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Roberto Colombo
La legge
40/2004 ha preso atto di una realtà di fatto praticata in Italia e in
numerosi altri Paesi da circa 25 anni, la fecondazione artificiale. Il
legislatore, pur in presenza di un giudizio morale e sociale negativo di una
buona parte dei cittadini italiani, ha inteso legalizzare la pratica della
fecondazione artificiale, a condizione però che essa tenga presente tutti i
fattori della stessa realtà, senza censurarne alcuni (come avveniva in
assenza della legge).
Il primo fattore è che i soggetti coinvolti nella procreazione sono tre - il
concepito e i suoi due genitori - e che tutti e tre sono esseri umani a
pieno diritto (articolo 1). Inoltre, la fecondazione artificiale ha come
scopo quello di consentire, in un certo numero di casi, la nascita di un
figlio da genitori in età feconda pur in presenza di uno o più fattori di
sterilità (articoli 1 e 4), ma non quello di selezionare le caratteristiche
del figlio (per esempio, sano o malato; articolo 13), né di fornire
opportunità per la sperimentazione sugli embrioni umani e la loro
soppressione per la produzione di linee di cellule staminali per la ricerca
di nuove terapie (stesso articolo), e neppure di far diventare madri donne
in età avanzata o single (articolo 5). La legge ha anche voluto riconoscere
il ruolo fondamentale dei legami unici e certi all’interno della relazione
genitori-figli, minati dalla diffusione delle pratiche di donazione di
spermatozoi e ovociti (articoli 9 e 12). Infine, essa ha chiesto ai medici e
alle coppie sterili di non trascurare il fatto che le tecniche attuali di
fecondazione in vitro e trasferimento in utero sono segnate da una pesante
incertezza quanto al loro esito (la nascita o meno di uno o più bambini) e
alle conseguenze delle procedure biologiche e cliniche sulla vita e sulla
salute dei soggetti coinvolti, in particolar modo il concepito e la madre.
Il legislatore ha ritenuto che l’onere degli esiti avversi non deve gravare
su uno solo dei soggetti - il concepito, in quanto non riconosciuto come
soggetto umano -, e ha posto le condizioni normative affinché chi desidera
sottoporsi alla procreazione medicalmente assistita si assuma
consapevolmente le proprie responsabilità (articoli 6 e 14).
L’esito di una abrogazione parziale delle norme della legge 40/2004 sarebbe
il ritorno a una concezione ideologica, cioè non aderente alla realtà, della
fecondazione artificiale e del suo scopo. La soppressione dell’articolo 1
cancellerebbe il concepito dai soggetti coinvolti nella procreazione umana e
dal significato ultimo di essa, riducendo l’embrione allo stato di un
“oggetto biologico” strumentale al soddisfacimento dei desideri di una
coppia e disponibile per ogni sorta di sperimentazione, inclusa la ricerca
sulle cellule staminali embrionali e la clonazione per la terapia cellulare.
La soppressione del limite al numero di embrioni ottenibili (tre) e
dell’obbligo di un loro completo e contemporaneo trasferimento in utero
(salvo cause di forza maggiore) riaprirebbe la strada alla generazione di
esseri umani destinati alla crioconservazione e, dunque, in larga misura
alla distruzione. L’autorizzazione della diagnosi genetica sull’embrione in
vitro porterebbe inevitabilmente alla sua selezione (con soppressione dei
non selezionati), non essendo attualmente possibile - né ragionevolmente
prevedibile - una terapia prima dell’impianto in utero. Infine, la
concessione del ricorso a spermatozoi e ovociti estranei alla coppia
spezzerebbe quel decisivo e tenace legame di unità integrale (somatica,
affettiva e razionale) che caratterizza la nascita e la crescita dell’io
umano, fattore di costruzione della personalità adulta e della realtà
familiare e sociale.
Un cambiamento (peggiorativo) della legge 40/2004 in conseguenza del
referendum non muterebbe il giudizio culturale e morale sulla fecondazione
artificiale, che è e resta negativo, ma renderebbe molto più arduo quel
lavoro educativo della persona alla vocazione e alla responsabilità verso il
proprio destino e quello altrui che sta anzitutto a cuore alla Chiesa.
Educazione è introduzione alla realtà (cfr. L. Giussani, Il rischio
educativo), affermazione di ogni faccia della realtà secondo la totalità dei
suoi fattori. Senza il riconoscimento della realtà integrale della
procreazione, del generare e dell’essere generati, e della medicina come
cura della persona, di ogni essere umano, l’opera educativa dei giovani, dei
genitori e dei medici sarebbe ostacolata, impedita nella sua incisività
sociale.
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