. Anche in questo episodio c'è il meccanismo del rovesciamento, Pinocchio pensa che il Serpente sia morto, invece, quando meno se l'aspetta, il serpente si muove e lo fa cadere; in questo episodio notiamo un comico di movimento e caricaturale, di movimento per la caduta di Pinocchio e le cadute fanno sempre molto ridere, come abbiamo visto nel primo capitolo.

Caricaturale, perché il Serpente è esageratamente grande e fa tanta paura al burattino. In tutto il romanzo ritroviamo questo scambio tra realtà e finzione, anche nell'episodio del contadino c'è questo meccanismo. Il contadino, infatti, si aspetta di trovare nella tagliola una faina, invece, trova Pinocchio che lui scambia per ragazzo. Pinocchio gli dice che ha solo preso un po’ d'uva, ma il contadino si accanisce lo stesso contro di lui, facendogli fare il cane da guardia. Qui Pinocchio che viene messo a fare il cane da guardia è molto divertente, infatti, sono sempre molto comiche,  in letteratura,  le immagini di uomini che si trasformano in animali, oppure di animali che hanno caratteristiche umane . Ogni volta che gli succede una cosa spiacevole, Pinocchio si compiange, ammette di avere agito male, poi ricasca sempre nei soliti errori:

"Mi sta bene!.. Pur troppo mi sta bene! Ho voluto fare lo svogliato, il vagabondo… ho voluto dar retta ai cattivi compagni, per questo la fortuna mi perseguita sempre. Se fossi stato un ragazzino per bene, come ce n'è tanti; se avessi avuto voglia di studiare e di lavorare, se fossi rimasto in casa col mio povero babbo, a quest'ora non mi troverei qui in mezzo ai campi, a fare il cane di guardia alla casa di un contadino"  .

Pinocchio riesce a liberarsi perché scopre il complotto delle faine, ma non lo fa per buon cuore, lo fa perché era la cosa più sensata da fare in quel momento. E poi quello che gli offrivano le faine per tenere la bocca chiusa non gli interessava proprio, era una gallina.

Dopo alterne vicende Pinocchio arriva nel paese delle "Api industriose".
Le strade erano piene di persone che correvano di qua e di là per le loro faccende: tutti lavoravano, tutti avevano qualcosa da fare. C'è proprio il contrasto tra Pinocchio che vuole solo divertirsi  e queste persone che sono, invece, tutte intente nel loro lavoro . Pinocchio chiede a tutti di dargli qualcosa da mangiare, ma nessuno acconsente, gli dicono tutti di cercarsi un lavoro e non fare il ragazzo viziato, insomma, in quel paese nessuno lo capisce, tranne una donnina, la Fata, che lo aiuta. La Fata qui è travestita da massaia e per un po’ riesce ad ingannare Pinocchio che poi però scopre il travestimento. Poi Pinocchio ha un combattimento con i suoi compagni. Ad un certo punto i bambini tirano a Pinocchio i libri, i sillabari, le Grammatiche, i Giannettini, ma il burattino riesce a scansarli sempre tutti e così i volumi finiscono in mare. I pesci, credendo che quei libri fossero roba da mangiare, corrono a frotte, a fior d'acqua, però, accorgendosi che erano libri, li risputano. Ad un certo punto uno dei compagni tira a Pinocchio il libro di aritmetica che però, colpisce Eugenio, e gli fa male. Arrivano due carabinieri che danno la colpa dell'accaduto a Pinocchio, sapendo soltanto che il libro era suo. Intanto Pinocchio continua a piangere, a berciare, a darsi dei pugni nel capo e a chiamare per nome il povero Eugenio. Da questi episodi vediamo che Pinocchio non è proprio il prototipo dell'eroe, ogni emozione che prova la dimostra, la manifesta sempre. Anche l'episodio del pescatore è molto comico: Pinocchio viene scambiato per un pesce, il pesce- burattino, il pescatore, infatti, nonostante si rendesse conto che quello lì era un burattino, lo voleva mangiare per forza! Ma a Pinocchio, viene in aiuto Alidoro, il cane che lui precedentemente aveva salvato. Pinocchio fa sempre tantissime promesse sia alla Fata che al suo babbo, ma non le mantiene mai oppure le mantiene per poco e poi fa sempre altre cose. Anche quando inizia ad andare a scuola, all'inizio riesce bene, fa tutti i compiti, è intelligente e creativo e ha bisogno di studiare poco per essere il primo della classe. Nella sua strada c'è sempre qualche deviazione, qualche avventura, questa tematica è frequente in Pinocchio e ne parleremo più avanti. Pinocchio incontra sempre qualcuno o qualcosa che lo fa deviare dalla giusta via. Un vero eroe, invece, avrebbe rispettato le promesse fatte, la parola data. Pinocchio si lascia convincere da Lucignolo ad andare nel paese dei Balocchi e lì avverrà la sua trasformazione in asino e poi verrà ingoiato dal Pescecane e qui ritroverà il suo babbo e poi inizierà il suo cammino, la sua rinascita in ragazzo. Il burattino è bugiardo, fanfarone, ingrato, aspirante ladruncolo, pigro, vile e conformista, pronto a pentirsi e a ricominciare, incallito nell'errore e nel piagnisteo. E' legato a una condizione umana abbastanza comune, ma qualcosa lo aiuterà ad uscire da questa condizione e questo "qualcosa" va ricercato prima e acquisito poi. E' questo il viaggio terrestre di ognuno di noi, è la nostra ricerca. La ricerca in Pinocchio è inconsapevole. Ed è questo che rende il personaggio affascinante. Pinocchio non ha né pregiudiziali né preclusioni, è un "uomo" allo stato puro.

Non vuole dimostrare nulla, vive.

