Logogavnewcolbr.JPG (74054 byte)Gruppo Archeologico di Villadose

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ONLUS R. VENETO n° RO 66

 

LINEE GUIDA PER LA RICERCA ARCHEOLOGICA DI SUPERFICIE IN AREA PADANA

Elaborate durante il Workshop tenuto a Villadose il 1/10/1994

Si possono delineare alcune indicazioni per una corretta ricerca di superficie. E' importante innanzitutto identificare e delimitare con precisione un'area specifica da indagare e quindi sottoporre i programmi di 
ricerca alla Soprintendenza competente,  con la quale vanno concordati tempi, modalità, numero di addetti. 
Va poi scelta una base cartografica dell'area da esaminare, possibilmente in scala 1:2000 oppure 1:5000, 
sulla quale pianificare i lavori che dovranno prevedere una metodica copertura dell'area stessa e dove
 riportare successivamente i posizionamenti delle evidenze individuate. E' di grande utilità  esaminare, 
con l'aiuto di un esperto, le foto aeree eventualmente disponibili della zona oggetto di studio e registrare
 sulla base cartografica gli indizi di strutture antropiche e morfologie  naturali sepolte. Queste ultime 
andranno ugualmente vagliate, anche sul campo, con un esperto del settore. In via preliminare bisognerà
 comunque documentarsi sulla zona presa in esame consultando pubblicazioni, vecchie cartografie - specie 
quelle militari - e testimoni diretti. Prima di affrontare il lavoro sul campo si devono preparare, sulla base 
di modelli già esistenti,  una scheda di rilevamento ed una scheda generale del sito. Sulla base del piano di
 lavoro predisposto si organizzano le uscite in campagna, tenendo presente che è necessario ottenere 
l'assenso preventivo dei proprietari e, meglio, il loro diretto coinvolgimento. Comunque non dovrà essere 
arrecato alcun danno alle colture né alcun ostacolo alle attività agricole. Per nessun motivo dovranno essere
 praticati scavi  anche di modesta o modestissima entità: vanno raccolti solo i reperti effettivamente in 
superficie. Ogni sito individuato riceverà un numero d'ordine e dovrà essere accuratamente posizionato e 
descritto nella scheda di rilevamento e poi nella sua scheda generale. I reperti provenienti da uno stesso 
sito dovranno essere naturalmente collocati in contenitori che rechino il numero del sito corrispondente con
 tutte le precauzioni necessarie a salvaguardare la loro connessione. I reperti raccolti dovranno essere 
tempestivamente consegnati, senza alcun intervento autonomo di pulitura, nella sede indicata dalla 
Soprintendenza, alla quale spetta disporre il più idoneo trattamento degli stessi. A cadenza regolare 
dovrà essere inviata alla Soprintendenza una relazione sulla attività del Gruppo, accompagnata da estratti 
cartografici e da precise indicazioni sui siti e i materiali scoperti. Dovrà inoltre essere tempestivamente 
segnalato ogni evento che possa nuocere alla conservazione dei siti individuati 
(dagli atti del workshop 1/10/1994)    TN_GAV 98 228.JPG (61608 byte)  

 

PREMESSA

Nel 1995 i soci del Gruppo Archeologico di Villadose hanno completato una ricerca di superficie metodica

nell’area centuriata fra Rovigo e Adria. La ricerca, durata sette anni, ha interessato circa 9400 ettari di territorio

ed ha permesso ai soci di sviluppare una notevole esperienza nel survey. In particolare essi hanno appreso abilità nel riconoscere numerose classi di materiali, nell’individuare siti archeologici costituiti da materiale rado e molto frammentato e nel distinguere sul terreno il decorso dei paleoalvei e le tracce dei fossati antichi.

Dall’autunno del 1995 è iniziata, con l’autorizzazione della Soprintendenza Archeologica, un’indagine metodica

su una superficie di circa 4000 ettari fra il Canal Bianco a nord e il Po a sud e comprendente l’intero comune di

Pontecchio e parti dei comuni di Guarda Veneta, Rovigo, Crespino. Lo scopo della ricerca era di studiare

la distribuzione dell’antropizzazione antica e la sua continuità nel tempo.

CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO

Nell’area di studio si trovano numerosi centri abitati di piccole dimensioni che non superano i 500-600 abitanti

e che di seguito elenchiamo: Pontecchio, Chiaviche, Busi, Borgo, Olmo, Fenil del Turco, San Cassiano, Selva, Arginello. Il popolamento delle campagne si è ridotto negli ultimi 50 anni e numerose fattorie che punteggiano il territorio sono state abbandonate e sono in degrado.

Il territorio indagato è delimitato a nord dal Canal Bianco e a sud dalla strada transpolesana che costeggia

il fiume Po fino a Bottrighe. Numerosi canali di bonifica attraversano il territorio fra cui ricordiamo il Collettore

Padano, lo scolo Zucca, il Marcadello, il Colombarolo, ecc. L’orientamento delle strade e dei canali è legato

alla bonifica estense risalente alla fine del ‘400.

 

PRECEDENTI RINVENIMENTI NELL’AREA STUDIATA

La pubblicazione più utile al fine di ricostruire la storia dei rinvenimenti archeologici avvenuti in passato, è

senza dubbio il "Foglio 64 - Rovigo" dell’edizione archeologica della carta d’Italia. Tale opera del prof. Enrico

Zerbinati, edita nel 1982, riporta i ritrovamenti avvenuti fino al 1978. Per quanto riguarda il territorio di nostro

interesse, le fonti più utilizzate nel Foglio 64 sono essenzialmente il Corpus Inscriptiorum Latinarum (1),

gli archivi del Museo Nazionale Atestino e i lavori di Camillo Silvestri (2), Carlo Silvestri (3), F. A. Bocchi (4),

V. De Vit (5), A. De Bon (6), C. Corrain e P. Bellinello (7), B. Merlo (8), E. Zerbinati (9, 10).

Per ulteriori riferimenti bibliografici si rimanda all’opera principale.

Una catalogazione dei rinvenimenti archeologici aggiornata al 1989 è invece "Atria - Siti d’interesse

archeologico in territorio polesano". In tale opera sono richiamate naturalmente tutte le segnalazioni già

contenute in "Foglio 64" e sono riportati nuovi dati forniti dalla Soprintendenza Archeologica del Veneto, da

gruppi e associazioni varie (G.A.V.; C.P.S.S.A.E.) da ricercatori e appassionati locali (M. Qualdi, L. Rossi

ed altri). Vi sono contenuti inoltre riferimenti a nuovi importanti lavori di R. Peretto ed E. Zerbinati pubblicati nel

1986 ne "L’Antico Polesine. Testimonianze archeologiche e paleoambientali".

I ritrovamenti avvenuti prima del 1989 nel territorio di nostro interesse sono quindi descritti in "Atria" e saranno

richiamati nel seguente lavoro con particolare risalto ai risultati conseguiti da Alessio De Bon. Per ogni

ritrovamento sarà riportato il relativo numero di catalogazione utilizzato in "Atria" e, quando esistente,

il riferimento al Foglio 64 (abbreviato in F64). I siti indagati dal GAV saranno identificati con le sigle

identificative riportate alla fine del presente articolo. Saranno quindi presi in considerazione i ritrovamenti

degli ultimi dieci anni.

