Una riflessione e un libro per costruire il nostro "essere adulti"

MA STIAMO DAVVERO CRESCENDO?

 

JENIN: LA VERITA' ASPETTA

(Articolo apparso su "Segno nel mondo" n. 9) di Alessandra Antonelli

 

Anche la Palestina ha il suo Ground Zero: Al-Hawashin, una volta il quartiere più popoloso del campo profughi di Jenin, ora è un altopiano di macerie incorniciato da scheletri di case esplose, bruciate, semi-demolite. E i suoi eroi: non i pompieri, ma gli operatori della Croce Rossa, per giorni impossibilitati a soccorrere i feriti.

Tra i detriti si muovono ancora, lenti e impotenti, gli unici mezzi di soccorso: una ruspa, un trattore, mani disperate e volenterose. Tentano di recuperare i resti di almeno 150 corpi, stando alle stime palestinesi. Il numero coinciderebbe con le dichiarazioni rilasciate dall’esercito israeliano (poi ritrattate) e renderebbe plausibile un’altra contraddizione: “Quello che ci ha colpito era quello che non c’era”, dice Derrick Pounder, patologo in Palestina con Amnesty International, dopo aver eseguito delle autopsie all’ospedale di Jenin. “C’erano pochissimi cadaveri e pochissimi feriti gravi. La domanda quindi è: dove sono gli altri?”.

Come firmatario della Quarta Convenzione di Ginevra, spetterebbe ad Israele dare risposta a questo e ad altri interrogativi. Tra cui: le violazioni e gli abusi perpetrati durante i dieci giorni di invasione e occupazione del campo da parte dell’esercito israeliano sono tali da poter essere giudicati da un tribunale internazionale?

“Gli abusi documentati sono estremamente gravi da poter parlare, in vari casi, di crimini di guerra”, dice Peter Bouckaert, di Human Right Watch, già in Kosovo e in Afghanistan.  E gli abusi riguardano: la volontaria e arbitraria uccisione di civili, il loro uso come scudi umani, la massiccia demolizione di case, l’indiscriminato e sproporzionato uso della forza, il blocco degli aiuti umanitari e il divieto di assistenza medica.

I dispersi secondo l’Unrwa, l’agenzia per i rifugiati dell’ONU, ammonterebbero a 600, soprattutto uomini. “Israele ha l’obbligo di indagare, accertare e punire gli eventuali responsabili dei crimini”, dice Bouckaert, “ma è compito della comunità internazionale assicurarsi che lo faccia, e lo faccia adeguatamente”. L’atteggiamento finora tenuto dal governo israeliano, compreso il blocco della Commissione ONU, non sembra però incoraggiante.

Una ricostruzione attendibile dei fatti di Jenin è per ora nelle mani delle associazioni per la difesa dei diritti umani. E saranno loro, una volta completata la raccolta della documentazione, a presentarla – eventualmente – al giudizio di una corte internazionale.

 

 

TIZIANO TERZANI: LETTERE CONTRO LA GUERRA

di Davide Toffoli

 

Un personaggio vestito all’ indiana, con i capelli raccolti in un codino e con una lunghissima barba bianca ci guida, attraverso le sue pagine, alla riscoperta di quello che già da duemila anni il Vangelo ci dice, ma che la nostra “prudenza prima di tutto” e la nostra “ansia del quieto vivere” troppo spesso ci impediscono di gridare ai quattro venti: “Un eunuco che vuole stuprare una vergine, così è chi vuole farsi giustizia con la violenza”. Questo caso editoriale è intriso di speranza, è un tornare a scrivere a chiare lettere quel “non uccidere” che fa parte di un po’ tutte le culture e che ci rammenta che non può esistere alcun genere di rapporto virtuoso tra giustizia e violenza. Terzani porta con sé 30 anni di giornalismo di guerra dall’Estremo Oriente come corrispondente di Der Spiegel, uno tra i più importanti giornali tedeschi. “Uomo fortunatissimo, pagato per viaggiare, per appagare la sua curiosità di capire come la pensano gli altri, per vedere nel più profondo la guerra, ha guardato in faccia per trent’anni le dinamiche dell’odio, si è inserito come un pellegrino, cercando di assumerne il punto di vista, nelle culture che di volta in volta lo ospitavano”. Dai Vietcong ai Talebani, le sue sono parole di chi non accetta di vedere “l’uomo autodistruggersi”.

 

 

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