La bugia, quindi, è alla base del romanzo: tutti mentono, tutti sono travestiti, tutti sono diversi da quello che dicono di essere. Pinocchio di bugie ne dice tante, prima di tutto le dice a se stesso e poi  agli altri. Quando dice le bugie, il naso gli si allunga. Pinocchio dice le bugie a Geppetto, quando promette di andare a scuola e invece non ci va mai, alla Fata quando non gli dice dove teneva nascosti gli zecchini d'oro e subito il naso gli si allunga in maniera spropositata. La Fata gli dice che ci sono due tipi di bugie: "quelle che hanno le gambe corte e quelle che hanno il naso lungo"  . La sua è di quelle che hanno il naso lungo, cioè le bugie prima o poi vengono smascherate. Sempre nel meccanismo del rovesciamento e della bugia si muovono anche gli altri personaggi. Pinocchio è il protagonista, gli altri personaggi si muovono intorno a lui a volte nel ruolo di aiutanti, a volte in quello di oppositori. Pinocchio è come uno di noi. Anche noi possiamo trovare nella nostra strada delle persone buone e delle persone cattive, delle persone che ci formano, che ci fanno maturare, che ci danno buoni consigli e altri che apparentemente vogliono il nostro bene, ma poi, invece, effettivamente non lo fanno.
 
 


2.5 Analisi dei personaggi di Pinocchio

Lo stesso meccanismo del rovesciamento che abbiamo individuato in Pinocchio, lo possiamo applicare anche agli altri personaggi. Il primo che incontriamo, all'inizio del romanzo è maestro Antonio, soprannominato Maestro Ciliegia "per via della punta del suo naso che era sempre lustra e paonazza come una ciliegia matura"  . Queste descrizioni di Collodi sono molto comiche, egli dà dei soprannomi ai suoi personaggi, basandosi sul loro aspetto fisico, su qualche difettuccio che hanno, su qualche loro vizio, in questo caso a Maestro Ciliegia piaceva tanto bere e per questo il suo naso era sempre rosso! E' questo un personaggio che appare all'inizio del romanzo e poi scompare e non si sa più niente di lui.

Maestro Ciliegia ha tutte le caratteristiche del toscano: è pratico, è un lavoratore instancabile, ma la sua giornata viene interrotta da un evento straordinario. Un pezzo di legno animato che parla e si lamenta. La sua reazione è umana, naturale, è la reazione che avrebbe avuto qualsiasi uomo davanti a un evento un po’ soprannaturale e prodigioso, quella di non credere all'evento stesso e di rimuoverlo il più presto possibile. Quindi, appena si presenta in bottega un povero diavolo più povero di lui, un altro falegname che non se la passa molto bene e vorrebbe un pezzo di legno, glielo regala subito, pensando così da una parte di liberarsi di quel pezzo di legno, dall'altra di fare anche una buona azione. Il dialogo tra i due amici è ironico, teatrale, frutto della fantasia di uno scrittore veramente arguto. Geppetto dice a Maestro Ciliegia che ha in mente di fabbricare un burattino di legno, un burattino che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali, per guadagnare qualcosa e poter vivere un po’ meglio. La miseria di questo falegname si intravede già da queste poche parole, il romanzo, infatti, si svolge in un ambiente umile e povero che Collodi descrive con grande realismo. Ma è una miseria la sua che definirei dignitosa, infatti, Geppetto era sì povero, ma saggio e non perdeva mai la speranza e la forza di lottare ed aveva fantasia e un sogno in testa , quel burattino che era già nei suoi pensieri già prima di nascere. Aveva perfino già scelto il nome, lo avrebbe chiamato Pinocchio. La spiegazione è veramente carina:
"Che nome gli metterò? disse fra sé e sé. Lo voglio chiamare Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi e tutti se la passavano bene. Il più ricco chiedeva l'elemosina"  .

Questa frase Collodi la fa dire a Geppetto, ma in verità è l'autore stesso che parla. Questa frase nasce dalla forte consapevolezza che Collodi ha della vita. La fortuna che si affaccia nell'esistenza del poveraccio resta allo stato di sogno. Da Geppetto che è povero non può non nascere un altro povero, Pinocchio. Spesso, nel libro, Collodi fa degli interventi indiretti che egli affida a dei portavoce a Geppetto, al Grillo, alla Fata, sono gli interventi morali dell'autore, un esempio è questo che abbiamo appena detto, ma ce ne sono altri di cui parleremo in seguito.

Ma ritorniamo ai personaggi: Maestro Antonio, nei confronti di Pinocchio non si pone nella funzione né di aiutante né di oppositore, rifiuta solo di tenere con sé il burattino e lo cede molto volentieri. Questo personaggio lo lasciamo nella sua bottega di falegname, al suo lavoro, non lo ritroveremo più nel corso del romanzo. Geppetto porta il pezzo di legno a casa e comincia a costruirlo: gli fa la testa, gli occhi, le gambe e le braccia e appena gli fa le gambe Pinocchio scappa. Il rapporto Pinocchio- Geppetto è il tipico rapporto padre- figlio. Il figlio guarda il padre, lo squadra, lo misura. Al padre non piace molto essere guardato. Egli è un uomo, con tutte le sue debolezze, contraddizioni e passioni; ma per il figlio dovrebbe essere un semidio. Lo sguardo del figlio è impassibile e tranquillo. I suoi occhi sono di legno e il risultato è che alla fine il figlio si mette a ridere. Geppetto si infuria e gli dice di smetterla: "Smetti di ridere ti ripeto" .

Pinocchio, per tutta risposta gli toglie la parrucca e Geppetto ci rimane male e dice fra sé: "Birba di un figliolo, non sei ancora finito di fare e già cominci a mancare di rispetto a tuo padre? Male ragazzo mio, male".

