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Le storie di

STRISCIO

di Italo Papini

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1° CAPITOLO

Dell’apparire dal nulla assoluto e dell’incidenza del culo

"Un foglio bianco, un A4 appena sfogliato dal cassetto di una stampante, un lembo di nube accecante di bagliore vaporoso, inconsistente ed etereo. Un lancio di dadi ed il tuo numero esce. E vieni sparato tra le braccia (o meglio tra le cosce) di una appartenente al genere umano, sesso femminile, se hai fortuna con un marito accanto (genere umano, sesso maschile) e uno stuolo di medici-dottori-pediatri-ostetrici che guadagnano la pagnotta lanciando sul mercato mondiale mandate di imberbi moccicosi. E’ così che sono nato io, è così che sei nato tu."

Seppure lo conoscessi ormai bene, Striscio (all’anagrafe Alessandro Puccianti) riusciva spesso a spiazzarmi con le sue uscite profano-psicologiche. Questa era la prima volta che metteva in ballo la sua nascita e lo faceva seduto in pizzico alla solita sedia del barrino, con i gomiti appuggiati sul tavolino (uno di quelli ovali con il bordo di ferro e la formìca macchiata da caffè e sigarette sopra) e la faccia, completa di occhiali da vista, appoggiata sulle braccia.

Forse vale la pena di spendere qualche parola per introdurvi meglio al personaggio. Perchè proprio di un personaggio si tratta. Ma non uno di quelli saliti alle ribalte per azioni spettacolari o per cazzate memorabili. Lui è uno normale ma nel suo gruppo ha sempre occasione di dire la sua, da tempo ormai.

Striscio ha diciannove anni. Compiuti.

Tutti lo chiamano Striscio (anche alcuni proff a scuola lo chiamavano così) da anni. Precisamente da quando, a tre anni e senza aver ancora detto una parola (i genitori erano preoccupati perchè non parlava ma erano anche altrettanto rilassati visto che in casa regnava la pace e il silenzio) assistendo ad una partita di tressette alla meno, per mano al nonno qui al barrino, dopo una serie di "accuso!" e "busso!" qualcuno esordì con uno "striscio!". Tale parola fu immediatamente adottata dal pupo che da quel momento utilizzò "striscio!" come incipit di ogni suo discorso, incontrollabile pulsione che solo alla fine della scuola dell’obbligo riuscì a contenere.

Durante il periodo delle medie sviluppò quel look che lo mantiene ancora oggi un simbolo del casual, inteso come "mi metto qual che capita, a caso". Punto fisso dell’abbigliamento è il cappello. Quello estivo è una specie di fungo color verde, tipo cappero, floscio e con la tesa molle. In inverno una specie di papalina di lana che copre il cocuzzolo della testa. In inverno, ma anche in primavera ed in autunno, porta una sciarpa, fatta ai ferri da una zia straniera, che con un giro al collo gli arriva sotto i ginocchi, a striscie colorate e con i peneri in fondo. Tali peneri spesso vengono lasciati accidentalmente penzolare fuori dalla portiera della macchina, contribuendo a ripulire le strade cittadine e le pozzanghere d’acquazzone. Per il resto si veste effettivamente come capita, ad esclusione dei calzini: sempre bianchi e sempre corti. Non ha una ragazza e viaggia un pò con la Ronda di suo padre e un pò con il Ciao rosso che, il caso?, vuole che riesca ancora a tossire abbastanza forte da fargli percorrere qualche chilometro. Dimentico qualcosa? Ah, è in cerca di un lavoro (come tanti) che non lo faccia sudare troppo.

"Mi sembri new age e cinico" dissi sorseggiando il chinotto on the rocks che Alina, la factotum cicciotta del barrino mi aveva appena portato.

"No, da qualche parte nell’universo ci deve essere una specie di sala d’aspetto per fogli bianchi, che non aspettano altro che esca il loro numero per farsi scrivere una vita da un paio di improbabili genitori e da un mondo che, in fondo in fondo, se ne frega ampiamente di loro. E poi è tutta questione di fortuna." E attaccò la Coppa Rhum (gelato nocciola e cioccolato, con noccioline, cioccolato fuso e un’idea di rhum che fa esotico).

"Io penso che il nostro destino, seppur segnato almeno all’inizio, poi possiamo modificarlo.... almeno spero...". In effetti il chinotto, un pò freddo, si prestava ad elucubrazioni post-digestive.

Un cucchiaio di cioccolato con rivoli di noccioline rimase sollevato a mezz’aria. "Boh, forse. Ma è il caso che la fa da padrone. Pensa se invece di essere nato qui eri nato a Calcutta, da una mamma con già tredici figli.... magari ti avrebbe venduto per pochi soldi o non ti avrebbe curato un raffreddore che potrebbe diventare polmonite.... o magari fa parte di una setta religiosa che uccide i quattordicesimi.... Insomma, ci vuole un bel pò di fortuna. Con la C maiuscola!" E il cucchiaio riprese il suo viaggio, seguendo il corso degli eventi.

L’effetto del chinotto filosofico invece si andava velocemente assottigliando. Ben poco ne rimaneva adesso e mi uscì solo un "Beh, ma così allora suicidiamoci subito.... non si conta proprio nulla!"

E, sorpresa delle sorprese, l’unica risposta che ebbi da Striscio prima che si alzasse dal tavolo (finito il gelato, naturalmente) fu "Ma sì, in fondo in fondo si potrebbe dare una bella svolta al nostro destino!"

Il giorno dopo, pomeriggio ore 16,03 al mio orologio, lo sto ancora aspettando. Qui al barrino, naturalmente. E con me ci sono Telepiù e Treppaia. Che parlano di calcio.

Ma questa storia la racconterò un’altra volta.

Il secondo capitolo