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Giuliano
Ferrara
Buonasera e grazie. Grazie ad
Amicone e a Cesana, grazie a voi. Darei una bella parte dei miei lettori per
avere, oltre ai lettori, anche così tanti militanti come avete voi. Perché
la parola scritta è regina, la scrittura ci permette di mettere a fuoco, di
capire e interpretare, ma lo scritto è vivo solo metaforicamente e così
abbiamo deciso di non limitarci a questa manifestazione ma di girare
l'Italia di qui al 12 e 13 giugno. La presenza fisica, il senso di realtà
che ti dà la vita - parlare della vita in presenza della vita guardandosi
negli occhi - è una dimensione superiore. Voi la chiamate carità, io dico di
alta e bella politica. E di questo non finirò mai di ringraziarvi.
Io, lo sapete, non sono un predicatore, sono socialmente una figura
spregevole, sono il direttore di un giornale, e non sono nemmeno cattolico,
se non per cultura e per battesimo. Che ci faccio qui, a fare una predica in
mezzo a tanti cattolici? Deve essere successo qualcosa. Anche perché, questo
qualcosa, ormai si ripete. Eravamo qui qualche mese fa, a Milano, e dicevano
che volevo fare un movimento con Buttiglione, invitare Bush in Italia, fare
chissà che cosa, ma figuriamoci - i giornali appunto, l'ho detto, la figura
socialmente spregevole del direttore di un quotidiano, a partire da me -.
Quindi si replica e non è un cabaret, ma una conversazione, un modo in fondo
laico di convertirsi, di conversare, di dialogare in modo diretto. Deve
essere successo qualcosa, non mi ci raccapezzo più nemmeno io se finisce con
questa specie di esercizi spirituali laici ripetuti. E lo sapete che cosa è
successo? Che molti dei miei amici, dei miei sodali, molti direttori di
giornali, molti giornalisti, molti intellettuali, molte soubrette, molte
attrici, molta gente di mondo che qui non ci verrebbe mai, hanno intrapreso
- perchè il secolarismo quando diventa ideologia, quando diventa pensiero
unico diventa allora prepotenza - una formidabile crociata contro i diritti
umani. E quando uno bandisce una crociata contro i diritti umani e contro
l'uso retto della ragione, contro una verità non dogmatica ma autoevidente
che ti è offerta dalla struttura della natura, dai verdetti della scienza e
dai verdetti anche del tuo animo, la verità cioè che l'embrione non è un
grumo di cellule inermi e non è un ricciolo di materia, quando tu decreti
una crociata contro il diritto a nascere e a svilupparsi nel proprio essere
e a crescere secondo natura e ragione di un essere umano, bé, ci dovrà pur
essere qualcuno tra i sodali laici e intellettuali, ci dovrà pur essere
qualcuno che dice «io vado in parrocchia, io vado con Comunione e
Liberazione, io vado a incontrare cattolici, buddhisti, musulmani, tutti
coloro che vogliono opporsi a questa crociata».
* * *
Giocano con le parole. Siccome gli uomini sono tutti degni del nostro amore,
degni di essere considerati interlocutori adulti, noi rispettiamo le loro
idee e, per questo, li critichiamo aspramente, rispettiamo ancor più loro e
cerchiamo di evitare gli attacchi personali. Sappiamo che gli uomini sentono
sempre un richiamo alla realtà anche quando se ne distaccano per mille
miglia, e i nostri avversari parlano di altro perché si sentono un po'
deboli e fragili. Il divorzio nel 1974, a prescindere da ogni altra
considerazione, riguardava chi, in partenza, non aveva scelto il matrimonio
come sacramento, si era sposato in municipio, come ho fatto io. Il divorzio
riguardava persone sposate in municipio che volevano entrare in una fase in
cui la modernità ha introdotto grandi dosi di individualismo, di
comportamenti e costumi liberali. Volevano entrare in un'epoca in cui si
potesse ricostruire una famiglia, due famiglie, tre famiglie.