Il padre rivendica la sua autorità, la sua posizione di padre, vuole che il figlio gli ubbidisca proprio perché l'ha creato lui. Il risultato è un calcio sul naso da parte di Pinocchio e un atto di contrizione da parte di Geppetto: "Me lo merito! Dovevo pensarci prima!"  .

A questo punto Geppetto comincia a diventare padre sul serio; cioè non si pente, non si vendica, non aspetta più né rispetto né tenerezza e malgrado ogni cosa, fabbrica le gambe al figlio; cioè gli regala gli strumenti per cui l'uomo può affrontare il mondo da solo. Pinocchio scappa, incontra un carabiniere, il primo oppositore che incontra sulla sua strada. Questo carabiniere ci fa un po’ sorridere, esso è una costante della vita italiana, una figura che cerca di  far scomparire il disordine. La moralità, come sempre, va a farsi benedire perché il tutore dell'ordine non arresta il figlio ribelle, ma il padre innocente fra i consensi appassionati della folla. E qui di nuovo l'autore si rivela con uno di quegli interventi morali che fanno meditare. Questo rapporto padre- figlio rimarrà presente in tutto il romanzo; questo rapporto è uno dei rapporti più complessi e difficili. Al tempo di Collodi c'era un conformismo assoluto. Non erano stati inventati né i complessi né le repressioni, i ragazzi avevano sempre torto e i genitori sempre ragione. Quando un figlio non ubbidiva ai genitori e voleva fare di testa sua oppure giocava e contraeva debiti di gioco, lo si spediva in America a guadagnarsi il pane, se non aveva voglia di studiare lo si mandava a imparare un mestiere. Sul rapporto affettivo- psicologico dei padri e dei figli non s'indagava. Collodi è interessato a questo rapporto, non riprende niente dai libri, ma dalla vita. Geppetto è arrestato e Pinocchio torna a casa sua dove però non ha niente da mangiare. Anche la descrizione della casa di Geppetto risponde al meccanismo del rovesciamento, le cose sembrano esserci, ma in realtà non ci sono. Vediamo come era questa casa:

"La casa di Geppetto era una stanzina terrena, che pigliava luce da un sottoscala. La mobilia non poteva essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c'era dipinta una pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo, che pareva fumo davvero"  .

Il fuoco era dipinto, non c'era , ma sembrava che ci fosse e anche la pentola era dipinta. Pinocchio, infatti, quando torna a casa, prova a scoperchiare la pentola e ci rimane malissimo quando si accorge che era dipinta nel muro! Poi si mette a cercare dappertutto, a frugare per tutte le cassette e per tutti i ripostigli, cercando prima un po’ di pane, ma non trovando niente si mette a desiderare "un po’ di pan secco, un crosterello, un osso avanzato al cane, un po’ di polenta muffita, una lisca di pesce, un nocciolo di ciliegia, insomma qualcosa da masticare" . Ad un certo punto si volta e vede il Grillo Parlante. Il Grillo è la voce della sua coscienza, il grillo lo ammonisce, lo esorta a comportarsi bene. Esso è la voce della saggezza e della moralità. Il Grillo è un consigliere, vuole insegnare a Pinocchio una rettitudine che non può essere frutto che della esperienza diretta. Non vuole studiare? Impari allora un mestiere. Pinocchio lo colpisce con un martello di legno e lo fa stare zitto. Poi esce a chiedere un po’ di elemosina, chiede a un vecchino altro oppositore che, per tutta risposta, gli getta in testa un secchio d'acqua. Un altro protagonista è Mangiafoco. Pinocchio deve recarsi a scuola con il vestitino nuovo e l'abbecedario che Geppetto gli aveva comprato facendo enormi sacrifici, ma viene deviato da una musica che gli sembra molto più interessante rispetto alla scuola. A quei tempi la scuola era molto noiosa e i maestri molto severi e quindi qualsiasi cosa sembrava più interessante. Pinocchio vende l'Abbecedario ed entra nel teatro dei burattini, qui viene subito salutato da Arlecchino e Pulcinella che lo invitano a salire sul palco e a far festa con loro. Ma ad un certo punto, spunta fuori Mangiafoco, il burattinaio, colui che ha in mano le sorti dei burattini. La descrizione di questo personaggio è molto particolareggiata: egli aveva una barbaccia nera come uno scarabocchio d'inchiostro e tanto lunga che gli scendeva dal mento fino a terra. Aveva un bastone coi serpenti vivi e le code di volpe attaccati in cima, una voce cavernosa. Ma non mangiava il fuoco, come il suo nome promette, ma il montone . Egli è un tiranno, un dittatore, ma ha un punto debole: è sensibile alle belle frasi.

Il meccanismo del rovesciamento lo ritroviamo anche in questo personaggio: egli, infatti, sembra un oppositore di Pinocchio, infatti, vuole bruciarlo per cuocere il suo montone. Ma, in realtà, è un falso oppositore, infatti, si commuove e non solo, non brucia né Pinocchio né Arlecchino, ma anzi regala a Pinocchio cinque monete d'oro. E Pinocchio riparte per il suo viaggio, ricordiamoci che aveva promesso di andare a scuola, ma era stato deviato dalla musica del teatro dei burattini. Ora saluta tutti e vuole subito raggiungere il suo babbo, per dargli le monete d'oro, ma ecco che un altro ostacolo si frappone fra lui e il suo oggetto di desiderio: incontra il gatto e la volpe. Questi personaggi sono degli oppositori di Pinocchio. Anche qui c'è il meccanismo del rovesciamento: essi sembrano brave persone, tutte disponibili verso il burattino, non vogliono nemmeno il compenso per i suggerimenti che danno a Pinocchio, ma dicono di voler fare solo una buona azione. Pinocchio è troppo ingenuo, non si accorge di avere incontrato la frode sotto forma di due soci tradizionali: un gatto e una volpe. Sì perché la frode è sempre dietro l'angolo, tutti la possono incontrare sotto forma di volpi astute che hanno una voce suadente che incanta e sotto forma di gatti che eseguono gli ordini della mente (volpe). Infatti, anche in Pinocchio, la volpe era zoppa e camminava appoggiandosi al Gatto e il Gatto che era cieco si lasciava guidare dalla Volpe. Anche sulle loro condizioni fisiche mentono, infatti, quando appare un Merlo bianco  che vuol venire in aiuto di Pinocchio, il Gatto che era cieco se lo mangia subito. Poi lo informano del loro progetto: egli potrebbe sotterrare quei soldi nel paese dei Barbagianni dove c'è un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei  miracoli. Qui Pinocchio potrebbe seppellire i suoi soldi e dopo annaffiare la terra con un po’ d'acqua, un po’ di sale, poi, durante la notte, lo zecchino fiorirebbe e germoglierebbe e la mattina dopo, ritornando nel campo troverebbe sicuramente duemilacinquecento zecchini.