I ritrovamenti nei secoli passati

Negli anni 1679 e 1680 si rinvennero nella frazione di Selva di Crespino due tombe ad inumazione con corredo

di lucerne, balsamari e vasetti. Si recuperarono per la collezione Silvestri un’hydria in vetro verde chiaro e un

balsamario a lungo collo e con ventre campaniforme con lettera D incisa alla base. (F64 pag 111, Atria 315).

Nel ‘700 si rinvenne in frazione di Selva di Crespino una statua rotta in tre parti, dispersa, di personaggio

togato assieme ad una lapide sepolcrale d’età augustea con iscrizione che menzionava MAXIMA,

CVRTIA L. F. SECVNDA, Q. NOVELLIVS Q. F. CRESCENS e SEX. NOVELLIVS Q. F. Lapidario,

Palazzo dei Diamanti. Ferrara. (F64 pag 111, Atria 312).

Nel 1703 si rinvennero in frazione di Selva di Crespino due lapidi con iscrizione, la stele sepolcrale

di M. SACCONIVS M. L. ANTVS., dispersa, e un cippo funerario la cui iscrizione asseriva che il defunto

aveva comperato il terreno per quaranta piedi di fronte e trenta dietro la tomba. Museo Maffeiano. Verona.

(F64 pag 111, Atria 312). Nel 1878 si rinvenne in seguito a scavi in località il Cantone un bronzetto

etruschizzante. (F64 pag 381, Atria 309).

 

L’attività di Alessio De Bon

Per quanto riguarda i ritrovamenti effettuati nel nostro secolo, merita particolare attenzione l’opera, già citata,

di Alessio De Bon (6). Alla fine degli anni ‘30 egli allarga il campo delle sue ricerche anche al Polesine:

i suoi studi di topografia romana lo portano a formulare nel 1939 l’esistenza nei territori di Gavello,

Crespino e Pontecchio di un antico tracciato viario che egli ritiene essere in relazione con la via romana

da Adria per Verona. Inoltre le ricognizioni in campagna effettuate per confermare quest’ipotesi portano a

risultati che per la prima volta testimoniano lo spessore della presenza romana sui nostri territori. Nel capitolo

che tratta della "Via di Verona (Adria - Gavello - Trecenta) ", alle pagine 55 e 57, si legge: "Ad occidente di

Gavello la via si arresta alle fattorie Medicina, per riprendere esattamente, segnata da un fossato un paio di

chilometri più ad ovest nella possessione Romanina. Nei pressi si rinvennero macerie e tombe a San

Cassiano, case l’Arginone, e nelle stesse campagne della Romanina... Macerie romane continuano ad

apparire nelle località il Cantone e la Cornera. La via proseguiva quindi verso oriente attraversando le

campagne di Pontecchio ove ha ora il nome di "Strada dell’Oca" "Stradon dei Laghi" "Stradone dei Busi"

vi appare anche il significativo toponimo di "Ponte delle Streghe". Potei rintracciare numerosi basoli della

via romana del tutto simile ai precedenti nell’abitato di Pontecchio, dinanzi alla casa Occari ed altre.

Macerie romane si scoprirono in vari siti, nelle campagne Rastellin, Colombarola, Bordeghina, e a sud

della fattoria Occari...."

I ritrovamenti fino al 1989

Nella zona di Selva di Crespino si rinvenne in epoca imprecisata una lapide con iscrizione M.S.L.T.I.(?) /PP

databile al I sec d.C. (Atria 312).Nel territorio di Pontecchio Polesine, in località ed epoca imprecisate,

furono recuperati due bronzetti etruschizzanti: una devota offerente e un personaggio maschile con copricapo

a punta e tunica fino alle ginocchia. (F64 pag 119, Atria 289) In località Quirina di Pontecchio Polesine si sono

ritrovati, in occasioni diverse, materiale fittile, ossa d’animali, tessere di mosaico. Vedi scheda RP02.

(F64 pag 120, Atria 291). Ai primi del ‘900 in località "Il Cantone" vennero portate alla luce due statuette

muliebri di bronzo di tipologia etruschizzante. (F64 pag 110, Atria 309) Nel comune di Pontecchio Polesine,

in località Foscarina, si rinvenne ai primi del secolo un medaglione cerchiato di Settimio Severo, coniato

per la conquista della Mesopotamia avvenuta nel 195 d.C. Museo Bottacin. Padova. (F64 pag 119, Atria 289).

Nel maggio del 1922 nella campagna "Il Rastellin" lavori di aratura portarono alla luce frammenti di laterizi,

uno anche bollato, e di anfore e un busto marmoreo alto 35 cm raffigurante un personaggio incoronato d’alloro

ritenuto però un falso. Vedi scheda VP02. (F64 pag 110, Atria 302). Nel 1958 si rinvenne in vicinanza del

ponte Tacchetti un’area sepolcrale con deposizione di inumati. Nella stessa località, nel ’66, uno scavo mise

in luce un manufatto edificato a secco e materiale vario tra cui due frammenti di tegole bollate. Vedi scheda

VR20. (Atria 316). Nel 1960 in un terreno del fondo "Traverso" nella frazione di Selva di Crespino si scoprì

un capitello d’ordine ionico di pietra di Vicenza di probabile epoca romana. (F64 pag 111).

A metà degli anni ‘60, nelle campagne tra Fenil del Turco e S. Cassiano, vennero ritrovati molti frammenti

di ossa umane e un’ingente quantità frammenti laterizi anche bollati. Si è supposta la presenza di un vasto

sepolcreto d’epoca imperiale. Da Fenil del Turco proviene anche un’anfora con anse costolate.

(F64 pag 104, Atria 315).Alla fine degli anni ‘60 nella campagna "Roccata" situata tra le frazioni di Fenil del

Turco e S. Cassiano, si rinvenne abbondante materiale appartenente a corredi di tombe a cremazione.

Vedi scheda VR30. (F64 pag 104, Atria 318). Nel 1967 e 1975 si rinvennero in località Campagna Grande

materiali attribuibili a dimore di lusso, blocchi squadrati di trachite e frammenti laterizi anche bollati.

Vedi scheda PG03. (Atria 484). Nel 1969 e 1970 le arature portarono alla luce un basamento di colonna in

pietra, una piccola anfora tipo Dressel 27, molte ossa umane, frammenti di vetro, pietra ollare, resti di macine

in trachite e frammenti di laterizi anche bollati. Vedi scheda VC28. (Atria 325). Nel 1970 in località La Motta

si individuarono pesi da telaio, vetri frammentati e ossa umane. Vedi scheda VR04. (Atria 301).

Nel 1973 nella zona tra Pontecchio Polesine e Selva di Crespino si rinvennero resti di tombe ad inumazione.

