Ghita era una pastorella graziosa d'aspetto e gentile di modi. Contenta di quanto le era stato dato in sorte dalla natura, guidava ogni giorno le pecore al pascolo con un entusiasmo che contagiava tutte le persone che le vivevano accanto.

La sua voce, poi, aveva qualcosa di particolare: era simile a quella dell'usignolo, e non era insolito sentirla gorgheggiare quando, intenta ad accudire le sue pecore, si dilettava nel ricamo di qualche scampolo della sua modesta dote.

Modesta, sì, ma curata con gusto e perizia, perché Ghita nell'arte del ricamo e del cucito possedeva delle capacità speciali, che le erano state trasmesse da sua madre, donna amorosa e solerte nell'interpretare le istanze della figlia.

E fu proprio alla madre che un giorno Ghita confessò di essere da qualche tempo oggetto delle attenzioni di un giovane compaesano, di modeste origini, ma di gran cuore.

Costui aveva cominciato a frequentare la ragazza con la scusa di commissionarle qualche lavoretto che lei accettava di buon grado più per cortesia che per altro. Come quella volta che il giovane le chiese di attaccargli alla camicia lisa un paio di bottoni mancanti da chissà quanto tempo e che mai nessuno si era preoccupato di sistemare.

Quelle piccole richieste celavano un dolcissimo amore nato nel cuore dell'uomo che però non venivano ricambiate dalla ragazza, ancora troppo giovane e non avvezza alla schermaglie dei cuori.

Così il giovane, dopo aver tentato a lungo e inutilmente di conquistare l'amore di Ghita, convintosi di non essere alla sua altezza e di non meritarla, dovette suo malgrado soffocare i nobili sentimenti del suo cuore e decise di non farsi più vedere, umiliato e un po' offeso per non avere ottenuto l'attenzione della ragazza, ma serbando un ricordo indelebile di quella sublime creatura.

Passarono gli anni, Ghita crebbe e divenne ancora più bella, il suo cuore guardava con entusiasmo al futuro che immaginava ricco d'amore e di felicità.

In quel periodo la Valle Brembana, al pari del restante territorio bergamasco, venne occupata dall'esercito della napoleonica Repubblica Cisalpina e uno dei soldati, dai lunghi mustacchi e dal cuore di ferro, mise gli occhi sulla bella pastora che aveva incontrato durante una passeggiata in uno dei rari giorni di libera uscita dalla caserma.

Il fascino della divisa, il portamento, le lusinghe e le sottili arti ammaliatrici messe in atto dal soldato conquistarono Ghita che, piena di fiducia, cadde tra le sue braccia e sperimentò per la prima volta la gioia dell'amore e l'ebbrezza della passione.

Perdutamente innamorata del bel gendarme, la pastorella lo aspettava ogni giorno nel bosco, incurante del gregge e dei ricami e ignara del crudele destino che l'aspettava.

Un triste giorno l'esercito dovette lasciare la valle e anche il soldato di Ghita se ne andò, senza un saluto, una parola d'amore o l'accenno a una promessa da mantenere per il futuro.

Lei lo aspettò inutilmente per tutto il giorno nel luogo solito dei convegni amorosi, poi, venuta sera e tornata in paese, andò a cercarlo in caserma e così conobbe l'amarezza del tradimento e dell'abbandono.

Distrutta dal dolore, fuori di sé dall'angoscia, scappò dal paese e si trascinò stancamente per tutta la notte nel buio di deserti sentieri di montagna, finché in preda alla disperazione più nera, si lasciò cadere in un burrone.

Destino volle che il mattino seguente passasse da quelle parti il giovane pastore che l'aveva corteggiata negli anni dell'adolescenza. Vistala in fondo alla scarpata, si affrettò a soccorrerla e a portarla in paese dove la ragazza fu curata e rimessa in sesto.

Nei giorni che seguirono il pastorello andò spesso a far visita a Ghita, la quale si confidò con lui, raccontandogli l'infelice storia del suo amore con il soldato straniero.

Il giovane, che non aveva mai cessato di amare la ragazza, in uno slancio di dedizione, partì alla ricerca del soldato fedifrago, con il preciso intento di vendicare l'onore della sua amata.

Per ben quattro anni vagò in ogni angolo d'Europa, giungendo sui campi di battaglia, dove l'esercito napoleonico si scontrava con le armate delle coalizioni nemiche, senza trovar traccia del soldato. Poi, deluso e sconsolato fece ritorno in valle, sostenuto solo dalla prospettiva di rivedere la sua amata pastorella.

Ma qui l'attendeva una ben più amara e tragica notizia: Ghita era morta, parecchio tempo prima ed era stata sepolta in un angolo del camposanto e al giovane non rimase che portare ogni giorno un mazzo di fiori di campo sulla tomba della sventurata ragazza.

Ma in capo a sei mesi un'altra croce venne posata vicino alla tomba di Ghita: era quella del pastorello che non aveva potuto sopportare di vivere senza il suo grande amore.

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