L'aborto del 1978 con il referendum nel 1981 era già una china molto più
pericolosa. Lo sappiamo tutti perché. Se vogliamo chiamare le cose con il
loro nome, se vogliamo dire le cose come stanno, se non vogliamo edulcorare
- che non mi sembra un criterio per cercare la verità -, e anche navigare
tra diverse verità - perché un pizzico di relativismo è necessario alla vita
contemporanea -, se vogliamo nominare le cose col proprio nome perché è
fondamentale se non si vuole rinunciare a qualsiasi funzione intellettuale e
razionale, dobbiamo riconoscere che l'aborto è una china pericolosa.
Perché l'aborto, come fatto ancestrale, riguarda da sempre l'umanità; sia
quello clandestino sia quello oggetto di riprovazione sociale sia quello
legalizzato e in qualche modo accolto dal diritto, l'aborto resta pur sempre
un omicidio. La china era quindi molto più scivolosa, vischiosa, complessa
per questo diritto del più forte (io, per esempio, l'ho votato con la morte
nel cuore, sapendo cosa facevo, nominando la cosa che stavo facendo, nella
mia interiorità, con il suo nome). Si tratta qui di un semplice diritto
civile, ma di un disperato diritto del più forte che riguarda un binomio
cioè un corpo solo che ne ospita e ne accoglie un altro. In questo c'è una
scelta, c'è una forma psicologica spirituale, la donna, a cui si attribuisce
un diritto di scelta sul proprio corpo sia pure nella forma di una
depenalizzazione-legalizzazione. Questa scelta era opportuna soprattutto se
- questa era la promessa laica, devo dire una promessa tradita - portava a
una riduzione dell'aborto, a una riduzione morale del problema che l'aborto
rappresenta nella società contemporanea. Giovanni Paolo II ha parlato di una
«shoah», ha parlato dell'aborto come di una «strage sistematica». E, in
effetti, se si guardano i dati francesi in trent'anni si scopre che ci sono
stati 200 mila aborti l'anno. Mai una curva in diminuzione, mai, in un paese
non povero e ignorante ma in un paese supercolto e civilizzato, dove le
tecniche anticoncezionali sono sviluppatissime, c'è la pillola del giorno
dopo, c'è la RU486 ormai da quindici anni, c'è l'aborto chimico, l'aborto
chirurgico. Duecentomila in trent'anni sono 6 milioni.
Loro, gli abrogazionisti, i nuovi secolaristi, dicono: «c'è l'aborto, perché
non si può scegliere prima, con l'embrione». Trattano l'aborto con una certa
leggerezza che io non userei mai. Sull'aborto si trattava di una battaglia
dura in cui, per lo meno, c'era uno scontro tra diritti e c'era la carnale
evidente e pressante esigenza di rispettare davvero e sul serio una libertà
su di sé, per quanto illusoria e da ridurre nel tempo, per quanto da
limitare. Qui, invece, per la prima volta, non c'è niente di tutto questo.
Qui c'è un'azione resa possibile dallo sviluppo della tecnica; quest'azione
tecnica è la fecondazione in vitro. La fecondazione in vitro porta alla
creazione di un essere umano. Luigi Amicone (cfr. pag 3, ndr) ha citato i
sofisti, ma gli ha fatto un complimento perché i sofisti erano grandi
filosofi. Se io creo - e sbaglio la parola apposta - una "cosa", delle
cellule, con una tecnica per avvalermi della quale ho bisogno di un uovo di
donna e di un seme di maschio, se la creo per impiantarla, perché si
sviluppi, perché si annidi in un utero femminile, perché si nutra, perché
crei intorno a sé una placenta, perché diventi feto, perché arrivi ad avere
non solo la struttura cromosomica che l'embrione ha dall'inizio, ma anche il
sistema nervoso e tutto il resto; se faccio tutto questo perché prenda
forma, perché cresca per nove mesi nel seno di una donna, e perché alla fine
nasca, poiché l'uomo è anche e soprattutto storia, proviamo a tornare
indietro a nove mesi prima, usciamo - perché la tecnica ce lo permette - dal
corpo della donna a prima dell'impianto, guardiamo in un microscopio questa
"cosa invisibile", debole, esposta al primo vento, e siamo costretti a
riconoscere che è il principio, il crisma, il senso e il significato di
tutto l'essere umano successivo. è un uomo; è una donna; è ciò che diventerà
un feto e un bambino; lo è perché la nostra ragione ci dice che lo è.
