Musica rock by Francesco Furfaro

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ETIMOLOGIA DEL TERMINE "PROGRESSIVO"

Fuga indietro nel tempo onde offrire un'accurata analisi sul fenomeno del Rock Progressivo Inglese

Solitamente, quando si manifesta una inedita espressione artistica dalla difficile collocazione od etichettatura, la critica di turno si trova quasi sempre
in una condizione di disagio psichico, attraverso il quale viene pienamente
giustificato il grande "senso di novita'" che permea nel nascituro filone
prima di allora mai udito, e quindi del tutto inedito e rivoluzionario.
Risalire ad una corretta etimologia del termine "progressivo" comporterebbe
un giudizio analitico ben piu' profondo ed accurato di quanto si possa credere.
Nondimeno, chi dovra' affrontare questo delicato (ma necessario) processo
non avra' certamente vita facile, anzi!: il tempo non e' mai, in casi come
questi, dalla parte di chi giudica; casomai esso gioca a netto favore del
musicista fautore di rivoluzione ed innovazione stilistico-musicale, simbolo
di un'epoca in continuo fermento capace di correre (e di evolversi) alla
velocita' della luce.
"PROGRESSIVE" sta per "progresso", qui inteso nell'accezione piu'
ampia del termine; spesso e volentieri si e' abusato di questa etichetta,
volta a definire una decisiva evoluzione in campo artistico, per quel
che concerneva un'allora (siamo intorno al 1966, quando l'atmosfera
intorno a pubblico e musicisti comincia a "surriscaldarsi"...) movimento
pop-rockistico in procinto di legittimare il suo status di "Arte".
Un passo decisivo si rivelo' essere SGT. PEPPER, l'arcinoto "concept"
dei Beatles: in molti sostengono sia questa la data di nascita di musica
rock intesa come "fenomeno artistico" passato dall'eta' "adolescenziale"
e disincantata ad una piu' autoritaria ed espressiva, capace di muoversi
tramite concetti ed ideologie proprie, un'arte musicale del tutto o quasi
indifferente alle mode passeggere che erano solite succedersi tra gio-
vani e meno giovani di quell'epoca, atte ad influenzare, piu' negativamente
che positivamente, menti ancora acerbe e bisognose di nuovi "inputs",
per cui fin troppo facilmente influenzabili ed assogettabili.
Il cosiddetto "ROCK PROGRESSIVO" ha origine e sviluppo nella fervente
Gran Bretagna degli Swingin' Sixties, nel momento di dominio assoluto
da parte dei Beatles e Rolling Stones. E' francamente impossibile stabilire
una data certa relativa all'inizio di questa cruciale escalation creativa,
sebbene a grandi linee si possa proporre il 1966 quale anno di svolta.
I Fab-Four, con REVOLVER, diedero coscienza a tutto il mondo degli
straordinari prodigi di cui si era capaci utilizzando a fondo ogni trucco
da studio di registrazione (come d'altronde dimostreranno a 360° con
il celeberrimo SGT. PEPPER, appena un anno dopo); con loro le tecniche
di ricerca del suono e di nuove dimensioni musicali divennero sinonimo
di strabiliante crescita artistica, e venne data ampia dimostrazione di
come non vi fossero effettive, prestabilite barriere che si potessero
infrangere contro le piu' ardite velleita' di un musicista eccitato dall'i-
dea di poter sconvolgere tutti e tutto, desideroso come mai prima d'ora
di affrontare nuovi percorsi onde trascinare la musica rock la' dove
non era mai stata capace di giungere. I Beatles furono la sintesi di questo
