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Giancarlo Cesana
La ragione per cui ho
accettato volentieri di partecipare a questo incontro è perché desidero
ringraziare Ferrara. E lo ringrazio in particolare per la sua posizione sul
referendum. Perché in tutte la battaglie che noi abbiamo fatto in passato su
questi temi, su questi "valori" come si dice, siamo sempre stati accusati di
fideismo, siamo sempre stati accusati di credere a cose in cui credevamo
solo noi. La presenza di Ferrara indica che non è così. Non solo perché lui
non è credente (e se va avanti così c'è da augurarsi che la fede non gli
venga mai), ma perché - come sapete tutti - è anche abbastanza difficile
dargli torto. E la ragione è una adeguatezza rispetto alla realtà, cioè un
modo di rapportarsi alla realtà. Per cui che uno come lui sia con noi deve
riempirci veramente di gratitudine perché, appunto, è la prima volta.
* * *
Noi siamo d'accordo con lui - io sono d'accordo con lui - soprattutto sulla
ragione, sul modo di usare la ragione. La ragione come adeguatezza alla
realtà, la ragione fatta di affezione, di attaccamento a ciò che vale e di
apertura al mistero. Il mistero è quello che noi vediamo ma non possediamo.
La nostra vita è mistero, non è nostra. La viviamo, la sentiamo, la
percepiamo, possiamo avere mal di schiena o mal di testa, ma non è nostra.
La vita è piena di cose non nostre.
C'è un titolo bellissimo sul Foglio di oggi che parla del «mistero contro
cui si sfracellerà la genetica». Infatti questo mistero è invincibile.
L'embrione con la sua fragilissima progettualità, con la sua tensione
fragilissima allo sviluppo è il massimo rappresentante del mistero della
vita dell'uomo. Quelli che sono stati presi dallo tsunami in Asia sono come
gli embrioni buttati nel cesso. E noi siamo come gli embrioni.
A noi interessa questa ragione che è contro il fideismo, il bigottismo laico
(come ho sempre letto in un editoriale del Foglio, "bigottismo laico",
termini che solo a loro sarebbe potuto venire in mente di accostare). Come
diceva Chesterton, gli atei (non gli atei come Ferrara, ma gli altri), non
sono quelli che non credono a niente, ma sono quelli che credono a tutto.
Cioè credono che l'embrione diventi persona dopo quattordici giorni, che far
la fecondazione eterologa dia la felicità, che la vita sarà migliorata -
chissà come - da una scienza che realizzerà il sogno di cui parlava Eliot
nei Cori da La Rocca: «Essi cercano di evadere dal buio esterno e interiore,
sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere
buono».
* * *
La nostra idea di ragione è un'idea per cui c'è ancora bisogno di essere
buoni e di riconoscere il mistero e - diciamola la parola - c'è bisogno di
rendersi conto che la ragione ha bisogno della fede. C'è un grandissimo
esempio di don Giussani, che quelli di Comunione e liberazione conoscono.
Ebbe una furibonda discussione sulla ragione col professore di filosofia del
liceo Berchet che sosteneva la ragione illuministica, scientifica, che fa
dire: «Credo solo a quello che vedo, a quello che provo». Alla fine della
discussione don Giussani, attorniato dai ragazzi, chiese al professore:
«Senta, io non sono mai stato in America, eppure sono sicurissimo che
l'America esista. Lei crede che c'è l'America?». Don Giussani commenta: «E
lui, poveretto, fu coerente e disse: "no"». Andando via don Giussani disse
ai ragazzi: «Giudicate voi chi ha l'idea migliore di ragione».
* * *
Questa è la ragione che sentiamo noi, che sento io di fronte a questo
mistero che è la vita, di fronte a questo fatto che è l'embrione. Al fatto
che tutto non è buio. C'è bisogno di essere buoni perché chi cerca nella
scienza la risposta cerca di sfuggire al buio. Non è il problema della
ricerca sulle cellule staminali. Trent'anni fa, quando studiavo medicina, mi
davano per assodato che le cellule cardiache erano perenni, per cui una
volta morte non si sarebbero più rigenerate, di qui la pericolosità
dell'infarto. Adesso hanno trovato cellule staminali nel cuore e la ricerca
sulle cellule staminali può andare avanti eccome, non si fermerà certo
perché non sono a disposizione gli embrioni.
Il problema è questo sogno di perfezione, è questa politica che è sempre
alla ricerca della perfezione. Questo buttare giù tutto, questo non stare
davanti a ciò che si vede ma non si possiede. Questo è sicuramente un
momento e un tempo terribile. Io a don Giussani, oltre alle molte cose di
cui gli sono debitore, gli sono debitore di citazioni che mi hanno segnato
come questa: Churchill era relatore al Massachussetts Institute of
Technology nel 1949, quando disse: «Il dottor Burchard ha parlato con
terrore di un'abilità scientifica che mira a controllare i pensieri
dell'uomo con precisione. Spero per allora di esser già morto». E spero per
allora di essere già morto anch'io (però con molta filosofia perché ci vorrà
molto tempo).