Perfino con la nostra sola intuizione, una ragione che non deve neanche
dedurre o costruire dal fatto, una ragione volontaria, dobbiamo riconoscere
che l'abbiamo creata apposta quella "cosa" - e sbaglio di nuovo volutamene
il nome - quella "cosa" l'abbiamo costruita perché sia non solo vita,
astrazione, ma una vita individuale, unica, irripetibile e singola, cioè un
essere umano.
* * *
Sono in difficoltà gli abrogazionisti, i neosecolaristi, coloro che si
credono e si dicono liberali, coloro che si credono e si dicono laici,
coloro che si credono e si dicono eredi di una tradizione di lotta contro
l'oscurantismo e il clericalismo, sono in grande difficoltà. Perché, per la
prima volta, si vede ad occhio nudo la verità, e basta che agli italiani sia
fatta vedere in uno spirito di dialogo senza esagerazione con la piena
considerazione della necessità di parlarsi e di parlare anche ai propri
avversari. Eccola la verità. Non ce ne sono due, tre, quattro o cinque, ce
n'è una sola: "quello lì" è un essere umano perché tu l'hai voluto per
essere un umano. Puoi essere relativista quanto vuoi in filosofia, e dammi,
offrimi a prezzi scontati i manuali del neorelativismo, io ti darò il volume
della Critica della Ragion Pura, o magari degli altri scritti morali di
Immanuel Kant, che non ha mai fatto parte del Sacro collegio ma era un
filosofo laico, e ti farò vedere che c'è scritto che quell'essere umano non
puoi usarlo come una struttura di servizio per scopi altri che non siano la
sua crescita, il suo sviluppo, la sua realizzazione.
Per la prima volta, i Radicali, che girano lodevolmente il mondo dal Laos
alla Cecenia alla Cambogia, i Veltroni, i buoni, i predicatori laici della
Sinistra che dicono di volere andare in Africa per salvare i deboli, per la
prima volta, dicevo, tanta di questa bella gente stimabile, va contro le
proprie stesse premesse, o quelle che dovrebbero essere tali. Certo, per un
fedele appartente alla Chiesa cattolica, nutrito della stessa dottrina,
esposto sempre alla catechesi, è forse più facile. La Chiesa cattolica ha
fatto questa scelta (ne ha fatte tante, ha fatto anche i mea culpa per
scelte che ha considerato sbagliate) che le assomiglia e che le è
consustanziale di difendere la vita sempre e comunque. Perché i fedeli
conoscevano il volto della Madonna prima che Enrico Deaglio la stampasse
sulla copertina di Diario, e hanno il senso di ciò che è la maternità e la
bellezza. I praticanti hanno questa trascendente e immanente capacità di
riconoscere che non si può scherzare su un argomento come questo. Non è una
battaglia sui costumi dell'uomo contemporaneo e non è una battaglia in
difesa di diritti inconculcabili di libertà; è una battaglia contro la
negazione dei diritti umani, è una battaglia di rigore razionale.
In Italia una legge complicata, che è stata discussa per molti anni e sulla
quale si è arrivati a un faticoso compromesso - perché questa legge è un
faticoso compromesso da ogni punto di vista, ed è una legge che funziona e
che permette di avere figli attraverso la fecondazione medicalmente
assistita, e non è una legge feroce, medioevale (per loro medioevale è un
insulto), non è oscurantista, non è imposta dalla Conferenza dei vescovi
italiani - è stata votata da una maggioranza trasversale e approvata da
molti osservatori. è stata approvata all'interno del mondo della scienza da
molte persone che non appartengono a questa finta dialettica di rissa e di
lite ideologica confessionale che certi laicisti e neosecolaristi si
inventano. La discussione su questa legge è importante e lo è soprattutto
quello che c'è sotto, che non è costume e moda.
