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di
Paolo Passarini
Da
ieri esiste un nuovo sito in Internet, indirizzo
www.justicediane.org.uk. Ne ha annunciato ieri la nascita
Brian Pretty, il marito di Diane, in una conferenza stampa
svoltasi dopo il verdetto dell´Alta Corte di Giustizia
Europea. Lì chi vorrà potrà sottoscrivere una petizione
popolare per cambiare la legge che regola il suicidio
assistito in Gran Bretagna, una legge che la «Voluntary
Euthanasia Society» giudica una delle più severe d´Europa.
Brian Pretty, comunque, si è impegnato a rispettarla, anche
se questo -ha detto- costituisce «una violazione dei
diritti» di sua moglie.
Non si sa quanto la devastante malattia al motoneurone che
ha colpito Diane le lascerà ancora da vivere. Probabilmente
molto meno dei 16 anni di alcuni delle vittime di questa
malattia, uno spazio di tempo che per Brian e Diane
costituisce un terribile incubo. Forse saranno solo mesi,
che Diane comunque intende impiegare nella sua battaglia,
sostenuta dalla sua avvocatessa, la signora Mona Arshi, del
gruppo «Liberty». Di Diane sono comparse parecchie
fotografie perché ha scelto di comparire in tribunale, ma
di lei non si sa molto, protetta come è dalla legge sulla
privacy. Ha 43 anni e vive a Luton, nel Bedfordshire, non
molto lontano da Londra, con il marito e le due figlie.
Prima di ammalarsi vendeva biglietti per la lotteria.
I Pretty sono di umili condizioni e, difficilmente, se non
fossero stati aiutati e consigliati da gruppi come Liberty o
la VES, sarebbero stati in grado di organizzare una tale
campagna. Ma non c´è alcun dubbio sulla determinazione di
Diane, che adesso si esprime con l´aiuto di un computer.
Lei sa che, dopo aver perso le sue capacità fisiche, presto
perderà anche il controllo dei centri nervosi e la sua
morte avverrà per soffocamento, perchè lei non sarà più
capace di respirare. «La mia Diane -ha detto Brian- non
vuole vivere una vita in cui non può fare le cose che le
piacciono, una vita in cui non può fare niente». Diane
vuole morire, ma non è in grado di togliersi la vita da
sola e ha bisogno dell´aiuto di Brian, in quale, però, se
l´assistesse nel suicidio, sarebbe stato probabilmente
condannato a 14 anni di carcere ma ormai questa strada non
sembra più percorribile per i Pretty. «Il governo stesso -
sostiene Deborah Ammets, direttore della VES - non è stato
in grado di spiegare perché noi abbiamo la legge più
severa d´Europa. E´ una legge che non funziona. Non solo
non protegge i vulnerabili, ma rifiuta a gente come Diane
Pretty i suoi diritti umani basilari». «Se Diane
fosse nata in Belgio, in Svizzera, in Francia, in Germania,
in Svezia o in Finlandia - ha continuato - non avrebbe
dovuto rivolgersi a un tribunale».
Infatti, sei mesi, fa i Pretty presero la decisione finale,
quella di sfidare nella corte la legge britannica, il
Suicide Act del 1961. Ma il caso, arrivato velocemente alla
Camera dei Lord, venne perso dai Pretty, che decisero così
di rivolgersi alla Corte Europea. E adesso che hanno perso
di nuovo sanno che non ci sarà un altro appello, né un´altra
corte a cui rivolgersi. «Per un verso sono contento - ha
detto Brian dopo la sentenza - perché questo significa che
avrò mia moglie con me per un altro po´. Ma sono molto
triste perchè la cosa che lei vuole è poter morire nel
momento di sua scelta. Questo le è stato negato e non è
giusto. Noi dovremmo avere il diritto di fare ciò che
vogliamo delle nostre vite». La fatalità ha voluto che la
sentenza della corte venisse emessa poche ore dopo la morte
di un´altra donna inglese, chiamata «Miss B», perché il
suo nome non è mai stato reso pubblico, che aveva chiesto
le venisse staccata la spina che la teneva in vita
artificialmente. A lei i giudici avevano detto «sì».
«Miss B» ha ottenuto ciò che voleva, ma Diane no. Molti
si chiedono se questo sia giusto.
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