Oltre gli studenti: uno sguardo sul difficilissimo ruolo degli educatori 

PERCHE' SCEGLIERE DI DIVENTARE "PROFESSORE"

 

“A professore’, finalmente ‘sta cosa l’ho capita!”

INTERVISTA a Cinzia Timpano

docente di Lettere presso l’Istituto Comprensivo “Don Milani”

a cura di Davide Toffoli

 

Cosa ti ha spinto a intraprendere la strada dell'insegnamento?

Il mio corso di studi (pedagogia) vedeva quasi come suo naturale sbocco, quello dell’insegnamento. Mi piaceva inoltre l’idea  di intraprendere un lavoro che garantisse tanta autonomia e che presupponesse un pizzico di creatività, inventiva. che fosse ogni giorno diverso. 

 

Di cosa senti maggiormente la mancanza lavorando all'interno della realtà scolastica italiana? 

Ultimamente il docente è caricato di compiti e responsabilità sempre più gravosi; là dove le altre strutture statali non riescono ad assolvere i loro compiti, o di fatto non esistono organismi competenti , allora molto spesso si demanda alla scuola. Si presuppone così che l’insegnante abbia adeguate competenze per poter svolgere  funzioni di assistenza sociale e di assistenza psicologica ma questo non è sempre vero. Di fatto, il più delle volte operiamo “da soli”. Figure di supporto quali equipe psicopedagogica, servizi sociali, amministrazioni locali, ASL,  rimangono sulla carta; nella maggior parte dei casi il loro intervento è puramente formale, non scende quasi mai nello specifico, non ci fornisce strumenti e/o metodologie mirate.

 

Di cosa hanno più bisogno, secondo te, i ragazzi che frequentano la scuola media?

La scuola media costituisce una sorta di spartiacque, l’età degli studenti è sicuramente quella più problematica: gli undici, dodici anni sono forse quelli  decisivi per la maturazione non solo della personalità, ma anche del processo cognitivo. In molti casi il futuro successo o insuccesso scolastico si decidono proprio in questi anni. Diventa allora davvero fondamentale, come strumento di prevenzione,  riuscire a fornire adeguate abitudini di impegno e di corretta condotta sociale. Per raggiungere un così ambizioso traguardo bisogna saper motivare i ragazzi, accrescere la fiducia e la stima di sé. Diventa essenziale per gli allievi possedere un buon metodo ed avere la consapevolezza che questo si possa apprendere con la guida di un bravo insegnante.

 

Scuola pubblica e scuola privata: come la pensi?

 A questa domanda non ti so fornire, soprattutto per questioni di tempo, una risposta decente. Molto velocemente ti dico che la scuola, proprio per i suoi presupposti ed i suoi principi ispiratori, DEVE essere statale; solo così si può avere la garanzia di una reale autonomia che deve essere prima di tutto economica ed ideologica. La scuola deve avviare ad una convivenza pacifica e tollerante, deve educare alla diversità, che è anche diversità sociale e culturale; mentre la scuola privata tende, proprio per sua natura, ad essere selettiva, elitaria.

 

Da cosa ti sei sentita più arricchita svolgendo il tuo lavoro di professoressa?

Anche se spesso brontoliamo per la paga che rimane bassa, per i numerosi impegni, spesso non riconosciuti, posso dire che questo lavoro ci dà ancora molte soddisfazioni personali. L’arricchimento che ne ricevo è fatto di tante piccole cose; sicuramente sul piano dei rapporti personali: con i colleghi quando ti accorgi che stai condividendo un percorso che è comune; con i ragazzi quando riesci a creare un rapporto sincero di stima e fiducia, quando, anche se solo per una volta, ti senti dire: “A professore’, finalmente sta cosa l’ho capita!”.

 

 

Un sano egoismo

di Martina Silvestri

 

Ho 29 anni, dal 1998 sono laureata in Lettere (110 e lode). Sono inserita nella Terza Fascia della graduatoria dei docenti, (per intenderci, quella degli ultimi ad essere presi in considerazione per una supplenza). Allo stato attuale mi divido tra  un’attività di doposcuola elementare presso un istituto privato, alcune lezioni private in sostegno a ragazzi in difficoltà e quella di “Tutor”  presso il C.E.P.U. dove seguo la preparazione agli esami di alcuni studenti di Facoltà Letterarie. E’ una sistemazione temporanea alla quale potrei dovermi abituare, visto che già i docenti della cosiddetta Seconda Fascia faticano ad avere un posto o ad essere chiamati per le supplenze. E’ tuttavia una sistemazione che permette di venire incontro a quella che ho sempre avvertito come la mia “missione”, quella specie di “sano egoismo” che mi fa stare bene quando ho la sensazione di essere utile agli altri e soprattutto quando riesco a conservare intatti gli stimoli per continuare a studiare e ad aggiornarmi continuamente attraverso il confronto con altre persone. Certo, mi manca davvero molto il potermi rapportare con una classe di ragazzi: infatti è proprio quella la mia “sfida”, la realizzazione completa del mio sogno. Ma non ho alcuna intenzione  di scoraggiarmi:  l’occasione prima o poi arriverà.

 

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