Una nuova lettera di Vincenzo Andraous giunge in redazione
e ci costringe a riflettere
NATALE: LA PAZIENZA DELLA SPERANZA
Vincenzo è nato a Catania il 28-10-1954, una figlia - Yelenia, che definisce la sua “rivincita più grande” - detenuto nel carcere di Pavia, ristretto da ventinove anni e condannato all’ergastolo. Da 7 anni usufruisce di permessi premio e lavoro esterno, da 2 anni e 1/2 è in regime di semilibertà e svolge attività di tutor-educatore presso la Comunità “Casa del Giovane” di Pavia. Per 10 anni è stato uno degli animatori del Collettivo Verde del carcere di Voghera, impegnato in attività sociali e culturali con le televisioni pubbliche e private, con Enti, Scuole, Parrocchie, Università, Associazioni e Movimenti culturali di tutta la penisola. Circa 20 le collaborazioni a tesi di laurea in psicologia e sociologia; è titolare di alcune rubriche mensili su riviste e giornali, laici e cattolici; e su alcuni periodici on line. Ha conseguito circa 80 premi letterari; ha pubblicato 7 libri di poesia, di saggistica sul carcere e la devianza, nonché la propria autobiografia.
E' NATALE
Sono i giorni dei deliri economici, dei sorrisi ricostruiti, dei gesti gratuiti per ricorrenza.
Sono giorni che trascorrono veloci ed è gia ieri nelle dimenticanze immediate che non conoscono sensi di colpa.
Giorni che non sono uguali, che non possono esserlo, perché non segnano tempo a perdere, nonostante i nostri sforzi per rimanere intruppati in bell’ordine nelle abitudini consolidate, che ci giustificano e assolvono.
In questo Natale potremmo provare a sentirci Musulmani, Ebrei, Cristiani, nel senso di scambiarci reciprocamente i solchi che ci dividono e allontanano, fino a renderci nemici.
Scambiarci pene e gioie, amori e paure, fino a sentire al fondo della carne e al centro del cuore, il bisogno di conoscere per intero il peso della storia, nella necessità di non chiudere il proprio uscio.
Scambiarci le nostre storie personali, le nostre interiorità, che non sanno solo di amaro e non stanno disegnate in piramidali fatti a misura da utopisti e manipolatori di coscienze.
In questo Natale perché non provare a stare per un solo giorno dietro le sbarre di un carcere, ma non per un accidente, per nemesi indotta, neppure per volontariato personalistico.
Un giorno in cella per una precisa scelta di conoscere e capire un mondo che non è separato, che non è distante. Non è fuori dal vivere collettivo, bensì è dramma da interpretare nel male ricevuto, nel dolore recato, nelle privazioni doppie e triple ben oltre la stessa condanna.
Un giorno da ricordare, dove incontrare pezzi di noi stessi sparsi all’intorno, e sanguinare per le tante vittime del reato, per le tante vite dimezzate, denudate della propria dignità,
Un giorno in carcere per toccare con mano ferma e non caritatevole l’urgenza di un ripensamento culturale, che induca non solo a richiedere il castigo per chi infrange la legge, ma riconosca il valore della riconciliazione, della ricomposizione, attraverso un’attenzione sensibile, che non è accudente, ma accompagna nelle proprie responsabilità e nei propri intendimenti di ritornare ad essere uomini nuovi.
Un giorno dietro le sbarre per comprendere l’esigenza di giustizia di chi ha subito come di chi subisce affinché una Giustizia equa favorisca davvero la nascita di uomini equi.
In questo Natale proviamo veramente a pregare per un Bimbo che nasce e che vorremmo incontrare all’angolo di ogni strada buia. Un Bimbo che non ha cittadinanze imposte, ma si espande dal principio alla fine per essere “insieme” in un NOI che non volge le spalle alla preghiera che ascolta, ma scopre nuove energie a cui fare ricorso per non ingannarci tra relativismo etico e fede vinta ai tavoli da gioco.
Il Bimbo nasce e noi siamo in corsa, con il respiro pesante per le tante cose da fare, siamo preda della pazienza della disperazione.
E’ Natale, e allora, e forse, essere più buoni, sta a significare che non sono sufficienti i diplomi, le lauree né i corsi brevi per raggiungere quella dimensione che questa festa ci dona.
Quest’Avvento sia finalmente gioia che non smette mai, lo sia fino in fondo, affinché questa vita che non arretra, consenta a tutti una laurea assai più ambita, quella della pazienza della speranza.
Vincenzo Andraous (Dicembre 2002)
Carcere di Pavia e tutor educatore
Comunità Casa del Giovane di Pavia
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