* * *
L'altro punto per cui i neosecolaristi sono in difficoltà è che non
pronunciano mai la parola embrione. Non la pronunciano mai, mai. Cercano di
nasconderla sotto il tappeto, cercano, anche nel linguaggio, di
selezionarli, di scartarli e buttarli nel lavandino. Parlano solo di libertà
di ricerca scientifica, parlano solo di alleviare le sofferenze delle donne,
parlano di tutto ma non del contenuto, della sostanza. Spesso dicendo cose
deformate, forzando in modo propagandistico la loro battaglia. Parlano molto
dell'astensione: sembra che si debba votare se gli italiani hanno diritto o
no di astenersi al referendum (ma, scusate, c'è un contenuto! E non è
l'astensione).
Una volta non c'era il premio Nobel, ma c'era la scienza anche prima che
frotte di premi si vendessero a un uso socialmente ridicolo dell'ideologia
scientista. Il dovere primo della scienza è individuare il proprio limite,
altrimenti la scienza si trasforma in letteratura, in sogno, in incubo,
l'incubo del dottor Faust. Ho avuto occasione di parlarne per tre ore con il
professor Veronesi in televisione e proprio non capiva. Veronesi è un uomo
molto intelligente, molto elegante, ha un portamento straordinario, è un
vanto della Milano moderna come Armani. Però non capiva - è più educato dire
«non sono riuscito a spiegarmi con lui». Eppure il mio concetto era molto
semplice: lo scienziato il primo limite che deve porsi è autoevidente, è una
verità. Non ce ne devono essere altre, derivate da ampie riflessioni della
Congregazione della dottrina della fede, bastiamo noi in questo caso (anche
se la Congregazione ne ha tanto di lavoro e lo ha fatto bene negli ultimi
vent'anni e mi pare che la Chiesa se ne sia accorta!), però qui non serve
neanche il nuovo prefetto, bastiamo noi. Cosa deve fare un medico, professor
Veronesi? Deve curare la vita. E curare una vita è una cosa inversa ed
opposta allo sviluppo di una vita. Sono due prospettive inconciliabili: o
curi la vita o togli la vita, la scarti, la selezioni. Gli dicevo:
professore, non il parroco della mia parrocchia del Testaccio di Roma, ma
Edoardo Boncinelli, al quale lei porterà rispetto, ha scritto che la vita
nasce con la fecondazione. L'ha scritto su un giornale che non è proprio
anti abrogazionista, si chiama Corriere della Sera, «la vita comincia con
l'atto della fecondazione» (pensate un po' che stranezza: oggigiorno si deve
leggere una cosa così e dire "accipicchia c'è uno scienziato che l'ha
scoperto, la legge del Boncinelli, la vita comincia con la fecondazione!").
Allora il dovere della scienza è curare la gente, non deve dire che per
curare alcuni se ne devono ammazzare altri. Non serve la filosofia morale,
basta l'intuizione laica, ovvia.
* * *
Ecco perché sono così in difficoltà. Certo, ci sono le trappole: il designer
baby, l'enfant medicament, il bambino farmaco è, per esempio, una trappola
angosciante. Se un fratello cede un rene ad un fratello, si tratta di due
adulti, che hanno avuto il beneficio, siccome la vita comincia con la
fecondazione secondo Boncinelli, di diventare grandi. Noi tutti siamo presi
da un impeto di ammirazione e di amore, di tristezza e solidarietà
nell'universo della malattia, e siamo felici di questo. è una donazione, di
un pezzo di sé. La tecnica, che noi ammiriamo molto più di quanto alcuni dei
nostri avversari non dicano, lo rende ormai possibile: è una donazione, ha
senso ed è bellissimo per questo. Ma se io creo in vitro un bambino che
abbia tessuti sani e compatibili con un altro bambino; se lo creo con la
cura che gli destino, con il destino di bambino farmaco che gli attribuisco,
lo devo selezionare tra dieci singoli embrioni; devo andare a cercare quello
giusto, il bambino giusto, e quelli sbagliati via! Se io faccio questo
elimino molte vite, molte possibilità di vita, molti progetti di vita. Creo
una vita con una modalità disumana, nonostante l'amore che ci metto e la
bellezza delle mie intenzioni. Nonostante tutto, io mi sostituisco a un
altro, anzi mi arrogo il diritto di crearlo in laboratorio, e poi di farlo
crescere perché serva a qualcosa di diverso che non è la sua vita. Insomma,
compio un gesto - perché è questa la questione di fondo, nonostante i
mascheramenti, i bellissimi mascheramenti e le illusioni dell'amore - un
gesto da signore dell'universo, che non riconosce la creaturalità dell'uomo,
la oggettività, la datità dell'esistenza, il fatto che non siamo creati da
noi stessi e che non ci possiamo arrogare questo potere.
