Genetica:

 

Dopo il caso Catania: crudeltà o pretese?

Il figlio voluto sui propri desideri
 

 
di Marina Corradi


Alza la voce il coro che grida «legge crudele», dopo il pronunciamento del tribunale di Catania il quale, in osservanza della nuova legge sulla procreazione assistita, ha rifiutato analisi pre-impianto e selezione degli embrioni sani a una coppia portatrice di talassemia. «Legge crudele», «Diritto a un figlio sano», «Non voglio un figlio che debba soffrire», hanno titolato i giornali, titoli facili, ad effetto - quale madre non desidera un figlio sano?

Ma leggetevi la sentenza del giudice Felice Lima da Catania, e se andrete fino in fondo in buona fede vedrete che dietro tanta retorica c'è dell'altro, e che più crudele, in realtà, sarebbe lasciare fare quell'analisi, e selezionare sani e difettosi, e che non tutto è così semplice come gridano oggi certi signori e certe signore.

Anche in Svizzera, per esempio, e in Austria, e, chissà come mai, in Germania, l'analisi pre-impianto degli embrioni è vietata. Hanno certi ricordi, da quelle parti. Tremano, solo a sentire echi di eugenetica. Già, perché, di fatto, la «legge crudele» cui si vorrebbe ovviare vieta che si possano prendere sei embrioni, per esempio, e stabilire che cinque sono portatori di quella certa malattia genetica, e uno solo ne è immune. I cinque vengono dunque eliminati, l'uno impiantato in utero.

È quanto è accaduto, prima dell'entrata in vigore della legge 40, alla coppia di Catania, e al di là di ogni considerazione morale sembra non discutibile che questa non è tanto cura contro l'infertilità, ma un'altra cosa, è selezione del sano ai danni degli imperfetti, detta anche "eugenetica" - e non è cosa ammissibile in alcun modo dall'ordinamento giuridico italiano. Ma, grida la voce delle mamme sui giornali, il "diritto" a un figlio sano. Quale diritto, verrebbe a buon senso da replicare, quando basta un minuto di anossia durante il parto per mandare all'aria tutti gli screening e le ecografie delle nostre gravidanze ansiosamente analizzate e scrutate. Quale diritto, se le malattie genetiche sono 10mila, e quelle riconoscibili così poche. E invece addirittura nel ricorso siciliano si vanta un «interesse costituzionalmente garantito e vincolante del nascituro a nascere sano». Il giudice Lima ribatte: ma questo interesse andrebbe tutelato non facendo nascere il nascituro? O si difende, invece, «un preteso diritto dei genitori a avere solo figli sani, a qualunque costo, diritto che la nostra Costituzione non riconosce loro?».

La Costituzione, anzi, riflette il giudice, «non prevede neppure un diritto assoluto alla salute di ciascuno: quella salute non può essere perseguita, per esempio, in danno della salute altrui». E a noi vengono in mente tutti quei "nulla", quelli che i giornali hanno - certo per sbaglio - chiamato «ovuli» anziché embrioni; quelli che, se cambiasse questa «legge crudele», verrebbero sacrificati al mito del figlio sano. Non solo talassemici.

Dalla London Metropolitan University di Londra viene la denuncia che nel 2002 sono stati abortiti sei bambini affetti da labbro leporino, e cinque per deformità ai piedi. Malformazioni perfettamente rimediabili. Ecografati, individuati, soppressi.

Diritto al figlio sano, come a un televisore senza difetti. Il giudice Lima:
«Non si difende in realtà alcun figlio, ma la propria volontà di averne uno conforme ai propri desideri, sacrificando a questo obiettivo, per tentativi successivi, tutti i figli difformi che venissero nel frattempo».
 
 

Genetica: «Dopo il caso Catania: crudeltà o pretese? Il figlio voluto sui propri desideri» Marina Corradi, Avvenire, 2 giugno 2004

 

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