"nuovo concetto", e la loro musica ne beneficio', raggiungendo inaudite
vette di versatilita' artistica, mostrando a piu' riprese un'obliquita'
compositiva senza eguali, erigendo il semplice rock'n'roll a forma d'ar-
te come in precedenza non era stato minimamente considerato.
Non sto affermando che i Beatles furono i moderni avventori del futuro
Rock Progressivo, ma, in un certo senso, sebbene a modo loro, furono
"iniziatori" di una allora ancora sconosciuta (ma evoluta) ideologia-musi-
cale-creativa.
Per diversi anni il termine "progressive" e' stato fatto cadere su
gruppi che non avevano quasi nulla da spartire con questa nuova
corrente musicale: ad es., l'ultra-celeberrima, stra-osannata
A WHITER SHADE OF PALE dei Procol Harum, si poteva etichettare
come "timido tentativo di pop-sinfonico", ma di "progressive" non
vi era alcunche'; stesso discorso per A NIGHT IN WHITE SATIN
(ripresa in italiano dai NOMADI con il titolo HO DIFESO IL MIO
AMORE) dei MOODY BLUES: solo perche' un brano (peraltro
pregevole) possedeva una struttura piu' complessa del solito non
dovrebbe definirsi affatto "progressiva". Ma altre furono le malin-
terpretazioni ai danni del termine "progressive"; belle canzoni, ma-
gari con arrangiamenti orchestrali sulla scia di SGT. PEPPER, ma pur
sempre di canzoni si trattava, e niente piu', francamente.
Per "PROGRESSIVE ROCK" s'intende tutt'altro: ora siamo nel
1968 e dintorni, quando si affacciano sulla scena complessi
dall'elevata abilita' strumentistica: i JETHRO TULL di Ian
Anderson, primo musicista in assoluto ad introdurre il flauto
in qualita' di strumento solista nel contesto di un gruppo rock;
i gia' menzionati MOODY BLUES, autori del sublime ed ambi-
zioso DAYS OF FUTURE PASSED; i FAMILY di Roger Chap-
man; gli eclettici TRAFFIC di Steve Winwood, Jim Capaldi
e Dave Mason, autori di una polifunzionale commistione divisa
tra rock, pop, folk, accenni jazz e soul, uno dei primi "combi"
ad offrire una 'si' vasta varieta' stilistica, autentici alfieri
favoritori di un'evoluzione musicale in costante, irresistibile
ascesa (nonche' geniali strumentisti senza pregiudizi o
rigide congetture armonico-creative alla quali dover sotto-
stare); i VAN DER GRAAF GENERATOR, guidati dall'enigmatico,
contorto, irto di nevrosi e paranoie Peter Hammill (di non
secondaria importanza l'introduzione di un inusuale, per
i tempi, strumento come il sassofono, un'innovazione assoluta
in campo-rock, e questo per merito di un geniale musicista
quale Dave Jackson); gli EMERSON, LAKE AND PALMER
(evoluzione dei precedenti, ed assai piu' eccitanti e originali,
NICE), capostipiti di uno scontato, a volte fin troppo irritante,
pop-rock-classico-sinfonico, che nella piu' parte dei casi
si mostrava essere fine a se stesso nonche' patetico
pretesto onde mettere in risalto le virtu' solistiche del
pirotecnico, virtuosisissimo KEITH EMERSON (in definitiva
uno dei musicisti e compositori piu' sopravvalutati e sovra-
estimati degli anni '70...e non solo...); infine vorrei citare i
KING CRIMSON di Robert Fripp, il "Mr. Progressive" per
antonomasia, autore del primo vero capolavoro-manifesto del
rock progressivo, IN THE COURT OF THE CRIMSON KING, edito nel
Novembre del 1969. In seguito si portarono alla ribalta altri
giganti del futuro movimento progressista quali YES, GENESIS,