Una tomba alla cappuccina venne asportata ed ora si trova ricostruita al Museo dei grandi fiumi. Vedi

scheda VP05. (F64 pag 110, Atria 303). Dal 1980 al 1989, in seguito ad arature, si rinvenne materiale vario

d’epoca romana, tra cui anche laterizi bollati e frammenti di anfore, nelle località: Banchina, Cantoncino,

S. Cassiano, Biolcata, Ca’ Verde, Campagnazze, C. Crivelli. Vedi schede VC48, VC27, VC57, VR11, VR01,

PG04, RP04. (Atria 326, 310, 323, 317, 308, 483, 280).

L’abitato protostorico di San Cassiano

Nel 1986 nel fondo La Romanina di San Cassiano veniva raccolto in superficie, e quindi studiato, del materiale

protostorico (ceramica greca ed etrusco padana, alcuni bronzi etruschi e un frammento di fibula) associato a

materiale d’epoca romana. Nel 1988 indagini più accurate permisero di stabilire che l’area archeologica si

presentava più estesa interessando anche il podere limitrofo denominato Campagnola. Dal 1994 sono state

condotte varie campagne di scavo a cura delle missioni archeologiche delle Università di Pavia e di Ferrara,

dirette dal prof. M. Harari che hanno portato alla luce un edificio tardo arcaico a più vani il cui impianto

originario risale al VI° a.C. Vedi scheda VC19 (Atria 324). Per un approfondimento vedi in questo Volume:

HARARI M. "San Cassiano di Crespino. Scavi delle università di Pavia e di Ferrara"

Ritrovamenti in seguito a ricognizioni programmate

Il Museo Civico di Rovigo, in accordo con la Soprintendenza Archeologica del Veneto, ha coordinato

una serie d’indagini archeologiche di superficie non sistematiche in una porzione del territorio sud orientale

della Provincia di Rovigo e in particolare nei comuni di Crespino e Gavello. Le ricognizioni sono state condotte

per alcuni anni a partire dal 1985 dall’appassionato locale e socio GAV sig. Luigi Rossi. Sono emerse

significative testimonianze dell’età del Bronzo Recente ad est di Gavello e una più complessa organizzazione

insediativa nell’abitato protostorico di S. Cassiano rispetto a quanto registrato alcuni anni prima. E’ stato

inoltre documentato un certo numero di siti che confermano anche per quest’area una elevata antropizzazione

in età romana come già riscontrato nel vicino agro centuriato adriese. I risultati di queste ricerche, aggiornati

a tutto il 1995, sono stati pubblicati nel 1996.

 

La via di Gavello

In seguito all’interpretazione di tracce visibili nelle foto aeree, il Dr. Raffaele Peretto propose in un articolo

pubblicato ne "L’Antico Polesine" la ricostruzione di una parte del percorso della via romana che da Adria

andava verso Gavello, già teorizzato da Alessio De Bon. Questa ipotesi venne poi integrata dallo stesso

autore in un lavoro pubblicato nel 1993 in cui si riferisce che: " Poco oltre Gavello, in località Selva,

deboli tracce del percorso viario portano a ritenere che questo deviasse lievemente più a sud, in direzione

di Romanina, per proseguire in direzione di altri siti noti di interesse archeologico (il Cantone, Campagna

Grande, le Campagnazze)".

Il corpus dei bolli laterizi

Nel 1993 il prof. Enrico Zerbinati ha pubblicato il Corpus dei bolli laterizi rinvenuti in Polesine. Le fonti utilizzate

sono essenzialmente i già menzionati "Foglio 64" e "L’Antico Polesine" nonché materiali inediti rinvenuti da

appassionati e ricercatori locali. In tale lavoro il Polesine viene idealmente suddiviso in quattro zone omogenee

per moduli e modalità di ricerca. Di queste aree "...il settore che viene a costituire l’area 2 e che riguarda

l’enclave territoriale di Gavello e dei paesi ad occidente di tale centro (Crespino, Pontecchio, Guarda Veneta) si presenta con connotazioni esplorative a macchia di leopardo o ad isole, nel senso che mentre rimangono silenti ancora vaste zone di tale area, sono stati ripetutamente visitati soprattutto alcuni nuclei archeologici i cui resti attestano la presenza di villae rusticae o di costruzioni coloniche di una qualche rilevanza...". Sono stati catalogati, provenienti dall’area 2, ben 309 bolli su laterizi di cui 252 dell’officina Pansiana, 54 di officine private e 3 di lettura incerta.

Le lacune evidenziate dall’autore relativamente all’area 2 formulate nel 1993 e ora si possono ora considerare

superate grazie dalla sistematica ricerca archeologica di superficie condotta su tale area dal GAV e conclusasi

nel 1999.

Le segnalazioni raccolte dai ricercatori del GAV

Di una certa importanza sono anche le segnalazioni di ritrovamenti passati raccolte dai ricercatori del GAV

durante le ricognizioni in campagna dagli agricoltori, dai proprietari dei fondi o da semplici simpatizzanti.

Le segnalazioni sono state verificate prima d’essere registrate nelle schede dei siti archeologici individuati.

Si riportano di seguito alcuni tra i più significativi esempi di segnalazioni raccolte durante la campagna

di ricognizione 1995 - 1999: · Un frammento di mosaico a tasselli bianchi 40x40cm è stato rinvenuto al

Traverso. Vedi scheda CC12.· Abbondante materiale fittile è venuto alla luce alla Trona di Guarda Veneta

in seguito a scavo per la posa di tombini. Vedi scheda PG01. · Da quaranta anni affiorano alla Roccata

"mattoni molto grandi con incastri". Vedi scheda PG13.

· Grossi frammenti di ceramiche dipinte affiorano dal terreno del cortile del Palazzo Bianco a Guarda Veneta.

Vedi scheda PG18.

· Varie tombe romane vennero scoperte durante lo scavo dello scolo Marcadello tra i fondi Prearo e Quirina

nel territorio di Pontecchio nei pressi della Menara. Vedi scheda RP42.· A metà degli anni ‘50, in località

Campagnola di Pontecchio, fu individuato e smontato un pozzo sul fondo del quale si ritrovarono monete

e un contenitore di marmo. Vedi scheda RP24.

· Negli anni ‘70 alla Carreggiata Grande di Crespino si ritrovò un blocco di trachite 120x100x25cm con foro

centrale di circa 50cm di diametro. Vedi scheda VC52.

 

METODO USATO NELLA RICERCA

La ricerca si è svolta dal 1995 al 1999 ed ha interessato una quarantina di ricercatori che si sono succeduti

nelle esplorazioni del territorio (11, 12). Si è poi ritenuto di completare il lavoro con i risultati della campagna

1999-2000 che ha interessato 900 ettari quasi interamente compresi nel comune di Crespino (13).

I ricercatori del GAV sono stati organizzati in gruppi composti da un minimo di 3 a un massimo di 6 componenti

. Questi procedevano nella campagna nel periodo in cui questa era libera da colture tenendosi allineati ed a

una distanza da un minimo di 10 fino ad un massimo di 50 mt circa. La distanza era più ravvicinata in caso

di scarsa visibilità o quando il terreno non era ben controllabile perchè lavorato di recente e non dilavato

dalla pioggia. Nelle zone dove era più probabile la presenza di siti preromani, solitamente poco visibili per

l’assenza di laterizi ed altri materiali da costruzione, i ricercatori si tenevano più vicini tra loro.

