Palestinese

Israeliano

Due popoli, due tragedie
Vivere in guerra

Palestinesi: un asino per andare al lavoro


Molti villaggi palestinesi sono isolati. L’esercito israeliano che li ha invasi, per ostacolare le vie d’ingresso, o ha ammassato mucchi di terra, o ha steso catene con lucchetti, le cui chiavi sono tenute dagli ufficiali. Di più: «Attivisti palestinesi dei diritti civili riferiscono di persone colpite all’interno di abitazioni, che non possono ricevere assistenza medica perché il transito di ambulanze è proibito».

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TEL AVIV

SENZA proclamarlo ufficialmente, con l´invasione militare israeliana nei Territori i palestinesi hanno decretato l'Anno dell'asino. Muoversi fra i numerosi posti di blocco israeliani, fra i cingolati, fra le strade disselciate, è divenuta un´impresa. In Cisgiordania numerosi villaggi sono stati isolati dall'esercito: o ammassando terriccio sull´unica via d´ingresso, oppure stendendo pesanti catene con lucchetti le cui chiavi sono custodite da ufficiali. Le marce a piedi, faticose, nel fango, sono divenute così una normalità per molte migliaia di palestinesi. Raggiungere il posto di lavoro diventa un´impresa, le commissioni più banali spesso non vanno a buon fine. Imprenditori con fiuto commerciale hanno presto capito che il futuro era nel noleggio di asini che adesso, nelle zone più impervie della Cisgiordania, sono divenuti i padroni della situazione. A dorso d´asino si trasportano così le masserizie, i pacchi ingombranti, gli scatoloni con gli acquisti recenti. Le tariffe variano di posto in posto, e anche di cliente in cliente. Chi è chiaramente ai limiti della sopravvivenza può avere un passaggio gratuito. Il cliente successivo, se maggiormente dotato di risorse, pagherà un biglietto doppio: due euro, per un tragitto sufficiente a raggiungere da un villaggio sperduto la città più vicina. Con venti trasporti al giorno un solo asino può garantire la sopravvivenza di una famiglia intera in una società dove, dopo un anno e mezzo di rivolta, la disoccupazione supera il 50 per cento e dove - secondo stime palestinesi - il bilancio quotidiano pro capite è di un euro e mezzo. Da una settimana, centinaia di migliaia di palestinesi sono sottoposti a regime di coprifuoco. Il loro numero aumenta di giorno in giorno. Con l´occupazione di Nablus, supera probabilmente il milione. Con i cecchini israeliani sui tetti non è consigliabile avventurarsi per strada. Tre giorni fa, a Ramallah, una donna di 50 anni, con la borsa della spesa, reduce da cure mediche ricevute in un ospedale cittadino, è stata colpita alla testa dopo aver compiuto cento metri. Episodi del genere sono stati riferiti anche in altre zone. A Betlemme sono stati recuperati in una strada i cadaveri di una donna con un figlio. Ormai è pericoloso non solo uscire di casa, ma anche affacciarsi alla finestra. Attivisti palestinesi dei diritti civili riferiscono di persone colpite all'interno di abitazioni, che non possono ricevere assistenza medica perchè il transito di ambulanze è proibito. Israele sospetta infatti (e talvolta i fatti gli danno ragione) che nelle ambulanze possano trovare rifugio ricercati, oppure possano essere celati esplosivi. Secondo questi attivisti, durante i combattimenti è accadute ad alcune famiglie di essere costrette a restare in casa per molte ore, anche per giorni, alla presenza di cadaveri che non potevano essere sgomberati. Ieri, durante furiosi combattimenti divampati nel campo profughi di Jenin, un esponente locale di al Fatah, Qadura Fares, ha accusato gli israeliani di aver sistematicamente sabotato la rete elettrica e quella idrica della città: «Hanno dato fuoco a farmacie, colpito ristoranti, danneggiato gli impianti medici dell'ospedale cittadino. Abbiamo danni per decine di milioni di dollari». Analoga la situazione creatasi a Ramallah. In diversi quartieri mancano acqua e luce elettrica. In mancanza di un numero sufficiente di celle frigorifere nell´obitorio, l'ospedale ha deciso di seppellire subito i morti sopraggiunti negli ultimi giorni per impedire che si sviluppino epidemie. Li hanno sistemati in una fossa comune in quello che prima era il parcheggio. Ora è stato chiamato il Giardino dei Martiri.

a. b.