GENTLE GIANT, CAMEL, i misconosciuti AMAZING BLONDEL
(un complesso dotato di estrema inventiva, propositore di un
sound folk-celtico-medioevale di rara bellezza, suonato con
strumenti d'epoca, fautori di un particolare, avvolgente misticismo),
gli straordinari, ultra-cerebrali SOFT-MACHINE di Robert
Wyatt ed altri ancora (il mosaico e' davvero infinito...).
Numerose ed assai articolate erano le intelaiature per mezzo
delle quali si dispiegava il Rock Progressivo di allora: YES
e GENESIS vertevano principalmente su di un pop-sinfonico
spesso dilatato oltre i limiti consentiti (talvolta, come nel
caso degli YES, tali "dilatazioni" avevano puri connotati
autocelebrativi...); i KING CRIMSON di Robert Fripp
costituivano invece un ricco, complesso laboratorio all'in-
terno del quale i musicisti chiamati in causa apparivano
piu' essere entita' astratte e funzionali ai progetti del loro
dispotico padrone, per certo la vera anima di una musica
sempre in crescita e creatrice di generi e sotto-generi
musicali; in contesti come questi la forma-canzone in
pratica non esiste piu', essa si evolve, viene decomposta
e poi ricomposta, ed il risultato sono incantevoli (a volte
assai pretenziose) suites le quali fungono da vetrina
per musicisti dotati di spropositati ego e sempre in lotta
creativa fra di loro; i VAN DER GRAAF GENERATOR
si puo' dire fossero "figli" del concetto-"frippiano",
ma devoti ad una loro personalissima autonomia,
la quale si rifletteva egregiamente nella figura
del loro leader naturale, il possente,
evocativo, trascendentale, problematico Peter Hammill,
sicuramente la voce piu' bella dell'intenso panorama
progressive; un vocalist in grado di grattare gli specchi
come di evocare e dipingere momenti di assoluta liricita',
spesso "piangendo" tramite le parole dei suoi obliqui,
contorti testi.
I JETHRO TULL erano specchio ed immagine del loro
leader, il funambolico IAN ANDERSON,
il piu' grande ed autorevole flautista rock di tutti i
tempi, nonche' sommo punto di riferimento per molti
appassionati di musica pop a cavallo tra gli anni '60
e '70. La miscela musicale dei Jethro Tull, intendo
dire, in particolare, quella dei primi 5 album, ancor
antecedente una paurosa sbandata verso un pop piu'
convenzionale, fiacco e scontato, era improntato su
fascinose atmosfere in bilico tra folk di stampo medio-
valeggiante e sferzate rockistiche pre-hard-rock,
"condite" dal superbo eclettismo di un flauto a tratti
fortemente sospeso ed onirico, mentre in altri contesti
fiabesco e complementato dalla voce "menestrellina" di un
sempre ispirato Anderson.
I gia' citati TRAFFIC furono forse i primi a coniare
il termine di "crossover", mescolando sapientemente
(e con impareggiabile gusto e pathos) i piu' diversifi-
cati generi allora in voga: pop, rock, folk, soul,
jazz, senza dimenticare pero' l'importanza di una
melodia efficace e avvincente.
Riepilogando, risulta assai improbabile dare una
definizione secca e decisa del termine progressive;
esso era la complessa articolazione e manifestazione
dei generi di cui ho dibattuto soprastantemente.
O forse... si trattava di qualcosa di molto piu' semplice...
A voi ogni piu' etero-laterale commento (od analisi)
al riguardo...!!
Io ho solamente cercato di fare del mio meglio.
E penso di esserci riuscito.
Parola, versi di una mente.... "progressista"....INDEED!!!