Una volta individuato un sito i ricercatori si concentravano nell’area dove erano dispersi i materiali ed iniziavano

una ricerca ad alta intensità raccogliendo tutto il materiale archeologico significativo. I laterizi ed il materiale

da costruzione venivano solamente segnalati nella scheda mentre la ceramica e gli altri manufatti erano raccolti

e anche segnalati in scheda. Il sito veniva localizzato in una carta tecnica regionale al 10000 di cui era dotato

il capogruppo. In una seconda fase il sito veniva riportato sulle tavolette dell’Istituto Geografico Militare dove

venivano rilevate le coordinate UTM e la località di riferimento (14).

Il sito era misurato sul campo secondo i due assi maggiori e ne veniva individuata la densità e la

frammentarietà dei materiali secondo tre scelte (15). Distinguiamo la densità in alta, media e rada e la

frammentarietà in lieve, media e alta. In circa il 50% dei siti è stato utilizzato il cercametalli per individuare

reperti metallici ed in particolare numismatici, molto utili per la datazione.

Il materiale raccolto veniva quindi lavato e lasciato asciugare per essere poi depositato all’interno di contenitori

distinti sito per sito presso il Museo Civico di Rovigo.

L’elenco dei materiali raccolti con una breve descrizione viene inserito in un data-base al computer dai soci

del gruppo. Una parte di questi materiali è poi stata sottoposta a studio: la ceramica medievale e

rinascimentale (16), la ceramica romana e le anfore (17), le monete romane (18), la pietra ollare (19).

I RISULTATI DELLA RICERCA

Nel giro di quattro anni sono stati individuati 179 siti di cui 11 hanno offerto materiali preromani, 102 materiali

romani e 76 medievali-rinascimentali. Vari siti hanno dato materiali misti per effetto di insediamenti avvenuti

in epoche successive.In questi quattro anni è stata indagata metodicamente un’area di 3800 ettari. Una parte

del territorio non è stata studiata perchè coperta da insediamenti urbani e produttivi e da colture poliennali.

A questi dati vanno aggiunti quelli emersi dalla campagna 1999-2000 durante la quale sono stati indagati altri

900 ettari che hanno permesso l’individuazione di 7 siti con materiali preromani, 41 siti con materiali romani

e 15 rinascimentali per un totale di 57 nuovi insediamenti ubicati nei comuni di Crespino e Ceregnano.

 

Siti archeologici preromani

Segnaliamo la scoperta nell’ottobre del 1999 di un affioramento nel comune di Pontecchio, vicino ai confini

con Guarda che costituisce il sito più antico dell’area indagata. Esso è caratterizzato da numerosi frammenti

ceramici databili, ad un primo esame, alla fine dell’età del Bronzo Medio. Il sito è contiguo ad un affioramento

di materiale di età romana. Si segnalano alcune anse, fra cui alcune anse cornute, vari fondi e frammenti di

pareti con applicazione di decori a cordone. In questo sito è programmato uno scavo che ci dovrebbe fornire

ulteriori materiali ed elementi per l’inquadramento dell’insediamento. Sono stati inoltre individuati 10 siti di

epoca preromana nella zona di San Cassiano in direzione di Pontecchio. La loro datazione, ad un primo

esame delle ceramiche, sembra andare dal VI secolo a.C. all’età ellenistica. Oltre alle ceramiche comuni

acrome e con inclusi, si sono rinvenuti radi frammenti di ceramica a vernice nera di produzione attica.

Questi siti sono caratterizzati dall’assenza di laterizio e dalla presenza di frammenti ceramici sparsi. Abbiamo

ipotizzato pertanto la presenza di capanne di legno e paglia. Essi sono di difficile individuazione se il terreno

non risulta dilavato da piogge. La loro dimensione media è di 1700 mq. e vanno da una estensione minima

di 100 ad un massimo di 5000 mq. Uno di questi siti è stato scavato dalla missione del prof. Harari e l’analisi

dei materiali ha portato a ipotizzare una serie di insediamenti rurali di cultura etrusca in collegamento con la

città di Adria (20). Nel corso della campagna di ricerca 1999-2000 sono stati individuati altri 7 siti con

queste caratteristiche.Tutti si trovano nel raggio di circa 2 km dal sito VC19 scavato dal prof. Harari (20).

Siti archeologici romani

Sono stati individuati 102 siti romani. La loro distribuzione è omogenea in certe zone ed assente in altre.

Per esempio in una fascia di circa 1500 m. a sud della strada transpolesana nei comuni di Guarda e Crespino

, troviamo soltanto cinque siti romani con ampi vuoti. La spiegazione potrebbe derivare dalla mancata

antropizzazione in antichità (area boscosa o paludosa?), come pure dalla vicinanza del Po che,

successivamente all’epoca romana, ha seguito l’attuale nuovo corso e le cui esondazioni potrebbero aver

coperto i siti romani con spessi strati sedimentari.

In vari siti sono presenti materiali di epoca repubblicana e imperiale. In certi possiamo ipotizzare una continuità

anche dopo il II secolo per la presenza di materiali tardi.Per alcuni abbiamo una continuità anche nel periodo

alto-medievale. La loro distribuzione fa ipotizzare la presenza di divisioni agrarie con sfuttamento agricolo di

buona parte del territorio. Altri 41 siti con materiale romano sono stati rilevati nel corso della campagna

1999-2000 nei comuni di Crespino e di Ceregnano. Nei 143 siti rilevati i frammenti di laterizio erano presenti

in circa il 90% dei casi, metre il materiale lapideo da costruzione, rappresentato per la maggior parte da

trachite euganea e scaglia rossa, era presente nel 40% circa dei siti. Sono stati raccolti 35 laterizi bollati nel

13% dei siti. La maggior parte è da riferire alla produzione della fornace imperiale "Pansiana". Il 12% dei siti

romani ha offerto elementi di pavimentazione: esagonette fittili in quattro siti, cubetti fittili di 4 cm di lato in dieci

siti, mattoncini a parallelepipedo in cinque siti e frammenti di signino in tre siti.Fra i materiali attribuibili

a dimore di livello qualitativo superiore (ville rustiche) segnaliamo le tessere musive in genere bianche e nere presenti nel 21% dei siti ma talora in quantità esigue, mentre crustae marmoree e frammenti di intonaci talora dipinti sono presenti rispettivamente nel 16 e 12%.

Per quanto riguarda i frammenti di contenitori, la ceramica più rappresentata è la comune acroma, che copre un ampio spazio cronologico essendo presente nel 81% dei siti. Segue la comune con inclusi nel 69% e le anfore presenti nel 65% dei casi.

La terra sigillata nord italica come pure la ceramica a pareti sottili rappresentative di insediamenti di I sec. d.C. sono segnalate rispettivamente nel 44 e 31% dei siti. Invece la vernice nera e la pasta grigia sono state raccolte rispettivamente nel 31 e nel 56% degli insediamenti. All’ultimo posto come frequenza, ma con un dato significativo, i resti di contenitori in pietra ollare presenti nel 29%.

