La fantasia popolare ha contribuito ad arricchire la tradizione brembana di racconti aventi per protagoniste persone perseguitate dalla presenza di strani esseri dai quali si potevano liberare solo ricorrendo all'intervento del sacerdote e alle relative pratiche religiose.

I monti della valle, aspri e solitari, erano spesso teatro di queste grottesche visioni il cui tema ricorrente era un serpente dalla testa mostruosa, certamente ispirato dalla presenza delle vipere che popolano questo territorio e che sono particolarmente temute.

Emblematico quello che succedeva ad Ornica, dove recarsi sui monti per lavoro era la consuetudine quotidiana: le mamme e le nonne facevano recitare ai bambini, prima di condurli con loro in quelle zone, "il pater di bes", cioè la preghiera per chiedere protezione contro il pericolo di essere morsi dalle vipere.

A proposito di rettili mostruosi, terribile fu ciò che accadde ai primi del Novecento proprio al parroco di Ornica, don Giovanni Palazzi, un giorno che stava andando a caccia dalle parti di Paül.

All'improvviso gli si era parato davanti un grosso serpente con la testa di gatto e gli occhi infuocati. Istintivamente il sacerdote aveva imbracciato il fucile puntandolo contro la strana bestia, ma mentre stava per far fuoco questa si era rizzata verticalmente poggiando solo sulla punta della coda e con una voce d'oltretomba aveva pronunciato queste parole: "Làghem istà, che me ta fó negót a te!".

Il povero parroco, tutto spaventato, aveva lasciato cadere l'arma e se l'era data a gambe.

A Ornica si dice ancora oggi che quel serpente altri non era se non l'anima dì un dannato confinata in quella zona.

Sempre in tema di vipere, ancora a Ornica, in località Piazzarata, mezz'ora di strada a monte del paese, si trova un grosso sasso di granito rosso sotto il quale sgorga una limpida sorgente.

Se qualche passante si accostava alla sorgente per dissetarsi, vedeva subito apparire sopra il sasso una grossa vipera, con una cresta di gallo sulla testa, che emetteva un lungo e prolungato sibilo.

Chiunque a questa apparizione se ne fuggiva terrorizzato, ma se qualche coraggioso prendeva un sasso per colpire la bestia, vedeva la stessa scomparire all'istante, salvo poi ricomparire non appena lasciato cadere il sasso.

Naturalmente si trattava anche in questo caso di un'anima confinata...

A Ornica e in altre località dell'alta valle, si racconta che poteva capitare, in certe ore della notte, di assistere al passaggio di un funerale e di vedere sfilare tutti i morti del paese ciascuno con la propria torcia. A volte una di queste anime usciva dal corteo e offriva una candela accesa allo spettatore, il quale, passato il funerale, si trovava in mano un serpente.

Come se non bastassero i serpenti a rovinare la vita ai nostri antenati, ci si mettevano anche i gatti.

Si racconta, sempre in alta valle, che un contadino, di ritorno dal lavoro nei campi, cominciò ad essere seguito da un grosso gatto, che non lo abbandonava finché non metteva piede in casa.

Una sera, stanco di vedere questo gatto, gli diede una bastonata, colpendolo a una zampa e il gatto se ne fuggì zoppicando e miagolando mestamente.

Il contadino, arrivato a casa, venne a sapere che poco prima la sua moglie era stata colpita da un pezzo di legna caduto da una catasta e aveva riportato la frattura di una gamba. Allora non poté fare a meno di pensare che quel gatto vendicativo altri non era se non la moglie che, sotto sembianze feline, lo seguiva chissà poi per quale strano motivo!

A volte, però, i gatti tornavano anche utili all'uomo, come accadde a un giovane di Oltre il Colle che stava rientrando dal lavoro dopo aver ricevuto la paga mensile.

Arrivato presso il ponte della Val Parina, il giovane vide in mezzo alla strada un grosso gatto che sembrava intenzionato a impedirgli di passare. Prima con le buone e poi con le cattive, cercò allora di scansare l'animale, ma questo rimaneva lì, imperterrito, con fare minaccioso, ben deciso a non arretrare di un passo.

Il giovane, incapace di venire a capo di questa insolita situazione, finì col sedersi a lato della strada, sperando che il gatto decidesse finalmente di andarsene.

Aspetta e aspetta, passò parecchio tempo, ma il gatto non si muoveva.

E fu un bene, perché dì là dal ponte, appostati dietro un cespuglio, c'erano due briganti armati di bastoni, che attendevano il giovane per aggredirlo e derubarlo.

Stanchi di aspettare e visto che la situazione non si sarebbe sbloccata, i due malfattori dovettero venire allo scoperto e il gatto si avventò contro di loro con tale furia da costringerli alla fuga nel fitto del bosco.

Così il giovane poté riprendere il cammino e tornare a casa sano e salvo, convincendosi in cuor suo che quel gatto in verità non era altro che l'anima di un suo caro defunto, tornato sulla terra ad aiutarlo.

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