....certainly your very own 21st Century Schizoid Man......
lost in his eternal own Space.....................

 

ALAN "J-K-68" TASSELLI

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"THE DARK SIDE OF THE MOON"

Considerazioni dal Lato Oscuro della Luna

Certo, aggiungere qualcosa di nuovo ed inedito su di un complesso fin troppo
celebrato e osannato, nonche' divenuto una ferma icona del nostro tempo
non deve risultare al sottoscritto assai facile.
Il qui presente (e mai assente) Alan "J-K-68" Tasselli non puo' definirsi
certamente come il piu' autorevole critico quando come oggetto vi e' il
leggendario gruppo fondato quasi quaranta anni fa dal mai dimenticato
Roger "SYD" Barrett; nondimeno non posso considerarmi come
uno dei piu' acerrimi sostenitori o "celebranti" dei Floyd. Le mie saranno
solo contenute, salde e obiettive considerazioni su di un fenomeno musi-
cale che ancora oggi fa discutere, sebbene, odiernamente parlando, solo
per colossali vendite commerciali, e non per meriti puramente artistici.
Fatta questa premessa, direi che sarebbe venuta l'ora di imbattersi
nel loro capolavoro piu' criticato, celebrato, mitizzato e stroncato allo
stesso tempo: THE DARK SIDE OF THE MOON.
E' assai ben risaputo che i Pink Floyd hanno prodotto albums persino
migliori di DARK SIDE, almeno per cio' che concerne la musica da un
lato strettamente compositivo e melodico. L'argomento-principe su
cui ogni critica-rock che si rispetti, quando si ha come "vittima" il
combo "diretto" da Roger Waters, dovrebbe "erigere" il suo "epicen-
tro" e' la disputa su quale sia stata in realta' la missione musicale
intrapresa e (e poi egregiamente portata a termine) dai PINK FLOYD:
verranno ricordati ed apprezzati piu' per le straordinarie innovazioni
ed evoluzioni apportate al suono, tanto da meritarsi il titolo di "produt-
tori di cibo per le menti", od anche (e probabilmente) per aver saputo
coniugare suono, hype, possenti walls-of-sound saturi di colori e distorsioni
neo-psichedeliche con superbe melodie, oggi considerate archetipi-
rock a cui moltissimi artisti moderni possano fare continuo ed infi-
nito riferimento?...
Il tono di questo imbarazzante quesito e' volutamente provocatorio
(si badi bene: non ha valenza o alcuna intenzione gratuita!...) e non
andro'eccessivamente a ritroso onde dover giustificare i miei dubbi
e le mie incertezze sulla validita' o meno di un contesto musicale
fin troppo studiato e ripescato. E THE DARK SIDE OF THE MOON,
insuperato marchio sonico-musicale dei Floyd, costituira' il valido
pretesto per la mia compiuta analisi.
DARK SIDE si pone, nel contesto della musica popolare del XX°
Secolo, come un ricco laboratorio madre di esperimenti post-
lisergici ed abbraccianti il piu' ardito e spregiudicato art-rock
della prima meta' degli anni '70. Padrone incontrastato di questa
"rivoluzione del suono" e' Roger Waters, che, in qualita' di alchi-
mista floydiano, rileva gia' dal 1968 i Pink Floyd (appena liberatisi
dal peso ingombrante, eccessivo, deleteriamente anarco-schizzoide
di Barrett) auto-erigendosi a folle, incontrollabile setacciatore di
nuove sonorita' che renderanno il "floyd-sound" universale e istan-
taneamente riconoscibile in ogni parte del globo.
Waters, Gilmour, Mason e Wright, orfani del genio anarchico
e stralunatissimo di Syd Barrett, proseguono il cammino, dando
avvio ad un percorso (a partire dal celebre doppio (meta' live