Segnaliamo infine il ritrovamento di oggetti per lo più frammentari, tipici dell’età romana come le macine

domestiche in trachite nel 4% dei siti, 38 pesi da telaio fittili troncopiramidali raccolti nel 18% dei siti ed infine frammenti di lucerne a disco segnalate nel 6% dei siti. Il ritrovamento anche di 20 fusarole di cui 10 in piombo fa pensare ad una pratica diffusa della filatura e della tessitura

Particolarmente abbondati sono state le monete: 306 monete romane in 46 diversi siti. Le monete coprono un periodo ampio, dalla Repubblica romana fino alla tarda età imperiale. Molto rari sono gli esemplari altomedievali e medievali a testimoniare una continuità antropica nel territorio studiato.

Anche i manufatti integri o frammentari sono stati raccolti in quantità: 259 in 46 siti. I materiali più rappresentati sono stati i pesi da bilancia sia lapidei, che in bronzo o in piombo con 29 esemplari, seguiti dalle fibule con 21. La rarità dei manufatti di ferro è collegata alla forte corrosione di tali reperti per la permanenza negli strati arativi.

Per quanto riguarda l’estensione abbiamo numerosi siti di ragguardevoli dimensioni come la Colombarola nord di 4 ettari, le Campagnazze di 3, la Romanina di 4,5, la Motta di oltre 2 ettari. Alcuni di essi si presentano enormemente estesi come il sito del Cantoncino che supera i 5 ettari e quello della Colombarola sud che supera gli 11. Talora in tali siti si alternano aree di materiali più concentrati ad aree rade espressione di una antropizzazione che vedeva il succedersi di singoli insediamenti anche di epoche non coeve a poca distanza l’uno dall’altro. In altri casi dimensioni così esagerate sono il frutto di spianamenti che per eliminare dossi e avvallamenti hanno disperso i reperti su ampie aree.

 

Siti archeologici medievali e rinascimentali

Questi siti sono caratterizzati dalla presenza di laterizi (coppi e mattoni) con l’esclusione di sesquipedali e tegoloni e da ceramica invetriata e talora graffita.

Nella maggior parte sono da riferire a insediamenti che si sono sviluppati con le bonifiche estensi della fine del ‘400. Infatti essi sono ubicati prevalentemente lungo le strade e i canali di bonifica che, perpendicolari tra loro, intersecano il territorio. Non siamo in grado di individuare il periodo durante il quale tali siti sono stati abbandonati, anche perchè i reperti ceramici non sono abbondanti e si presentano molto frammentari e spesso non sono sufficienti per una datazione della durata dell’insediamento. Spesso i materiali archeologici sono nella stretta vicinanza (orti, giardini, ecc.) di case rurali e fattorie e spesso sono commisti con materiali moderni. Numerosi siti non sono individuabili in quanto posti sotto le costruzioni attuali o nelle immediate adiacenze in aree recintate e non ispezionabili. Infatti il tessuto urbano attuale è impostato in parte su quello che si era già sviluppato nel Medioevo.

Sono stati individuati 76 siti di cui 9 presentano accanto ai resti rinascimentali anche reperti romani. A questi dobbiamo aggiungere 15 insediamenti individuati durante la campagna di ricerca 1999-2000. La loro estensione media è intorno ai 2500 mq.

 

CONCLUSIONI

Riteniamo che la nostra ricerca di superficie pur con tutti i limiti di tali tipi di indagini, abbia espresso in modo evidente l’evoluzione antropica del territorio studiato.

Il rinvenimento del sito del Bronzo Medio a Pontecchio ha retrodatato l’intera area rispetto alle nostre aspettative e ci ha aperto nuove prospettive di ricerca in quanto non si possono escludere ulteriori affioramenti di età preistorica, con lavori che vanno ad intaccare più profondamente il terreno come scavi di fossati o fondazioni di abitazioni o sbancamenti per migliorie fondiarie. Rimaniamo per ora in attesa delle nuove informazioni che offrirà lo scavo programmato per il prossimo autunno.

Passiamo poi sopra un vuoto di oltre 700 anni circa per giungere agli insediamenti che sono molto probabilmente da attribuire a popolazioni etrusche in stretto collegamento con la città di Adria. I siti sono tutti caratterizzati dall’assenza o da presenza esigua di laterizi e sono ubicati in un’area omogenea che va dal Cantone di Pontecchio a ovest fino a fenile Campanaro a est, tutti in un raggio di 2 km circa rispetto al sito di San Cassiano scavato dal prof. Harari (VC19). Nuovi ritrovamenti di provenienza sepolcrale potrebbero aiutarci a inquadrare meglio questo gruppo di agricoltori attivi nella nostra area in epoca preromana. L’assenza di laterizio farebbe pensare ad abitazioni di legno e paglia.

Con la romanizzazione abbiamo una copertura omogenea di tutto il territorio indagato, tanto da far pensare ad una o più divisioni agrarie databili fra il I sec. a.C. e il I d.C.

Successivamente numerosi siti sembrano interrompere la loro attività, ma molti altri sopravvivono anche in periodo tardo antico ed alto-medievale. I documenti più antichi testimoniano la presenza di insediamenti e la creazione di nuove pievi a partire da prima dell’anno 1000. L’apparente vuoto fra tale periodo e l’età rinascimentale è probabilmente dovuto ad una nostra carenza interpretativa dei reperti ascrivibili all’alto medioevo. D’altronde le due monete bizantine dalla Bordeghina di Pontecchio confermano pienamente una presenza nel VII-VIII secolo d.C.

Ma è soltanto sotto il dominio della signoria estense nel XV secolo cha abbiamo una esplosione antropica con la creazione di numerosissimi nuovi siti lungo i limiti (canali e strade) della nuova bonifica voluta da Ercole d’Este e realizzata dal lavoro degli abitanti di Pontecchio e dei dintorni. Questi insediamenti hanno costituito la base del disegno urbanistico moderno dei centri abitati dell’area, almeno fino a 50 anni fa quando è iniziata una fase di urbanizzazione con l’abbandono di fattorie e abitazioni isolate nella campagna.

IL MATERIALE LAPIDEO NELL'AGRO CENTURIATO ADRIESE (Stanghella 1993)

di Sandro Maragno e Alberto Parri

   I materiali lapidei costituiscono, nel complesso, una quota consistente dei reperti di superficie restituiti dai campi nell’area centuriata esplorata dal Gruppo Archeologico di Villadose (vedi carta a pag. 42).

Frammenti, materiale d’opera ma anche qualche oggetto integro compaiono in oltre la metà dei siti indagati.

L’area centuriata di Adria-Villadose, sotto il profilo geologico,è costituita esclusivamente da terreno alluvionale (argilla, limo e sabbie) ed è del tutto priva di materiale litico proprio. Nell’individuazione dei siti archeologici, pertanto,qualsiasi frammento di materiale lapideo risalta distintamente sul terreno al pari dei frammenti di origine artificiale comportando un vantaggio non indifferente rispetto a territori di natura diversa.

Sino dall’inizio della ricerca, nell’individuare i siti si è provveduto a raccogliere e catalogare solo il materiale lapideo dotato di particolare interesse, trascurando quello che, a giudizio dei singoli ricercatori, non presentava caratteristiche tali da dovere essere raccolto; si è provveduto, tuttavia, ad effettuare comunque una segnalazione sommaria.