* * *
Così il problema di fronte a questo referendum e ai quesiti posti - di cui
Ferrara ha già detto tutto e io non ho molto da aggiungere - si pone al
riguardo del che cosa fare e di quale prospettiva ha la nostra azione. Come
si fa, come possiamo fare di fronte a questo referendum e come possiamo fare
di fronte non solo a questo referendum, ma anche per il futuro (perché i
tempi sono terribili e probabilmente diventeranno anche peggiori)? Questa
incertezza, questo buio che c'è dentro sta diventando dominante. Sta
diventando superbo come diceva Leopardi ne "Il pensiero dominante": «Questa
età superba che di vote speranze si nutrica, vaga di ciance, e di virtù
nemica; stolta che l'util chiede, e inutile la vita quindi più sempre
divenir non vede». Don Giussani commentando questi versi diceva: è la
descrizione molto più dei nostri tempi che non dei suoi.
Il problema è che cosa fare tenendo conto che una battaglia intellettuale
per quanto intensa non è sufficiente. L'uomo è caduto in questo buio perché
è stato lasciato solo, è stato reso solo. La persecuzione dell'uomo moderno
è la solitudine. Il crollo della ragione non è dovuto alla mancanza delle
idee, ma alla mancanza dell'affetto. è dovuto alla mancanza del legame, del
legame che porta l'idea, della carne.
* * *
Il referendum riguarda certamente l'embrione, ma riguarda soprattutto la
ragione, o il modo di utilizzare la ragione. Noi dobbiamo fare una battaglia
su questo. Perché un valore sconfitto è comunque sconfitto, lo abbiamo visto
col divorzio e con l'aborto (avevamo detto che da lì sarebbe venuto tutto il
resto... ed è venuto). Se passa anche questo, andrà avanti ancora peggio.
Quindi non è solo il problema dell'embrione, è un problema di ragioni che
noi ci diamo. Per questo io volevo parlare - però adesso mi sembra di
sfondare una porta aperta - dell'astensione. L'astensione, che è un non
voto, ha tre caratteristiche.
Astenersi non vuol dire non esserci. Questa manifestazione è la
dimostrazione del contrario. Se noi contassimo tutte le manifestazioni che
abbiamo fatto, senza dubbio sono molte di più di quelle che hanno fatto gli
altri. Se noi raccontassimo tutto il tentativo educativo che abbiamo fatto,
senza dubbio abbiamo fatto molto di più degli altri. Perché sappiamo da
tempo che per porsi bisogna opporsi. Certo, non abbiamo le attrici o i
politici noti che fanno l'outing; certo, non abbiamo neanche i grandi
giornali (io veramente non capisco perché il Corriere della Sera, tutto il
Corriere della Sera, è per il sì. Sono veramente misteri). La prima
caratteristica di questa posizione non è una furbata, non è un tirarsi
indietro, ma è un atto di presenza.
* * *
In secondo luogo: quella che viene chiamata "indifferenza" dobbiamo cercare
di rispettarla di più. Molta gente non sa che pesci prendere di fronte a
questo referendum, non si rende nemmeno conto dei quesiti e decide di stare
fuori, si astiene. Non capisco che male ci sia a stare fuori. Non capisco
che problema ci sia a riconoscere il valore positivo di questa confusione. è
molto meglio che chi non capisce si astenga piuttosto che andare a scrivere
sì, perché così fa anche un danno. Questo va valorizzato ed è un terreno su
cui entrare. D'altra parte, in una battaglia politica, in un quesito
elettorale, la partecipazione è il segno di quanto la cosa interessa.
* * *
Terza ragione di carattere politico: come è stato detto, questa è una legge
passata dal parlamento a maggioranza trasversale. Dobbiamo finirla con la
leggerezza con cui vengono utilizzati gli strumenti degli scioperi generali
e dei referendum. Chi li usa deve dimostrare di aver avuto ragione
nell'usarli. Deve dimostrare che è capace di convincere una maggioranza
degli italiani ad andare a votare ed eventualmente anche in suo favore. Il
referendum non l'ho voluto io. E io a votare non ci vado e incoraggio tutti
a non andarci. Tra l'altro mi hanno detto che i promotori del referendum, se
riesce, prendono anche i soldi. A me il pensiero mi fa venire l'orticaria.
Andare a votare no - mi perdoni Ferrara - è un eccesso di zelo. E, a parte
le notazioni della Bibbia sugli zeloti, c'è un osservazione ironica che mi
permetto di citare, di Talleyrand, il più grande politico mai esistito. Ai
suoi funzionari diceva sempre: «Mi raccomando, niente zelo». Noi dobbiamo
costruire.
Giuliano Ferrara
Non so come si comporterebbe Talleyrand,
ti ho dato una mano, ma ti sei preso tutto il braccio
Luigi Amicone
Solo un'osservazione sulla perfezione e l'imperfezione. Mi è venuto in mente
un romanzo di Hawthorne citato da Flannery O'Connor che racconta di un
marito e una moglie sposati da tanti anni. La moglie ha una voglia in faccia
e lui un giorno le dice: «ma questa voglia, pensa una donna bella come
te..., se non avesse questa voglia...». E la moglie sorpresa: «Stai
scherzando? Siamo sposati da tanti anni...». «No, saresti più perfetta senza
questa voglia» ribadisce il marito. Allora questa donna capisce che lui non
la ama più. La ragione strumentale e tecnica che si sveglia una mattina e
dice: «Voglio la perfezione», ha smesso di amare l'umanità reale.
(appunti non rivisti dagli autori)
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