meta' in studio) UMMAGUMMA) capace di toccare vette di sublime,
spesso piacevolmente criptata cerebralita', dando in pasto ad un an-
cora acerbo pubblico le loro ricerche e inusuali connubi di rumori
vivisezionati dall'"ingordo" Waters e sapientemente tradotti in
"intelligenti", accattivanti squarci di quotidianita', una quotidianita'
in apparente quanto bizzarro contrasto con la complessita', spesso
ingovernabile e astrusa, di una mente come quella di Waters, deva-
stata da paranoie e macabre visioni, in eterno oscillazione tra sogno
e realta', schizophrenia e solenni momenti di lucidita'.
THE DARK SIDE OF THE MOON viene edito il 24 Marzo 1973
e verra' considerato dalla critica come l'insuperato capolavoro
musicale dei Pink Floyd. Cio e' vero, ma solo in parte: il fatto che
in esso vengano riuniti, impareggiabilmente, tutte le contraddi-
zioni ideologiche e simboliche di Waters non giustifica appieno
tale titolo. Volendo staccare i piedi dalla Luna e riposandoli sulla
Terra, ci si accorgera' della "non-perfezione" di cui tutto l'LP
e' pervaso: inutile stendere elogi e contro-elogi sull'elaboratissimo,
maniacale sistema audio-fonico impresso sui solchi del disco,
che ne costituisce l'autentica perla ed epicentro musicale-ideologico
di tutta l'operazione. Ma, se intendessimo separare l'ingombrante
(alle orecchie di qualcuno persino eccessivo, destabilizzante...!)
hype (ovvero la fitta cortina mistificatrice costruita attorno a
sequenze rumoristiche dominate da orologi, macchine in movimento, echi di
chitarre eteree e sognanti, simulazioni di battiti di casse stracolme
di monetine, oggetti volanti non propriamente identificati (e che non
vorremmo identificare...)) da cio' che invece dovrebbe essere l'isti-
gatrice causa dell'acquisto del disco, ovvero, LA MUSICA, ci si accor-
gerebbe, con una sospirata ma piu' che giustificata amarezza, che
THE DARK SIDE OF THE MOON si tratto' di una impeccabile produ-
zione onde tradurre in maniera sfacciatamente edonistica le virtu' nar-
cisistiche di un gruppo forse dedito, intento piu' a conquistare nuove
vette soniche e intrise di spiazzante (spesso molto simile all'auto-compiaci-
mento) cerebralita', piuttosto che essere fermamente convinti di aver
scritto una melodia memorabile o perlomeno al di sopra della media.
Questo si rivela essere tutto ed il contrario di tutto di THE
DARK SIDE OF THE MOON, volenti o nolenti: un superbo, inarrivabile
rivoluzionario prodotto, se lo intenderemo da un punto di vista stretta-
mente cerebral-onirico, sonico/concettuale; discretamente mediocre
se lo riducessimo allo "scheletro" (annientando, cioe', il corpo sonoro
dell'intero LP), portando alla ribalta le non del tutto riuscite tracce,
a cominciare dall'insipida MONEY, per poi passare attraverso i trucchi
(talvolta ruffiani, talvolta "stregoni" delle nostre menti, in perenne cerca
di .... "cibo"...) di SPEAK TO ME e ON THE RUN, perfette comunque nel rendere
lo stato di ansia del nostro protagonista, riuscendo a fondere, tra rumori e so-
luzioni sonore d'avanguardia, momenti di alto contenuto sonico-spaziale,
ponendo le coordinate su cui si poggia il pensiero pessimista da parte di un
Waters alquanto disorientato, autentico ambasciatore del tema
dell'incomunicabilita', di cui THE DARK SIDE risulta un compiuto,
drammatico spaccato. Non mancano per la verita' momenti di intenso,