Nell’analizzare i dati raccolti come pure le rilevazioni eseguite ci si è dovuti confrontare con alcuni problemi innescati dalle seguenti circostanze: quasi tutto il materiale lapideo assoggettato nei secoli agli agenti atmosferici ha subito, esternamente, per uno strato di qualche millimetro, un intenso processo di alterazione che ne ha reso talora assai problematica l’identificazione; inoltre la ricerca di superficie è stata condotta, per motivi connessi al rispetto delle coltivazioni in atto, prevalentemente nel periodo invernale e quindi con il terreno in condizioni sfavorevoli per la presenza di fango.

Per ovviare a tali inconvenienti si è provveduto quindi ad accompagnare ogni segnalazione col prelevamento di campioni che consentissero di effettuare una successiva analisi.

Quest’ultima è stata condotta per via macroscopica, scalfendo, quando possibile, una piccola scheggia in modo da evidenziare la parte integra all’interno del materiale. Tale metodo, nonostante i suoi limiti, ha consentito di dedurre con buona sicurezza la provenienza geografica di gran parte del materiale stesso.

Nonostante le analisi più accurate, tuttavia, difficilmente è possibile giungere, in via generale, all’individuazione della cava di estrazione, tuttalpiù è dato risalire al distretto estrattivo di provenienza.

Molti, infatti, fra i materiali raccolti hanno goduto nel tempo e fino ai giorni nostri di un notevole favore e pertanto lo sfruttamento delle cave, praticamente ininterrotto fino ad oggi, ha completamente cancellato le tracce più antiche; così è per la trachite, per la pietra di Vicenza, per i calcari ammonitici, ecc.

Inoltre i relativi filoni rocciosi, pur con gradazioni e tonalità cromatiche differenti si estendono su di un ampio territorio. La trachite (1) ad esempio pur essendo nell’Italia settentrionale esclusiva dei Colli Euganei, non è individuabile in una cava particolare ma è rinvenibile in almeno una ventina di località distribuite sull’intera estensione degli stessi colli. La medesima osservazione vale per la "Pietra di Vicenza" (2) rinvenibile, non solo sui Colli Berici, ma anche sulle prime propaggini dei Lessini. Il calcare "Scaglia Rossa" (3) poi è diffuso, non solo un po’ ovunque sui colli Euganei ma anche sui Lessini veronesi e in gran parte delle Prealpi venete.

In conclusione si può affermare che l’abbondanza di un materiale lapideo rinvenuto è, nel complesso, direttamente proporzionale alla vicinanza delle cave ed alla comodità del trasporto che avveniva, in massima parte per via fluviale.

L'approccio a questo complesso argomento prende spunto dall’individuazione dei principali litotipi per approfondire quindi la caratterizzazione tipologica dei diversi manufatti, i particolari tecnici-costruttivi, i loro elementi di articolazione tematica.

Si va dal comunissimo materiale d’opera, soggetto prevalentemente ad impieghi di base nel campo dell’edilizia, ai litostroti con le loro svariate accezioni tempo-culturali, dagli elementi strutturali, agli oggetti di impiego quotidiano di produzione artigianale, alla produzione standardizzata d’uso particolare come i cippi, le stele, le urne, i contrappesi, ecc.

Il materiale d’opera costituisce la quota maggiore tra tutto quello ritrovato. I tipi litologici più diffusi risultano nell’ordine: il calcare rosa a frattura concoide (Scaglia Rossa, Pietra Antonella) caratterizzato da una reperibilità diffusa al 51,8% dei siti, la trachite grigia diffusa nel 19,4% ed il calcare tenero (Pietra di Vicenza) nel 9,2%.

Litostroti o pavimentazioni di pietra sono testimoniati da abbondanti ritrovamenti avvenuti in tutto il territorio di Villadose. Quasi tutte le antiche tipologie pavimentali sono rappresentate.

Non sono stati rinvenuti tratti lastricati di strade ma grandi basoli di trachite grigia euganea accatastati dai coltivatori ai margini dei campi. La loro provenienza dal selciato stradale ha una attestazione topografica ma anche morfologica, essendo dotati di una faccia pianeggiante e all’opposto di una a punta adatta ad essere infissa nella massicciata di supporto.

Frequente è pure il ritrovamento di tessere musive di pietra prevalentemente bianca ma talvolta anche nera e più raramente rosa.

I mosaici tessellati cui sono appartenute presentavano una stesura prevalentemente bianca; è legittimo, dunque, proporre un riferimento ai tessellati geometrici bianco/neri della tarda età repubblicana come pure a quelli figurati o fioriti in bianco e nero del primo e specialmente del secondo secolo d.C.

Non mancano, peraltro i frammenti di mosaici signini di coccio pesto rosso decorati con tesserine bianche e nere organizzate in linea. E’ questa una tecnica ben documentata nella "Venetia" centrale, in auge in periodo repubblicano ma utilizzata in ambiente minore, anche in età imperiale.

Le numerose scaglie marmoree ritrovate appartengono a varietà di marmo pregiato e raro, proveniente da distretti estrattivi esterni al Veneto ed alla stessa penisola, probabilmente di origine jonica ed egea. I marmi metamorfici greci, talora simili a quelli di Luni, oltre ad essere stati impiegati molto tempo prima hanno rispetto a questi ultimi il vantaggio non indifferente di un trasporto, via mare, più breve.

Questi materiali, pur non potendo essere ricondotti a tecniche costruttive ben precise a causa della loro frammentarietà ma anche per la particolarità del rinvenimento avvenuto fra le zolle di terreno lavorato, possono verosimilmente essere fatte rientrare nella tecnica del mosaico scutulato come pure possono rappresentare resti di pavimentazione in "crusta marmorea" oppure anche di mosaico settile o intarsio.

Frammenti di "crustae" sono stati rinvenuti in circa il 4% dei siti esplorati. Quelli di dimensioni maggiori hanno l’area della superficie di circa 70 cmq mentre gli spessori medi variano fra 1,4 e 2,5 cm.

Anche se permane una certa alea di incertezza sugli aspetti connessi alla organizzazione territoriale e all’articolazione demica dell’agro e segnatamente sul processo di sviluppo sociale come sull’evoluzione storica, si ha fondato motivo di ipotizzare che tali siti siano testimonianza di una particolare tipologia residenziale: la cosiddetta "villa rustica".

L’osservazione dell’aspetto cromatico e tessiturale del materiale consente di riconoscere quattro categorie fondamentali:

- marmi saccaroidi bianchi

- marmi bardigli

- marmi "colorati"

- calcari di provenienza locale (Prealpi venete e Carso)

Alla prima categoria appartiene un numero limitato di reperti.

Più abbondanti, invece, sono i bardigli (4) che comprendono il 50% del totale. Si tratta, in genere, di bardigli "fantastici" caratterizzati da "bande" contorte e ripiegate.

Fra i marmi "colorati" si comprendono i reperti che si presentano in tutto o in parte variamente colorati.

