La tradizione popolare è ricca di riferimenti a casi di presunto malocchio a danno degli animali domestici ed in particolare delle mandrie, dalle quali derivava gran parte del sostentamento per le popolazioni di montagna. Si riteneva che le mucche colpite da malocchio potessero morire, oppure diventare sterili o non dare più latte. Da qui la necessità di adottare tutta una serie di precauzioni per scongiurare il rischio di incappare in una siffatta situazione dalla quale non era per niente facile liberarsi. Ecco un paio di casi di presunto malocchio risoltisi felicemente grazie all'adozione di antidoti infallibili. Un vecchio contadino della Pianca di San Giovanni Bianco, morto nella seconda metà del Novecento, raccontava spesso la vicenda che era capitata a suo padre, quando la famiglia abitava ancora in una contrada di Camerata Cornello. Questo padre aveva una piccola mandria di mucche da cui ricavava l'unico sostegno per la numerosa famiglia. Periodicamente qualche mucca o vitello si ammalava e moriva e così assai spesso il pur scarso guadagno che derivava da questa attività andava perso. Di nessuna efficacia si era rivelata l'immagine di Sant'Antonio abate affissa sull'uscio della stalla e lo stesso effetto avevano sortito i periodici ceri fatti accendere in chiesa, davanti alla statua del santo protettore degli armenti e le preghiere recitate con devozione. Così l'allevatore aveva finito per convincersi che la sua sfortuna derivava dal malocchio di qualche vicino invidioso e perciò decise di rivolgersi a un prete di cui si diceva che fosse un santo e sapesse levare questi mali. Forse si trattava del prete dei Bani di Ardesio, la cui figura di taumaturgo è entrata nella storia. Udito il racconto del mandriano, il prete sentenziò: "La 'nvìdia la passa sèt müràie..." e lo consigliò di continuare le consuete devozioni a Sant'Antonio e di rivolgersi anche al parroco del suo paese affinché si recasse a benedire le mucche. Ma soprattutto gli raccomandò di chiudere bene la stalla e di pulire accuratamente ogni sera l'area antistante la porta, passando la scopa per ben sette volte, non una di più né una di meno. Per quanto scettico, il contadino fece come aveva detto il prete e da allora né lui né i suoi figli ebbero più alcun problema con le loro bestie. Un allevatore di Valtorta, ora ospite della casa di riposo Don Palla di Piazza Brembana, riferisce un fatto capitatogli in un periodo imprecisato tra le due guerre mondiali. Ecco il suo racconto. Dalle mie parti viveva un tale che aveva la fama di streamét, cioè di uno che aveva invidia per la roba altrui e andava in giro a diffondere il malocchio tra gli animali. Un giorno, mentre stavo portando le mie mucche al pascolo, incontrai quella persona, la quale iniziò ad informarsi su come andava il mio lavoro, se le mie bestie stavano bene, se davano latte, se partorivano regolarmente e se i vitelli crescevano sani. lo, che conoscevo bene la sua fama di menagramo, gli diedi risposte generiche, anzi, gli feci credere che i miei affari non andavano granché bene. Ma ormai la frittata era fatta! Dopo qualche giorno una mia bella giovenca che aveva partorito da poco, iniziò ad avere lo schitù e a mangiare assai poco. Poi una sera, all'atto di mungerla, mi accorsi che mi dava poco latte e per giunta piuttosto denso e di un colore così strano che pensai bene di non mescolarlo a quello delle altre mucche, per farne formaggio, ma a malincuore lo diedi da bere ai maiali. La sera dopo il latte della mia giovenca era diventato pochissimo, appena un bicchiere, ed aveva un colore rosso, come se fosse misto a sangue, inoltre presentava sulla superficie delle bolle simili a gocce d'olio che mi fecero rabbrividire. Ormai non avevo più dubbi: la mia mucca era stata stregata da quel disgraziato! Allora, come mi avevano insegnato i miei vecchi, corsi subito ai ripari. Presi una manciata di sale, l'avvolsi in un foglio di giornale e giù di corsa verso il paese, alla ricerca del parroco, don Stefano Gervasoni, considerato da tutti un santo, dotato di mezzi infallibili contro questi casi di malocchio. Lungo la strada incontrai dei conoscenti e feci una piccola sosta, il tempo di scambiare un paio di battute sulle condizioni del tempo, poi ripresi a correre. Trovai don Stefano sul sagrato, davanti alla porta della chiesa, in evidente attesa di qualcuno. "Ti stavo aspettando - mi fece con voce quasi di rimprovero appena mi fui avvicinato e prima ancora che aprissi bocca - ce n'hai messo del tempo a venire!". Poi, senza aggiungere altro, si voltò, entrò in chiesa, si inginocchiò in un banco e si raccolse in preghiera. lo stavo in piedi dietro a lui, con il cappello in mano, chiedendomi come avesse fatto a sapere della mia venuta. Dopo qualche minuto, don Stefano si segnò, si alzò e mi invitò a seguirlo in sagrestia. "Che cosa hai portato?", mi chiese mentre indossava la stola e prendeva da un cassetto del vecchio armadio un libretto nero, un aspersorio e uno strano oggetto metallico a forma di diapason, che non avevo mai visto prima. "Un po' di sale", risposi estraendo dalla tasca il cartoccio e ponendolo sul piano di un tavolino. 'Va bene - soggiunse il parroco dispiegando il cartoccio e tracciando nel sale con il diapason dei solchi, a forma di croce purché non sia troppo tardi, certo che ce n'hai messo del tempo a deciderti!". Poi prese a leggere sul libretto delle lunghe preghiere in latino, interrompendosi ogni tanto per aspergere il sale e tracciarvi altri segni di croce con quell'oggetto metallico. Dopo un periodo abbastanza lungo, smise di pregare e si rivolse a me dicendo: "Speriamo di essere arrivati in tempo!". Poi batté quella sorta di diapason sul dorso della mano sinistra e l'accostò all'orecchio, assumendo l'atteggiamento di chi sta in ascolto. "Siamo arrivati in tempo, ancora poche ore e la tua mucca sarebbe morta" - esclamò alla fine, visibilmente sollevato - "ma adesso tutto è sistemato e puoi tornartene a casa". Quindi, respingendo la misera offerta che mi accingevo a dargli e bloccando i miei goffi tentativi di ringraziarlo, mi invitò a pregare: "Devi sapere che l'aria è piena di spiriti, ci sono quelli buoni e quelli cattivi. Adesso vai in chiesa, recita un Pater al Signore e accendi una candela a Sant'Antonio abate e ricordati, quando arrivi alla stalla, di dare il sale alla mucca e lavarle bene le zampe posteriori e le mammelle.". Poi, mentre stavo uscendo dalla sagrestia, mi disse un'ultima cosa che mi fece rabbrividire: "E quando si sta andando da qualche parte per un affare importante, non ci si ferma per la strada a chiacchierare!". Coma avrà fatto a sapere anche quel particolare? E sì che mi ero fermato un amen, appena il tempo di scambiare due parole! Arrivato alla stalla, feci quello che mi aveva ordinato don Stefano e già la mattina dopo la mucca stava bene e riprese a darmi latte buono e abbondante. |