|
di
Antonio Socci
Hanno
concordato una formula di generica condanna dello schiavismo
e cosi da ieri cala il sipario sulla conferenza del l'Onu
sul razzismo che si apri a Durban il 31 agosto scorso. A
farla fallire sono stati soprattutto i paesi arabi e
musulmani che pretendevano di farne un tribunale contro
l'Occidente e il sionismo. Eppure sullo schiavismo
ben altre cose sarebbero da dire.
"La memoria
storica"
ha scritto Jean
Francois Revel
"ha dimenticato il crimine dello schiavismo del mondo
arabo, i 20 milioni di neri che furono strappati ai loro
villaggi e trasportati a forza nel mondo
musulmano,
tra
il VII e il XX secolo. Si dimentica che,
in un paese islamico come la Mauritania,
nel 1981 la schiavitù era ancora legale. Formalmente
abolita nel 1982, in realtà - lì come altrove - continua
indisturbata".
Il caso vuole che proprio l'altro ieri dalla Repubblica
islamica di Mauritania giungesse questo lancio dell'agenzia
Misna: "Dichiarato fuori legge il partito degli
<<schiavi>>. Mamoudou Sy, direttore del settimanale mauritano
l'Eveil-Hebdo,
ha scritto: "La schiavitù continua a essere praticata
noti solo a causa di interessi economici di alcuni gruppi di
proprietari terrieri, ma anche per la difficoltà di
definire chiaramente la questione dal punto di vista
dell'Islam".
Pochi giorni fa un'altra notizia ignorata da tutti i
giornali: l'organizzazione umanitaria svizzera Christian
Solidarity International
annunciava di essere riuscita a liberare 14.550 schiavi
negli ultimi sei mesi in Sudan. La Csi era stata duramente
criticata dall'Onu e dall'Unicef perché - pur di liberare
questi infelici - pagava un riscatto. Secondo Onu e Unicef
era un sistema controproducente. Ma stavolta la Csi è
riuscita a ottenere la liberazione senza pagare, grazie alla
collaborazione di alcuni capi arabi del Nord.
Lo schiavismo è dilagato da quando il regime islamico che
controlla il Nord e persegue l'islamizzazione forzata del
paese, con la scusa di reprimere i guerriglieri del Sud,
cristiano e animista, oltre ai continui bombardamenti che in
vent'anni hanno fatto centinaia di migliaia di vittime, ha
scatenato le milizie a far razzie nei villaggi.
Attualmente - sebbene il governo lo neghi - si calcola che
siano circa 200 mila gli schiavi presenti nel Nord del Sudan,
perlopiù adolescenti. Dalle testimonianze di quelli
liberati da Csi si evince che la quasi totalità delle
ragazze maggiori di 12 anni è stata sottoposta a stupri,
molte a infibulazione e a ogni genere di violenze, come pure
i maschi. Di solito si tenta anche di costringerli a
diventare musulmani.
Una curiosità. Il 13 ottobre scorso WorldNet
Daily
riprendeva un reportage di un giornale inglese nel quale si
affermava che
Osama Bin Laden,
vecchio amico del regime
sudanese, possedeva in quel paese piantagioni di marijuana e
altre attività nelle quali avrebbero lavorato ragazzi
schiavi che avrebbe comprato da gruppi guerriglieri ugandesi
suoi alleati.
Gli schiavi sudanesi liberati da Csi raccontano tutti storie
tremende. Nel sito Internet dell'organizzazione si trovano
decine di testimonianze come questa del giugno 2000 di Abuk
Majak Yak,
28 anni, di Yiithon, madre di 7 bambini, cristiana.
"Fui fatta schiava quattro anni fa. Era primavera. Ero
nei campi quando d'improvviso i militari del Pdf (esercito
sudanese, dna) arrivarono sui cavalli. Si erano avvicinati
in silenzio. Avevano uniformi color kaki. Mio marito e i bambini erano tutti nel campo. Provammo a
scappare, ma spararono a mio marito. Lo vidi cadere in
terra. Poi catturarono me e i bambini. Io urlai
disperatamente. I soldati ci picchiarono duramente, poi
legarono i bambini con una corda e bruciarono la mia casa e
quelle dei miei vicini. Dovemmo camminare tutto il giorno. A
notte i soldati fecero un recinto dove noi dovevamo stare.
Dopo un po' vennero in sei e mi portarono nella foresta dove
mi violentarono. All'inizio provai a resistere, ma uno di
loro prese il coltello e mi taglio su tutti i lati del collo
finché non potei più resistere. Gli altri soldati stavano
a guardare. Dopo mi legarono un panno attorno al collo per
fermare il sangue e tutti e sei mi stuprarono. Ci vollero
cinque giorni per arrivare al Nord. Ogni notte ero
violentata da uomini diversi. Qualcuno di noi provò a
scappare. A tutti quelli che ricatturavano tagliavano la
gola davanti a noi. Lo facevano per terrorizzarci. Fra
quelli che furono ammazzati così c'erano anche dei miei
vicini di casa. A quelli che i soldati non riuscivano
a prendere spararono mentre correvano via. Ci portarono a
Seteb. Io fui separata da tutti i miei bambini. Il padrone
S. A. mi portò a casa sua. Ha una grande fattoria e molti
schiavi. Io dormivo sul pavimento della cucina. Dovevo
coltivare il campo, badare alle capre, cucinare e andare a
prendere l'acqua al pozzo. La padrona si lamentava sempre e
diceva che ero pigra. Mi era proibito uscire da casa eccetto
per andare al pozzo, dove ero sorvegliata dai figli del
padrone. Molte volte vidi alcuni miei figli da lontano
quando andavo al pozzo. I padroni mi chiamavano sempre Adut
invece che col mio vero nome. Lo facevano per insultarmi.
Volevano che diventassi musulmana. Ma io mi rifiutai e non
cedetti mai. A volte il padrone veniva in cucina di notte e
mi violentava. Io rimasi incinta. La moglie si offese e
allora mi picchiò con un bastone. Partorii un figlio che fu
chiamato Mohammed. Una volta S. A. provò a picchiarmi
mentre tenevo in braccio il bambino, colpì lui invece di me
e lo uccise. Mohammed aveva solo sette mesi quando morì.
Ora sono veramente felice di essere tornata nella mia terra,
ma sono angosciata per i miei bambini. Tre di loro sono
ancora a Seteb dai loro padroni. Gli altri sono stati
ammazzati dai loro padroni quando avevano provato a
scappare. Adesso andrò a cercare i miei parenti. Per favore
aiutatemi a far tornare a casa i miei figli
sopravvissuti!".
Da pochi
mesi il Sudan è entrato a far parte della
Commissione Diritti umani delle Nazioni Unite, quella da cui
sono stati "fatti fuori" gli Stati Uniti. Ecco
come funziona l'Onu.
|