Pinocchio accetta subito e va con quei due imbroglioni all'Osteria del Gambero rosso. Qui c'è una scena veramente comica. I due soci dichiarano di non aver fame e prendono solo 35 triglie con salsa di pomodoro e 4 porzioni di trippa per il Gatto e una lepre dolce con un "leggerissimo contorno di pollastre ingrassate e di galletti di primo canto" , per la Volpe. E meno male che non avevano fame!

Poi vanno tutti a dormire a mezzanotte, quando l'oste sveglia Pinocchio, gli dice che i due amici se ne erano già andati e non avevano pagato nemmeno la cena e il motivo è proprio tutto da ridere! Dice l'oste: "Che vi pare? Quelle lì sono persone troppo educate perché facciano un affronto simile  alla signoria vostra!"

Pinocchio se ne va ed è subito inseguito dagli assassini che riescono ad impiccarlo alla Quercia grande. A questo punto gli viene in aiuto la Fata, la famosa Fata, tanto cara a Pinocchio perché rappresenta per lui quella mamma che non ha mai conosciuto. La Fata si fa aiutare da un falco e da un can barbone. Il falco rompe il nodo che tiene sospeso Pinocchio al ramo della Quercia Grande. Il can barbone di nome Medoro che era vestito da cocchiere, "aveva anche una parrucca bionda a riccioli, una giubba color cioccolata coi bottoni di brillanti e le tasche grandi per metterci gli ossi e una borsetta per tenerci la coda quando comincia a piovere"  .

Questa borsetta è proprio assurda! E' un'assurdità che fa ridere. Collodi sfiora le cose prodigiose e ci ride sopra.

Questo cane va a prendere Pinocchio con una carrozza un po’ strana: era tutta imbottita di penne di canarino e foderata nell'interno di panna montata e di crema coi savoiardi. E' il massimo della  fantasia, della creatività, i bambini ne rimangono sbalorditi, entusiasti. Collodi, ancora una volta,  dimostra di conoscere bene il mondo dell'infanzia, infatti, i bambini vivono in un mondo un po’ fatato, magico che Collodi sa bene dipingere. Pinocchio fu portato a casa della Fata che chiamò tre medici: un corvo, una civetta e il Grillo parlante. Questi personaggi rappresentano la scienza, la razionalità, rappresentano i nostri medici, primari, che non hanno niente di diverso da dire rispetto al loro collega, ma dicono lo stesso paroloni per contraddirlo e dire qualcosa di nuovo. Il corvo e la civetta dicono parole insensate, parole che non hanno alcuna validità scientifica. Dice la civetta:

"Per me il burattino è sempre vivo, ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero!"

Che vuol dire questo discorso? E' logico che se uno non è morto, allora è vivo! La visita che fanno a Pinocchio è proprio assurda e vediamo molto bene anche qui la tecnica del rovesciamento: questi falsi medici visitano Pinocchio, tastandogli il polso, il naso e il dito mignolo dei piedi! Sembrano proprio degli imbroglioni! Questo è appunto quel che nessuno si sarebbe aspettato che un gran dottore facesse. Pinocchio non è morto, ma fa il morto e si risveglia soltanto quando il Grillo Parlante gli dice che farà morire di crepacuore il padre Geppetto, Pinocchio, infatti, era affezionato a Geppetto e non voleva  essere la causa della morte di suo padre.

Subito dopo ritorna ad essere Pinocchio, quel "birbone", "grullo" che ha paura a prendere la medicina che la prende solamente quando gli appaiono i conigli neri con la bara cioè quando ha davanti a sé la morte. Pinocchio, a questo punto ha un desiderio, quello di far diventare il suo babbo un signore e per questo non dice alla Fata dove ha nascosto gli zecchini. Quando incontra la Volpe e il Gatto non riconosce in loro i suoi assassini anche se è evidentissimo che sono proprio loro. Infatti il Gatto era zoppo dalla gamba destra perché gli mancava in fondo tutto lo zampetto cogli unghioli. Il Gatto che era meno astuto della Volpe si stava tradendo, quando Pinocchio gli domanda che cosa gli era successo, ma subito la Volpe interviene e gli dà una spiegazione così patetica!

