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Marcello Pera
Fra i
tre diritti costituzionali di cui disponiamo al referendum
sulla legge che disciplina la fecondazione assistita (votare sì, votare no,
astenersi), il terzo, che è quello di cui personalmente mi avvarrò, sembra
il più controverso. Lo si considera un inganno o uno stratagemma furbo di
chi, pur non prendendo partito, decide dell’esito del referendum. Ritengo
che sia vero il contrario. Astenersi in modo deliberato e consapevole non
significa lavarsi le mani dei quesiti referendari, piuttosto significa
conoscerli, volere che la legge resti così com’è, e soprattutto significa
affidare al Parlamento il compito della sua eventuale revisione. In tutto il
mondo, i temi di bioetica dividono non solo le forze politiche ma le
coscienze dei cittadini. Gli stessi competenti (supposto che nelle questioni
morali esistano «i competenti») hanno opinioni diverse, e le cambiano in
modo rapido con il cambiamento, ancora più rapido, dei termini tecnici delle
questioni.
In campo biomedico, viviamo tempi di accelerazione: la nostra
sapienza scientifica corre ad un ritmo tremendamente più veloce della nostra
saggezza morale. Conosciamo e possiamo assai più di quanto le nostre
intuizioni etiche sappiano dominare. In una situazione come questa, «sì» e
«no» sono risposte così approssimative e così affrettate da essere
inevitabilmente inadeguate.
Dire
«sì» ai quesiti referendari equivale a non toccare più alcunché per
molti anni a venire. Ugualmente, dire «no» rende intangibile l’argomento. Ma
di qui a poco si potrebbe sentire l’esigenza di tornarci sopra. Chi meglio
del Parlamento può svolgere questa riflessione, anche in vista di future
revisioni della legge? Dove meglio che in Parlamento si trovano persone
rappresentanti di tutte le opinioni, e consapevoli di tutte le esigenze da
bilanciare, che, discutendo per mesi o anni (come è accaduto da noi) alla
fine riescono a trovare una soluzione di equilibrio, la quale, se non
accontenta tutti, almeno scontenta il minor numero? Con i referendum in
materia di bioetica - ma sarebbe lo stesso con i referendum in materia di
pena di morte o di norme penali - non è in gioco un istituto della
democrazia diretta; è in gioco la capacità della democrazia diretta di
risolvere con l'accetta del «sì» e del «no» ciò che la democrazia
parlamentare indiretta sa risolvere con gli strumenti più raffinati del
confronto.
Si
consideri la sostanza della questione della fecondazione artificiale.
Il desiderio di avere un figlio produce il diritto ad averlo e questo
diritto a sua volta genera la norma corrispondente. La scienza e la tecnica
fanno da cortocircuito fra desiderio avvertito e diritto reclamato: si
vuole, si può, dunque è giusto averlo; e la democrazia fa da cortocircuito
fra diritto reclamato e diritto sancito: lo chiedono in tanti, si devono
rispettare anche le minoranze, dunque è doveroso approvare una legge.
Ma per
arrivare alla legge, si consideri quanti problemi il Parlamento ha
dovuto risolvere. Quale desiderio? Di tutte le donne? Anche di quelle non
più fertili per età? Anche delle donne singole? Anche fuori del matrimonio?
Anche contro il consenso del coniuge o del partner? E poi, quale diritto?
Assoluto? Gratuito? Ad ogni costo? E come bilanciato con altri diritti? È
facile capire la complessità di questi problemi riflettendo soprattutto
sull'ultima domanda. Quando si concede alla donna il diritto ad avere un
figlio con la fecondazione assistita, lo si deve mettere assieme ad un bel
numero di altri diritti.
L'elenco
che segue è lungo ma incompleto: esiste il diritto alla integrità
della vita del nascituro; il diritto alla tutela della persona; il diritto
alla salute; il diritto all'autodeterminazione della donna; il diritto alla
discendenza; il diritto alla identità del bambino; il diritto alla
professione medica; il diritto alla ricerca scientifica. Un «sì» o un «no»
bastano a trovare un giusto bilanciamento fra tutti questi diritti? Oppure
un «sì» o un «no» da una parte provocano uno sbilanciamento da un'altra e,
alla fine, un insieme incoerente? Ignoranza a parte di molti cittadini sulla
materia, che pure c'è ed è diffusa, non è saggio che sia il Parlamento a
trovare le coerenze migliori? Alcuni pensano di semplificare i problemi con
una sforbiciata all'elenco dei diritti. Certo, se l'embrione, che con la
procreazione assistita viene soppresso, non fosse né vita né persona, alla
fine resterebbero solo il diritto della donna ad avere un figlio e il
diritto della scienza a procurarglielo.
Ma una
sforbiciata così radicale non si può dare. Il diritto della scienza
c'è ma non è moralmente incondizionato e comunque non può essere usato con
il ricatto che, se si impedisse oggi la sperimentazione sugli embrioni, non
si curerebbero domani malattie gravi. Basta un esperimento mentale per
comprenderlo: se uno «scienziato» dicesse che (forse) è possibile curare un
terribile morbo ma facendo esperimenti su feti vivi, la scienza avrebbe il
diritto di essere lasciata libera? No, la scienza è libera, ma ha libertà
condizionata, allo stesso modo in cui ogni diritto nostro è condizionato dal
rispetto del diritto altrui. Lo stesso vale per il diritto ad avere un
figlio. Esso urta col diritto dell'embrione, che è il figlio di domani, a
non essere soppresso. Dire che l'embrione questo diritto non ce l'ha perché
non è persona significa mettersi nelle mani del peggiore scientismo. Certo,
il ginecologo con le sue provette non vede persone quando tratta embrioni,
così come non vedono persone il genetista o il biologo con i loro microscopi
puntati su strie cellulari. Ma non le vedono, le persone, non perché non ci
siano, semplicemente perché gli strumenti non sono adatti. La persona non si
vede né si tocca, perché «persona» non è un termine empirico che denoti
qualcosa. «Persona» è termine morale, filosofico, assiologico, religioso,
culturale che connota qualcuno. Con la fecondazione, naturale o artificiale
che sia, questo qualcuno c'è sùbito, fin dal concepimento. Perciò, fin dal
concepimento, ha diritti.
E se li
ha, devono essere rispettati e bilanciati con altri. Qui non è
questione di essere laici o credenti. Sul punto, fra gli uni e gli altri non
c'è differenza sensibile. Per un credente un individuo è persona perché è
immagine di Dio, per un laico è persona perché soggetto di dignità,
rispetto, responsabilità. Ma persona comunque, cioè qualcuno che vale,
sempre anche come fine, mai soltanto come mezzo.
Al
problema non sfugge nessuno. Pesare i diritti, anziché sforbiciarli,
si deve e si può. Di fatto, il Parlamento lo fa tutti i giorni.
Personalmente, ritengo che sia bene che continui a farlo anche con la
fecondazione assistita. Ecco perché, se «sì» e «no» sono comprensibili,
l'astensione non è un sotterfugio. È invece una pausa di riflessione morale
e un omaggio alla democrazia parlamentare.
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