Esistono molti modi di curare le persone. Si può andare fino al limite - la
Chiesa è andata fino al limite per esempio, molti osservatori e pensatori
laici l'hanno aiutata in questo, hanno dialogato e interloquito con la
donazione degli organi con una diversa definizione del modo di accertamento
della morte umana-, ma solidarietà, aiuto e cura devono essere volontarie e
sempre subordinate all'idea di dono. L'uomo è un fine, non un mezzo. Tra un
bambino e una pillola, tra un bambino e una macchina per trasfusioni, deve
esserci e restare, direi per l'eternità, una profonda e radicale qualitativa
differenza. è la verità, mi dispiace, che è sorella dell'embrione.
* * *
Siccome sono in difficoltà ci dicono che noi siamo i bigotti, i bacchettoni,
quelli che ripetono la solita solfa che va avanti da duemila anni. Noi siamo
quelli che dicono le cose vecchie. Non è così. Qui è la novità, qui è lo
scandalo, qui è l'elemento che trasforma. Loro operano sul già dato, sul già
visto, sul già vissuto. Lo sappiamo che c'è stato uno scambio, come mi è
stato detto dalla professoressa Luisella Battaglia in trasmissione, c'è
stato uno scambio tra l'etica della vita e l'etica della qualità della vita.
Barbara Pollastrini, membro del comitato per il sì, ha aggiunto: etica della
qualità della vita ed etica per il benessere. Per molti aspetti è
inevitabile che fosse così, non è detto che l'uomo mentre aumenta il potere
di stare meglio sia capace anche di aumentare il potere di comprendere il
senso di questa operazione e di orientarla verso il meglio. Farsi scudo
della donna in una campagna contro l'embrione vuol dire trasformare una
campagna contro i diritti umani, ecco la malizia, in campagna a favore dei
diritti civili. «Ah i preti, i clericali - dicono - attaccano le donne, c'è
un'antica inimicizia. Le donne non possono esercitare il sacerdozio nella
Chiesa cattolica». Così, questi vecchi saggi giganteschi, in molte altre
occasioni ammirati prìncipi della Chiesa, ecco che si ergono contro questa
cosa vitale, moderna, importante da difendere che è il diritto della donna.
Loro non parlano dell'embrione che è l'oggetto della loro battaglia contro i
diritti umani, ma esaltano il diritto della donna che non c'è, perché la
donna ha tutti i diritti e, soprattutto, come ogni essere umano il diritto
alla salute. Ma chi attacca il diritto alla salute della donna? Forse, come
denuncia un pamphlet appena uscito in Francia, forse quella parte del mondo
medico e scientifico - come diceva Amicone in modo chiaro - che considera la
donna come, non dirò cavia perché è un'espressione brutale, ma come un
oggetto di sperimentazione.
* * *
Ci sono molti equivoci. Agnoli ne parla tutte le settimane sul Foglio in
maniera molto eloquente e documentata. Ci sono molti equivoci sulla
fecondazione medicalmente assistita. C'è il centro della dottoressa Porcu a
Bologna (la Porcu è astensionista, perché si può fare fecondazione assistita
ed essere astensionisti), e tanti altri centri che lavorano con molto
scrupolo e intelligenza, che hanno persino scoperto che la fecondazione in
vitro viene meglio quando ci sono dei limiti. Allora non ci parlino del
dolore della donna, della sofferenza della donna, dei diritti della donna,
perché questo è soltanto una dimostrazione della loro fragilità, della loro
debolezza, del loro voler parlare d'altro.