Addirittura il Gatto si sarebbe staccato lo zampetto per darlo a un lupo affamato! Pinocchio crede a tutto, ha in mente soltanto di far diventare il suo babbo un gran signore e va con loro nel paese di Acchiappa- citrulli che già dal nome è tutto un programma, vi sono, infatti, cani spelacchiati, pecore tosate, galline rimaste senza cresta, farfalle che non potevano più volare perché avevano venduto le loro bellissime ali colorite. Pinocchio non pensa, va avanti, non gli viene il minimo dubbio che tutto quello che gli sta capitando può essere un colossale imbroglio, è troppo ingenuo, ha troppo ottimismo, ha la forza e la testardaggine di un giovane che non si ferma neanche davanti all'evidenza. Pinocchio semina gli zecchini e più tardi, ritornato nel campo dei miracoli, non trova più nulla. Lì un pappagallo, simbolo di moralità e saggezza, gli dice che ha fatto male ad essere ingenuo, infatti, il Gatto e la Volpe sono venuti nel campo quando lui non c'era e hanno preso tutti gli zecchini! A questo punto Pinocchio vuol denunciare il Gatto e la Volpe, ma finisce in carcere lui. E rimase lì quattro lunghissimi mesi, poi l'Imperatore di  Acchiappa- citrulli, in seguito a una bella vittoria contro i suoi nemici ordinò grandi feste pubbliche e fuochi artificiali e volle che fossero aperte anche le carceri e mandati fuori i malandrini. Il carceriere dice a Pinocchio che non può uscire perché lui non è un malandrino e Pinocchio, saggio, gli dice che era un malandrino anche lui e il carceriere rispettosamente, perché ai furbi e ai malandrini gli va portato il dovuto rispetto, lo fece uscire. Il carceriere qui ha la funzione di aiutante perché rende libero Pinocchio. Nella sua strada trova sempre degli ostacoli che lo allontanano dal suo oggetto di desiderio che, a questo punto del racconto, è quello di ritrovare il suo babbo a casa della Fata. Trova, però un ostacolo, il Serpente di cui però abbiamo già parlato, episodio che abbiamo definito molto comico. Il Serpente ride talmente tanto di fronte alla caduta di Pinocchio che muore. In verità, non ride soltanto della sua caduta, ma dell'indecisione di Pinocchio che non si decide ad essere o un ragazzino a modo o un malandrino.

Pinocchio, intanto, ha un altro desiderio più pratico, più umano: ha fame. Ruba pochi grappoli d'uva e sente subito stringersi le gambe da due ferri taglienti; era rimasto prigioniero di una tagliola, messa lì da alcuni contadini, per prendere delle faine che mangiavano loro le galline. Subito gli appare una lucciola, che lo ammonisce come al solito, è un'ammonizione molto gratuita, basata sul fatto che le lucciole mangiano la roba altrui, senza pericolo di venire prese nelle tagliole! Arriva il contadino, un uomo professionalmente ottuso, capace di scambiare un ladro di uva con un ladro di polli e di tenere come guardiano un cane ladro professionista. Il contadino mette Pinocchio a fare il cane da guardia. Il contadino è un aiutante- oppositore. E' oppositore perché mette Pinocchio a fare il cane da guardia e lo rende prigioniero, allontanandolo dal suo progetto, dal suo oggetto di desiderio, rincontrare il suo babbo. E' aiutante perché, quando Pinocchio scopre le faine a rubare e avverte il contadino, egli lo ringrazia e lo libera. Pinocchio vuole mostrarsi onesto e bravo di fronte al contadino, ma se riflettiamo meglio sull'episodio, ci accorgiamo che a Pinocchio era convenuto comportarsi così, infatti, il premio che gli davano le faine per tacere, non gli interessava, era una gallina cruda! Anche il contadino è un falso onesto, infatti, vuol vendere le faine a un oste disonesto che le avrebbe cucinate e spacciate per lepri. Finalmente Pinocchio è di nuovo libero e corre per arrivare presto a casa dalla Fata, ma a posto della casa, della Fata trova un'epigrafe cioè la Morte. La soave bambina dai Capelli turchini è scomparsa. Pinocchio riceve la prima frustata educativa, non quella bonaria di Geppetto, non quella pedagogica del maestro di scuola, ma quella della vita. La morte della Fata rappresenta un grandissimo oppositore per Pinocchio, un oppositore astratto. Egli, infatti, non compiange tanto la creatura colpita da una morte così commovente ("morta di dolore per essere stata abbandonata dal suo fratellino  Pinocchio" ), compiange soltanto se stesso. Anzi Pinocchio ricatta la Fata e gli dice: "Se davvero mi vuoi bene, se davvero vuoi bene al tuo fratellino, rivivisci, ritorna viva come prima!"   Mentre diceva così , gli viene in aiuto un colombo che gli chiede notizie di Geppetto. Gli dice che Geppetto stava fabbricando una barchetta per attraversare l'oceano e cercare il suo burattino.

Il colombo lo conduce alla spiaggia, ma quando arrivano, la gente che si era radunata lì, lo informa che era sopraggiunta una bufera e la barca veniva sbattuta dall'infuriare delle onde, Pinocchio si butta in mare a salvare Geppetto. Pinocchio fa un gesto eroico a gettarsi a mare, però Collodi, per sdrammatizzare, informa subito i lettori che è un burattino e galleggia bene. Nuota tutta la notte, poi vede un'isola e cerca di arrivarci. L'eroe, che poco prima, si era gettato a mare, per salvare il suo babbo, ora sembra quasi disinteressarsi di lui, infatti, la prima cosa che dice quando arriva sulla spiaggia è: "Anche per questa volta l'ho scampata bella!"  E poi si preoccupa della gente che vi abita, se è cattiva o meno. Poi incontra un delfino e chiede a lui notizie del suo babbo. Il delfino lo informa della presenza del terribile pesce- cane e gli dice che probabilmente il suo babbo era stato inghiottito da questo grosso pesce. Pinocchio, invece, di rammaricarsi per il babbo, pensa a se stesso e chiede se il pesce è tanto grosso e ogni volta che sente il più piccolo rumore, si volta a guardare indietro per la paura di vedersi inseguire da quel terribile pesce-cane "grosso come una casa di cinque piani e con un treno della strada ferrata in bocca"  .

