Per conoscere meglio l'autore di Momo e della Gabbianella

ENZO D'ALO', UN REGISTA SOLO PER BAMBINI?

 

BIOGRAFIA DEL REGISTA

 

Enzo D'Alò (Napoli, 1953), trasferitosi a Torino, nel 1979 entra a far parte del laboratorio cinematografico La Lanterna Magica, dove lavora a diversi programmi di sperimentazione audiovisuale. A partire dal 1983 realizza diversi cortometraggi con un gruppo di bambini e alcuni cartoni animati di informazione didattica. In seguito si specializza nell'animazione e firma numerose sigle televisive. All'inizio degli anni '90, sempre come cartoonist, realizza fortunate serie Tv come Omino blu e Le nuove avventure della Pimpa. Si può dire che egli è l’artefice della rinascita del cartoon nel nostro paese: i suoi precedenti lungometraggi d’animazione, "La freccia azzurra" (1996) e "La gabbianella e il gatto", hanno infatti ottenuto lusinghieri risultati al botteghino, contrastando con efficacia il primato statunitense nel settore.

Dopo avere felicemente adattato testi di Gianni Rodari e Luis Sepulveda, con "Momo alla conquista del tempo" è ora la volta del tedesco Michael Ende ("La storia infinita"): in particolare, del bellissimo libro omonimo già trasposto per il cinema nel 1986 dal regista Johannes Schaaf in una versione - peraltro non particolarmente riuscita - con attori in carne ed ossa. Realizzato con la tecnica artigianale dei suoi precedenti lavori, "Momo alla conquista del tempo" può senz’altro dirsi il risultato più compiuto dell’autore: la semplicità del disegno a mano risulta funzionale alla vicenda e le belle scenografie di Michel Fuzellier - ispirate ad Escher e Magritte - forniscono adeguata cornice al tutto. Il credo libertario ed anticapitalistico del film è esposto con grazia: Ende ben lo riassumeva nella formula "il tempo è vita e la vita risiede nel cuore". In definitiva, un film per l’infanzia che piacerà pure agli adulti.

 

"ENZO D'ALO' ... ALLA CONQUISTA DEL CINEMA"

di Francesca Fornario

 

Enzo D’Alò è un outsider. A tal punto che se fosse il personaggio di un cartone animato, dice, sarebbe Paperino, perché è sfortunato e maldestro, ma di buoni sentimenti. Talmente buoni che il regista di “Momo”, come la sua giovane e coraggiosa eroina, sfida ostinatamente le regole dell’industria dello spettacolo. Come ad esempio quella che fa dipendere il valore di un cartone animato dal numero di disegni che sono occorsi per realizzarlo, e lo fa con idee incendiarie del genere: “quello che conta più di tutto nell’animazione è la qualità delle storie” o “rompiamo il muro di diffidenza degli adulti nei confronti dei cartoni”. Affermazioni da far tremare il mercato dei gadget, in funzione del quale vengono ormai prodotti alcuni cartoni animati. Tutto questo, in un mercato ingessato e standardizzato com’è quello dell’animazione, si traduce in una benefica ventata di aria fresca. Per capire la portata rivoluzionaria del fenomeno D’Alò ci sono due sistemi. Il primo è quello di mettere a confronto un suo cartone animato con quello di una qualche megaproduzione americana; il secondo è quello di mettere a confronto una sua intervista con quella del regista di una qualche megaproduzione americana.

 

Alla domanda “Come hai cominciato a fare cartoni animati?”, il secondo risponderebbe con l’elenco delle scuole e delle università dove ha studiato. E tu?

 

Enzo D’Alò: “Ero musicista e facevo l’obiettore di coscienza a Torino, dove lavoravo con i bambini. E’ nato tutto per gioco, volevo aiutarli a raccontare delle storie: loro disegnavano, io riprendevo i loro disegni con la cinepresa e li montavo con la mia musica. Era il 1979. Così ho cominciato a fare cartoni animati. Per questo sono sempre in difficoltà quando i giovani che vogliono avvicinarsi a questa professione mi chiedono da dove cominciare: certo non posso dire loro di tentare facendo gli obiettori di coscienza, ma con me ha funzionato ...”.

 

Si dice che per realizzare un cartone di successo servono soprattutto soldi e pubblicità. Tu dici che ci vuole passione. Sei sicuro?

 

E.D.: “Passione, sì. Perché la tendenza è quella di trasformare il cartoon in un’industria, con decine di animatori pagati un tanto a disegno, come avviene in Asia. Così facendo però la loro unica preoccupazione diventa fare quanti più disegni possibili e non prestare attenzione alla qualità. Io penso invece che più si lavora in una dimensione artigianale e più si possono fare prodotti artistici, con una squadra affiatata e tanta passione”. 

 

E per imparare il mestiere?

 

E.D.: “Bisogna andare a bottega, come facevano i pittori. A Parigi esiste anche una scuola per storybordisti, tuttavia il rischio è che i ragazzi imparino a lavorare in modo troppo standardizzato, e i risultati discutibili li vediamo in alcuni cartoni animati francesi che appaltano parte del lavoro all’Est, dove la mano d’opera costa meno. Per non parlare delle storie. Stereotipate anche quelle. E’ così si uccide la creatività”.

 

Le storie. Per quelle tu sembri avere un riguardo particolare. “La gabbianella e il gatto” “Momo” e “Pinocchio”, ultimo progetto in cantiere, si ispirano infatti a libri per ragazzi che però sono letti e molto amati soprattutto da un pubblico di adulti. Perché?

 

E.D.: “Perché i miei cartoni si rivolgono anche a loro. Nelle mie storie cerco sempre di mettere una doppia soglia di lettura, una più facile e immediata, alla portata dei bambini e una più complessa, riservata alla comprensione degli adulti. Prendiamo “Momo”. I signori grigi convincono subdolamente gli uomini a lavorare sempre di più per risparmiare il tempo per quando saranno vecchi, e così li fregano. Una situazione che in un futuro non troppo lontano potremmo trovarci a vivere. Se gli adulti e i bambini guardassero il film insieme poi potrebbero spiegarselo da punti di vista differenti. Questo stimola le riflessioni, aiuta a capire. Con “La freccia azzurra” credo di esserci riuscito”. 

 

 

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