* * *
Quanto all'eterologa: il ministro liberale Antonio Martino ha pensato di
potersela cavare dicendo: ma se io dovessi votare contro la fecondazione
eterologa allora dovrei essere anche contro l'adulterio. Io sono
rigorosamente monogamo, ma, col permesso di mia moglie, di qui al referendum
cercherò di commettere adulterio, poi andrò da Martino e gli spiegherò la
differenza, la differenza fra le due cose. L'adulterio può essere un grande
atto di amore, di ribellione o scomposizione della vita, un peccato, può
avere mille nomi l'adulterio perché fa parte dalle attività umane naturali
che possono essere o no disciplinate dalle scelte, dalla libertà dell'uomo,
dalla sua volontà, dalla sua fede, dal suo credo, ma è un atto umano. La
fecondazione eterologa è l'adulterio come tecnica. Il liberale Martino
dovrebbe fare uno sforzo per capirlo (anche per evitarmi l'impiccio): il
fondamento dell'eterologa non è la libertà, è la scelta della prassi. Oggi
l'eterologa è il catalogo, è l'industrializzazione della fecondazione
artificiale in vista del catalogo. È uno degli strumenti più maliziosi
attraverso i quali si introduce nelle tecniche di fecondazione il catalogo,
cioè la scelta e la selezione eugenetica. Tant'è vero che l'eterologa oggi
ha come crisma e come timbro il "datemi il seme di un vichingo". Ma siamo
diventati pazzi? Adulterio?
* * *
Lo dico un po' vergognosamente: voi sapete che io sono uno di quelli del no,
sarei di quelli del no, ma voglio lasciare molto spazio a Cesana per
argomentare sull'astensione. Dicono che la natura elimina gli embrioni nel
corpo della donna. Se lo fa la natura perché non possiamo farlo anche noi? è
quello che ha detto il professor Veronesi in trasmissione e io non ho avuto
la prontezza di spirito, anche perché mi sembrava così incredibile dover
discutere a quel livello, di trovare un argomento facile. L'ha trovato un
lettore del mio giornale: Ferrara, doveva dire una cosa coì evidente, anche
lo tsunami elimina un sacco di gente e noi che facciamo? Ammaliamo la gente
perché c'è stato il terremoto? Perché ci sono le epidemie? Perché c'è stata
la peste nera?
* * *
L'altra questione: "ma usiamoli questi embrioni". Ho avuto su questo una
polemica con il mio intimo amico Adriano Sofri che dice: sono lì, sono
trentamila, sono crioconservati (cioè in frigorifero), è inumano pensare di
non utilizzarli. A Sofri - che argomentava in buona fede, con lucidità,
anche se con un eccesso di sentimentalismo, senza sufficiente rigore
razionale - ho risposto che la prima cosa che mi impressiona è che tu mi
stai parlando di uno dei più vasti cimiteri del paese costruito con le
nostre mani. Un bioetico, non cattolico oscurantista, ma ebreo, Cohen, dice:
e i condannati a morte? Perché non usiamo anche loro? In Cina, ogni anno,
nell'indifferenza generale, ce ne sono diecimila di condannati a morte. In
America, nei bracci della morte ce ne sono a decine, a centinaia: usiamoli
per la scienza.
Lo so: un uomo ha una dignità emotiva superiore all'embrione. Nessuno fa
funerali per l'embrione, Chopin non ha composto la marcia funebre per
l'embrione. Siamo d'accordo. L'embrione è un fatto totalmente nuovo.