Ancora ritorna il tema della fame che spesso assale Pinocchio. Chiede aiuto a dei signori che lavorano moltissimo e quindi non riescono a capirlo, tutti gli consigliano di cercarsi un lavoro. Poi incontra una donna che portava due brocche d'acqua. La bambina dai capelli turchini è cresciuta, non è più una fanciulla morta o una Fata infermiera, è una donnina in zoccoli e "grembiale", una massaia fiorentina che prende un po’ in giro Pinocchio. Egli faticherà a portare la brocca piena d'acqua, ma dopo avrà in cambio una cena memorabile: un bel pezzo di pane, un bel piatto di cavolfiore condito con l'olio e con l'aceto e un bel confetto con il rosolio dentro. Pinocchio accetta e dopo aver cenato gli dice che se vuole, potrà diventare un ragazzo perbene, però, deve andare a scuola. E a scuola Pinocchio ci va. Ed era anche bravo, attento, studioso. Ma a lungo andare l'insegnamento del maestro gli pare insulso: l'insegnamento del maestro era lì per affermare che i buoni sono premiati e i cattivi puniti e che chi rispetta è rispettato; Pinocchio ha la prova del contrario ogni giorno e quindi la sua esperienza scolastica non dura tanto.

Appena si presenta la prima occasione Pinocchio si lascia convincere dai compagni ad andare  a vedere il Pescecane. Ben presto si accorge che i compagni gli avevano fatto uno scherzo, infatti, non c'era nessun Pescecane. E lo scherzo finì male, perché volarono paroloni e poi si passò dalle parole ai fatti e Pinocchio e i suoi compagni cominciarono a tirarsi i libri. Come al solito, in questi casi, spunta fuori un personaggio ammonitore che, in questo episodio, è un granchio, bestia scelta molto bene, infatti va all'indietro e non ha ancora capito che quando la furia è scatenata le prediche servono a poco. Pinocchio lo zittisce subito. La lotta finisce con un ferito, il povero Eugenio. Poi i carabinieri danno la colpa a Pinocchio solo perché il libro che ha colpito Eugenio era suo. Pinocchio riesce a scappare e i carabinieri gli mandano contro un cane mastino di nome Alidoro . Ad un certo punto arrivano nella spiaggia, Pinocchio si getta a mare e Alidoro non sapeva nuotare. Pinocchio, furbamente lo salva perché un cane mastino come amico, gli avrebbe potuto far comodo e, infatti, quando Pinocchio viene preso dal pescatore e rischia di essere fritto in padella,  Alidoro viene in suo aiuto e passa dal ruolo di oppositore a quello di aiutante. Dopo Pinocchio va a casa della Fata e bussa alla porta. Gli risponde una lumaca che si comporta spietatamente con Pinocchio. Infatti egli bussa di continuo perché aveva freddo e era tutto bagnato. La lumaca gli risponde che lei, in quanto lumaca, se la prende sempre comoda. Questo comportamento della lumaca fa perdere la pazienza a Pinocchio che seguita a bussare, poi dà una pedata nell'uscio della casa. Il colpo fu così forte che il piede penetrò nel legno fino a mezzo e non usciva più e Pinocchio dovette passare il resto della notte con un piede in terra e con quell'altro per aria. La mattina dopo la porta si aprì, ad arrivare alla porta ci aveva messo nove ore. La lumaca, dopo che aveva fatto aspettare Pinocchio per così tante ore, si diverte anche a prenderlo in giro, dicendogli che in quella posizione poteva divertirsi a contare le formiche! Poi la Fata lo perdona e lo libera. Pinocchio accetta di diventare un ragazzo per bene e invita i compagni a festeggiare con lui. Ma ancora non è del tutto pronto ad entrare nel mondo del conformismo, ecco l'ultima ribellione. C'era tra i suoi compagni un ribelle, un discolo, Lucignolo, che alla notizia che Pinocchio sarebbe diventato un ragazzo per bene, aveva risposto: "Buon pro ti faccia".

Lucignolo sa come far cadere Pinocchio nella sua trappola, parla poco, ma a proposito, sa che Pinocchio muore dalla voglia di andare con lui, in un Paese dove non ci sono scuole né maestri, né fate, né babbi. Intanto arriva il carro, tirato da dodici ciuchini. L'omino che conduceva il carro è una figura nuova nella galleria dei mostri collodiani. E' un grasso, ha la voce esile chiama Pinocchio mio bel ragazzo e amor mio. Si offre per andare a piedi lui, a posto di Pinocchio. Ha una crudeltà che fa paura, è il simbolo di tutte quelle persone che non si fermano davanti a niente, che pur di acquistare profitto, guadagno sono pronti a qualsiasi frode, costi quel che costi. E' un po’ l'antenato degli odierni mercanti di droga, egli intrappola le sue vittime e si fa beffe di loro e non ha proprio nessuna pietà. In questo paese i ragazzi si divertivano dalla mattina alla sera, ma era un divertimento stereotipato, frutto non dell'invenzione, della creatività, ma simbolo di una gioia standardizzata, non conquistata. La metamorfosi di Pinocchio in somaro dovrebbe essere un episodio drammatico, invece, fa ridere. Piano piano a Pinocchio gli crescono le orecchie e poi si trasforma in vero e proprio somaro. A questo punto appare sempre un personaggio ammonitore, un aiutante che questa volta è una marmotta che gli dice che si è comportato male. Pinocchio aveva venduto se stesso, la sua anima a un padrone, non era più libero: questo succede quando si preferisce stare sotto un padrone piuttosto che essere liberi, consapevoli di decidere. A volte si preferisce la tranquillità, la non consapevolezza delle cose, si preferisce non sapere, non interessarsi di niente, vivere apaticamente, facendosi guidare da qualcuno, perdendo però la propria libertà e capacità di intendere e volere. Qui il pensiero di Collodi è chiaro, egli è contro ogni forma di totalitarismo e di tirannia, egli ama profondamente la libertà.