assoluto lirismo, come dimostrano TIME, trascinante nella sua
felicissima fusione tra testo e musica, un passo in avanti per un
non ancora del tutto sviluppato concetto filosofico all'interno
dei parametri-rock, superba prova di lucidita' mentale ed intellet-
tiva da parte dei quattro componenti; il brano si avvale anche di
un debordante, spiazzante assolo di Gilmour alla chitarra: si ha
la sensazione esso voglia accompagnare il viaggio attraverso il
tempo di un coraggioso, anarchico esploratore, in continuo stato
di ansiosa curiosita', di inavvertibile senso spazial-onirico. In
definitiva: il trionfo della suggestione ed uno degli squarci piu'
intensi di tutta la discografia floydiana.
La prima parte del disco si completa con una elegia, presumo io,
alla pazzia, ma anche, allo stesso tempo, alla liberta' dell'uomo,
spesso egli schiavo di preconcetti e insubordinazioni da parte
di una Societa' che tende a renderlo sempre piu' schiavo di
essa: THE GREAT GIG IN THE SKY, dominata da vocalizzi
femminili di derivazione soul-gospel, in grado di fondere fiamman-
te liricita' e drammaturgia quasi cinematografica. In questo coinvol-
gente, straziante frammento della sua vita l'uomo sembra librarsi
verso il cielo, il "suo" cielo, onde aprirsi un varco, grazie al quale po-
tra' regnare indisturbato e solenne, lontano dai rumori e ingiustizie
della realta' terrena.
US AND THEM vorrebbe rievocare BREATHE IN THE AIR ma
la melodia, sebbene pink-floydiana al 100%, risulterebbe convincente
solo se nel contesto dell'album, non certamente estraibile da esso
per poi essere proposto come tema isolato. Ma questo discorso
vale un po' per tutto THE DARK SIDE OF THE MOON: cio' che
rende (e per sempre, rendera') immortale quest'opera e' il suo
inconsueto approccio con l'art-system dell'epoca, qui fotografata
in tutte le sue direzioni possibili; per il Rock si tratto' di un
prodigioso balzo verso un'era futuristica prossima a venire,
mentre per quel che concerneva il song-writing i Pink Floyd avreb-
bero certamente (indubbiamente) scritto pagine di ben piu' elevata
caratura artistica. Per THE DARK SIDE vale lo stesso parametro
adottato per SGT. PEPPER dei Beatles: SGT. PEPPER non si potra'
mai considerare come il capitolo piu' felice, musicalmente parlando,
dei Beatles (sebbene uno dei piu' riusciti): esso comporto' una
rivoluzione, la piu' significativa e rilevante della storia della musica
pop, sebbene questo non puo' giustificare appieno alcune "debolezze"
compositive insite nel capolavoro di Lennon e Soci. Ebbene, lo stesso
dicasi per THE DARK SIDE OF THE MOON: come per SGT. PEPPER, esso
costitui', per i PINK FLOYD, la definitiva acquisizione di status
di "semidei del Rock", ma questo grazie, come gia' ripetuto in
piu' di una circostanza, piu' al magniloquente manto sonoro e poli-
cromatico, piuttosto che alla qualita' delle loro canzoni presenti
nell'album. E nessuno potra' negare l'importanza avuta nel contesto
storico degli anni '70 (un periodo fortemente contraddistinto
dalle incessanti, maniacali ricerche di nuove avanguardistiche
tecniche all'interno degli studi di registrazione) del LATO
OSCURO DELLA LUNA, sinonimo ora piu' che mai accertato di
"recording" superiore al "song-writing".
In fondo, ROCK = HYPE, non vi pare?..........
(andate a ripassarvi, in proposito, il buon vecchio Sergente Pepe...
con tanto di solco concentrico finale......)