La Stampa, 5 aprile 2002
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Commento:

 

Stampa e televisione enfatizzano la sofferenza del popolo palestinese e l’attacco ai luoghi santi.


Il popolo palestinese vive due tragedie: quella della guerra e quella di avere capi che disprezzano la vita al punto di inviare giovani che, per uccidere altri, si suicidano. Il popolo israeliano ha le sue ragioni, derivanti dalla necessità morale e fisica di sopravvivere. I cristiani sono in mezzo, indifesi. Nessuno sembra in grado di fermare uno scontro che, anzi, potrebbe dilatarsi con conseguenze ancora più atroci. La posizione del Papa, per quanto apparentemente ingenua, è l’unica vera perché richiama i contendenti a ritrovare il motivo della propria esistenza come persone e come popoli.


Il Papa ha detto: «Di fronte alla caparbia determinazione con cui da una parte e dall’altra si continua ad avanzare sulla strada della ritorsione e della vendetta, si apre di fronte all’animo angosciato dei credenti la prospettiva del ricorso alla preghiera accorata a quel Dio che solo può cambiare i cuori degli uomini, anche dei più ostinati» (Giovanni Paolo II, “Chiediamo al nostro Dio di cambiare i cuori ostinati, Avvenire - 5 aprile 2002). È quel Dio che ha lasciato la sua traccia in una terra così insanguinata e contesa apparentemente nel Suo nome, ma in realtà nella dimenticanza di Lui: «In quella terra Cristo è morto e risorto e ha lasciato, come muta ma eloquente testimone, la tomba vuota. Distruggendo in se stesso l’inimicizia, muro di separazione tra gli uomini, Egli ha riconciliato tutti per mezzo della Croce, ed ora impegna noi, suoi discepoli, a rimuovere ogni causa di odio e di vendetta» (Giovanni Paolo II,Il mondo ferito ritrovi speranza, Avvenire - 2 aprile 2002).


Questo è il nostro impegno e ancora di più la nostra domanda di cambiamento a cui la vicenda della Palestina ci costringe, così che possiamo recitare una vecchia preghiera ebraica della Pasqua: «(…) dalla casa degli schiavi ci riscattasti, nella carestia ci alimentasti, nell’abbondanza ci provvedesti, dalla spada ci salvasti, dalla mortalità ci preservasti e da malattie gravi e numerose ci rendesti immuni».

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  • Giovanni Paolo II
    Chiediamo al nostro Dio di cambiare i cuori ostinati
    Avvenire - 5 aprile 2002

  • Giovanni Paolo II
    Il mondo ferito ritrovi speranza
     Avvenire - 2 aprile 2002

  • I cristiani scendono in piazza con rami d’ulivo
    Corriere della Sera, 3 aprile 2002
    A Gerusalemme, frati francescani di tutte le nazionalità, e molti preti ortodossi hanno organizzato una manifestazione pacifica, guidata da un vescovo anglicano e dal palestinese patriarca latino.

  • Renato Farina
    Cronisti salvi, le suore no
    Libero, 4 aprile 2002
    Dopo che la rappresentanza italiana in Israele si è mossa per liberare i giornalisti, Farina si fa questa domanda: perché la diplomazia italiana non si preoccupa di portare in salvo anche quelle tre suore, che sono rimaste nel complesso della Basilica della Natività? «(…) hanno avuto la vocazione grandiosa di curare la grotta dov’è nato Gesù, e non contano niente (…)».

  • Vivere in guerra
    La Stampa, 5 aprile 2002
    Molti villaggi palestinesi sono isolati. L’esercito israeliano che li ha invasi, per ostacolare le vie d’ingresso, o ha ammassato mucchi di terra, o ha steso catene con lucchetti, le cui chiavi sono tenute dagli ufficiali. Di più: «Attivisti palestinesi dei diritti civili riferiscono di persone colpite all’interno di abitazioni, che non possono ricevere assistenza medica perché il transito di ambulanze è proibito».

  • Enrico Franceschini
    Spari sulla Chiesa della Natività
    la Repubblica, 5 aprile 2002
    «(…) il colpo di un cecchino israeliano uccide il palestinese che da trenta anni suonava le campane per la messa e che ieri ha provato incautamente a raggiungere i frati all’interno».