Pinocchio fu venduto a un padrone che gli dava da mangiare la paglia. Gli dava anche tante frustate e gli aveva insegnato a saltare i cerchi, a rompere col capo le botti di foglio e a ballare il valzer e la polca. Durante uno spettacolo diventò zoppo, allora fu rivenduto a un altro uomo che voleva farne un tamburo! Lo gettò in acqua per ucciderlo e prendere poi la pelle, ma i pesci mangiarono la pelle di Pinocchio e lo liberarono. Pinocchio a questo punto fugge via, non ha niente, non ha né padre né madre né parenti né amici, né benefattori né predicatori. Ha riacquistato però la sua libertà e la sua capacità di intendere e di volere, cioè il suo cervello, la capacità di ridere di sé e degli altri. Poi viene inghiottito dal pesce- cane dove ritrova il suo babbo, infonde al suo babbo speranza e ottimismo, infatti, a differenza del tonno filosofo, egli crede che usciranno di lì. Ora Pinocchio è di aiuto al suo babbo, lo sorregge moralmente e fisicamente. Ad un certo punto, però, non ce la fanno più, stanno per affogare, allora viene in loro aiuto il tonno che aveva imitato l'esempio di Pinocchio ed era uscito anche lui dal Pescecane. Quando arrivano sulla spiaggia Pinocchio è diverso, non è più un burattino, una marionetta nelle mani altrui, è un uomo, ha acquistato consapevolezza di sé e degli altri. I suoi occhi che furono gli occhiacci di legno freddi e beffardi verso Geppetto che lo costruiva, si stanno aprendo sulla via che porta alla conquista fondamentale dell'uomo, la pietà. Il lungo cammino lo ha portato a questo traguardo e la sua travagliata esperienza gli permette di cogliere questo frutto umile e grandissimo: egli ha pietà dei suoi simili, proprio perché li conosce, proprio perché li vede come sono e come è lui; Pinocchio incontra il Gatto e la Volpe ridotti come due stracci poveri in canna, commedianti come sempre, zoppa e paralizzata sul serio la Volpe, cieco sul serio il Gatto. Pinocchio li chiama mascherine, le ha riconosciute ingannatrici e come commedianti e non casca più nella loro trappola. Non ha pietà di loro, li accusa di essere due furfanti da strapazzo. Pinocchio si mette a lavorare, è diventato un adulto con tutte le sue responsabilità e vuole aiutare il  suo babbo. La Fata era, invece, in un letto d'ospedale e Pinocchio come un bravo figliolo aiuta anche lei, la sua mamma. La lumaca, ambasciatrice della Fata stavolta corre come non aveva mai fatto, per arrivare prima dalla Fata perché ora è la Fata ad essere in difficoltà,  invece, se ci ricordiamo quando era Pinocchio fuori dalla porta, tutto bagnato, andava piano piano e lo aveva fatto aspettare tantissimo. La Fata si commuove tanto del gesto di Pinocchio che lo trasforma in ragazzo.
 
 


2.6  Il tema del viaggio

Un altro tema, oltre quello del rovesciamento che possiamo ritrovare in Pinocchio è il tema del viaggio, dell'avventura. La maggior parte dei verbi che ritroviamo in Pinocchio sono verbi d'azione, di movimento e questa rapidità delle avventure di Pinocchio, questo movimento continuo e incessante del burattino verso nuove esperienze è una buona tecnica comica. La scena è tutta dominata  dai personaggi e dalle loro azioni, anche l'ambiente sembra adeguarsi all'azione. I verbi che ritroviamo in Pinocchio sono verbi d'azione: correre, saltare, scappare, bisticciare, prendere, fare, guadagnare, condurre, camminare ecc..

Il comico che attua Collodi è il comico delle fughe e delle corse, il comico degli inseguimenti liberi, spaziali, densi di tensione e di avventura.

Quattro sono le avventure principali: la prima è quella degli assassini, essa si svolge con le clausole più tradizionali della favola, con la notte nera, con l'inseguimento, il bosco. Essa inizia con l'incontro con Mangiafoco e prosegue con l'incontro con il Gatto e la Volpe e con gli assassini e l'impiccagione alla Quercia Grande.   La seconda avventura si svolge nel paese di Acciappa- citrulli: partito per andare incontro al padre, si imbatte di nuovo nel Gatto e la Volpe, viene meno ai suoi propositi e parte con loro per il paese di Acchiappa-citrulli, poi avviene il seppellimento delle monete nel fantomatico campo dei miracoli, la delusione di non vedere più le sue monete d'oro, la prigione, la tagliola, quindi la riconquista della libertà per l'intervento della Fata. Segue una dispersione tematica, frammentata in alcuni episodi minori: viaggio all'Isola delle "Api Industriose", zuffa con i compagni di scuola sulla spiaggia marina, pericolosa visita al pescatore verde. La terza avventura ha per meta il Paese dei Balocchi: partenza di nascosto con Lucignolo, arrivo al beato paradiso dell'ozio e dei giochi, doloroso risveglio con la metamorfosi in ciuco, vendita, azzoppamento nel circo, caduta in fondo al mare. I pesci liberano Pinocchio dalla pelle di asino. Appena libero si parte per la quarta e ultima avventura: dentro al ventre del Pescecane dove Pinocchio ritrova Geppetto.