In genere si tratta di esemplari unici appartenenti alle seguenti categorie:

- breccia calcarea; nella fattispecie "marmor Chium" detto anche marmo africano per il suo colore scuro;

- porfido verde antico o "lapis Lacedaemonius";

- marmo cipollino a strisce curvilinee di colore verdognolo;

- fior di pesco a pasta saccaroide e sfondo chiaro con chiazze e venature rosse e violacee;

- paonazzo, marmo con fondo crema e macchie paonazze, a pasta saccaroide;

- breccia policroma.

I marmi di provenienza locale sono rappresentati da calcari più o meno compatti, non metamorfici e quindi facilmente distinguibili da quelli precedentemente elencati.

Si tratta sostanzialmente di alcuni tipi litologici provenienti dall’arco delle Prealpi venete e dal Carso. Sono rappresentati il rosso ammonitico del veronese, i calcari di Chiampo, la pietra di Aurisina (TS) e la pietra d’Istria. La presenza di questo tipo di "crustae" meno pregiate di quelle classiche greche, dimostra che esisteva un mercato parallelo di materiale meno pregiato e, forse, economicamente più accessibile.

In località Fienile Rovigata, a circa 1 km dal centro comunale, sono stati individuati numerosi elementi litici tutti caratterizzati dalle medesime dimensioni e dalla forma prismatica triangolare.

Un’ipotesi plausibile ed al tempo stesso allettante anche se da verificare potrebbe inquadrare questa notevole massa di gradini, in pietra di Vicenza, in un contesto edilizio che rimanda al podio a gradini ovvero alla piattaforma rialzata o stilobate con funzione cultuale.

Nella stessa località è stato rinvenuto un grosso frammento di uno dei pochi elmenti architettonici dell’area centuriata. Si tratta di un elemento di trabeazione di calcare bianco compatto, nella fattispecie di un frammento di architrave ovvero di fregio, parzialmente rimodellato nella forma di prisma ottagonale per adattarlo ad altra utilizzazione.

Una categoria bene rappresentata nell’ambito villadosano è quella degli oggetti litici di impiego quotidiano, utensìli d’uso domestico, suppellettili, oggettini a carattere lusorio e suntuario. Quasi sempre prodotti artigianalmente in prossimità delle cave di estrazione venivano, in seguito, distribuiti commercialmente nei vari ambiti territoriali (5).

Fra questi si possono elencare le macine a mano per cereali, macinelli per sale e spezie, pietre coti, pestelli, bacili ed olle per la conservazione, lavorazione e cottura delle vivande, e poi tessere lusorie e "cuticolae".

Non mancano infine, elementi di produzione standardizzata d’uso particolare ispirati a tipi e modelli prestabiliti. Si tratta di cippi di vario tipo, di stele, urne, contrappesi, vere da pozzo, meridiane, ecc.

Le macine a mano in trachite sono numerose anche se frammentarie. Dalla loro analisi si può desumere che il modello - tipo è composto da due elementi del diametro di circa 35 cm. Quello inferiore fisso, è troncoconico; quello superiore destinato a ruotare sul proprio asse, risulta alto mediamente 12 cm al bordo esterno e presenta due concavità coniche coassiali, una per ogni faccia. Il peso complessivo di una macina si aggira sui 40-45 kg.

Esiste pure un esempio di macinello a mano in trachite scura (latite) a forma di ellissoide leggermente appiattito con i tre assi che misurano all’incirca cm 8x7x5.

Un secondo esemplare, invece, è di porfido e misura cm 7,5 x 6x6. Si tratta probabilmente di un ciotolo fluviale scelto per la sua forma e divenuto facilmente un utensile.

Vi è poi un pestello dalla forma ricercata, adatto ad un uso rituale nell’antica farmacopea. Si tratta di un piccolo oggetto tronco conico con la base arrotondata, lungo circa 6 cm e dotato, in sommità, di una piccola appendice ricurva e lavorata. E’ ricavato in marmo bianco a pasta saccaroide (foto a pag. 86).

Le pietre coti per affilare coltelli, falci ed altri oggetti metallici da taglio di uso quotidiano sono sempre stati strumenti indispensabili ed insostituibili nella vita di una popolazione agricola e non potevano mancare pertanto nell’area centuriata. Di fatto, nei vari siti archeologici esplorati finora, ne sono state raccolte sette, tutte frammentarie, quattro delle quali sono esposte presso la mostra permanente.

Il fatto che siano state rinvenute proprio all’interno del perimetro di delimitazione dei siti ed inoltre che siano tutte ugualmente caratterizzate, induce a ritenerle afferenti, con quasi assoluta certezza, al periodo romano.

Dal punto di vista mineralogico le coti rinvenute possono essere catalogate in due categorie distinte :

- quelle costituite da arenarie calcaree o calcari arenacei a seconda che prevalga il contenuto dei grani silicei oppure la matrice carbonatica, le quali sono idonee ad affilare attrezzi agricoli più grossolani come ad esempio le falci (6);

- quelle costituite da selce a composizione microcristallina omogenea e quindi prive di un contenuto granulare, idonee ad affilare attrezzi più raffinati come i coltelli, poichè non lasciano strie di abrasione visibili ad occhio nudo.

Frammenti di recipienti da cucina utilizzati per la cottura dei cibi, ancora anneriti dalla fuliggine, sono stati rinvenuti in circa il 4% dei siti esplorati. Si tratta di pentole in pietra ollare (7) che risultano particolarmente abbondanti nei siti A1 in località Ca’ Venezze e A50 in località Chiaroni. In quest’ultima sono stati rinvenuti anche molti frammenti di recipienti di varie forme e dimensioni.

Altri tipi di recipienti di pietra erano utilizzati dai coloni. Esistono, infatti, numerosi frammenti di vasi dalle pareti spesse anche 4-5 cm provenienti da altri siti. Può trattarsi di mortai o vasi usati per conservare i cibi lavorati. Appartengono a categorie di materiali litici molto differenziate: si passa dal calcare organogeno (8) a veri e propri marmi metamorfici di qualità finissima per aspetto e tessitura.

Più rari ma non per questo meno rilevanti in un contesto tanto articolato di materiali litici, sono gli oggettini più minuti. più semplici , talora più preziosi.

Sono le tessere lusorie, i dadi e le pedine bianche e nere a base piatta e dorso emisferico, le cuticole di ardesia utilizzate per preparare i belletti femminili, le gemme. Anche la glittica, cioè l’arte di incidere gemme e pietre dure è rappresentata, infatti, nell’area di Villadose.

Per ora è disponibile un unico esemplare di gemma, una pietra dura opalina incisa ad incavo a rappresentare una rana stilizzata (foto a pag. 78) secondo uno schema caratterizzato da una essenzialità ricercata, quasi manieristica. Un simbolo d’acqua espresso su un sigillo di pietra bianca opalina, una "pietra d’acqua", a sottendere una valenza magica: un amuleto quindi che preserva dalle malattie dell’apparato urinario. Una seconda gemma trovata ancora incastonata in un anello di bronzo risulta però realizzata in pasta di vetro policroma.