Concentricamente vi saluto.

Alla mia prossima...... OSCURA (ma non troppo) PARTE DI LUNA.......

Alan "J-K-68" Tasselli

 

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ANARCHIA NEL REGNO UNITO

 

Il "Ground Zero" dell'Istituzione-Rock

Con l'avvento, perentorio quanto
terrificante ed iconoclasta, del
fenomeno PUNK, la musica rock
avrebbe subito il piu' grande
tracollo psichico-qualitativo/
ideologico di tutta la sua intensa
vicenda.
L'anno di TOTALE abbattimento dell'i-
stituzione rockistica e' il 1976,
ovvero all'indomani della pubblicazione
del singolo/manifesto per antonomasia
del nuovo dissacrante "verbo musicale":
ANARCHY IN THE UK, indovinate di chi?...
MA DEI SEX PISTOLS, of course!!
Per la prima volta si affermava un
genere, una trasposizione musicale
che ben poco (quasi nulla) aveva a
che vedere con i canoni piu' classici
del rock'n'roll; il PUNK era essenzial-
mente una forma grettamente anti-musica-
le, suonata da autentici incapaci,
una moderna (allora) "voce scomoda"
e fuori dal coro ma del tutto stonata,
ossessiva, fastidiosamente monolitica,
depravata e infinitamente volgare: in definitiva tale connubio di devastante carica oltraggiosa e spropositata veemenza anarco-sociale avrebbe comportato al morente (piu' mai) establishment-rock il titolo di "anno zero", meglio!, "GROUND ZERO" della musica popolare giovanile del XX° Secolo. Mai si era
assistito ad un degrado qualitativo
cosi' ampio e distruttivo, un'inaudita,
violentissima soppressione di tutte le
certezze che il "vecchio" Rock, inteso come Arte nella piu' totale accezione del termine solo fino a qualche mese prima, aveva riunito in se; esso, con
il funestante avvento del PUNK, si vide
inesorabilmente travolto, irrimediabilmente corrotto, seviziato, stuprato da un nugolo infinito di anarcoidi repressi, disoccupati e senza un futuro ben delineato ("NO FUTURE" era lo slogan per eccellenza del movimento punker e questo titolo emblematico e' di gran lunga la miglior sintesi possibile per un eventuale commento/analisi sul nuovo Fenomeno sociologico-musicale che colpi' l'industria del pop nei tardi anni '70).
Ad esser del tutto sinceri la prodigiosa
evoluzione che vide protagonista il
rock'n'roll a partire dal 1966 fino
a meta' anni '70 stava affievolendosi
in maniera alquanto drammatica, dando
segnali di decadimento creativo nonche'
di una forte, preoccupante involuzione
riguardante pressoche' tutti i mostri
sacri del Rock, proprio coloro che
avevano contribuito ad elevare a "somma
arte" un'espressione fino a qualche
anno prima relativamente snobbata e
superficialmente giudicata come una
forma di divertimento ed eccitazione
collettiva e nulla piu'.
Gia' intorno al 1975 il Rock acquista
sempre piu' una veste stantia, ripeti-
tiva, disgustosamente pomposa, inutil-
mente magniloquente, estremamente noio-
sa; la fase di DEvoluzione era in pieno
processo, e l'auto-lesionismo (sia
mentale che strumentale) di molti dei
titani supremi comandanti della grande
nave rock sembrava minacciosamente in-
tento a non diminuire, anzi! Ma ci sa-
rebbe naturalmente stato un prezzo assai salato da pagare e tale "divina"
(o diabolica, a seconda dei vostri
gusti) punizione si sarebbe implacabilmente materializzata sotto la forma di uomini iper-esagitati, dediti alla violenza e contraddistinti (esteticamente parlando) da creste,
spilloni con tanto di vomito rigettato sul pubblico (e non solo in senso figurato...)....., audience fedele
ai concerti dei loro beniamini come
se si trattasse di riti sacrali volti
all'iniziazione verso un ipotetico
mondo migliore (ma qui gli ideali pa-
cifisti non c'entrano per nulla...).
Il PUNK si puo' definire come il fratel-
lo brutto, stolto ed handicappato della
Dea Rock, costei cosi' bella, altezzosa
ma anche indisponente, arrogante,
pretenziosa, fin troppo esigente. Ed
il fratellastro illegittimo, figlio
sporco di una cultura altrettanto sporca
le avrebbe tolto, senza tanti compli-
menti od "educate" richieste di permesso, l'apparentemente invalicabile trono; il Rock,
almeno inteso come allora, non sarebbe
stato piu' lo stesso, nel senso piu'
deleterio, psicologicamente violento
immaginabile del termine.
La chiave dell'esplosione-punk fu innan-
zitutto dovuta, oltre al gia' espresso
ed evidenziato inizio di riflusso delle
istituzioni musicali passate, ad una ricaduta sociale in cui incapparono, in stretto ordine cronologico, prima gli Stati Uniti (corrosi e disorientati
sia dallo scandalo WATERGATE che dalle
ingenti perdite di vite umane causate
dalla guerra Vietnam) ed in seguito il Regno Unito, colpito da una inaspettata crisi da occupazione
che aveva pochi precedenti; questi avvenimenti, nel loro caotico succedersi
senza tregua apparente, determinarono