Il tema del viaggio, del deviare sempre dai propositi stabiliti, è questo uno dei temi più importanti del romanzo. L'avventura concepita come essenziale per l'esperienza, l'imparare da sé, battere il capo nelle situazioni, insomma vivere, gustando la vita in tutta la sua pienezza. Pinocchio ha vitalità, ottimismo, speranza, gioia, tutti sentimenti propri della fanciullezza, quella spensieratezza che poi gradualmente si perde nell'età adulta. L'umorismo in Pinocchio sorge proprio dall'azione, dall'avventura, sfuggendo, col flusso stesso della vita, a rigide classificazioni e determinazioni teoriche. Quello di Collodi, riferisce Italiano Marchetti, è "un umorismo bonario che nasce dall'essenza stessa delle cose, nel vivo gioco della fantasia e si manifesta nelle forme più svariate: dalla frase scherzosa al gioco di parole, dalla comicità di figure e atti, atteggiamenti alla caricatura vera e propria, dal commento burlesco e talora ironico, alla satira: un umorismo che quasi miracolosamente consente all'autore di dire anche le cose più dure e amare, senza che la pagina si appesantisca o perda la sua festosa giocondità" .

Collodi utilizza il tema del viaggio, dell'avventura, in maniera comica, ironica, vediamo come. Innanzitutto tutte queste avventure tengono Pinocchio sempre in movimento, in un continuo correre di qua e di là, in una continua azione e tengono il lettore sempre con il fiato sospeso, non si sa mai cosa potrebbe accadere a questo burattino. Il lettore non si aspetta in quali avventure si imbatterà il burattino, perché esse sono sempre nuove e inaspettate e questa improvvisazione, questa sorpresa, è una buonissima tecnica comica.

Una caratteristica essenziale del comico è, infatti, la sorpresa, l'improvvisazione; l'abitudine, come sappiamo, nuoce al comico. Leggendo Pinocchio non c'è il rischio di annoiarsi, il lettore è sempre proiettato in una nuova avventura, sempre diversa dalle altre. Molto comiche sono le trasformazioni del burattino: prima quella apparente di Pinocchio in un pesce, poi quella vera in ciuchino. Pinocchio si rivolge alla Marmotta, le dice di essere malato, molto malato, di una malattia che gli fa paura. Riportiamo il dialogo:

"Te ne intendi tu del polso? Dice Pinocchio alla Marmotta;
Un pochino, risponde la Marmotta;
Senti dunque se per caso avessi la febbre. La marmottina alzò la zampa destra davanti e dopo aver tastato il polso a Pinocchio, gli disse sospirando: Amico mio, mi dispiace doverti dare una cattiva notizia:
Cioè? rispose Pinocchio.
Tu hai una gran brutta febbre! La febbre del somaro!"
Quando Pinocchio incontra Lucignolo, il dialogo è comicissimo, Pinocchio la prende sempre alla larga, gli dice:
"Come stai, mio caro Lucignolo? gli dice Pinocchio.
Benissimo: come un topo in una forma di cacio parmigiano, gli risponde Lucignolo.
Lo dici proprio sul serio?
E perché dovrei dirti una bugia?
Scusami, amico: e allora perché tieni in capo codesto berretto di cotone che ti copre tutti gli orecchi?
Me l'ha ordinato il medico perché mi sono fatto male a questo ginocchio.
E tu, caro burattino, perché porti codesto berretto di cotone ingozzato fin sotto il naso?
Me l'ha ordinato il medico perché mi sono sbucciato un piede.
Oh! povero Pinocchio!
Oh! povero Lucignolo!..
Finalmente Pinocchio ebbe il coraggio di chiedere a Lucignolo se aveva mai sofferto di malattia agli orecchi e l'uno mostrò all'altro le orecchie da asino e scoppiarono a ridere.

Le avventure di Pinocchio, come questa che abbiamo riportata, sono comiche perché sono inaspettate, assurde, specialmente per un burattino che ispirerebbe soltanto automatismo, rigidità e passività.

Sono poi avventure piene di brio, di fantasia, di immagini creative e di personaggi molto comici.

Per la comicità delle avventure influisce molto anche la lingua che è quella toscana. Collodi stesso, in più di un'occasione, riferisce che scrive alla buona, come parla e siccome è toscano, parla come parlano i toscani. Collodi scrive sì alla buona, come parla; è necessario dire, però, che tanta semplicità scaturisce da una perfetta padronanza della lingua e da una felicità di stile che è innata e al tempo stesso coltivata. La lingua di Pinocchio offre un esemplare spaccato del fiorentino vivo, di tono medio di un secolo fa. Sono presenti molti vocaboli, modi di dire che non sono più usati oggi. Per un'analisi dettagliata della lingua di Pinocchio, rimandiamo alla introduzione delle Avventure di Pinocchio  di Ornella Castellani Pollidori . In questo lavoro ci limitiamo a dire che Collodi utilizza termini come "bizzoso", "abboccato" (che mangia di tutto), "ammalizzito" (smaliziato), berciare (gridare), berlicche (diavolo), ciocca d'uva (grappolo d'uva), corbello (grosso cesto a campana), impresciuttito (asciutto), pizzicorino (solletico) e tanti altri. Bellissime sono anche tante immagini che ritroviamo in Pinocchio, come quella del vento freddo e strapazzone che fischiando rabbiosamente e sollevando un immenso nuvolo di polvere, faceva stridere e cigolare tutti gli alberi della campagna . Questo vento "strapazzone" sembra quasi animato, un ventaccio che si diverte a soffiare forte e a "strapazzare" tutto quello che incontra. Tutta la natura sembra partecipare alle avventure del burattino, a volte gli è favorevole e lo aiuta, a volte, invece, gli rende la vita più difficile.

(tratto dalla tesi della dottoressa Myriam Parissi:
Le categorie del comico: metafora della realtà. Lettura del comico ne "Le aventura di Pinocchio")


dottoressa
Myriam Parissi

 


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