L'embrione è una presenza fabbricata artificialmente in laboratorio, è una
presenza alla quale non ci siamo abituati. Alla tristezza della sua
condizione, «l'ergastolo del freddo» l'ha chiamata Vittorio Possenti, non ci
siamo abituati. Non sappiamo valutarla, non entra nelle nostre emozioni alla
stregua di una persona adulta. Ma questo vuol dire che se non rientra nelle
nostre emozioni noi possiamo espellerlo dalle categorie razionali con cui
cerchiamo di comprendere il mondo? Costruiamoci una razionalità e una
emotività che siano davvero umane e che, senza esagerazioni, senza
cialtronate, senza ostentazioni, senza elementi idolatrici, però porti a
focalizzare il punto decisivo che vogliono portare via dalla nostra
attenzione: l'embrione non è un ricciolo di materia, non è un grumo di
materia inerte.
Non siamo ancora capaci di provare emozione per la vita nascente perché
abbiamo proceduto a ratificare la disperante realtà dell'aborto. Ci siamo
abituati. Erwin Chargaff, uno straordinario biologo e scrittore dice:
«Prendi un male, dallo in dosi omeopatiche, vedrai che tanto poi la gente si
abituerà». Chargaff è tra gli scopritori del dna ed è un uomo che si è
ritratto dalle conseguenze della sua scoperta, non nel senso che abbia
rinnegato la medicina biologica, o la biologia e la scienza biologica
moderna, ma si è posto il problema del limite.
Può essere che sia difficile diventare emotivamente adulti ed essere
all'altezza di questo problema. Sì, ce ne si può sbarazzare (io ho una amica
che mi dice: «Giuliano, ma è un embrione, un embrione!»). E quando il solo
fatto di dare un nome con un tono diminutivo ti permette di prendere le
distanze, io la capisco, poi può sbagliare, tutti possono sbagliare, magari
sbaglieremo anche noi.
Però attenzione, c'è la controprova. Io penso che la nostra campagna, il
nostro giro di orizzonti, il nostro dialogo, possano poi essere dedicati ad
un'altra vittima dello scientismo, della tecnoscienza, di questa
fantascienza horror, a una disabile, una malata che è stata eliminata.
Eppure aveva un corpo, una vita precendente, una lunga vita sonnacchiosa nel
fondo di un letto, una storia di assistenza e di solidarietà da parte dei
genitori, dei fratelli, delle sorelle. E invece aveva un marito, moderno.
Questa persona si chiamava Terry Schiavo e l'hanno eliminata con la fame e
con la sete. Con la fame e con la sete! Quindi dico agli abrogazionisti e ai
neosecolaristi e a tutti coloro che fanno finta di non capire qual è
l'essenza del problema: non ci sfidate con le emozioni, non vogliamo
scendere sul terreno delle emozioni contro le emozioni. Accettate la verità
almeno metodologica di questa sfida importante per il futuro di tutti noi.
Discutiamo di ciò di cui si deve discutere: c'è una legge, che cerca di fare
in modo, con molte autorizzazioni e con alcuni sacrosanti divieti, che la
fecondazione medicalmente assistita sia la fecondazione medicalmente
assistita. Questa legge è in discussione, questo principio è in discussione,
fateci la cortesia, anche se per voi è difficile, di non divagare, di non
deformare, di non costruire mentalmente una realtà che nega la realtà dei
fatti. La realtà viva, quella che è davanti a noi.
* * *
E se posso permettermi, esprimo un auspicio, una speranza, anche questa
laica, (badate, io riconosco l'autorevolezza della Chiesa e della sua
gerarchia, capisco l'obbedienza ma non sono personalmente soggetto
all'autorità della Chiesa). Noi uomini moderni possiamo fare molte cose, ma
non abbiamo la cultura, il senso etico e neanche la gioia e l'allegria per
controllare fino in fondo i poteri che abbiamo costruito con le nostre mani.
C'è un uomo di straordinaria sapienza, di grande intelligenza, di fede
ferrigna, di grande fedeltà, dal Concilio al dopo Concilio, dalla sua
giovinezza alla sua maturità alla sua vecchiaia, che questi temi e questo
problema lo ha pensato. Con una forza intellettuale che non rintraccerete
nelle grandi università del mondo, da Harvard a Oxford. Quest'uomo è
diventato Papa: Benedetto XVI, aiutaci tu.
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