la nascita e quindi il dilagare di
foltissime orde di giovani arrabbiati e desiderosi di far sentire una voce fino
a quel momento repressa invocante
un futuro senza speranza o privo di alcuna logica, razionale ambizione.
L'ondata di terribile musica che sia
addetti che non addetti dovettero subire
andava oltre ogni principio meramente
musicale: era musica suonata non con
l'anima ma piuttosto con una disperazione lacerante che traspariva
dall'abbigliamento di stampo inequivo-
cabilmente nichilista quanto nelle roz-
zissime soluzioni musicali adottate da
inesperti, musicisti (si fa per dire) assolutamente privi di talen-
to, aventi una fantasia creativa prati-
camente nulla, con idee pseudo-reazionarie alquanto frammentarie
ed in alcuni casi piuttosto ingiusti-
ficate. Il Punk non era affatto
sinonimo di rivoluzione, bensi' si
manifestava in quanto primordiale,
urgente ed irrinunciabile necessita';
se prima la musica Rock serviva da
tramite e sfogo onde poter guadagnare
palate di milioni, nella musica punk
l'unica, vera ed accertata prerogativa
era data da un' affannosa ricerca di
una identita' che sembrava essere stata
smarrita per sempre, come se ci si tro-
vasse di fronte ad un vicolo cieco,
senza via d'uscita; dinanzi a noi
solo marciume, disoccupazione, droga,
solitudine e tanto nichilismo in abbon-
danza, quasi concepito come una sorta di
religione alla quale dover sottostare
in segno della fede-punk alla quale obbedire e credere devotamente,
e per la quale magari morire, un giorno.
I punkers si preoccupano di sopravvivere
piu' che di vivere e sperare in rendite
migliori, giovani e meno giovani senza
arte ne' parte, mancanti di quella
genuina spinta propulsiva, tassello
peculiare della primitiva, ma fondamen-
tale rivolta musicale-sociologica-isti-
tuzionale operata dal rock'n'roll esat-
tamente venti anni prima.
La perfetta incarnazione di questa
infinita serie di contraddizioni furono
i SEX PISTOLS di Johhny Rotten e Syd
Vicious. Costoro costituirono il piu'
grande "bluff" ideologico-musicale
della Storia del Rock; questi quattro disperati ognuno dei quali assolutamente incapace di infilare a malapena tre note di fila, rappresenta-
vano, piu' che legittimamamente, la
quintessenza del roboante movimento
punk, ed al contempo la feccia di una
NON-GENERAZIONE senza inventiva o
spirito d'iniziativa, inizialmente
condannata a rifarsi sempre su se
stessa, evitando contaminazioni di
ogni genere e rifiutando, biecamente
e stoltamente, il passato, sia isti-
tuzionale che strettamente musicale.
Molti (quasi tutti) seguirono il per-
corso tracciato, durante la loro brevis-
sima esistenza, dalle indecenti, oltraggiosissime "PISTOLE", mentre
i musicisti piu' intelligenti e mental-
mente piu' evoluti, accorti ed elastici,
avrebbero usato il PUNK come veicolo
di promozione, per poi distaccarsene
gradualmente onde affrontare nuovi
percorsi. Il complesso che piu' di
ogni altro si mostro' essere la mosca
bianca in mezzo ad una moltitudine di
lercie, orribili moscacce nere si rive-
larono essere i CLASH. Essi col tempo
non solo avrebbero seguito con tenacia
e devozione un personale
percorso evolutivo, ma sarebbero stati
in grado di distinguersi dal resto della
paccottaglia-punkerina con uno stile
ricercato ed assai riconoscibile, con maniacale riguardo nei confronti delle agitate sommosse socio-politiche allora in voga nella Gran Bretagna governata dall'odiatissima, osteggiatissima Margaret Thatcher.
Proprio i Clash si dimostrarono essere
i piu' attivi "politicanti in musica",
combinando, con abilita' e tatto inter-
pretativo, il clima burrascoso e anarchico della Londra di fine anni '70, giungendo a capolavori quali SANDINISTA ed il successivo COMBAT ROCK, dischi che furono testi-
monianza della inarrestabile crescita compositiva di Joe Strummer e Soci (SANDINISTA, edito nel 1980, viene considerato unanimemente dai critici come il vertice assoluto, sia per tematiche enunciate che per le numerose contaminazioni musicali, dei Clash).
Sicuramente il sottoscritto avra' la-
sciato per strada (comunque ben volen-
tieri!) quell'insulsa nomea di complessi
e complessini producenti musichetta
con molta infamia e nessuna lode, dediti
al rumore puro, peccando gravemente
di ingenuita' nel voler credere che
abbracciando tre strumenti ed una voce
si crei qualcosa di musicale.
In fondo, i nomi "mitici" del punk
li conoscerete a memoria: RAMONES,
DAMNED, DEAD KENNEDYS, STIFF LITTLE
FINGERS, SHAM 69, perfino i primissimi
POLICE (che, certo, con il punk ben
poco avevano a che vedere...).
Il resto avrebbe portato un solo,
drammatico, rassegnato titolo:
IL GRANDE RIFLUSSO (chiedete a DURAN
DURAN e dintorni...)

BYE

ALAN "J-K-68" TASSELLI


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