Per quanto riguarda la produzione statuaria e monumentale in genere, la ricerca di superficie non ha dato fin’ora esito soddisfaciente. Non si conoscono esempi di altari, di sarcofagi o di altri monumenti funerari come cippi o stele da rapportare con quelli delle aree limitrofe con l'eccezione di un frammento di piccola statua in calcare cristallino. Esso rappresenta la mano che sorregge uno scudo ovale decorato da un umbone a testa di medusa (foto a pag. 315).

Gli unici reperti di una certa mole rinvenuti sono prodotti di lavorazione corsiva, standardizzata, effettuata in parte presso le cave di estrazione ed in parte in officine situate presumibilmente ad Adria in quanto porto di arrivo del materiale (9).

Si tratta di piccole stele e di cippi anepigrafi, di urne cinerarie di vario genere, frutto di un modestissimo artigianato, ma anche di contrappesi di grosse dimensioni destinati all’utilizzazione nello svolgimento delle attività commerciali all’ingrosso; ed inoltre di altre forme tecnicamente specializzate di realizzazioni lapidee come ad esempio gli orologi solari.

L’unica stele epigrafica proviene dalla località Ronco; è un parallelepipedo di trachite che misura cm 36x18x78,5 h, destinato all’infissione al suolo e che porta incisa la seguente iscrizione "ITER AQ[UARUM] HOC PRECAR[IO] DAT[UM] [EST] AB RUFO CILONI" . Il manufatto lavorato piuttosto rozzamente è conservato presso il Museo Civico di Rovigo.

Una seconda stele trachitica proviene dalla località Ca’ Tron, misura cm 23x11x77h, pesa circa 50 kg.; le faccie sono anepigrafi ma sulla principale è ben tracciata una misteriosa linea orizzontale che la attraversa per quasi tutta la larghezza.

Due lastre sepolcrali epigrafiche rinvenute nel 1823 nell’area centuriata, località Penelazzo, sono conservate presso il museo archeologico di Venezia. Entrambe sono databili al I sec. d.C.

Una delle iscrizioni riporta la dedica del liberto A[ULUS] VETTIUS VENETUS alla madre VETTIA. L’altra ricorda alcuni personaggi VOLUMNIA, VENUSTA, THEBANUS, e VOLUMNIA CASIA che erige, ancora vivente, il sepolcro per sè ed i suoi cari. (10)

i cippi sono certamente più numerosi e sebbene rigorosamnete anepigrafi rivestono un certo interesse. Tutti, infatti, provengono da località poste in prossimità di incroci dei "limites" principali della centuriazione.

Difformi nella sostanza, presentano una significativa uniformità morfologica espressa dalla comune matrice cilindrica. questo insieme di circostanze è sufficiente a presentarli come tanti cippi gromatici, dal carattere arcaico o arcaicizzante ma comunque discorde da quello del celebre cippo prismatico dell’abbastanza prossimo San Pietro Viminario.

Un primo cippo trachitico proviene dalla località Casonetto, misura diam. cm 55 x 38 h e pesa circa 250 kg.

Un secondo proviene da Livello, misura diam. cm 54 x 54h e pesa 330 kg circa. Un terzo cippo proviene pure da località Livello misura diam. cm 44 x 68 h e pesa 280 kg circa. la base superiore di quest’ultimo presenta un incavo centrale di cm 13x7x3h.

Un quarto cippo in calcare tenero proviene da località Casonetto, misura diam. cm 57 x 37 h e pesa circa 220 kg. Un quinto, il maggiore, proviene da località Ca’ Motte; ricavato in calcare nummulitico del vicentino (11), misura diam cm 65 x 49 h e pesa circa 340 kg.

Sufficientemente rappresentate sono le urne cinerarie. Manufatti estremamente rozzi, concepiti, realizzati ed utilizzati dunque in un contesto sociale dalle modeste possibilità. Gli elementi che presentano uno stato di conservazione e una integrità soddisfacienti sono poco numerosi e sono prive del coperchio .

Una prima urna cineraria dotata di due concavità abbinate, proviene dalla località Livello. Ricavata da un blocco di trachite è priva di una parte corrispondente a circa la metà di uno dei due alloggiamenti. le dimensioni originarie dovevano essere le seguenti: cm 60x33x36h.

Gli alloggiamenti, in forma tronco conica a fondo emisferico, misurano diam. max. cm 26 x 14,5h.

Una seconda urna ad un solo alloggiamento per le ceneri, proveniente da Taglietto e ricavata in trachite misura cm 50x40x23h. La cavità è tronco conica a fondo emisferico e misura diam. max cm 26 x15h. Una terza urna in trachite a due alloggiamenti è rinvenuta in località Lama. Una quarta ad un solo alloggiamento e di dimensioni nettamente superiori si trova presso un rustico in località Taglietto.

Un frammento di manufatto circolare in calcare organogeno del diam. di cm 15 rappresenta quasi certamente un coperchio di urna cineraria. Spesso i coperchi costituivano un vero e proprio piccolo monumento; il frammento in questione sembra adombrare questa possibilità poichè è riconoscibile sul piedestallo l’innesto della base di un rilievo a tutto tondo.

Fra i molti contrappesi ritrovati (foto a pag. 103) ve ne sono alcuni in pietra che costituiscono la gamma superiore della scala ponderale e proprio per questo dovevano essere usati nelle transazioni di grosse quantità di merci.

I tre maggiori, pure con diversa massa presentano l’identica forma di conoide tronco a sezione elissoidale. Ricavati in calcare di Vicenza erano dotati originariamente di un manubrio metallico che ne facilitava l’utilizzazione. Le loro dimensioni, misurate agli assi, sono rispettivamente cm 27x22, cm 23x17, cm 12x9. Un quarto, più piccolo e cilindrico, in calcare compatto, misura diam cm 9x6h.

Merita infine segnalazione il ritrovamento di un orologio solare a superficie sferica, frammentario in pietra calcarea organogena (foto a pag. 87). Presenta forma quadrangolare e misura cm 15x12x11. Su un lato presenta scavata una porzione di sfera con delle linee che partono da un centro comune. Si tratta di un modello da inserire in una tipologia, evolutasi nella civiltà ellenistica e diffusasi poi in quella romana e araba, cosiddetta ad ore "ineguali" o "antiche". Infatti si basa sul principio di dividere il giorno in 12 parti uguali in base al sorgere ed al tramontare del sole. La durata delle ore variava con le stagioni, più brevi d’inverno e più lunghe d’estate. Questa meridiana rinvenuta a Mardimago in località Bernardetta (A39) appartiene secondo la classificazione di Vitruvio (De Atchitectura) al tipo ad "hemicyclium": si tratta di un quarto di sfera scavata in un blocco di pietra a forma di cubo e tagliata a rientrare nella parte inferiore per facilitare la lettura dell’ora.

Lo gnomone non pervenuto era disposto orizzontalmente ove convergono le linee orarie e sfruttava un settore semisferico concavo. Le linee orarie del mattino e del tramonto collocate ai bordi dell’emicyclium sono orizzontali e passanti per il piede dello stilo; l’oraria del mezzodì è verticale. Il reperto rinvenuto rappresenta la sezione mattutina della meridiana; sono ben marcate 5 linee orarie mentre è soltanto intravedibile la sesta del mezzogiorno (ora sexta).

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